Aprile 2011 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Il Centro Linguistico dell’Università del Molise provvede alla didattica linguistica per l’intero ateneo. Accanto ai corsi di lingue previsti dai programmi di ciascun corso di laurea, la struttura organizza attività interculturali e interventi per l’aggiornamento e la formazione interna, rivolti ai docenti ed ai CEL.
Il CLA gestisce inoltre l’insegnamento dell’italiano L2 per i circa 50 studenti stranieri che l’università accoglie ogni semestre nell’ambito del programma Erasmus. La diversità dei livelli di competenza in entrata, unitamente alla diversità delle L1 e alla varietà di bisogni e motivazioni degli apprendenti creano situazioni complesse che si traducono in vere e proprie sfide didattiche. Dall’A.A. 2008-09 si registra inoltre un afflusso sempre maggiore di studenti turcofoni. Ciò ha reso necessario riflettere sull’impatto che L1 tipologicamente lontane dall’italiano hanno sulla didattica e sull’organizzazione complessiva dei corsi.
Allo stato attuale, una ricerca sulle prime fasi acquisizionali della morfologia italiana sta cercando di raccogliere indicazioni utili a calibrare meglio i percorsi didattici iniziali (0-A1). Le implicazioni di politica linguistica riguardano invece un livello più ampio – quello europeo – sul quale sarebbe auspicabile intervenire per tracciare delle linee comuni di intervento per la preparazione e l’accoglienza linguistica.
1. IL CENTRO LINGUISTICO IN MOLISE
Il Centro Linguistico di Ateneo (d’ora in poi CLA) in Molise è stato istituito nel luglio 2004 e negli ultimi 4 anni si è fatto carico di organizzare e fornire agli studenti Erasmus la didattica dell’italiano come L2.
Nato inizialmente come centro di coordinamento delle attività dei CEL e come generico punto di riferimento per i docenti di lingue, sia di quelli che sono incardinati nell’ateneo, sia dei docenti a contratto, il CLA in Molise ha progressivamente avocato a sé l’organizzazione della didattica delle lingue per l’intero ateneo.
Dal momento che l’ateneo non ha un corso di laurea o una facoltà di lingue e che la richiesta /offerta di insegnamenti di lingue dei corsi di studio perlopiù si limita a un solo esame di conoscenza di una lingua (perlopiù di lingua inglese) con qualche riferimento alle microlingue, il CLA dal 2007-2008 ha proposto una razionalizzazione delle risorse e ha varato un piano unico di offerta di corsi interfacoltà, adottando finalmente i livelli del Quadro Comune Europeo di Riferimento. Da quella data il processo di insegnamento delle lingue in ateneo viene definito e monitorato dal CLA secondo un percorso unico e cadenzato tra primo e secondo semestre. Il percorso inizia a ottobre con il placement test che viene somministrato nella giornata delle matricole. Nell’arco di una settimana ciascuno studente sa qual è il suo livello di competenza nella lingua inglese e può decidere di sfruttare i corsi di ‘recupero’ messi a disposizione dall’ateneo nel primo semestre (o prepararsi da solo per colmare le lacune eventualmente evidenziate dal test d’ingresso). I corsi di recupero costituiscono un’opportunità per dare modo a ciascuno studente di recuperare eventuali lacune e raggiungere le competenze richieste per poi iniziare, nel secondo semestre, il corso per il livello richiesto in uscita (il livello in uscita per le lauree triennali è il B1, per le lauree magistrali il B2). Dal momento che il Senato Accademico ha deliberato che la lingua inglese sia insegnata a tutti come prima lingua (nella maggior parte dei casi è anche l’unica lingua richiesta dai corsi di studio, come già anticipato) e che qualcuno potrebbe arrivare all’università avendo studiato a scuola una lingua diversa dall’inglese, il recupero parte dal livello A1 ipotizzando quindi che ci siano anche apprendenti che sono dei principianti assoluti.
Il percorso previsto per la lingua inglese è riproposto anche per le altre lingue europee (l’offerta didattica riguarda francese, tedesco e spagnolo) che vengono insegnate come seconda lingua a scelta in alcuni corsi di studio (scienze del turismo, economia aziendale, scienze politiche e scienze della comunicazione). Il primo semestre è riservato ai test d’ingresso e al recupero delle eventuali lacune e il secondo semestre alla didattica dei corsi che danno diritto ai CFU e sono considerati livelli adeguati in uscita.
Nella riorganizzazione dei corsi di lingue secondo i livelli il CLA ha anche razionalizzato la durata dei corsi e il loro valore in CFU: dal 2009 i corsi di lingue di livello B1 che danno diritto a 3 CFU hanno una durata di 60 ore divise tra docente (40 ore di didattica frontale) e CEL (20 ore). Nel caso in cui un corso di studi abbia previsto un numero di crediti superiore a 3, i restanti CFU vengono ottenuti dagli studenti mediante la frequenza di un corso integrativo per le ore necessarie a completare i CFU (in una ratio di 6 ore per CFU). I programmi dei corsi integrativi sono specifici per ciascun piano di studi e affrontano letture e contenuti già orientati sulle diverse lingue settoriali (inglese medico, business English, inglese scientifico, inglese per le scienze sociali, ecc.).
Accanto all’offerta formativa delle quattro lingue europee necessarie a coprire la richiesta dei corsi di studio, il CLA cura anche l’insegnamento di due lingue extraeuropee, cinese e arabo (corsi aperti anche al territorio), con due corsi annuali, ciascuno suddiviso in due blocchi, uno per ciascun semestre. Infine alla cura del CLA è anche affidata la didattica dell’Italiano L2 (cfr. paragrafo 2).
Il CLA infine offre corsi diversi, su richiesta di docenti e/o dottorandi, come il corso di Academic English partito per la prima volta nell’anno 2009-2010 e pensato come un avviamento o consolidamento di competenze di ascolto, parlato e scrittura per docenti e dottorandi che usano o useranno l’inglese per comunicare nel mondo accademico.
Accanto all’attività didattica il CLA sta gradualmente sviluppando un’attività di formazione linguistica e glottodidattica aperta a un pubblico potenzialmente ampio. Da un lato infatti propone cicli di seminari di approfondimento delle tematiche linguistiche e glottodidattiche per studenti di linguistica o per i docenti a contratto del CLA e dall’altro programma occasioni di formazione e aggiornamento per l’insegnamento delle lingue straniere per docenti di scuole secondarie e d’intesa con la sovrintendenza scolastica.
Il CLA infine partecipa ad attività di tipo culturale sul territorio per promuovere il plurilinguismo (il Molise è sede di minoranze linguistiche ‘storiche’ quali l’arberesche e il croato molisano) e attività di ricerca su temi collegati alla mobilità internazionale delle persone. A questo scopo organizza incontri, seminari, dibattiti, conferenze sulle lingue, destinati ad un pubblico vario e diversificato, interno ed esterno all’Ateneo. Il CLA infine favorisce rapporti e promuove collaborazioni con istituzioni universitarie e non, operanti a livello locale, nazionale ed internazionale, ed è regolarmente iscritto all'AICLU.
Il CLA ha un Direttore, che è un docente nominato dal Senato Accademico per un triennio, e un Comitato tecnico-scientifico composto da un rappresentante per ogni facoltà. Tutte le attività vengono promosse e concordate all’interno del Comitato che si riunisce mensilmente.
2. LA DIDATTICA DELL'ITALIANO L2
L’offerta formativa del CLA per Italiano L2 è essenzialmente rivolta a studenti stranieri in mobilità con il programma Erasmus ed è articolata in due corsi all’anno (ciascuno di 40 ore) per due sedi, Campobasso e Termoli (quindi quattro corsi in tutto all’anno). Tutti i corsi sono orientati al livello A2 del CEFR in uscita e corrispondono a 6 crediti formativi. In media ogni semestre i corsi sono frequentati da circa 40-50 studenti.
Queste scelte sono dettate da diversi ordini di motivazioni:
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l’articolazione temporale in semestri risponde ai tempi medi di arrivo e permanenza degli studenti dall’estero,
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la diversa localizzazione geografica dei corsi corrisponde all’articolazione territoriale dell’università, che ha 4 sedi nelle due province. Oltre che la sede principale di Campobasso, gli studenti Erasmus in arrivo possono scegliere infatti anche la sede di Termoli, dove c’è il corso di laurea in Scienze turistiche,
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la scelta del livello target è generata dall’esigenza, di tipo puramente organizzativo, di individuare un’etichetta-ombrello capace di descrivere i contenuti del corso. Questa, come si vedrà oltre, è uno dei fattori più problematici della didattica.
2.1. GLI APPRENDENTI
Gli studenti in arrivo all’Università del Molise sono in maggioranza ispanofoni (spagnoli). Una percentuale consistente è rappresentata da studenti polacchi. Ci sono inoltre studenti francofoni (francesi e belgi), qualcuno proveniente dal Portogallo e dalle repubbliche baltiche (Lettonia e Lituania). Dall’anno in corso 2009-10 c’è una rappresentanza consistente di studenti turchi e, in minore misura, ungheresi. Nel gruppo degli studenti turchi e ungheresi alcuni provengono dal locale Conservatorio di musica, con il quale l’università ha una convenzione per il programma Erasmus. Quest’ultimo tipo di studenti non riceve crediti al superamento dell’esame finale.
La maggior parte degli studenti arriva in Italia senza aver frequentato corsi di italiano in precedenza2. Alcuni tra quelli in arrivo alla sede di Termoli hanno frequentato uno o più corsi, per lo più nell’ambito del proprio curricolo universitario.
Questo porterebbe a pensare che quasi tutti gli studenti possano essere inquadrati in un livello compreso tra un “A0” e l’A1, ma in realtà le cose stanno diversamente e sono più complesse.
Innanzitutto, c’è da considerare lo scarto temporale tra il momento dell’arrivo in Italia e l’effettivo inizio dei corsi. In genere non si tratta di periodi lunghi - da pochi giorni a 3 settimane – ma le dinamiche sociali che vengono immediatamente messe in atto innescano dei meccanismi virtuosi (almeno per alcuni aspetti) tali da far balzare la maggior parte dei ragazzi ad un quasi-livello A1.
Ciò dipende essenzialmente dal tipo di ambiente nel quale l’apprendimento avviene. L’apprendimento di una LS nella “modalità” Erasmus ha caratteristiche particolari che lo rendono un unicum tra l’apprendimento spontaneo, guidato e di tipo CLIL (Coonan 2008: 37). I ragazzi sono infatti immersi nella realtà parlante la nuova lingua, la apprendono in un contesto formale nell’ambito di un corso dedicato, e seguono lezioni di altre materie nella nuova lingua. L’apprendimento spontaneo è il primo in ordine cronologico ad essere attivato e, potenziato dalla necessità di inserimento (trovare casa, fare i documenti, iscriversi ai corsi ecc.) e dalla volontà di socializzazione al di là del gruppo di connazionali (se ve ne sono), è un motore potente della prima alfabetizzazione, ovviamente in senso quasi esclusivamente comunicativo.
Quasi nessuno dei ragazzi arriva dunque al primo giorno di corso senza saper compiere le mosse comunicative essenziali nella nuova lingua.
C’è poi un secondo fattore da considerare, di carattere più direttamente linguistico.
La maggior parte degli studenti, come già detto, è ispanofona. Nessuno di loro arriva con qualche conoscenza pregressa dell’italiano ma, data la vicinanza tipologica tra le due lingue, la comunicazione di tipo elementare è per loro spontanea. Inoltre, cose ancora più rilevante, essi hanno la sensazione di poter padroneggiare senza problemi la lingua italiana applicando una semplice e limitata serie di “regole-transfer”: togli la –s del plurale ai nomi, aggiungi la –e all’infinito dei verbi ecc. In questo modo, essi pervengono, in modo sostanzialmente autonomo ed in tempi molto rapidi, ad un livello paragonabile ad un A1, ed è in questa fase che arrivano in classe. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, a questa forte accelerazione non corrisponde un percorso successivo altrettanto brillante.
Anche considerando soltanto questi fattori – le conseguenze dell’immersione del nuovo ambiente linguistico e la vicinanza tra spagnolo (la L1 predominante) e italiano – si può immaginare come la classe sia eterogenea e non immediatamente riconducibile ad un solo profilo. A ciò si deve aggiungere la presenza - sempre maggiore quantitativamente - di apprendenti con L1 tipologicamente lontane dall’italiano. Non si tratta soltanto del polacco, ma soprattutto di lingue molto distanti come l’ungherese e il turco. Questi ultimi sono gli unici che arrivano in classe ad un livello (quasi) pari a zero, perché nel comunicare con gli altri nel contesto italofono ricorrono, nel primissimo periodo, esclusivamente all’inglese, che padroneggiano mediamente molto bene.
La conoscenza dell’inglese è un ulteriore fattore di rilievo.
Per molti studenti l’inglese è la L2 e l’italiano quindi la loro L3 (quando non L4 o addirittura L5). Gli studenti polacchi, francesi (in misura minore), belgi, lituani, lettoni e ungheresi hanno di solito un buon livello di padronanza dell’inglese. Gli studenti turchi non soltanto conoscono bene l’inglese, ma sono abituati a seguire circa la metà dei loro corsi all’università in inglese (in modalità CLIL). Per tutti loro, l’inglese può essere usato come lingua franca, soprattutto nelle primissime fasi dell’apprendimento.
In maniera abbastanza simile a quanto accade per i nativi italofoni, gli studenti ispanofoni non hanno invece altrettanta dimestichezza con l’inglese. Per loro, tuttavia, come si è già avuto modo di illustrare, la mediazione di una terza lingua non è necessaria.
Volendo tentare una sintesi della composizione della classe-tipo, dal punto di vista delle L1 di partenza, della (eventuale) ulteriore LS conosciuta e del livello di entrata in classe, la situazione è dunque la seguente:
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le L1 rappresentate sono diverse quantitativamente (fino a 8) e qualitativamente (dallo spagnolo al turco); questo secondo fattore influenza sia il livello di entrata in classe sia il ritmo dell’apprendimento successivo;
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per molti studenti l’italiano è L3 e l’inglese (L2) una lingua franca;
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mediamente, nella stessa classe convivono livelli in entrata di tipo A0 (tipicamente, turcofoni e magiarofoni la cui L1 è lontana dalla lingua target al punto da rendere impossibile ogni tentativo di mediazione), A1 (studenti, prevalentemente ispanofoni, che beneficiano della prima immersione nel nuovo contesto e/o della vicinanza linguistica) e A2 (degli studenti che hanno già studiato italiano in precedenza).
2.2. QUALI BISOGNI E QUALI MOTIVAZIONI
Gli apprendenti in esame hanno bisogni e motivazioni3 all’apprendimento diversificati per origine e impatto sul percorso acquisizionale.
Da un lato, essi hanno bisogni dei quali sono consapevoli e che sono in grado di esplicitare e, in alcuni casi,anche di rivendicare: ottenere i crediti previsti e (in misura minore a causa delle “distorsioni del sistema” – vedi oltre) saper comunicare per affrontare esami di altre materie in lingua. Il docente è in grado di identificare anche una serie di bisogni non altrettanto evidenti agli interessati: migliorare il livello di padronanza linguistica per svolgere funzioni comunicative superiori e legate alla vita accademica, acquisire consapevolezza metalinguistica (quest’ultimo soprattutto per chi studia materie affini alla linguistica).
La motivazione all’apprendimento segue criteri diversi. È tendenzialmente molto alta proprio per coloro che avrebbero meno bisogni degli altri, ad esempio per gli studenti del Conservatorio, che, se vogliono, possono limitarsi al linguaggio musicale, che non soltanto è internazionale (così come è internazionale l’ambiente, nel quale è facile incontrare docenti stranieri parlanti inglese), ma comprende un’ampia componente italiana (basti pensare al lessico del fraseggio: piano, pianissimo, forte ecc.). Essi tuttavia più di una volta hanno esplicitato la loro netta volontà di imparare l’italiano “perché sono in Italia”.
All’opposto, la motivazione è bassa per chi pensa di poter far affidamento sulla somiglianza tra le lingue – es lo mismo, es similare è il tormentone che il docente sente ripetersi ad ogni lezione – e soprattutto ha altre priorità (conoscere altri ragazzi, divertirsi) rispetto al soggiorno in Italia. Questo stato di cose viene confermato e rafforzato indirettamente dal fatto che il sistema universitario tende ad agevolare al massimo gli studenti Erasmus, sia per valorizzare l’esperienza in sé sia perché intervenire diversamente (ad es. creando precorsi o seminari ad hoc) richiederebbe risorse di cui l’università italiana non dispone. Il risultato è che gli studenti Erasmus si sentono legittimati a chiedere percorsi semplificati, non accettano compiti per casa, in pochissimi acquistano i testi e, in definitiva, studiano molto poco, con un evidente feedback negativo sulla motivazione generale.
2.3. I CORSI
Dati i vincoli organizzativi legati alla necessità di dotare due sedi di corsi e di offrire corsi ai diversi gruppi di studenti in arrivo, la didattica si trova ad affrontare la complessità della situazione, soprattutto per quanto riguarda la varietà dei livelli in entrata, attraverso soluzioni interne. Ognuna delle due docenti, in base ai risultati dello screening iniziale, adatta dunque il curricolo alle esigenze più rilevanti riscontrate.
Il livello-target dell’A2 resta pertanto valido soltanto per gli apprendenti in grado di poterlo raggiungere, e cioè quelli che partono da un livello non del tutto iniziale. Per gli altri, l’obiettivo più realistico è un A1 in uscita. Il livello di uscita non viene certificato ufficialmente poiché l’Università non è centro certificatore, ma viene accertato attraverso un esame finale strutturato per abilità in maniera molto simile a quanto avviene per le quattro certificazioni possibili di italiano L2. Anche in virtù del fatto che a Campobasso è presente un centro di certificazione PLIDA, la verifica in uscita costituisce dunque una sorta di pre-certificazione.
Il programma svolto segue una metodologia mista che associa la componente funzionale-comunicativa a quella grammaticale (Lo Duca 2006). La grammatica esplicita, nel caso di studenti universitari, appare infatti un elemento importante ed è inoltre molto spesso richiesta direttamente dagli studenti (o almeno dai più motivati). Come sarà illustrato meglio più avanti, nella forma più ampia di riflessione metalinguistica, costituisce inoltre un potente catalizzatore dell’apprendimento, soprattutto nei casi di lingue di partenza lontane dall’italiano.
Il libro di testo di riferimento è stato, inizialmente, Universitalia (Alma Ed.), perché era l’unico che si rivolgeva direttamente ad un pubblico di studenti universitari. Il fatto che il livello di partenza non fosse del tutto iniziale, insieme alla pronuncia troppo marcatamente settentrionale dei dialoghi, hanno reso necessaria la sostituzione con un testo più neutro dal punto di vista fonetico e più flessibile per quanto riguarda la progressione dei contenuti (Caffèitalia, ESi ed.). Il testo è comunque da considerarsi un riferimento “debole”, poiché non tutti gli studenti lo acquistano e/o lo usano come dovrebbero.
3. NUOVI PUBBLICI: NUOVI PROBLEMI MA NUOVE OPPORTUNITÀ PER LA RICERCA
Da quanto detto sopra, è evidente che la principale difficoltà è data dalla coesistenza nella stessa classe di studenti con livelli di entrata molto diversi (Filippone 2002). Questo tipo di problemi, già avvertito anche in passato con gruppi di apprendenti parlanti lingue europee relativamente vicine all’italiano (dallo spagnolo al polacco al lituano/lettone), sono notevolmente aumentati da quando sono presenti, in maniera quantitativamente sempre più rilevante, apprendenti con L1 lontane come i turco e l’ungherese. La loro presenza ha reso necessario un ripensamento della didattica allo scopo di far integrare questi apprendenti fornendo loro alcune competenze linguistiche di base.
In mancanza di un precorso ad hoc, che sarebbe in effetti la soluzione più opportuna, si è deciso di dedicare parte della lezione soltanto a loro – solitamente quella finale - mentre gli altri eseguono degli esercizi.
La presenza di nuovi pubblici crea dunque nuovi problemi all’organizzazione didattica, poiché rende necessari interventi mirati per favorire l’inserimento in classi sempre più eterogenee. Questo “effetto collaterale” del processo di allargamento dell’UE non è stato valutato con attenzione nell’ambito del programma Erasmus, che, d’altra parte, non ha dedicato finora abbastanza attenzione e risorse alla definizione di protocolli operativi standardizzati per fronteggiare queste ed altre esigenze didattiche rilevanti. Se si pensa anche agli altri tipi di problemi generati da quella che è stata definita la “distorsione del sistema” – abbassamento generalizzato dei livelli di competenze richieste agli studenti del programma e, conseguentemente, riduzione delle competenze formali in uscita - ci si chiede dunque se non sia ormai arrivato il momento di definire una serie di linee guida generali per regolare la didattica nell’ambito del programma, non soltanto per quanto riguarda l’insegnamento delle lingue target, ma anche per quanto riguarda l’insieme delle attività formative, stabilendo livelli soglia e restituendo valore e credibilità a uno strumento che, oltre a far conoscere nuove realtà (per questo sarebbe sufficiente un programma di visite e non di studio), deve servire a rendere davvero europea anche la formazione universitaria.
La complessità della situazione è tuttavia anche una grande ricchezza per la ricerca in ambito glottodidattico. La nuova situazione e la spinta data dall’evidente motivazione degli apprendenti coinvolti hanno creato l’ambiente adatto per una ricerca condotta nell’ambito di una serie di lezioni extra, dirette soltanto agli studenti in questione e finalizzate a consolidare il loro percorso acquisizionale verso il livello A1.
In considerazione anche del fatto che non sono disponibili, per l’italiano, studi sul percorso acquisizionale di studenti turconofoni e magiarofoni, queste lezioni-osservazioni hanno consentito di esplorare il percorso di acquisizione delle strutture morfologiche di base dell’italiano (morfologia nominale e verbale) con particolare focus su:
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il ruolo della diversa tipologia della L1, soprattutto in riferimento al passaggio da una L1 agglutinante ad una flessiva ed a ciò che questo implica (ordine dei costituenti, sistema di articoli e preposizioni, accordo);
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il ruolo della riflessione metalinguistica e della grammatica esplicita come possibili facilitatori dell’apprendimento;
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il ruolo giocato dall’inglese come lingua franca e ponte verso l’italiano.
I risultati, ancora parziali4, hanno permesso di tracciare alcune linee di interesse da seguire con ulteriori investigazioni:
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l’acquisizione della morfologia verbale non crea particolari problemi agli apprendenti, in particolare a quelli turchi;
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la morfologia nominale pone invece difficoltà di vario genere: l’individuazione del genere, l’accordo nome-aggettivo e la selezione di articolo e preposizione sono alcune delle difficoltà più comuni. Gli apprendenti turcofoni, in particolare, appaiono spiazzati dalla pluralità di soluzioni che di volta in volta possono essere attuate. In questo, come in altri aspetti, la corrispondenza biunivoca quasi perfetta che c’è tra forma e funzione nella loro L1 emerge come aspettativa continuamente frustrata. Un aspetto particolarmente interessante, anche per il ruolo giocato probabilmente dall’inglese, è dato dai problemi incontrati da tutti gli apprendenti nella costruzione del SN ponendo nome e aggettivo nell’ordine giusto. Dall’analisi di casi come “casa di amico” (= coinquilino, L1 turco) e “ungarese studente” (L1 ungherese), è emerso che il pattern di riferimento, confermato dall’inglese come lingua tramite, è quello di A-N, come in
italiano |
GIALLA |
GONNA |
turco |
sarı |
etek |
ungherese |
sa’rga |
szoknya |
inglese |
yellow |
skirt |
Tab 1. Comparazione tra SN in L1, inglese e italiano
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la riflessione metalinguistica è apparsa una costante del processo di insegnamento/apprendimento, in quanto gli studenti chiedono continuamente spiegazioni sul perché di determinati usi e fanno spontaneamente raffronti tra le loro L1, l’inglese e l’italiano. Si ipotizza che l’intervento metalinguistico possa svolgere una funzione positiva di facilitazione dell’apprendimento, poiché a seguito delle riflessioni/spiegazioni si è rilevata la fissazione di pattern corretti;
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dal punto di vista sociolinguistico e glottodidattico, si tratta di apprendenti nuovi, che, soprattutto per i turcofoni, entrano per la prima volta nel sistema universitario italiano presentando caratteristiche ed esigenze peculiari. In genere si tratta di studenti molto preparati, molto esigenti con se stessi ed estremamente motivati. La glottodidattica, di conseguenza, deve elaborare modi nuovi di rispondere a questi fabbisogni, tenendo nella giusta considerazione le variabili linguistiche e sociolinguistiche di questo nuovo tipo di apprendenti.
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4. CONCLUSIONI
Il CLA del Molise è una realtà piccola per dimensioni e strutture ma in qualche caso, ci pare di poter dire, le piccole dimensioni possono costituire un motivo di vantaggio. Infatti si riesce a monitorare bene il quadro complessivo delle attività di un Centro Linguistico, diviso tra didattica e ricerca, come abbiamo cercato di mostrare fin qui. E perché no anche attività che possono esulare dall’immediata missione didattica o scientifica o comunque da una visione riduttiva di tali missioni.
È così che il CLA in un Ateneo come il Molise diventa anche il centro di attività di accoglienza e riferimento per gli Erasmus con incontri ‘multiculturali’ e feste etniche ed etnogastronomiche in cui il gruppo degli studenti Erasmus ha socializzato con gli studenti locali scambiando notizie e informazioni di carattere culturale sui rispettivi paesi, abitudini, cucina. Per gli studenti Erasmus un’occasione di presentarsi e esercitarsi in pubblico con l’uso della lingua italiana, per gli studenti italiani un modo per conoscere meglio la propria regione al fine di presentarla ai colleghi stranieri.
L’ambizione a costituirsi come polo per tutte le attività linguistiche nell’ambito delle relazioni internazionali è confermato infine dal fatto che i docenti stranieri che visitano l’ateneo nell’ambito degli scambi vengono invitati, compatibilmente con gli accordi già fissati, a proporre anche un seminario presso il CLA. In un contesto in cui le occasioni di scambi internazionali e di promozione delle lingue non sono così frequenti, il Centro linguistico può così sperimentare spazi ulteriori di crescita e sviluppo.
BIBLIOGRAFIA
BALBONI P., 1994, Didattica dell’italiano a stranieri, Bonacci, Roma.
COONAN C. M. (a cura di), 2008, CLIL e l'apprendimento delle lingue. Le sfide del nuovo ambiente di apprendimento, Cafoscarina, Venezia.
EURYDICE, 2006, Apprendimento integrato di lingua e contenuto (Content and Language Integrated Learning – CLIL) nella scuola in Europa, 2006 (http://oraprod.eurydice.org/)
DIADORI P. 2000, “Bisogni, mete e obiettivi”, in De Marco A. (a cura di), Manuale di glottodidattica, Carocci, Roma.
FILIPPONE A. 2002, “Insegnare l’italiano a studenti Erasmus principanti”, It.iT, 3, 3.
LO DUCA M. 2006, Sillabo d'italiano L2. Per studenti universitari in scambio, Carocci, Roma.
VILLARINI A. 2000, “Le caratteristiche dell’apprendente”, in De Marco A. (a cura di) Manuale di glottodidattica, Carocci, Roma.
1. Il lavoro è frutto della stretta collaborazione tra le autrici. La stesura materiale dei paragrafi 2, 3 è di Annamaria Cacchione, quella dei paragrafi 1 è di Giuliana Fiorentino; il paragrafo 4 è stato scritto da entrambe.
2 Il programma Erasmus prevede la possibilità di seguire gli Erasmus Intensive Language Courses (EILC), corsi relativi alle lingue europee meno parlate (tra la quali l’italiano) in modo da essere linguisticamente preparati all’esperienza di studio all’estero. Di fatto, però, soltanto poche università attivano questi corsi e questo tipo di offerta formativa è dunque molto disomogenea tra gli atenei europei.
3 Bisogni e motivazioni (Balboni 1994) sono strettamente collegati e gli studiosi li riconducono a volte alla stessa categoria. Il bisogno di ottenere i CFU, ad esempio, può essere considerato una motivazione strumentale (Villarini 2000: 74), così come le motivazioni possono essere comprese nei bisogni comunicativi (Diadori 2000: 88). In questa sede si preferisce distinguerli attribuendo alla motivazione il valore di desiderio/spinta personale e consapevole rispetto ai bisogni, dei quali l’apprendente può essere inconsapevole, e che corrispondono piuttosto a ciò che occorrerebbe al soggetto per raggiungere in modo ottimale l’obiettivo di apprendimento.
4 Al momento della scrittura del presente articolo la ricerca sta per terminare ed i risultati saranno illustrati nel convegno “Apprendere l'italiano da lingue lontane: prospettiva linguistica, pragmatica, educativa” organizzato dall’Università di Bergamo il 17, 18, 19 giugno 2010.