Febbraio 2005 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
CURATRICE: Maria del Carmen Fonseca Mora
TITOLO: Inteligencias Múltiples, Múltiples formas de enseñar inglés
LUOGO: Sevilla
EDITORE: Mergablum
ANNO: 2002
PAGINE: 241
Il libro curato da Ma del Carmen Fonseca Mora è una sfida all’autore della Teoria delle Intelligenze Multiple, Howard Gardner.
Questo psicologo di Harvard sostiene che l’intelligenza si dice in molti modi: non esiste cioè come qualità unica, immodificabile ma come patrimonio di potenzialità relativamente autonome (linguistica, musicale, visiva, logico-matematica, interpersonale, intrapersonale, cinestetica, naturalistica, esistenziale), possedute da tutti gli esseri umani in misura differente. Tale diversità è in parte dovuta ai geni in parte all’educazione, ovvero al contesto socio-culturale nel quale uno cresce. Le conseguenze sul piano didattico di queste affermazioni sono di una portata strepitosa: se è vero infatti che “con una esposizione sufficiente ai materiali propri di una data intelligenza, qualsiasi persona che non accusi lesioni cerebrali può conseguire risultati significativi in quel campo intellettuale” (Gardner H., 1993, Multiple Intelligences. The Theory in Practice, New York, Basic Books), se cioè le intelligenze sono educabili, allora viene gettato un fascio di luminoso ottimismo sull’attività dell’educatore: anche lo studente che si direbbe poco portato per le lingue, tanto per fare un esempio (vuoi per la difficoltà a ricordare i termini, vuoi per la cattiva pronuncia oppure per la mancanza di interesse, ecc.), potrebbe apprendere con successo una lingua straniera, purché il suo insegnante faccia leva sulla sua intelligenza più prominente.
Eppure Gardner dubita delle applicazioni della sua teoria alla didattica delle lingue: “Penso che un approccio basato sulle Intelligenze Multiple sia particolarmente utile quando uno studente sta provando a far suo un concetto nuovo che presenta una certa complessità, come potrebbero essere la forza di gravità nell’ambito della Fisica o lo Zeitgeist [ovvero, lo spirito di un’epoca, Ndt.]per quanto riguarda la Storia. Sono meno convinto che possa risultare proficuo nello sviluppo di una certa competenza in lingua straniera, benché ammiri quegli insegnanti di LS che affermano di applicare la Teoria con successo” (Gardner H., Multiple Intelligences After Twenty Years, Paper Presented at the American Educational Research Association, Chicago, IL, April 21, 2003).
Si potrebbe presumere che tale riserva sia ascrivibile al carattere eminentemente procedurale della competenza linguistica, che si differenzia dal carattere dichiarativo della conoscenza di altre discipline [“una regola grammaticale non è un contenuto da imparare dichiarativamente, come se fosse un’unità di storia o di geografia (e che quindi può essere insegnato tutto in una volta), ma è un’abilità da sviluppare gradualmente, come saper nuotare a farfalla o sapere fare la maglia”: Pallotti, G., 2001, A cosa serve imparare una lingua? Qualche riflessione a partire da Volare, in Humphris C., (cur.), Per una didattica coerente, Atti del XIII° seminario internazionale per insegnanti di lingua, Roma, Dilit]. Ma, ci chiediamo e chiediamo allo psicologo di Harvard, la storia della glottodidattica non è forse un implicito riconoscimento ante litteram dell’MI Theory, dato che ogni metodo anticipa e sviluppa i caratteri di singole intelligenze? Così, a titolo esemplificativo, nella Suggestopedia si riconosce il valore della musica nel processo di apprendimento, mentre il Silent Way disegna percorsi euristici più consoni all’intelligenza intrapersonale, e si potrebbe procedere alla pari con quasi tutte le intelligenze!
È anche vero però, e qui torniamo a concordare con il pessimismo di Gardner, che allo stato attuale delle ricerche manca una prospettiva glottodidattica che si ispiri alla Teoria in maniera non frammentaria, ma composita, capaci di largo respiro. Voglio dire che molti saggi dedicati all’argomento si distinguono per superficialità e pochezza (uno tra di tutti, di cui sconsigliamo l’acquisto: Barman M:, 2002, A Multiple Intelligences Road to An ELT Classroom, Crown House Publishing Limited, Williston).
In questo panorama desolante, l’unico volume in cui si la questione venga affrontata con serietà è la curatela oggetto di recensione. L’equipe di studiosi spagnoli dimostra impegno e coerenza nel dare una cornice e un rigore alla questione dell’MI Theory; estremamente correlate l’una all’altra, le riflessioni teoriche si spingono a trarre nuove conclusioni in termini di pedagogia e di didassi; preziosa la maggior parte delle tecniche presentate.
“La inteligencia emocional en el aula de inglés” costituisce il capitolo più ricco. L’autrice, Ana Robles, esplora una serie di dinamiche psicologiche, la consapevolezza delle quali è la conditio sine qua non dello sviluppo di abilità intra e interpersonali, quali: la capacità di automotivarsi, la capacità di percepire e di gestire la propria emotività, la capacità di intuire lo stato psicologico e i bisogni dell’interlocutore. Come ogni altra intelligenza, anche quella emotiva, sottolinea Ana Robles, va educata: non si nasce, in parole povere, già emotivamente intelligenti. Il rischio del “vogliamoci tutti bene”, che spesso accompagna articoli dedicati a questo specifico tema e che in esercizi di “autostima” un po’ banalotti (come quelli indicati in Hoffman E., Norman S., 2004, Stepping Stones, First Lessons in Accelated Learning for use with Children Aged 7 – 11, Saffire Press, London), qui è evitato. In un linguaggio asciutto e ponderato Robles è capace di pensare attività che vanno dritte nella direzione di un apprendimento significativo e personalizzato.