Novembre 2012 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Il presente lavoro è uno sviluppo della tesi del master di II livello ed è un sentiero di ricerca completamente nuovo per me. Ne è uno sviluppo perché le competenze acquisite durante il mio progetto di Ricerca Azione nell'Istituto Comprensivo di Bosco Chiesanuova hanno reso la mia preparazione professionale più fondata e attenta non solo alle tematiche didattiche, ma anche agli assunti teorici della didattica metacognitiva e alle tematiche motivazionali. È anche un percorso per me completamente nuovo, perché le differenze contestuali della scuola in carcere rispetto a qualsiasi altra realtà esterna hanno un forte impatto sull'apprendimento linguistico degli studenti. Insegnare in un contesto con variabili umane così complesse è una sfida didattica, umana e professionale che cerco di raccontare in questa sede. Nell'esporre la mia esperienza, terrò conto sia delle problematiche legate a contesti, i cosiddetti mondi di confine, in cui non c'è contatto con il mondo reale, se non attraverso canali “virtuali”; sia delle tecniche motivazionali che possono essere applicate con qualche speranza di successo e di quelle che non paiono avere nessun impatto positivo sulla motivazione all'apprendimento. Verrà dato anche spazio alle strategie didattiche applicabili. Inoltre, si analizzeranno le variabili contestuali particolari di cui tener conto nella programmazione dei propri interventi e le variabili personali che l'insegnante deve tenere sotto controllo in maniera costante, se intende raggiungere un qualsivoglia obiettivo di apprendimento.
1. BREVE STORIA DELL’ISTRUZIONE IN CARCERE
L'istruzione in carcere è un fatto relativamente recente, ma la sua storia affonda le radici già nello Statuto Albertino (che prevedeva tra le attività obbligatorie anche quella dell'istruzione, per il suo valore rieducativo) e nelle leggi del 1931 del regime fascista, che prevedevano corsi di istruzione elementare obbligatoria per i detenuti. Nell'articolo 27 della Costituzione leggiamo che le pene devono “tendere alla rieducazione del condannato” e nell'articolo 34 che l'istruzione inferiore deve essere obbligatoria e gratuita. Tuttavia, bisogna attendere il 1953 per l'istituzione, in carcere, delle scuole carcerarie elementari (legge n. 503). L' Ordinamento Penitenziario del 1975 prevede che l'istruzione, non più obbligatoria, sia un elemento irrinunciabile del trattamento rieducativo, insieme a tutte le altre attività formative (sportive, culturali, ricreative). Come si nota, l'attività di istruzione viene equiparata alle altra attività “trattamentali”, unica però ad essere citata come diritto costituzionale. Con il Nuovo Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario del 2000 viene confermata la considerazione dell’istruzione come di un diritto riconosciuto, al pari di quello al lavoro e ad altre attività, al detenuto in quanto cittadino che temporaneamente si trova in stato di detenzione. L’esercizio di tale diritto viene inserito nel "trattamento" rieducativo al fine del reinserimento nella società. Il Nuovo Regolamento prevede l’istituzione non solo di corsi di istruzione obbligatoria, ma anche secondaria, oltre che quelli di formazione professionale; agevola inoltre chi intraprende o deve completare gli studi universitari.
Nell’Ordinanza del Ministero della Pubblica Istruzione, n. 455 del 29 luglio 1997, si affida ai Centri Territoriali Permanenti, d’intesa con gli istituti penitenziari, lo svolgimento di attività di educazione degli adulti nelle carceri e, in particolare, negli istituti penali minorili. Infine, la Direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione, n. 22 del 6 febbraio 2001, ribadisce la necessità di realizzare percorsi individuali di alfabetizzazione in quanto strumenti di promozione sociale destinati ai soggetti deboli, tra i quali i detenuti. In carcere, oltre alla presenza dei docenti statali ci sono anche molto volontari, la cui opera è autorizzata dagli artt. 17 e 78 dell'Ordinamento penitenziario e sono le medesime autorizzazioni che permettono l'accesso al personale docente. Val la pena ricordare anche le Regole Penitenziarie Europee, redatte nel 1987. Per concludere questa breve panoramica nelle direttive che regolano le attività cui il detenuto può accedere citiamo la ricerca di Moira Coralli, per l'Altro Diritto1 che scrive:
“Il regolamento di esecuzione del 2000 indica l'iter che deve essere seguito per l'attivazione dei corsi di istruzione obbligatoria ma, nel fare questo, non indica mai che è essenziale ed inderogabile osservare e compiere tale iter, pena la violazione del dettato costituzionale. L'istruzione è stata riconosciuta come elemento irrinunciabile del trattamento ma non è stato detto che, oltre all'indubbia valenza trattamentale, è innanzi tutto un diritto costituzionale riconosciuto a tutti i gli individui e come tale irrinunciabile essenzialmente per questo motivo.”
2. ANALISI DEL CONTESTO: LA PARTICOLARITÀ DEL LUOGO E LE VARIABILI ORGANIZZATIVE
Insegnare italiano L2 in carcere rappresenta una vera sfida umana e professionale, che ho avuto la fortuna di affrontare nell'anno scolastico appena concluso. Accingendomi a parlare del ruolo e della funzione dell'insegnante di italiano come lingua seconda in un contesto così particolare, non è possibile non tener conto delle caratteristiche uniche del set di apprendimento. La casa circondariale di Montorio è nata come carcere di massima sicurezza negli anni '80, pertanto le celle e la struttura in genere (spazi comuni, aree trattamentali) sono pensate per usi che non corrispondono a quelli attuali. All'interno della Casa Circondariale, che nell'anno corrente ha visto la creazione di un'area penale, tuttavia, si svolgono diverse attività educative, di cui alcune afferenti all'area del volontariato, altre di tipo istituzionale: la scuola in carcere è una di queste. L'istituto in cui lavoro, il CTP “Carducci” di Verona, si occupa dell'insegnamento della lingua italiana a stranieri e in particolare dell'organizzazione dei corsi di alfabetizzazione e di quelli per l'ottenimento della licenza media italiana per studenti in età adulta. Nella sede “esterna” del CTP si tengono corsi di alfabetizzazione, corsi per l'ottenimento di certificati di competenza A2 validi per la richiesta del permesso di soggiorno di lungo periodo e un corso per l'ottenimento della licenza media italiana, oltre che gli esami per la certificazione CILS. Gli insegnanti della scuola secondaria di primo grado svolgono la loro attività in entrambe le sedi.
Le normali variabili contestuali di cui dovrebbe tener conto un insegnante soprattutto nella fase iniziale di progettazione del suo intervento (a breve o a lungo termine che sia), diventano ancora più importanti in un contesto come quello carcerario. Ne abbiamo isolate alcune, che ci sembrano significative e di cui è possibile valutare l'impatto sull'attività di insegnamento.
I TEMPI
In un contesto di detenzione i tempi sono molto dilatati (l'arrivo degli studenti in classe avviene in orari spesso variabili), quindi le ore di insegnamento diventano numericamente inferiori a quelle preventivate. Le attività vanno programmate tenendo presente che si ha a disposizione un tempo non corrispondente ad una lezione intera, che ci possono essere dei ritardi anche sensibili sull'inizio dell'attività, che ci possono essere delle variabili esterne (presenza di altri operatori, problemi interni all'organizzazione carceraria) che influenzano lo svolgimento delle lezioni.
IL SETTING D’AULA E LE CARATTERISTICHE AMBIENTALI
Ovviamente è quasi impossibile cambiare il setting d'aula. Le aule scolastiche, ricavate da stanze di cubatura maggiore, comunque, sono sufficientemente illuminate e pulite con una certa regolarità. I rumori che accompagnano la lezione (voci da altre aule, rumori di porte metalliche che si chiudono) possono creare delle difficoltà di concentrazione di cui va tenuto conto quando si progettano le attività.
I PROBLEMI ORGANIZZATIVI
In un contesto carcerario ci sono problemi organizzativi molto più pesanti che in una scuola tradizionale: gli studenti devono arrivare da diverse zone dell'edificio fino all'area dove si svolgono le attività e per farlo devono ottenere il permesso verbale della persona assegnata a quell'area, nonostante risultino regolarmente iscritti a scuola. L'insegnante deve tener conto anche del costante rapporto con la polizia penitenziaria.
GLI APPRENDENTI
In una situazione detentiva, le variabili umane sono molte e complesse. Di alcune di esse, l'insegnante di L2 tiene conto normalmente quando inizia un progetto di insegnamento (livello linguistico, scolarità pregressa, nazione di provenienza, madrelingua). Il numero di stranieri, come si può vedere dal grafico 1, è più alto del numero di studenti di origine italiana, soprattutto nei corsi per l'ottenimento della licenza di scuola media italiana. Il numero di studenti italiani aumenta sensibilmente nei corsi per l'ottenimento di una qualifica superiore ( i corsi attualmente attivati sono in partenariato con l'istituto alberghiero “Berti” e con l'istituto agrario “Bentegodi” di Verona), come si può vedere dall'immagine 1.
Per quanto riguarda la scolarità pregressa (immagine 2) , gli apprendenti stranieri sono quasi tutti diplomati nel loro Paese d'origine. Gli apprendenti di origine italiana, invece, non possiedono in molti casi il diploma di scuola secondaria di primo grado, hanno abbandonato la scuola a circa 12 anni e non sono più rientrati nel ciclo scolastico. Presentano in qualche caso delle enormi difficoltà nella comprensione scritta e nella produzione scritta, arrivando a casi in cui si rasenta l'analfabetismo di ritorno. Gli studenti di origine italiana hanno delle buone competenze orali (però spesso la pronuncia è fortemente caratterizzata, è evidente la loro esposizione ad una varietà di italiano regionale), ma molte difficoltà nella lettura.
L'età media degli studenti (immagine 3) è tra i 26 e i 35 anni, quindi si lavora con giovani adulti, spesso in carcere da qualche anno.
Un altro fattore influente per l'insegnamento è sicuramente il numero “fluttuante” degli studenti. I motivi dell'abbandono della frequenza sono diversi, possono essere di origine esterna (scarcerazione o trasferimento) oppure di origine interna (l'apprendente decide di non frequentare più le lezioni). Nel grafico sottostante, la percentuale di abbandoni durante il corrente anno scolastico. Da notare che gli abbandoni dovuti alla scelta degli apprendenti di non frequentare più le lezioni riguardano soprattutto quelli di origine italiana2.
Le attività potranno essere programmate con maggiore efficacia nella nuova sezione penale, data una maggiore certezza sui tempi di permanenza degli apprendenti.
In questa sede, ci occuperemo solo della sezione maschile. Il livello linguistico molto basso delle detenute e il loro scarso numero non permettono di organizzare una classe di scuola secondaria di primo grado. Oltre all'alfabetizzazione, ci sono altri progetti (laboratorio di scrittura) per andare incontro alle esigenze delle detenute con un livello linguistico più alto.
3. FASE DI RICOGNIZIONE: COLLOQUI INIZIALI CON GLI STUDENTI
La presenza costante dell'attività scolastica all'interno della struttura carceraria ha permesso lo sviluppo di un protocollo di intervento iniziale per la formazione delle classi, suddiviso in varie fasi:
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fase di raccolta delle richieste di iscrizione da parte degli studenti (gli studenti provengono per la maggior parte dai corsi di alfabetizzazione dello stesso CTP, dove seguono anche lezioni di storia, geografia e matematica)
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organizzazioni di colloqui conoscitivi e motivazionali per ogni singolo studente e raccolta dei dati (per stabilire il livello linguistico, per la conoscenza della scolarizzazione pregressa, per un primo contatto)
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secondo colloquio; redazione del patto formativo
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formazione delle classi
Come si nota, il livello linguistico degli studenti è stabilito sulla base di un colloquio orale, abbastanza approfondito, svolto da un insegnante intervistatore e un insegnante silente che compila il questionario. Uno dei punti cardine del colloquio iniziale è anche la conoscenza del tipo di motivazione degli apprendenti, per limitare al massimo l'abbandono durante l'anno scolastico. Vengono anche elicitate, per quanto possibile, le convinzioni degli studenti. Ogni persona che si appresta ad apprendere una lingua o a percorrere una nuova strada educativa ha infatti un suo bagaglio di convinzioni. Per la definizione di convinzione seguiamo Paolo Torresan (2007: 4)
“Le convinzioni riferite all’apprendimento linguistico sono costrutti mentali, idee precostituite su cos’è una lingua, cos’è una cultura, come si impara una lingua, qual è il ruolo del docente e qual è quello dello studente.”
In un contesto come questo, non si tratta di indagare solamente le convinzioni sull'apprendimento linguistico, ma anche quelle legate all'esperienza scolastica e in particolare, al ruolo del docente e dello studente. I futuri studenti della Casa Circondariale spesso hanno delle credenze negative nei confronti della scuola e della figura dell'insegnante, sia perché in alcuni casi hanno abbandonato il percorso scolastico senza concluderlo, sia perché provengono da esperienze negative con l'istituzione scuola (in alcuni casi hanno frequentato solo il CTP).
Durante la fase di ricognizione iniziale vengono anche indagati i bisogni degli studenti, perché in un contesto così difficile, dove le variabili organizzative e umane sono così importanti, la motivazione deve essere continuamente rafforzata e rassicurata, per prevenire l'abbandono, quindi un'analisi dei bisogni può essere utile per una progettazione didattica “a misura di studente”. Come si può notare dalla tabella sottostante, compilata durante il colloquio, uno dei bisogni principali è quello di passare meno tempo in cella, quindi un bisogno di tipo fisiologico, secondo la suddivisione di Maslow (1954). Alcuni studenti dimostrano di essere interessati anche a finire un percorso interrotto o a cominciare un reinserimento sociale, che potrebbe passare anche attraverso la scuola.
Nella fase di ricognizione, durante il colloquio, gli insegnanti si preoccupano anche di chiarire gli obiettivi e i contenuti del percorso scolastico, questo per essere il più possibile trasparenti nei confronti del futuro studente.
Oltre al colloquio e al questionario, in un secondo incontro, gli insegnanti stilano, assieme allo studente, il patto formativo, che garantisce una didattica il più possibile individualizzata. Evidentemente, in un contesto dove le motivazioni più comuni sono di tipo “strumentale”, stringere un patto tra le due parti responsabilizza maggiormente i due contraenti, la variazione di motivazione, infatti, è molto sensibile durante l'anno scolastico e trasversale tra tutti gli studenti, anche se maggiormente accentuata tra coloro che hanno una più breve storia di istruzione alle spalle ( e che si trovano in grande difficoltà in una situazione di tipo scolastico). La formazione delle classi tiene conto di diversi fattori. Nel corrente anno scolastico il consiglio di classe non ha formato classi omogenee per livello linguistico, perché hanno osservato che un tale criterio tende a rendere molto stimolante per gli studenti appartenere al gruppo di livello alto e molto demotivante stare nel gruppo di livello più basso. Certamente, dal punto di vista didattico la creazione di gruppi di livello linguistico renderebbe molto più semplice la scelta delle attività, in un gruppo disomogeneo, la progettazione didattica deve essere graduata.
4. LA PROGETTAZIONE DELL'INTERVENTO: GLI OBIETTIVI E I CONTENUTI
Dopo la fase di ricognizione, la stesura del patto formativo (che tiene conto dei diversi dati raccolti e degli obiettivi educativi e disciplinari per ogni studente) e la formazione delle classi, si passa alla progettazione dell'intervento, che diventa più complessa in quanto il percorso non è solo di insegnamento dell'italiano come lingua seconda, ma prevede anche come obiettivo finale l'acquisizione di un titolo di studio italiano. Le materie di insegnamento sono tutte in lingua italiana e in particolare, oltre all'italiano, storia, geografia, matematica, scienze, inglese (per la parte metalinguistica).
Il corso per l'acquisizione della licenza di scuola secondaria di primo grado deve tener conto, nella programmazione, sia degli obiettivi linguistici, sia degli obiettivi disciplinari. Per quanto riguarda il livello linguistico in uscita, secondo le direttive di coordinamento regionale dei CTP del Veneto, le abilità linguistiche conseguite devono corrispondere come obiettivo minimo ad un livello A2 ( del QCER).
Per quanto concerne i contenuti disciplinari, trattandosi di insegnamento ad adulti e tenendo presente anche l'articolo 78 delle Regole Penitenziarie europee, che stabilisce che vadano insegnati (per l'italiano) elementi di letteratura per affrontare la quotidianità, gli input presentati dovranno essere adeguati al livello, adatti all'utenza, vissuti come autentici dagli apprendenti, pensati per permettere una migliore conoscenza della società ospite (questo se non si vuole correre il rischio che le attività rimangano solo intramurarie). Inoltre, dato il livello linguistico misto della classi, ritenuto dagli insegnanti più stimolante in un ambiente demotivante come quello carcerario, la proposta dovrà essere il più possibile flessibile e rispondere ad un ventaglio di bisogni abbastanza ampio perché tutti possano condividerla. La struttura delle lezioni dovrà tener conto dei diversi fattori contestuali e della difficoltà di concentrazione degli utenti, che spesso arrivano in classe dopo aver avuto notizia della loro situazione giudiziaria o dopo il colloquio con i familiari o dopo aver subito delle ispezioni a sorpresa all'alba. Una delle scelte migliori da questo punto di vista è quella di suddividere in microargomenti della durata di una lezione le unità didattiche, che in ogni caso non devono essere troppo diluite nel tempo.
Per quanto riguarda gli obiettivi formativi, essi sono principalmente obiettivi legati alla socializzazione, al rispetto delle regole (il turno di parola), allo sviluppo di attività di aiuto tra gli studenti. In generale, l'attenzione massima sarà per i fattori socioaffettivi e socioculturali; bisogna tener conto che l'input sociolinguistico offerto agli apprendenti è qualitativamente molto scarso (le comunicazioni sono di carattere pratico, appesantite dal con-vivere quotidiano. Ci sono altri fatti di cui tener conto (Benucci: 2007: 91):
“[…] anche della distanza psicologica del corsista dalla lingua che apprende e che è quella della società che ha programmato la sua esclusione”
Anche il clima di classe ha la sua importanza: sovente gli apprendenti temono di perdere la faccia, hanno molte preoccupazioni personali, spesso un diverso background valoriale.
5. LA MESSA IN DISCUSSIONE DELLE CREDENZE E LA DIDATTICA METACOGNITIVA IN UN CONTESTO DIFFICILE
Sono molti gli aspetti socioaffettivi e socioculturali di cui tener conto in un ambiente come quello carcerario. Innanzitutto, all'inizio della relazione educativa l'insegnante deve tener conto sia delle difficoltà del contesto (che ha una notevole influenza sull'apprendimento), sia delle convinzioni degli apprendenti, che spesso generano atteggiamenti di disinteresse se non di sfida. La messa in discussione delle credenze, centrale anche per la Suggestopedia, è importantissima per il proseguimento positivo della relazione educativa (cfr. Torresan 2007:9). Le credenze degli apprendenti nel contesto carcere non riguardano solo l'apprendimento linguistico, ma anche la scuola e l'utilità di un percorso formativo. Una delle convinzioni più difficili da demolire è la rapidità, cioè il ritenere che l'apprendimento debba essere un processo rapido. Spesso la lentezza nell'apprendere genera scoraggiamento e demotivazione.
Per quanto riguarda le tecniche suggestopediche che possono essere utilizzate per mettere in discussione le credenze, la tecnica dell'argomentazione spesso risulta più difficile da applicare, mentre pare avere più successo la tecnica della riformulazione positiva (Torresan 2007:10), anche perché lo studente spesso cerca delle conferme nell'insegnante. Le prime settimane del lavoro in classe sono spesso dedicate, oltre che alla conoscenza reciproca, anche al riformulare gli atteggiamenti mentali.
Una delle convinzioni che più facilmente l'insegnante si trova ad affrontare è quella della dipendenza del discente. Come suggerisce Torresan (2007: 11):
“Una tra le convinzioni che spesso gli insegnanti trasmettono, loro malgrado, riguarda la dipendenza del discente. È opinione diffusa, per esempio, che è l’insegnante che rivolge le domande,mentre agli studenti spetta il compito di rispondere.”
e ancora:
“A formare la convinzione della dipendenza concorre, spesso, uno stile comunicativo impostato dal docente”
In un contesto di detenzione, dove spesso l'apprendente è in una situazione di grande debolezza e fragilità, è ancora più importante che l'insegnante controlli il proprio stile comunicativo, prediligendo, in un secondo momento, più che un codice di tipo materno, un codice paterno, come il silent way, che punta sull'autonomia del discente. Tra le strategie che più hanno incidenza sul successo nell'apprendimento ci sono quelle di tipo affettivo. Controllare l'ansia, gestire il proprio dialogo interiore, riuscire ad automotivarsi sono obiettivi fondamentali da perseguire. Per quanto concerne l'applicazione di strategie metacognitive in una classe carceraria, è evidente che il senso di “disorientamento” nel processo di apprendimento che talvolta gli studenti dimostrano, può essere affrontato con la riflessione e la flessibilità di un approccio che non sia solo interessato all'apprendimento di una lingua, ma al processo di apprendimento in quanto tale. In particolare, per rendere operativi i termini della didattica metacognitiva, l'insegnante riflessivo, concretamente, farà scelte all'insegna della flessibilità, della trasparenza, che presentino una certa ricorsività e che abbiano come obiettivo l'autoregolazione. Nelle prime settimane, alcune lezioni sono state dedicate alla compilazione di questionari sullo stile di apprendimento, scelta che si è rivelata vincente anche per demolire alcune attribuzioni che il detenuto riferisce a se stesso, spesso negative.
6. ALCUNE STRATEGIE E STRUMENTI APPLICATI CON SUCCESSO
La non lunga esperienza finora acquisita non mi ha permesso di risolvere fino in fondo i dubbi metodologici e su strategie applicabili in un contesto particolare come quello carcerario. La scelta di dare spazio ad una didattica di tipo metacognitivo è stata quasi necessaria: se è vero che un approccio di questo tipo è sollecitato da situazioni di problematicità, la scuola in carcere è una di queste. Di seguito, alcuni degli strumenti e delle strategie applicate durante l'anno scolastico dall'insegnante.
1 Questionari sugli stili di apprendimento: personalizzazione del percorso
All'inizio dell'attività didattica, ho scelto di far ricorso ad alcuni strumenti utili che potessero far riflettere gli studenti sul loro modo di pensare e anche sul loro modo di apprendere. Scegliere i questionari per questo tipo di utenza richiede molta attenzione: essi non dovranno essere molto strutturati, meglio se di immediata compilazione e dovranno sollecitare lo studente a rispondere seguendo i propri metri affettivi (Quale ti piace? Cosa ti viene in mente?)3. Al termine dell'attività, una riflessione in plenaria su ciò che il questionario intende indagare può dare buoni spunti per la discussione. Va sottolineato che l'insegnante sceglie di non insistere molto nella discussione, ma lascia che gli studenti inferiscano da soli ciò che riescono ad inferire, dando solo degli stimoli, e attendendo che vengano raccolti, ovvero non vengano affatto colti.
2 Applicazione di metodi e strategie di apprendimento di tipo riflessivo in classe: come costruire un percorso
Un altro esempio di metodologia metacognitiva che è stata applicata
per molte attività, è il metodo PQ4R (Preview, Questions, Read, Reflect, Recite, Review) che, nato qualche decennio fa, ha il vantaggio di essere “rassicurante” soprattutto per gli studenti più in difficoltà(Thomas, Robinson: 1972). Va sottolineato che la presentazione del metodo deve essere costruita insieme agli studenti, cercando di risvegliarne l'interesse prima di insegnarne la possibile applicazione. Il PQ4R è stato utilizzato in particolare per esercitazioni sui testi scritti sia di tipo storico che di tipo geografico; ha permesso di lavorare con serenità e di riflettere insieme sui testi, oltre che sul processo di apprendimento individuale. Si è molto insistito, in maniera non invadente ma continua, sul controllo della concentrazione, sulla selezione degli aspetti principali di un testo, sullo sviluppo della capacità di autovalutazione, sul prepararsi ad una prova e sul potenziamento della sensibilità metacognitiva.
3 Riflettere su ciò che si è imparato: quanta strada ho percorso
La riflessione su ciò che si è appreso è molto importante, perché lo studente abbia la percezione del percorso che sta facendo (percezione che può anche sostenere la motivazione alla frequenza). La ricorsività del metodo didattico, con la ripresa continua dei contenuti appresi o delle strategie applicate, anche attraverso giochi e strumenti divertenti da compilare con la partecipazione di tutti gli studenti, permette di creare una sorta di piacevole abitudine. Ho usato molto i cruciverba, i cloze, le attività di allenamento mentale, i questionari.
7. RIFLESSIONI FINALI
La ricaduta che la didattica metacognitiva può avere su apprendenti demotivati, in una situazione di debolezza e sottoposti a delle dinamiche relazionali spesso basate su rapporti di potere4, è senz'altro positiva. Nel corso dell'anno alcune strategie si sono rilevate molto efficaci. La premessa necessaria è che molto difficilmente i detenuti accettano di lavorare in coppia o in gruppi, per differenze culturali, per la situazione particolare in cui si trovano, perché spesso, l'essere troppo collaborativi nelle attività proposte dall'insegnante stride con il ruolo che si sono costruiti nella società intramuraria. Molte attività, quindi, si svolgono in gruppo e la funzione dell'insegnante è quella di arbitro o anche di semplice moderatore. La metodologia CLIL e in particolare il cooperative learning, con tutte le potenzialità che lo contraddistinguono, difficilmente è applicabile in maniera efficace, per la difficoltà di movimento e di lavorare in sottogruppi o a coppie.
Un'altra riflessione importante che penso di poter fare è che una delle variabili emotive che l'insegnante deve imparare a controllare è il senso di aver fallito nel suo lavoro. Il rapporto che si viene a instaurare con gli apprendenti è soprattutto di empatia e di stima, le ricadute a livello disciplinare sono meno evidenti. La figura dell'insegnante spesso è l'unica figura esterna che i detenuti frequentano in maniera non mediata da terapie o trattamenti, quindi diventa uno dei pochi contatti con la vita “normale”; una particolare attenzione va posta, a mio parere, nel dressing code, aspetto che non è affatto marginale: un abbigliamento sobrio ma curato, fa sì che la situazione particolare, divenga una situazione con caratteristiche di normalità, cosa importantissima per il processo di apprendimento.
Il clima assolutamente da evitare in classe ( e del tutto inefficace, perché c'è una sorta di desensibilizzazione del detenuto a stimoli di questo tipo, cui è continuamente sottoposto) è quello autoritario, quello che dà migliori risultati è un clima democratico, di collaborazione e condivisione degli obiettivi. In una situazione di deprivazione continua, il miglioramento delle capacità riflessive e di autocontrollo, la maggiore autoconoscenza sono obbiettivi importantissimi. La didattica metacognitiva permette di governare meglio il proprio pensiero e di “governare le tecniche del pensiero, cioè, più semplicemente,insegna ad usare la mente”5.
Naturalmente, la revisione di alcuni aspetti della didattica applicata nell'anno corrente, permetterà una riprogettazione ancora più efficace.
Dedico questo breve articolo a tutti i detenuti, che mi hanno consentito di fare un'esperienza unica.
BIBLIOGRAFIA
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CORNOLDI C., DE BENI R. 1993, Imparare a studiare, strategie, stili cognitivi, metacognizione e atteggiamenti nello studio, Erickson, Trento.
GUIDO C., MONDELLI G. 1999, Didattica e metacognizione, Anicia, Roma.
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TORRESAN P., 2007, Imparare ad imparare: metacognizione e strategie di apprendimento, materiali per il master di secondo livello, Ca' Foscari.
1Altro Diritto, Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità, Università di Firenze.
2Ci sono anche altri motivi di abbandono: rapporti disciplinari, scelta di attività più convenienti (come il lavoro), malattia, autolesionismo, morte. Nel grafico ho registrato solo le cause di abbandono delle classi seguite dal CTP nell'anno corrente.
3Ad esempio, il questionario in Cornoldi, De Beni: 1996: 153, che è stato utilizzato senza intestazione e che richiede di indicare il “termine che ti piace di più”.
4Per un'analisi sul carcere come contesto di potere, vedi Migliori 2007: 120.
5Guido, Mondelli: 1999:21.