Febbraio 2014  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Scott O. Lilienfield, Steven Jay Lynn, John Ruscio, Barry L. Beyerstein, I grandi miti della psicologia popolare. Contro i luoghi comuni di Roberta Barazza

AUTORI: Scott O. Lilienfield, Steven Jay Lynn, John Ruscio, Barry L. Beyerstein
TITOLO: I grandi miti della psicologia popolare. Contro i luoghi comuni
CITTÀ: Milano
EDITORE: Raffaello Cortina
ANNO: 2011

 

Ogni giorno giornali, TV, saggi, manuali o siti internet ci sommergono di messaggi riguardanti i problemi quotidiani di ciascuno di noi, suggerendoci consigli e soluzioni che spesso attingono alla cosiddetta psicologia popolare, la “popular psychology” (o “pop psychology”) con cui si intende “un insieme di teorie o concetti in apparenza scientificamente fondati (ma spesso senza basi scientifiche oppure eccessivamente semplificati) riguardanti il comportamento umano, che vengono divulgati attraverso i mass media e raggiungono grande popolarità presso il pubblico”1.

Molto di ciò che ci viene raccontato e riteniamo vero, però, di fatto non lo è. I consigli elargitici dal guru del momento, autoproclamatosi esperto di salute mentale, magari ospite di un talkshow televisivo, o quelli che troviamo nei manuali di self-help o di pensiero positivo, spesso sono solo mezze verità o complete falsità che rischiano di farci fare scelte sbagliate o assumere comportamenti dannosi. Chi, per esempio, crede che i ricordi dolorosi vengano abitualmente rimossi, potrebbe sprecare molto tempo della sua vita cercando di far riaffiorare esperienze della sua infanzia che in realtà non sono mai avvenute. Chi pensa che la felicità dipenda soprattutto da fattori esterni dedicherà i suoi sforzi alla comprensione di questi piuttosto che a realizzare in sé uno stato psicologico positivo e duraturo.

Gli autori del libro oggetto di questa recensione sono docenti di psicologia delle università di Atlanta, New York e Vancouver. Con il loro lavoro hanno voluto sfatare alcuni luoghi comuni invitandoci a non cadere vittime di certe falsità date comunemente per scontate. I 50 miti discussi nel saggio vengono analizzati in modo scientifico e tutto il lavoro costituisce un invito a esercitare la nostra capacità di pensiero critico, anche perché “applicare la scienza alla psicologia basata sul senso comune non è solo straordinariamente utile, è anche divertente”2.

In appendice gli autori suggeriscono altri miti, oltre a quelli da loro analizzati, che non sono stati ancora scientificamente approfonditi e che possono diventare oggetto di studio e ricerca per i lettori più curiosi e intraprendenti.

Il volume è diviso in 11 capitoli che raggruppano, per argomento, i vari luoghi comuni analizzati. I capitoli riguardano le attività cerebrali, lo sviluppo e l'invecchiamento, la memoria, l'intelligenza e l'apprendimento, gli stati della coscienza, le emozioni e la motivazione, il comportamento interpersonale, i falsi miti sulla personalità, le malattie mentali, il rapporto tra psicologia e legge, e le terapie psicologiche.

Non potendo elencare e discutere tutti i 50 falsi miti esaminati, menzionerò quelli che mi sono sembrati più interessanti e proporrò per due di essi le argomentazioni sviluppate dagli studiosi nella loro analisi scientifica.

 

Vorrei elencare alcuni dei falsi miti più diffusi e comunemente accettati; essi riguardano il mondo della cultura, della didattica, della linguistica ma anche, più in generale, la vita quotidiana della maggior parte di noi. Tutti i seguenti luoghi comuni sono stati analizzati scientificamente e sfatati dagli autori del libro:

la maggior parte delle persone usa solo il 10% delle proprie capacità cerebrali;

alcuni hanno una mente logica, altri artistica in base alla parte dominante del cervello;

la percezione extrasensoriale è un fenomeno scientificamente dimostrato;

i messaggi subliminali possono persuadere la gente ad acquistare determinati prodotti;

ascoltare la musica di Mozart fin dalla più tenera età fa diventare più intelligenti;

l'adolescenza è sempre un periodo 'difficile' e burrascoso dal punto di vista psicologico;

la memoria umana funziona come un registratore o una videocamera, registrando fedelmente gli eventi cui abbiamo assistito;

l'ipnosi è utile per ricordare eventi dimenticati;

generalmente le persone rimuovono i ricordi di esperienze traumatiche;

i test di intelligenza sfavoriscono sistematicamente determinati gruppi di persone;

quando a un esame non siete sicuri della risposta, è meglio che scegliate la prima soluzione che vi è venuta in mente;

il tratto distintivo della dislessia è l'inversione delle lettere;

gli studenti imparano meglio quando gli stili di insegnamento corrispondono ai loro stili di apprendimento;

la ricerca ha dimostrato che i sogni possiedono un significato simbolico;

si può imparare, per esempio, una lingua straniera, anche mentre si dorme;

l'ulcera è causata principalmente o interamente dallo stress;

“gli opposti si attraggono”: nelle relazioni sentimentali siamo più attratti da chi è diverso da noi;

“l'unione fa la forza”: più persone sono presenti in una situazione d'emergenza, maggiori sono le probabilità che qualcuno intervenga;

è meglio manifestare la rabbia anziché tenerla dentro;

il fatto che una caratteristica sia ereditaria significa che non è possibile cambiarla;

una delle cause principali dei problemi psicologici è un basso livello di autostima;

la calligrafia svela i tratti della personalità;

le persone affette da schizofrenia hanno molteplici personalità;

una percentuale elevata di criminali la fa franca invocando l'infermità di mente;

per essere efficace, una psicoterapia deve portare il paziente a confrontarsi con le cause “prime” dei propri problemi risalenti all'infanzia.

 

Vorrei ora descrivere l'analisi sviluppata dagli autori del saggio per confutare il mito secondo il quale ascoltare la musica di Mozart fin dalla più tenera età aumenterebbe l'intelligenza dei bambini e degli adulti.

Questa diceria circolava in America già nel secondo dopoguerra, ma è dal 1993 che diventa una convinzione generale grazie a un articolo pubblicato in una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo, Nature. Nella pubblicazione “tre ricercatori della University of California di Irvine hanno descritto come un gruppo di studenti universitari che avevano ascoltato per soli dieci minuti una sonata per pianoforte di Mozart avesse mostrato un miglioramento significativo in un compito di ragionamento spaziale – una prova in cui si doveva piegare e tagliare della carta – rispetto ad altri due gruppi di studenti, uno dei quali non aveva ascoltato nulla, mentre l'altro aveva ascoltato una musica rilassante”3. Il gruppo che aveva ascoltato la musica di Mozart aveva riportato ben 8/9 punti in più nel test del quoziente di intelligenza inducendo a ritenere che le opere del compositore austriaco avessero effetti estremamente positivi sul pensiero e sul ragionamento degli ascoltatori. Le conclusioni dell'articolo furono subito diffuse dalla stampa popolare e sfruttate dall'industria commerciale, specialmente quella dei giocattoli e della musica. “Nel 2003 i famosi cd di Don Campbell con l'effetto Mozart avevano già venduto due milioni di copie (Nelson, 2003). Nel 2008 Amazon.com offriva oltre quaranta prodotti, in gran parte cd e audiocassette, riguardanti l'effetto Mozart, molti dei quali avevano in bella mostra sulla copertina fotografie di bambini piccoli e neonati”4. La popolarità dell'effetto Mozart non è però mossa solo da interessi commerciali, bensì probabilmente anche dalla confusione, nell'interpretazione dell'esperimento, tra correlazione e causalità. “Gli studi dimostrano che il talento musicale ha tendenzialmente una correlazione positiva con il quoziente intellettivo (Lynn, Wilson, Gault, 1989). A partire dalla scoperta di questa correlazione, qualcuno potrebbe balzare alla conclusione sbagliata che ascoltare musica aumenti il QI”5. L'idea di effetto Mozart deve essersi diffusa nella società in modo simile a quel che avviene nel gioco del telefono senza fili. Le sue conseguenze furono tali da coinvolgere anche il mondo politico americano: nel 1998 l'allora governatore della Georgia Zell Miller stanziò ben 105.000 dollari di fondi pubblici per donare a ogni neonato della Georgia un cd o un'audiocassetta con musiche di Mozart. Poco tempo dopo fece lo stesso il governatore del Tennessee Don Sundquist e, in seguito, il Senato della Florida approvò un disegno di legge che prevedeva finanziamenti pubblici agli asili nido perché facessero ascoltare ogni giorno ai bambini la musica di Mozart (Disegno di legge 660 del Senato della Florida, 21 maggio 1998).

Ma esiste davvero questo effetto Mozart? Come accennato, si sono svolti in seguito numerosi studi al riguardo. E' stato ripetuto l'esperimento della rivista Nature dimostrando che gli effetti che avevano inizialmente suscitato tanta eco erano ridottissimi (Gray, Della Sala, 2007; McKelvie, Low, 2002), che l'effetto Mozart era insignificante sia per quanto riguarda il quoziente di intelligenza (non più di due punti di differenza), sia per quanto riguarda la durata temporale, poiché non si sono verificati effetti a lungo termine (Chabris, 1999; Steele, Bass, Crook, 1999). Sorprendente è il fatto che, nonostante il falso mito suggerisse importanti effetti soprattutto sull'intelligenza dei bambini, bambini e neonati non erano mai stati oggetto di precise analisi o esperimenti. Nel 1999 il governatore della Georgia Zell Miller invitò gli studiosi a non farsi scoraggiare dagli scienziati che confutavano la tesi dell'effetto Mozart. Giusto il contrario di ciò che dovrebbe invece fare la scienza, cioè cercare la verità dei fenomeni e non necessariamente la conferma di ciò che si dà per scontato. In uno dei tanti esperimenti svolti dopo la pubblicazione di Nature, ad alcuni studenti sono stati fatti ascoltare brani di Mozart, musiche di Albinoni, e semplicemente il silenzio. I risultati hanno dimostrato che la musica ha effetto sulla nostra mente, e che musiche coinvolgenti e emozionanti possono renderci più attivi mentalmente e quindi più veloci nello svolgere, dopo l'ascolto, attività mentali o fisiche. Al contrario, musiche poco emozionanti o deprimenti possono indurre torpore o scarsa ricettività e vivacità mentale. Ascoltare Mozart non migliorava le abilità spaziali più di quanto facesse l'ascolto di un brano tratto da un film emozionante ma terrificante di Stephen King (Nantais, Schellenberg, 1999). Le conclusioni sembrano, quindi, dare una spiegazione diversa dell'effetto Mozart. In ogni caso, i presunti effetti potevano ascriversi al solo breve termine. “E' probabile che qualunque cosa aumenti lo stato di attenzione e vigilanza porti a un miglioramento delle prestazioni in compiti impegnativi sul piano mentale (Jones, Wells, Estell, 2006; Steele, 2000); tuttavia è poco probabile che produca effetti a lungo termine sulle abilità spaziali né tanto meno sull'intelligenza generale”6. Quindi, l'ascolto della musica di Mozart potrebbe aumentare le nostre prestazioni più o meno come bere una limonata o una tazza di caffé.

“In conclusione: può anche darsi che l'effetto Mozart “esista” davvero nel senso che possa verificarsi nell'immediato un miglioramento delle prestazioni in determinati compiti mentali. Tuttavia non vi sono prove che dipenda dalla musica di Mozart o dalla musica in generale (Gray, Della Sala, 2007). E neppure ci sono prove che aumenti l'intelligenza negli adulti, tanto meno nei bambini. Naturalmente, far conoscere ai bambini la musica di Mozart e di altri grandi compositori è una splendida idea, non solo perché questa musica può essere stimolante, ma anche perché ha esercitato un influsso enorme sulla cultura occidentale. Tuttavia, i genitori che sperino di trasformare i figli in geni facendo loro sentire la colonna sonora del film Amadeus farebbero meglio a risparmiare i propri soldi”7.

 

Vorrei ora analizzare un secondo mito e illustrare come gli autori del saggio mettano in discussione la convinzione diffusa secondo cui il tratto distintivo della dislessia è l'inversione delle lettere.

Sono in molti a credere che i dislessici vedano le lettere alla rovescia e leggano e scrivano in modo “speculare”. Nell'opinione comune la dislessia è di solito associata a due tipi di inversione: l'inversione delle singole lettere, per esempio scrivere 'b' al posto di 'd', e l'inversione dell'ordine delle lettere all'interno delle parole, per esempio scrivere 'resa' al posto di 'sera'. “Persino tra gli educatori, per esempio i professori universitari, gli insegnanti di sostegno e i logopedisti, il 70% è convinto che il secondo problema sia una caratteristica distintiva della dislessia (Wadlington, Wadlington, 2005). Da un'altra ricerca è emerso che circa il 75% degli insegnanti della scuola primaria ha considerato alcuni errori insoliti di ortografia, per esempio l'inversione dell'ordine delle lettere all'interno delle parole, come un sintomo fondamentale di dislessia (Kerr, 2001)8. Tale convinzione ha origini lontane nel tempo. Negli anni Venti è espressa, ad esempio, negli scritti del neurologo americano Samuel Orton che, per facilitare ai dislessici la lettura di un testo, suggerisce l'uso di uno specchio in quanto rovescia lettere e parole. Come accade anche per altri miti popolari, certe convinzioni molto semplificate si diffondono anche grazie ai media e all'industria cinematografica in particolare. Chi non ricorda il film Rain Man in cui Dustin Hoffman impersona un ragazzo autistico dalle capacità intellettive eccezionali? Quel film ha avuto un ruolo molto importante, non solo nella storia del cinema bensì anche nella storia della cultura popolare, in quanto ha fatto conoscere al grande pubblico certi aspetti dell'autismo, pur presentandolo in modo, per molti versi, semplicistico, e contribuendo alla diffusione di un altro mito popolare che meriterebbe anch'esso approfondimenti e analisi scientifiche (si legga Un altro mito sotto la lente. E' vero che la maggior parte delle persone autistiche possiede capacità intellettuali straordinarie?)9. Anche sulla dislessia vi sono film significativi e spesso è proprio tramite questi media di vasta diffusione che idee popolari e semplicistiche raggiungono un vasto pubblico e si radicano nella mentalità comune. Il film Backwards: the Riddle of Dyslexia [Alla rovescia: l'enigma della dislessia] esce nel 1984 negli USA e ha per protagonista un tredicenne che invertiva le lettere all'interno delle parole. Nel film comico del 1994 Una pallottola spuntata 33 1/3: l'insulto finale il protagonista legge il titolo di un giornale invertendo l'ordine delle parole: “Trovata la dislessia per la cura”. In Pearl Harbour del 2001 il capitano Rafe McCauley, durante una visita oculistica, dice di non riuscire a leggere le lettere perché “qualche volta mi capita di leggere al contrario”10. Se credessimo ai film ci convinceremmo, dunque, che la dislessia è proprio una lettura rovesciata.

Cos'è, in realtà, la dislessia? Il termine significa 'difficoltà con le parole' ed è un disturbo dell'apprendimento caratterizzato da problemi nell'elaborazione della lingua scritta. I dislessici incontrano difficoltà nella lettura e nell'ortografia nonostante un'adeguata preparazione scolastica. Spesso è per loro difficile pronunciare le parole scritte e riconoscerle. In America circa il 5% dei bambini soffre di dislessia. Questo disturbo dell'apprendimento non vuol dire scarse capacità mentali, al contrario, i dislessici hanno spesso un quoziente intellettivo più elevato della media.

Le cause della dislessia non sono del tutto chiare neanche agli studiosi, la maggior parte dei quali ritiene, comunque, che i dislessici abbiano difficoltà a riconoscere i fonemi, cioè le più piccole unità del linguaggio dotate di significato, come per esempio la 'c' di 'cat' o la 'o' di 'four'. Ogni lingua ha un proprio numero di fonemi: in inglese sono 44. I dislessici sembrano avere difficoltà a riconoscere questi fonemi e quindi anche le parole con essi composte. Non sembra, inoltre, solo un problema di elaborazione dei fonemi bensì anche di deficit visivi, ma non tutti gli studiosi concordano al riguardo. Non vi sono comunque prove che dimostrino che i dislessici vedano le lettere rovesciate o ne invertano l'ordine all'interno delle parole11. “Gli studi condotti negli ultimi decenni hanno dimostrato che l'inversione delle lettere difficilmente è un sintomo distintivo della dislessia. Infatti sia la scrittura a rovescio sia l'inversione delle lettere sono errori diffusi nelle prime fasi di apprendimento della scrittura e dell'ortografia di tutti i bambini di sei anni o di età inferiore (Liberman et al., 1971; Shaywitz, 1996), non solo di quelli dislessici. Questo tipo di errore si riduce nel corso del tempo in entrambi i gruppi di bambini, anche se in misura minore in quelli affetti da dislessia. Inoltre, la maggior parte degli studi indica come l'inversione delle lettere sia presente nei bambini dislessici con una frequenza solo leggermente superiore a quella dei non dislessici; in alcuni casi, addirittura non è stata rivelata alcuna differenza tra i due gruppi (Cassar et al., 2005; Lachmann, Geyer, 2003; Moats, 1983; Terepocki, Kruk, Willows, 2002). Fra l'altro l'inversione delle lettere è responsabile soltanto di una piccola minoranza degli errori compiuti dai bambini dislessici: non la si può quindi davvero definire come un tratto distintivo del disturbo (Guardiola, 2001; Terepocki et al., 2002). Infine, anche se i bambini dislessici sono meno bravi nell'ortografia rispetto ai coetanei, gli insegnanti che hanno lavorato a lungo con gli scolari affetti da questo disturbo non distinguono il loro modo di scrivere da quello di scolari non dislessici, ma più giovani (Cassar et al., 2005). Questo risultato conferma la concezione secondo cui i bambini normali compiono errori ortografici analoghi a quelli dei bambini dislessici, errori che però con il tempo imparano a non fare12”.

 

I grandi miti della psicologia popolare si conclude con un invito a proseguire la caccia ad altri falsi luoghi comuni. Alla fine di ognuno degli undici capitoli vi è un elenco di stereotipi su cui non sono state ancora svolte ricerche approfondite, e in appendice alcune linee guida e una ricca bibliografia e sitografia per chi voglia accingersi ad analizzare e eventualmente sfatare altri falsi miti popolari13.

 

 

 

 

1 Scott O. Lilienfield, Steven Jay Lynn, John Ruscio, Barry L. Beyerstein, I grandi miti della psicologia popolare. Contro i luoghi comuni, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011, p.XIII.

2 Ibidem, copertina.

3 Rauscher, F.H., Shaw, G.L., Ky, K.N. (1993), “Music and spatial task performance”. In Nature, 365, p. 611.

4 Scott O. Lilienfield, Steven Jay Lynn, John Ruscio, Barry L. Beyerstein, op. cit., p. 56.

5 Ibidem, p. 56.

6 Ibidem, p. 58.

7 Ibidem, p. 59.

8 Ibidem, p. 110.

9 Ibidem, p. 241.

10 Ibidem, p. 110.

11 Ibidem, pp. 110-111.

12 Ibidem, pp. 111-112.

13 Ibidem, pp. 301-302.

 

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