La glottodidattica umanistico-affettiva e funzionale
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L’analisi condotta da Ballarin e Begotti (a cui vanno rispettivamente i § 1-3 e 4-8) getta le basi per una pratica didattica consapevole e moderna. Da un lato, Ballarin chiarisce quali sono le coordinate epistemologiche del metodo umanistico-affettivo, metodo in cui vengono tenute in grande considerazione, in sede di programmazione di un corso di lingua, variabili di ordine neurologico e psicologico. Al fine di realizzare un corso “a misura di persona”, è importante che l’insegnante (e anche lo studente, specie se adulto) sia consapevole di come funzioni il cervello; quale ruolo abbiano, per esempio, i due emisferi, come memoria e emozioni si influenzino, come e quanto il fattore motivazione possa mutare in funzione di fattori interni o esterni all’individuo, ecc. Una glottodidattica del XXI secolo deve essere anche capace, stando a Begotti, di essere “a misura di lingua”; cioè significa che un buon insegnante è tenuto a: a) privilegiare attività di tipo comunicativo a esercitazioni formali e circoscritte; b) favorire l’esposizione a testi il più possibile autentici, vale a dire prodotti da nativi per nativi, e quindi utili a fornire un campione rappresentativo di lingua, dove cioè le caratteristiche morfologiche, sintattiche, fonologiche che si producono in un contesto spontaneo sono preservate; c) presentare un ampio ventaglio di generi testuali. In dettaglio, per quanto concerne quest’ultimo punto, Begotti illustra la sintesi cui la glottodidattica italiana, sulla scorta delle analisi funzionali condotte da Jakobson negli anni ’60 e da Halliday negli anni ’70, è pervenuta recentemente, tracciando un modello originale che vale da riferimento per gli insegnanti di lingua. In altre parole, questo modello aiuta a tener conto di tutti i generi comunicativi, soprattutto nelle situazioni in cui l’istituzione scolastica abbia deciso di adottare manuali poco equilibrati o carenti riguardo a uno o più generi.
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