Aprile 2003 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
L’educazione interculturale si avvale da sempre di strumenti quali il cinema nella costruzione di percorsi didattici e formativi. Alle numerose ed encomiabili iniziative di questo genere mancava un sostrato teorico che ne corroborasse il valore. L’uso strumentale del cinema come veicolo di intercultura trova il suo limite nella considerazione del cinema come accessorio didattico, più che come ambiente all’interno del quale cercare significati condivisi. Il volume Cinema e cultura delle differenze. Itinerari formativi (Edizioni ETS, pp 294, 18 euro) risponde all’esigenza di accreditare al cinema un ruolo specifico nella formazione e nelle pratiche educative interculturali. Le autrici Silvia Angrisani, Francesca Marone e Carolina Tozzi, dottorande di ricerca in Pedagogia della formazione presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, elaborano un discorso complesso e di notevole rigore scientifico, aggiungendo così un tassello necessario alla riflessione del ruolo dell’audiovisivo nella formazione. È proprio da un’analisi precisa ed esauriente del ruolo del cinema e degli audiovisivi nella pedagogia tradizionale che le autrici muovono per condurre il lettore (un lettore non necessariamente specializzato, ma preparato) a riconsiderare il proprio rapporto con i media audiovisivi per pensare ad una didattica integrata. Il volume si compone di due sezioni. La prima parte Cinema e cultura delle differenze è un excursus teorico sul cinema e la specificità del linguaggio audiovisivo. A partire da una necessaria analisi delle peculiarità della ricezione audiovisiva (L’esperienza del film), affrontata con dovizia scientifica e perizia divulgativa (quando è necessario un approfondimento, non manca mai un riferimento bibliografico), il discorso procede all’individuazione dello spettatore come parte attiva di un processo di significazione complesso che sta alla base di ogni intervento formativo basato sul cinema e l’audiovisivo. Il secondo capitolo infatti illumina i lati oscuri del ruolo dello spettatore nel processo di significazione attraverso l’argomentazione ragionata delle teorie psicanalitiche che investono il cinema. Lo spettatore è parte attiva nel conferimento di significato e senso al testo, ed è nel riconoscimento di un ruolo spettatoriale attivo e nel superamento del luogo comune di “massa” uniforme e passiva che prendono corpo ipotesi formative, scevre finalmente della diffidenza storica che la pedagogia italiana ha riservato fino agli anni Ottanta ai media audiovisivi. Lo spettatore quindi, ora anche destinatario di progetti educativi che si muovono in ambiente audiovisivo, negoziatore di significati condivisi, acquista un’identità individuale e di gruppo riconoscibile rispetto alla diversità di un altro spettatore o di un altro gruppo. In questa direzione si apre una prospettiva didattica interculturale basata sull’uso consapevole e motivato del cinema e dell’audiovisivo. Le autrici chiamano questa prospettiva “cultura delle differenze”, intesa come «l’elemento cardine della formazione intesa come tras-formazione». Perché, proseguono le autrici, «è nell’incontro con ciò che è altro, diverso, nuovo, che si aprono gli spazi del possibile e dunque del cambiamento tras-formativo». Il cinema quindi non è un accessorio formativo, ma uno strumento di formazione ed autoformazione, consapevole o consapevole, conscia o inconscia, degli individui. La seconda parte del testo (Itinerari di formazione) è la messa in pratica delle chiavi teoriche individuate nella prima sezione in progetti formativi basati su tre tematiche fondamentali, affrontate mediante l’analisi di un gruppo di film. Le donne nell’immaginario del Novecento è una rassegna di film da Hawks a Cukor, da Bertolucci a Zhang Yuan rappresentativi della diffusione di una certa immagine della femminilità; Le maschere dello zingaro prende in considerazione Il Gobbo di Notre Dame e Un’anima divisa in due per descrivere le forme di rappresentazione dell’altro attraverso la maschera attribuita ai nomadi, gli altri per antonomasia; mentre La mia vita in rosa: storia di un bambino-femmina è l’analisi della costruzione dell’immagine della diversità nel film La mia vita in rosa, incentrato sull’identità di genere. Cinema e cultura delle differenze ha il pregio di coniugare pedagogia e filmologia in un discorso a più voci che rifiuta un’organicità pretestuosa per imboccare la strada più promettente della ricerca metodologica. In questo modo evita saggiamente la tentazione di fornire ricette precotte ed inattuabili.