Febbraio 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Yoga e insegnamento linguistico di Mario Cistulli

Abstract

C’è chi pensa che yoga sia isolarsi dal mondo, vivere in una grotta sperduta nelle montagne dove mettere in atto una serie di pratiche per trasformarsi in una specie di robot, assolutamente privo di reazioni emotive. Altri, grazie anche al contributo dei mass media, associano lo yoga a persone che vestono in modo un po’ strano, hanno una capigliatura particolare e assumono posizioni corporee difficilissime, molto vicine al contorsionismo.

In realtà, yoga significa prima di tutto “relazione”: relazione con se stessi, con gli altri e con l’ambiente. E non c’è dubbio che l’insegnamento sia una situazione di relazione per eccellenza.

Per questo credo che sia importante iniziare ad esplorare due quesiti:

  • una migliore consapevolezza e gestione delle proprie reazioni emotive può favorire la relazione?

  • una maggiore calma e attenzione, insieme ad una buona relazione, possono favorire l’apprendimento?

Questi quesiti riguardano direttamente l’insegnamento, ma in realtà costituiscono la trama di tutta la nostra vita quotidiana.

Nello yoga vengono utilizzati molteplici mezzi per coltivare una mente vigile e rilassata allo stesso tempo. In questo articolo cercheremo di illustrarne alcuni, prendendo in esame le seguenti esperienze:

  1. l’esperienza corporea;

  2. la presenza mentale al respiro, anche in situazioni improvvise;

  3. la consapevolezza delle reazioni emotive.

 

I. L’esperienza corporea

Quello che nell’immaginario collettivo viene identificato con una serie di posizioni complicatissime, impossibili da realizzare per la grande maggioranza delle persone che vivono nella nostra cultura e società, in realtà è un’esperienza molto semplice.

Nello yoga i movimenti e le posizioni corporee sono chiamati âsana. Âsana è prima di tutto un’esperienza di benessere del corpo, sulla quale la mente viene orientata in modo continuativo. Si vive questa esperienza di piacevolezza grazie a gesti effettuati con il giusto sforzo (né troppo né troppo poco) unito al rilassamento delle tensioni inutili; un respiro fluido e dolce accompagna, ritma, potenzia e affina l’esperienza del corpo.

Ma che c’entra la pratica di âsana con l’insegnamento delle lingue?

Attraverso semplici movimenti associati al respiro entriamo in contatto con noi stessi e quindi con la nostra capacità di diminuire le tensioni e di essere felici, ma anche con la nostra abitudine di vivere in agitazione, con preoccupazioni, grandi aspettative e delusioni. Attraverso la pratica di âsana cerchiamo di fare venire alla luce con delicatezza la nostra capacità di prenderci cura di noi stessi, di coltivare ciò che ci fa andare nella direzione della chiarezza, della calma, della stabilità, della libertà, dello stare bene con noi stessi, con gli altri e con il mondo.

In questo percorso sicuramente incontriamo delle difficoltà; trovare un modo per riconoscere ed entrare in contatto veramente, profondamente e tranquillamente con le nostre difficoltà, per accettarle e progressivamente trasformarle, è un aspetto fondamentale della pratica di yoga.

Una pratica di movimenti molto vicini ai nostri gesti abituali (come per esempio, da in piedi o da seduti, elevare le braccia in alto all’inspirazione e abbassarle all’espirazione) può essere per l’insegnante un buon punto di partenza per facilitare l’osservazione di se stesso e degli altri anche nella vita di relazione. Può essere anche un ottimo mezzo per ricaricarsi, e sentirsi più fresco e aperto.

Per gli alunni, per esempio, può essere semplicemente un mezzo per rilanciare la calma e l’attenzione durante le lezioni, prendendosi cinque minuti di break costruttivo.

 

II. La presenza mentale del respiro
II.I. L’ascolto del respiro addominale

Che cosa c’è di più semplice dell’osservazione di un elemento che ci accompagna per tutta la durata della nostra vita, che è sempre presente, sia quando siamo contenti sia quando siamo tristi, sia quando il cielo è sereno sia quando è nuvoloso? Proprio perché è così semplice e così a portata di mano, ce ne dimentichiamo; a causa di questa abitudine non salutare, quando osserviamo il respiro questo si agita e a volte si blocca, invece di fluire dolcemente.

Nel momento in cui proviamo a entrare in contatto con il nostro respiro ci accorgiamo che in esso c’è qualcosa di molto profondo. Per questo può non essere facile ascoltare il respiro senza intervenire su di esso.

Se respiriamo in maniera forzata, spesso l’addome si contrae, si crea un blocco nel dolce flusso della pancia e impieghiamo una grande, inutile e dannosa dose di energie psicofisiche per compiere un atto che spontaneamente non ha bisogno che di un minimo sforzo: lo sforzo di orientare l’attenzione sul respiro e sull’addome.

La respirazione consapevole è il ponte che permette al corpo e alla mente di unirsi nell’esperienza del momento presente; ci permette di capire la grande intimità esistente tra corpo, respiro e mente. Il pensiero ha un automatismo velocissimo di funzionamento: in un attimo passiamo dal Venezuela all’Australia e l’attimo dopo siamo in Siberia; posare la mente sul respiro addominale dà la possibilità alla mente di entrare in contatto con un ritmo più lento e di conseguenza di calmarsi. Possiamo provare a sentire che il respiro che facciamo è il respiro più importante della nostra vita e quindi provare ad abbandonare per un attimo progetti, preoccupazioni, resistenze; poi, tutto accade spontaneamente.

La respirazione consapevole è un mezzo molto potente per coltivare la calma e la stabilità mentale, e ci permette di vivere più profondamente tutti i momenti della nostra vita. Ascoltare il respiro ci permette di sentire che il respiro diventa più superficiale, irregolare, toracico, corto, addirittura affannato quando la mente è più agitata, quando siamo preda di reazioni emotive.
Queste reazioni possono diminuire semplicemente grazie alla capacità di ascoltare il respiro: la mente si posa sul respiro e si calma, il respiro diventa più lento, profondo, regolare, addominale.

 

II.II. L’ascolto del respiro in situazioni improvvise

Per svariati motivi, durante le lezioni il livello di concentrazione diminuisce spesso, e la mente tende a vagare qua e là nel passato e nel futuro. La consapevolezza del respiro è un mezzo molto forte per riportare la mente a contatto con l’esperienza presente. Ciononostante può essere facile - soprattutto se non si è esperti nella pratica – dimenticare di stare respirando; di conseguenza il respiro diventa automatico, ed è l’espressione dei pensieri e delle emozioni che passano in quel momento.

È quindi importante riuscire a trovare dei mezzi per ricentrarsi e ricaricarsi durante le lezioni, in modo da rilanciare l’attenzione. È possibile utilizzare degli stimoli sensoriali che normalmente vengono considerati fastidiosi e disturbanti e che si ripetono periodicamente (per esempio, la sirena di un’ambulanza, un aereo che passa, ecc.) oppure – e nella nostra esperienza questa è una strategia eccellente – si può chiedere ad uno studente di battere le mani di tanto in tanto. Quando si sente quel suono particolare, tutto si ferma nella classe: ognuno abbandona qualunque cosa stia facendo e immerge la sua attenzione nel respiro addominale per la durata di tre respirazioni o più. Poi la lezione continua a fluire normalmente.

Questo permette di riprendere contatto con noi stessi, e di lasciare cadere le interferenze esistenti. Dopo questa breve esperienza, il lavoro riprende di solito con più tranquillità, disponibilità, apertura. È sorprendente toccare con mano quanto dei mezzi semplicissimi abbiano un immediato riscontro positivo.

È importante puntualizzare che per condividere questa esperienza con gli studenti è fondamentale che l’insegnante pratichi personalmente questo tipo di esercizi, per essere in grado di proporli con tranquillità e stabilità, per condividere il suo interesse nei confronti di un mezzo così semplice come il respiro, costantemente disponibile, e allo stesso tempo trascurato, spesso addirittura dimenticato.
Infatti, nella proposta agli studenti è impossibile che l’insegnante sostenga l’impatto di esercizi di questo tipo se non li sente, non ha fiducia in essi e non li pratica personalmente.

II.III. Respirare leggendo

In realtà il titolo di questo paragrafo potrebbe essere anche “respirare ascoltando”, oppure “respirare scrivendo”, ecc.

Qui facciamo riferimento alla lettura a voce alta perché è spesso vissuta come una performance da sostenere di fronte ai compagni di classe, e quindi è influenzata considerevolmente dalla tensione, dalla paura. Se si ritorna al contatto con se stessi nel momento presente attraverso il respiro, si scopre che la tensione per il risultato diminuisce, e la lettura fluisce più naturalmente, con più espressività, con un’emotività più profonda.

Vi invitiamo a provare a leggere prima senza ascoltare il respiro, e poi ascoltandolo, facendo fluire la lettura insieme al respiro, in qualche modo “respirando le parole”. Osservate se c’è qualche differenza.

Se mentre leggiamo pensiamo alla performance che dobbiamo sostenere, alla figura che facciamo se leggiamo male, l’ansia aumenta e porta tensione alla voce. Se, grazie alla respirazione consapevole prevale in noi la calma, il ritmo della voce è più lento e la recitazione viene dalla profondità di noi stessi.
Ma anche l’ascolto è influenzato positivamente dal respiro: tutta l’attenzione viene portata alle parole e al pensiero ad esse sotteso, che le accompagna e le sostiene. L’ascolto diventa quindi più profondo: l’ascolto del nostro respiro ci permette di ascoltare meglio l’altra persona.

 

III. La consapevolezza delle reazioni emotive

Un concetto fondamentale è ormai patrimonio largamente condiviso: l’apprendimento è estremamente facilitato da una buona relazione insegnante – studente, da un clima disteso, aperto e cooperativo.

Di conseguenza è fondamentale che l’insegnante prenda consapevolezza del fatto che alcune sue reazioni emotive possono ostacolare il processo di apprendimento dello studente.

Per esempio, quando ci si trova di fronte ad un alunno che viene ritenuto antipatico e poco intelligente, è molto probabile che - senza rendersene conto - l’insegnante ponga in atto dei piccoli gesti o delle parole, o anche solo un tono di voce particolare, che erigono una sorta di barriera tra sé e lo studente.
È molto importante che l’insegnante si eserciti ad essere consapevole delle emozioni che salgono alla coscienza. Uno dei modi per far questo è la consapevolezza delle sensazioni corporee. Infatti, qualunque emozione si esprime nel corpo, e la reazione corporea può essere un campanello di allarme per non essere sopraffatti e agiti dall’avversione.
Nell’esempio dell’alunno ritenuto antipatico, si possono provare sensazioni corporee come accorciamento e accelerazione del respiro (che diventa più toracico), pesantezza, incurvamento alla schiena, calore, rigidità al collo e alla testa, tensione nelle mani o nello stomaco, ecc.

È importante essere consapevoli anche delle sensazioni che si provano quando siamo di fronte ad un alunno che riteniamo simpatico e intelligente, e che magari possono essere agio, morbidezza alla testa e al collo, apertura nel petto, respiro lento e addominale, ecc. Possiamo quindi osservare la diversità delle nostre azioni e parole in questa situazione.

Che cosa ci impedisce di comportarci con lo studente che ci è antipatico con la stessa energia con cui ci comportiamo con quello che ci è simpatico?

Un alunno ci è antipatico prima di tutto perché tocca delle nostre corde interiori: è facile verificare che un alunno può essere antipatico a noi e simpatico ad un altro insegnante. Le resistenze che sentiamo quando abbiamo a che fare con uno studente antipatico limitano la nostra relazione. Come possiamo nelle nostre lezioni essere meno dominati dalle nostre reazioni, non rimanerne prigionieri? Che cosa possiamo fare per superare queste resistenze?

Yoga non significa far finta che tutto vada bene ma rendersi conto del momento in cui qualcosa non va e mettere in atto modi per sciogliere la tensione, per togliere la barriera tra noi e l’altro. È possibile utilizzare le sensazioni come un campanello che ci riporta in contatto con noi stessi e ci aiuta a non aggiungere catene di pensieri alle sensazioni. Sensazioni negative trascurate o non ascoltate a poco a poco possono aumentare e poi scoppiare in una reazione esplosiva. Sicuramente lo studente ha un ruolo in questa nostra reazione: è come una persona che preme il grilletto di una pistola. Ma la pistola spara solo se è carica. Yoga significa mettere in atto qualcosa per scaricare la pistola, prima che sia troppo tardi.

Molto spesso la rabbia verso uno studente deriva dalla nostra incapacità di gestire la situazione, il conflitto. Ci sentiamo inadeguati, in difficoltà in quel momento, e la rabbia è il modo migliore che troviamo per uscire dalla difficoltà; ma nello stesso tempo, inconsapevolmente, creiamo una difficoltà ancora più grande.

È fondamentale provare ad essere più consapevoli di quello che accade grazie al respiro, alla calma e all’attenzione, per saper riconoscere, accettare e trasformare le abitudini e le reazioni meccaniche che ostacolano la relazione con noi stessi e con gli altri.

È importante ricordare che il modo in cui ci relazioniamo allo studente parte dal nostro sentire. Se noi sentiamo resistenza o difficoltà nei suoi confronti, questo influenza anche il suo modo di apprendere. Anche se da un punto di vista didattico pensiamo e cerchiamo di essere dalla parte dell’alunno che ci è antipatico, la nostra difficoltà nei suoi confronti limita la sua possibilità di imparare.

Una buona relazione insegnante - studente è alla base dell’apprendimento, lo favorisce e lo rende più profondo. Chi insegna e come insegna è molto più importante di che cosa si insegna. L’arte di insegnare parte dall’arte di relazionarsi.

È indubbio che spesso nel rapporto insegnante – studente ci siano dei conflitti; è possibile, auspicabile ed efficace risolvere i conflitti con fermezza, ma allo stesso tempo con calma.

Se proviamo a farlo, l’insegnamento stesso si rivelerà come uno stimolo ricchissimo alla nostra evoluzione individuale.

IV. Yoga e insegnamento delle lingue

Lo yoga mette a disposizione semplici mezzi per aumentare la calma e l’attenzione e per far scemare le tensioni emotive che possono turbare la relazione insegnante – studente. Se non c’è una buona relazione, l’apprendimento ne è influenzato negativamente: in un clima tranquillo si impara meglio. Ma per migliorare la relazione con gli studenti è indispensabile migliorare la relazione che si ha con se stessi.

Certamente lo yoga può avere un ruolo molto incisivo e profondo nella vita di ogni persona: la sua plasticità permette di utilizzare mezzi semplici ed efficaci anche in situazioni circoscritte, limitate. Questo non significa svilire lo yoga, ma significa vivere piccoli momenti di uno stato mentale più chiaro. Ciò può svelare il ruolo che lo yoga è in grado di giocare nell’interezza della vita di ogni persona, al di là di ogni cultura e religione. E magari qualcuno può sentirsi stimolato all’approfondimento di questi temi.

Si potrebbe obiettare che è difficile praticare quanto scritto su queste pagine, ma se si fa un solo respiro in pace si capisce che non è poi così difficile. Se si fa un solo, semplice respiro in questo modo, si può capire che possiamo farne tanti altri. E se qualcuno non si trova proprio a suo agio con il respiro, può utilizzare altri mezzi (come per esempio la consapevolezza delle sensazioni corporee). È importante ricordare che anche nella pratica dello yoga esiste la stessa legge fondamentale dell’insegnamento delle lingue: è essenziale che l’esperienza sia piacevole, semplicemente perché la mente si concentra più facilmente e più a lungo su qualcosa di piacevole. Quindi, ognuno di noi può cercare i mezzi che ritiene più vicini a se stesso, non dimenticando di cercare cose semplici, perché le cose più semplici sono quelle più efficaci e profonde.


1 Il presente articolo è una versione aggiornata di un mio precedente articolo “Cosa c’entra lo yoga con l’insegnamento linguistico?”, in HUMPRIS, C., (cur.), L’insegnamento linguistico oggi, Dilit Edizioni, Roma 2002, pp. 67 – 74.    

 

 

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