Settembre 2012 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Nell’anno scolastico 2009/2010 la nostra esperienza di ricerca-azione (Salari 2010) ha coinvolto un gruppo di nove bambini organizzati in laboratorio linguistico per l’apprendimento dell’italiano L2 in una scuola elementare, del quale chi scrive ha fatto parte come insegnante e osservatrice partecipante (Aureli 1997). L’età dei bambini andava dai 7 ai 10 anni. La classe era molto eterogenea sia per livello linguistico, corrispondente al principiante/intermedio e principiante assoluto, sia per culture rappresentate, sia per conoscenze linguistico-culturali, anche in rapporto al momento di arrivo in Italia. Abbiamo osservato le interazioni dei discenti organizzati prevalentemente in base alla metodologia didattica a mediazione sociale del peer tutoring, tutoraggio fra pari, modalità di insegnamento che privilegia l’azione del gruppo e dell’individuo all’interno del suo micro-gruppo, con rotazione dei membri delle coppie in base a compiti e stili di apprendimento. I metodi di insegnamento a mediazione sociale sostengono la costruzione comune del sapere e costituiscono una valida alternativa ai metodi a mediazione insegnante. Il nostro intervento illustra alcuni momenti dell’esperienza e riflette su alcuni aspetti di carattere generale, sia teorici sia collegati alla gestione dei gruppi di apprendimento.
1. ALCUNI CENNI SUL GRUPPO DEI PARI
Prima di iniziare, riteniamo necessario descrivere brevemente le dinamiche sociali che si sono presentate nel corso della ricerca.Rispetto alla naturale propensione del gruppo nelle attività di mutuo aiuto, la metodologia del peer tutoring ci era sembrata un esito naturale. Utile, a tale proposito, l’approccio di Balboni il quale (Balboni 2008: 39) parla di “leadership distribuita”, per indicare la situazione in cui a turno ognuno assume il ruolo di tutor secondo stili di apprendimento e tipi di esercizi.
Le coppie si formavano per amicizia consolidata, come una specie di micro mondo che escludeva il resto, o per il senso di tenerezza del grande verso il piccolo. A volte, una coppia si formava perché il prestigio e la competenza strategica di uno dei due pari attiravano l’altro. In questi ultimi due casi si avevano un tutor e un tutee. Nel primo caso, invece, due potenziali tutor, amici anche fuori di scuola e con le stesse passioni sportive, stessa nazionalità, complementari per intelligenza e per stile di apprendimento, negoziavano per svolgere al meglio una consegna e comunicavano in lingua madre.In genere, era I., una bambina di 9 anni, la tutor che desiderava ricoprire il ruolo di protezione e guida, dando così sicurezza al suo piccolo tutee, in genere N., la femmina di due gemelli di 7 anni. Il maschio dei due gemelli, H., preferiva invece la presenza di un altro maschio più grande. J. e V., invece, erano un mondo a parte e lavoravano alla pari, perché, benché nessuno dei due dichiarasse di avere bisogno dell’altro, pretendeva di lavorare solo con lui.
I tutor ricevevano istruzioni dettagliate dall’insegnante per svolgere il loro lavoro. La loro posizione non sempre era accettata dagli altri: in un caso era stata respinta, infatti, da un discente arrivato a metà anno, che desiderava lavorare solo con l’insegnante.Quando l’insegnante ratificava il ruolo del tutor, ad esempio se questi riceveva l’incarico di spiegare una regola alla classe, o di intervenire in una coppia diversa per spiegare un esercizio o una procedura in cui era più competente, il prestigio del tutor saliva notevolmente, anche se regolarmente J. o V. mettevano in discussione qualche contenuto o qualche significato lessicale quando illustrato da un tutor, soprattutto da I.I. era la sorella maggiore di J., e la sua presenza spesso irritava il fratello.
2. LA RICERCA. ALCUNE BASI AUTOREVOLI
Dai dati raccolti abbiamo tratto la conclusione che l’interazione contribuiva ad aumentare le sensazioni di prestigio e autoefficacia come risultato finale al termine di alcuni progressi. Abbiamo anche intuito la probabilità che la presenza di un compagno, un tutor, una figura di aiuto, rendendo l’input linguistico maggiormente comprensibile per il tutee, fosse in grado di attivare il sistema di acquisizione che Chomskji chiama Language Acquisition Device.
Per verificare se il tutor fosse capace di incoraggiare i processi di metacognizione nel suo tutee, abbiamo introdotto la pratica della valutazione critica con giudizi motivati al termine di ogni attività (Baldacci 2004), incoraggiandolo a fare lo stesso con il tutee, cioè a motivare e chiedere di fare altrettanto. In questo caso, l’autovalutazione si manifestava subito dopo il rilascio del feedback. L’alunno, più consapevole dei suoi errori, delle sue caratteristiche di apprendimento e dei suoi successi, tendeva ad autovalutarsi, quindi ad autocorreggersi nell’azione didattica che seguiva.La condivisione delle ragioni connesse alle pratiche e alle strategie adottate innescava il confronto e lo scambio di opinioni, oltre a indurre i ragazzi a praticare la funzione metalinguistica necessaria a spiegare le proprie ragioni e i procedimenti in italiano.
Per verificare se il sistema di acquisizione linguistica si attivava e se il tutee, guadagnando sicurezza, fosse capace di staccarsi dal tutor, abbiamo cercato di incoraggiare la trasformazione del tutee in tutor.
Bruner e Vigotskij forniscono tre modelli per noi utili: il primo, teorizza la zone of proximal development, il secondo, l’area di sviluppo potenziale; infine, il concetto di format 1 appartiene a Bruner.Nei concetti di area di sviluppo potenziale e zone of proximal development, si sostiene che l’apprendimento è potenziale, cioè si realizza a determinate condizioni. L’apprendimento è un processo che si avvia quando il soggetto è nelle condizioni di colmare la distanza differenziale tra un dato conosciuto, quanto di un compito è in grado di eseguire da solo e un obiettivo ancora da raggiungere, la restante difficoltà, “area prossimale”, di quel compito. Se il compito è troppo difficile da realizzare, il soggetto non supera la distanza e rinuncia. Il processo non si avvia.Come fa intuire Balboni (2008: 30-31), una figura transizionale di supporto quale una madre, un compagno più esperto, un tutor, rende più facile l’atto di coprire l’”area prossimale” che separa dalla realizzazione di un obiettivo.Imparare in compagnia e con l’aiuto di un pari può essere più semplice, leggero, veloce e anche divertente, se ci sono momenti di gioco e possibilità di movimento nell’aula. Abbiamo quindi confermato la presenza della rule of forgetting di Krashen, e concluso che la regola per cui i discenti dimenticherebbero di imparare mentre imparano, componente essenziale dell’apprendimento ludico (Balboni 2008: 40), era determinante anche fra i nostri pari.
Bruner individua nell’unità d’interazione una cellula standardizzata di apprendimento, che definisce format, come quella di una madre con il suo bambino, che invia stimoli generativi di risposte sempre più complesse.Von Glaserfeld (1998: 89), rappresentante del costruttivismo radicale, definisce il processo di conoscenza come un meccanismo d’intersoggettività, stabilendo che quanto s’impara sembra più vero se confermato dagli altri più che esperito da soli e la ratificazione da parte di un gruppo lo rende così oggettivo da poter essere chiamato verità.
3. IL RUOLO DELL’ADULTO
In due distinti paragrafi, analizziamo brevemente prima l’approccio dell’insegnante, quello che consideriamo il giusto comportamento, le scelte operative e didattiche, la programmazione, migliori per un gruppo di bambini organizzati con metodo cooperativo; infine gli aspetti fondanti e le ragioni dell’osservazione partecipata.In seguito (par. 5) descriveremo gli aspetti critici di questo tipo di osservazione.
3.1. L’INSEGNANTE NEL GRUPPO: COMPORTAMENTO, SCELTE DIDATTICO-EDUCATIVE
Quanto segue descrive il modello di insegnante a cui ci siamo ispirati durante la ricerca.Per raggiungere un obiettivo importante è necessario spesso l’aiuto degli altri. In questa ricerca l’aiuto dei bambini è stato il maggior fattore di successo e di crescita per noi, e merita di essere riconosciuto. Un intervento di questo genere in Laboratorio linguistico richiede una programmazione elastica, precisa ma anche aperta all’imprevisto, che ammetta la varietà delle metodologie e dei contenuti nell’azione didattica, perché le soglie dell’attenzione, nel lavoro in peer tutoring, non superano il limite di 30 minuti per volta su sessioni di due ore.L’insegnante propone al gruppo degli obiettivi precisi, ma ne permette anche la negoziazione in base agli orientamenti, ai gusti e alle esigenze del gruppo stesso e dei singoli.Egli accetta che le coppie lavorino in tranquillità, intervenendo solo se necessario; limita le interferenze e rinuncia a rivestire il ruolo di portatore e principale riferimento dei saperi: raccogliendo le conoscenze e permettendone la condivisione nel confronto collettivo, assume il ruolo di facilitatore dei saperi (Balboni 1994).Permette ai bambini di fare da soli e negoziare, fare le loro proposte e mostrare il risultato delle loro scelte operative. Inoltre, se può, permette alle coppie di scegliersi secondo quanto ritengono giusto e i compiti da svolgere.
Al termine di ogni sessione, l’insegnante chiede informazioni sulle procedure e sui motivi delle scelte e avvalora questo o quel metodo con la pratica della valutazione critica motivata.Il senso di sicurezza proveniente dal feedback permette presto ai bambini di superare la sensazione di spiazzamento eventualmente avvertita inizialmente. I bambini accettano le interviste perché queste dimostrano la considerazione dell’insegnante sia verso il loro lavoro sia verso il percorso necessario per ottenere quel risultato.L’insegnante è da supporto ai tutor, che ne hanno bisogno per svolgere il loro ruolo. Stabilisce con loro una complicità particolare basata su negoziazioni di contenuti e metodi, li sorveglia con discrezione durante l’uso degli strumenti per evitare loro i rischi da perdita di prestigio, assegna loro fiducia.
3.2. L’INSEGNANTE-RICERCATORE: L’OSSERVAZIONE ATTIVA DELLE DINAMICHE SOCIALI
L’insegnante, interagendo con le coppie, “partecipa osservando e osserva partecipando” (Aureli 1997: 115) alla situazione, raccogliendo dati in base alla loro frequenza, oggettività e soggettività. Tiziana Aureli, che si occupa di età evolutiva in particolare, fornisce una descrizione in cui l’osservazione partecipata “in prospettiva etnografica” stabilisce una “relazione osservatore-osservato”, nella ricerca-azione (Aureli 1997: 114-153). Nella prospettiva etnografica si raccolgono dati definiti qualitativi perché riguardanti le pratiche di gruppo, le interazioni, le strategie, come in una mappa dei comportamenti. Il bambino è inteso come soggetto costruttore di conoscenza, in grado di introdurre pratiche sociali e culturali negoziate.
Come afferma Aureli, l’unico modo per capire le dinamiche infantili nell’ambiente è osservarle dalla prospettiva del bambino accettando di esserne partecipe, osservandone la cultura di riferimento e i procedimenti logici in prospettiva infantile. L’Autrice riporta in proposito (1997: 118-126) l’esperienza di ricerca sulla cultura dei pari, compiuta da Corsaro nel 1974-75 a Berkeley, California, citandola come esempio in cui l’osservatore sceglie di essere “partecipe di ciò che osserva”, allo scopo di (Corsaro 1985) “evitare interpretazioni nate dalla prospettiva degli adulti e cercare di entrare nel mondo del bambino”.
4. GLI STRUMENTI DI OSSERVAZIONE PIÙ UTILIZZATI: SCHEDE DI OSSERVAZIONE PARTECIPANTE E INTERVISTE
I dati ottenuti attraverso l’osservazione partecipante sono raccolti in schede di osservazione, in cui l’osservatore riporta il resoconto, il più realistico possibile, della situazione osservata, affiancando l’analisi personale della situazione e dei dati, riflessioni metodologiche e propositi di miglioramento della prassi.La scheda di osservazione partecipante è uno strumento valido a disposizione soprattutto dell’insegnante per due motivi:
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destinato in particolare all’osservazione dei gruppi infantili e nei contesti scolastici, utile per le rilevazioni e la risoluzione di problemi (Aureli 1997: 118, 125-126), è efficace per la raccolta di dati qualitativi in quel contesto particolare.
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Aiuta l’insegnante a riflettere, essere osservatore consapevole e attento di se stesso durante la pratica didattica.
Resoconti realistici e osservazioni devono essere riportate nel tempo più prossimo agli eventi per evitare di perderne memoria. È importante, e comunque non sarebbe fattibile, evitare di scrivere diffusamente mentre si lavora con i bambini. Bisogna prendere appunti velocemente e riportare tutto a casa subito dopo. Una scheda di questo genere è un materiale vivo e in evoluzione, su cui tornare spesso a leggere e riflettere.Spesso interpretazioni e intuizioni nuove arrivano con il passare del tempo, e ricordi si collegano ad eventi recenti. La scheda può essere usata durante le riunioni fra colleghi come verbale di triangolazione e per lo studio dei dati.
Altro strumento di raccolta dati usato, che abbiamo trovato utilissimo, è “l’intervista degli ultimi dieci minuti”.Le interviste, variante gradita che interrompe anticipatamente la sessione didattica, parte della didattica stessa, attivate immediatamente al termine di ogni sessione didattica servono a stabilire la percezione dei singoli rispetto al modo in cui hanno lavorato (Come avete lavorato? Siete contenti/e di come avete lavorato, perché?), cosa hanno imparato, il metodo seguito nel procedere e il loro livello di autodeterminazione.Si vuole sapere se si sentono autoregolati, se pensano di avere avuto successo, se sanno ripercorrere linguisticamente i propri processi e se, essendo consapevoli della strategia attuata, saprebbero ripeterla anche con qualche piccola variazione. È una buona occasione per attivare varie funzioni linguistiche e riflettere metacognitivamente.I bambini si sono dimostrati consapevoli di processi di apprendimento e strategie seguite, hanno mostrato gusti e preferenze, descritto dettagliatamente fasi di lavoro, metodi e procedure, dato consigli all’insegnante su metodi e contenuti.Crediamo che i bambini non potrebbero sentirsi soddisfatti e autoefficaci se non avessero fatto da soli, o se non avessero in parte influito, con le loro opinioni, sulla scelta di contenuti fatta dall’insegnante.La pratica delle opinioni motivate è importante per molte ragioni: per la sicurezza e il prestigio personale e gruppale, perché incoraggia i bambini a riflettere e intervenire sempre esponendosi di fronte al gruppo; per la metacognizione, perché spinge i discenti a sviluppare le competenze linguistico-comunicative; per approfondire la conoscenza del proprio stile di apprendimento, perché i bambini imparano a conoscere e riconoscere il loro metodo di lavoro e le procedure che preferiscono.
È, per tutte queste ragioni, una porta aperta verso la conoscenza dei soggetti che apprendono, quindi verso il lavoro di riconoscimento, che permette all’insegnante di personalizzare e individualizzare (Baldacci 1994).
5. IL GRUPPO E L’INSEGNANTE: DIFFICOLTÀ E POTENZIALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE ATTIVA
Come si diceva sopra (cfr. 3.2), partecipare ai fatti osservati, come membro interno al gruppo ma anche come leader, significa anche correre il rischio di interferire con la propria soggettività al contesto.Wilfred Ruprecht Bion (Trombetta, Rosiello 2000: 88-94), studiando i veterani ricoverati in clinica riabilitativa al termine del secondo conflitto mondiale2, rileva come la posizione dell’osservatore all’interno dei gruppi di lavoro sia caratterizzata da una doppia valenza: in qualità di capo razionale e conduttore, egli ha la responsabilità dei progetti del gruppo e del raggiungimento dei suoi obiettivi realistici; in qualità di capo istintivo, egli ne eredita i desideri gruppali, emozioni, aspettative, che vive con la stessa intensità emotiva. Dallo studio bioniano emergono, da un lato, le contrapposizioni tra mentalità di gruppo e del singolo, dall’altro, la dualità dell’essere capo razionale e istintivo del gruppo.In Bion il gruppo è costituito da una doppia valenza, essendo ostacolo ai desideri di emersione del singolo ma anche luogo di aggregazione, partecipazione e convergenza di ideali e mentalità. Bion ci aiuta moltissimo: infatti, abbiamo sperimentato questa verità come un rischio che mette in discussione la pratica didattica durante la ricerca. Eppure, l’importanza del ruolo dell’osservatore partecipante, nel nostro caso l’insegnante, si evidenzia qui. L’accettazione del rischio dell’interferenza fa parte della situazione e ne è, nello stesso tempo, limite e potenzialità, inducendo nell’insegnante l’obbligo di osservarsi e centrarsi continuamente durante la prassi didattica per superare l’ostacolo della dualità.È limite, perché essendo adulto, l’insegnante potrebbe non condividere del tutto gli ideali di un gruppo di bambini, ma può, come parte del gruppo, comprenderli. Secondariamente, l’adulto potrebbe farsi coinvolgere dall’irritazione durante i conflitti e manifestare contrarietà per la mancanza di disciplina.È potenzialità, perché il ruolo chiave dell’insegnante come parte adulta del contesto didattico porta con sé molte conseguenze positive, su cui di seguito riflettiamo.
5.1. COME FRONTEGGIARE I LIMITI E UTILIZZARE LE POTENZIALITÀ DELL’OSSERVAZIONE ATTIVA
L’insegnante dichiara la sua appartenenza empatica al gruppo, nel momento in cui accetta la responsabilità di comporre i sentimenti di frustrazione dei singoli ed esaltare i sentimenti di tutti, evidenziando obiettivi in cui il singolo possa riconoscersi e identificarsi come membro del gruppo del quale condivide mete e aspirazioni.Il gruppo nella sua totalità avverte la sensazione che l’obiettivo gli appartiene.L’insegnante-conduttore costruisce il suo approccio riferendosi agli studi di ricerca-azione (Losito, Pozzo 2008), che hanno evidenziato nella pratica dell’autosservazione affidata al diario e alla triangolazione, cioè al gruppo autocentrato di adulti e colleghi, il modo migliore per rimanere focalizzati sulla pratica didattica e sulla vita del gruppo, senza essere deviati da coinvolgimenti emozionali, esperienze pregresse e sistemi ideologici.Come sottolinea Kurt Lewin (Trombetta, Rosiello 2000: 93), è necessario rimanere continuamente focalizzati sulla vita mentale del gruppo e sulla sua capacità di collaborazione democratica e condivisione di metodi di lavoro e obiettivi di riuscita.
Secondo il modello di Lewin (Trombetta, Rosiello 2000: 12), il gruppo ha due caratteristiche peculiari: “è dato dal costituirsi di un noi caratterizzato dall’interdipendenza delle parti … è un gruppo democratico; vive e sperimenta la democraticità delle opinioni, del confronto, delle decisioni frutto sia delle libertà, sia delle preferenze e aspirazioni individuali … è autocentrato”. La definizione può adattarsi sia al gruppo di triangolazione, sia al nostro gruppo costruttore, Classe ad Abilità Differenziate.Ci si può domandare, tuttavia, se i bambini della scuola elementare siano capaci di raggiungere una tale consapevolezza e se, al contrario, fra i bambini non sia più frequente trovare situazioni di istintive rivalità e disarmonie.In questo caso il docente potrebbe incontrare un ambiente di apprendimento con tensioni, somigliante al gruppo bioniano (Trombetta, Rosiello 2000: 90-2).Nel gruppo con tensioni, la mentalità dei molti si oppone alla mentalità del singolo; il compito ritenuto realizzabile da una parte del gruppo (o di un membro della coppia) non lo è altrettanto per un’altra parte; o ancora, le personalità, convinzioni, credenze e proiezioni del singolo sono in opposizione a quelle della maggioranza; in generale, un conflitto nasce dal fatto avvertito anche da un solo membro che la mentalità del gruppo sia da ostacolo alla realizzazione del singolo individuo. Può succedere che un membro del gruppo rifiuti di avere fiducia nel tutor a lui assegnato, non riconoscendogli il ruolo di mediatore di sapere. Può darsi anche che il tutor non abbia fiducia in se stesso. Se il tutor sbaglia qualche obiettivo grammaticale o imita la maestra, cercando di stabilire, fra sé e il tutee, una relazione educativa, il suo prestigio è perduto, a volte irrimediabilmente. In questi casi è necessario affrontare le tensioni per risolvere e migliorare le relazioni.Nella risoluzione dei conflitti, è agevolato l’insegnante capace di osservarli senza esserne coinvolto, ma anche di capirli avendoli vissuti dall’interno (Marcoli 1988: 88-89, in Trombetta, Rosiello 2000: 90) “… capace di vivere con il gruppo e al contempo di registrarne il comportamento come se fosse estraneo a esso”.Questo ci riporta a Tiziana Aureli, nel cui studio il concetto di campo sociale assomiglia al field di Lewin, e ci aiuta a concludere su questo aspetto nodale dell’osservazione: la grande potenzialità dell’osservazione partecipante è nel fatto che è un modo per capire le dinamiche positive e negative che attraversano gli ambienti di apprendimento.
6. LA CONOSCENZA DI GRUPPO: IL COSTRUTTIVISMO IN CLASSE
Il cognitivista Jean Piaget, che si occupa di fondare le basi epistemologiche dei processi cognitivi individuali, indica che la conoscenza è data da una progressiva azione di assimilazione e accomodamento sul mondo percepito. Il soggetto, assimilando le cose conosciute a quelle che già conosce, costruisce le sue conoscenze e accomoda, cioè modifica, le sue strutture cognitive ampliandole progressivamente in rapporto al mondo intorno a sé.Il processo di costruzione del mondo è attuato dall’individuo/bambino attraverso livelli sempre maggiori d’interazione e comunicazione con le cose conosciute, fino all’adattamento dei contenuti al suo modo di essere, con cui il soggetto fonda la propria epistemologia della conoscenza.Al termine del processo, “l’astrazione riflettente”, attività cognitiva che permette al sé di teorizzare metacognitivamente sui propri processi di apprendimento, assumere se stesso come oggetto di riflessione e sistematizzare le proprie conoscenze.
Gli aspetti importanti a nostro parere sono due. Il primo: ciò che è conosciuto diventa parte del soggetto conoscente. Non essendo il reale dato dall’esterno come oggettivo, il processo di costruzione del sapere individuale deriva dall’ambiente e contenuto, luogo e oggetto di apprendimento, assumono aspetti differenti in base al soggetto che apprende. Di conseguenza, l’ambiente è il prodotto del processo di assimilazione e d’interazione del soggetto costruttore.Il secondo: la conoscenza è dinamica e pragmatica, è l’azione del soggetto che esplora e costruisce un ambiente che gli assomiglia.Nel processo di conoscenza il linguaggio, assumendo il ruolo di trasmettitore del pensiero e mediatore della conoscenza, è anch’esso oggetto e strumento di apprendimento. Se osserviamo il modo in cui due pari, J. e V., comunicano per la risoluzione di una consegna, intesa come un compito che richiede di mettere in gioco le capacità cognitive di entrambi i soggetti coinvolti, raggiungiamo la conclusione che il linguaggio è sia strumento di comunicazione e mediazione, sia veicolo di trasmissione di conoscenze preesistenti e in formazione. Fra due pari, i processi di comunicazione verbale in lingua madre mettono in movimento abilità cognitive necessarie per portare a termine il compito con successo. Possiamo quindi ammettere che il linguaggio assume il ruolo centrale di veicolo di trasmissione di contenuti, stili di conoscenza e procedure.
Esiste l’eventualità (Aureli 1977: 109) di un effetto Hawthorne3, per cui i bambini si comportano in modo conforme alle attese sapendo di essere osservati, dalla loro insegnante in aggiunta. Tuttavia i dati osservati e le relative implicazioni sono importanti:
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Il prodotto finale: portare a termine il compito significherebbe “assimilare il compito assegnato ai propri schemi di azione” (Cellérier in Trombetta, Rosiello 2000: 40) per entrambi, in modo che il prodotto contenga, finalizzati alla ricerca di una soluzione comune, i contributi derivati dal processo d’interazione-assimilazione della realtà di entrambi i pari.
Questo dato si evidenzia in massima parte con lo studio delle schede di osservazione.
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Le strategie: la negoziazione dei contenuti e dei metodi avviene attraverso un linguaggio comune e carico di valenze affettivo-culturali in cui entrambi i soggetti si riconoscono.
Questo dato si evidenzia in massima parte con lo studio delle interviste.
Nel rilevare quest’ultimo dato, torniamo sul linguaggio per aggiungere delle riflessioni.Riteniamo sia importante che i bambini abbiano comunicato in lingua madre. Se decidiamo di dare maggiore importanza alla negoziazione dei contenuti e ai processi di conoscenza, ammettiamo che minore incidenza nella valutazione dei fatti debba avere la lingua, seconda o madre, attraverso la quale è avvenuta la mediazione. Anzi, i saperi naturali passano più facilmente nella lingua madre mentre i bambini si concentrano sui contenuti e li negoziano.Il dato fa emergere la scelta del linguaggio comune come una libera iniziativa della coppia in cui non emerge un tutor prevalente4. Inoltre, lo strumento di lavoro più idoneo è negoziato e ricostruito di comune accordo dai pari da un modello fornito dall’insegnante.
Le riflessioni:
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Mettendo in relazione lo strumento di lavoro con la produzione intellettuale, potremmo definitivamente affermare che la coppia che lavora in lingua madre agisce in base a matrici storico-culturali comuni, con schemi d’azione, pensiero, stili, procedure e conoscenze nei quali si riconosce, adattando e assimilando la realtà a suo modo e negoziando dove riscontra delle diversità, ma anche che l’utilizzo dello strumento implica dei processi intellettuali di matrice comune.
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I bambini attiverebbero, oltre alla funzione referenziale, anche la funzione poetico-immaginativa del linguaggio, presente nella lingua madre che è un precipitato di valenze affettivo-culturali condivise.
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La scelta della lingua si spiega con l’esigenza di facilitare il passaggio delle informazioni, mentre l’attenzione dei bambini si concentra sui contenuti e sulle procedure (intanto, ridono e scherzano fra loro).
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L’italiano è lingua franca in una coppia di diversa nazionalità. In quel caso lo sforzo di far passare le informazioni sarà maggiore, ma utile all’apprendimento della lingua seconda per l’attivazione della funzione metalinguistica
7. GESTALTPSYCHOLOGIE. PSICOLOGIA DINAMICA E COSTRUTTIVISMO SOCIALE
L’obiettivo del ricercatore-osservatore partecipante dovrebbe essere quello di mediare dall’interno il raggiungimento degli obiettivi conoscitivi e osservarne i processi di formazione dall’esterno, utilizzando le forme psichiche emergenti dalla raccolta come dati qualitativi che testimoniano i processi di conoscenza dei bambini.
Kurt Lewin fu, negli anni ’20, uno dei membri più attivi della Gestaltpsychologie, la Psicologia della Forma, nata in Germania negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. In particolare egli desiderava capire la connessione dei processi cognitivi con quelli motivazionali, e fondare nel frattempo un modello di osservazione che rendesse osservabile matematicamente la natura dei dati tratti dalle forme psichiche raccolte nell’osservazione del campo sociale, field, inteso come un ambiente fisico e psicologico in cui le persone interagiscono dinamicamente, cercando di trovare un equilibrio psichico e sociale.
La Gestaltpsycologie si occupa di studiare le leggi che regolano la struttura delle percezioni umane, fondando una teoria della conoscenza sulla base del fatto che le forme sono tali in quanto percepite, quindi ritenute reali dai soggetti. Poiché reali, le forme sono raccoglibili e misurabili matematicamente come dati che modificano la realtà nell’interazione sociale.
In base alla Gestalt, la conoscenza appartiene all’individuo, e dipende non dal mondo esterno, dato falsamente oggettivo, ma dal modo in cui l’individuo struttura la percezione degli oggetti. La teoria parte dalla considerazione delle (Guillaume 1963: 22 in Trombetta, Rosiello 2000: 56) “forme o strutture… come dati primari…dove anche i fatti psichici sono delle forme, vale a dire delle unità organiche che si individualizzano e si limitano nello spazio spaziale e temporale della percezione della rappresentazione.”
Nella sua Psicologia dinamica, Lewin afferma l’importanza del clima del campo sociale per la formazione della psicologia individuale, perché nell’interazione con i suoi simili l’essere umano costruisce la sua Gestalt. Il successo di ogni interazione è la base delle interazioni future. Il gruppo in cui si agisce fornisce sicurezza e sviluppo (Trombetta, Rosiello 2000: 80).
Il costruttivismo sociale, negando la dimensione solo individuale dell’apprendimento, raggiungibile attraverso condizionamenti esterni e tecniche come la memorizzazione e la ripetizione dei contenuti, afferma l’importanza dei processi cognitivi, che si attivano nella condivisione e attraverso l’azione. La conoscenza assume una dimensione attiva e collettiva, si costruisce attraverso la pratica dell’interazione e della negoziazione dei contenuti.
8. CONCLUSIONE
Dallo studio degli Autori possiamo sintetizzare che quando, nello “spazio dell’azione didattica” (Freddi 1991) si attua la condivisione, attivando metodi di discussione delle conoscenze, il potere dinamico del gruppo aiuta a raggiungere la distanza tra il compito/conoscenza e la sua difficoltà di esecuzione/comprensione.
Riprendendo i modelli di Bruner e Vigotskij, comprendiamo meglio perchè “il gruppo classe viene definito dal costruttivismo zona di sviluppo prossimale multiplo, in cui i diversi soggetti (insegnanti, studenti…esperti) e strumenti (libri, attrezzature, tecnologie, risorse …) contribuiscono a definire un maggior numero di prospettive della conoscenza” (Zucchermaglio 1996 in D’Annunzio, Della Puppa 2006: 149).
Ricorriamo a una citazione, molto letta, di Kurt Lewin (1951: 125) per ribadire che l’interazione non affianca solo individui ma amplifica i significati individuali in nuove prospettive:
“Il gruppo è qualcosa di più, o, per meglio dire, qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri. Ha una struttura propria, fini peculiari, e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l’essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza”.
Osservando questa definizione di gruppo sociale e utilizzandola per spiegare anche l’atto didattico di una coppia di pari, ci accorgiamo che l’entità di cui si parla è composta di soggetti interdipendenti, che, negoziando, costruiscono un nuovo sapere, diverso e simile a quello di partenza appartenente a ognuno dei componenti quest’entità.
La classe è un campo sociale lewiniano, in cui l’insegnante mediatore di conoscenza e osservatore dei percorsi individuali ammette ogni impulso proveniente dalla percezione particolare raccogliendolo come un modo autonomo di avvicinarsi alla realtà, lo potenzia e lo rimanda al gruppo, che lo fa proprio. La conoscenza è costruita e negoziata in comune.
L’insegnante, il cui obiettivo è doppio, la formazione della persona e i suoi apprendimenti, si comporta con il discente come con un agente epistemico piagetiano avendo presente Gardner (Torresan 2006). Gli riconosce così una sua intelligenza e suoi personali stili di apprendimento, che determinano una conoscenza soggettiva e, con Von Glaserfeld, intersoggettiva, della realtà.
Ma se il cognitivismo si occupa dei processi mentali, e Gardner ammette molti modi di avvicinarsi alla realtà, il costruttivismo sociale applicato nella didattica ci insegna che attraverso le procedure d’interazione i significati individuali sono scambiati e messi in comune nella Unità stratificata e differenziata per Classi ad Abilità Differenziata (D’Annunzio, Della Puppa 2006), un contesto di apprendimento in cui si incontrano stimoli differenti, mappe concettuali, script, transfer, lavori di gruppo e di coppia, evidenziazione delle differenze, questionari di accertamento in itinere e finali, osservazione con strumenti etnografici.
Ogni strumento o metodologia devono mirare, infine, a stabilire la relazione, la comunicazione, l’interdipendenza tra i membri del gruppo, conservando uno spazio in cui ogni individualità sappia sia di poter cercare obiettivi personali e consapevoli, sia come cercarli.
Dall’intervista finale del 20/05/2010 ai due tutor-tutee, affiorano impressioni di soddisfazione, consapevolezza e capacità di riconoscere il cosa piace loro e il come sono arrivati a quel cosa, che vorremmo mostrare (Salari 2010: 140):
I due hanno come sempre preparato il foglio, che non ha le righe, con il righello, e hanno tracciato una specie di reticolo con grandi righe numerate a colori diversi contenenti le risposte ben demarcate alle domande. Ogni riga ha un suo numero colorato e scritto in un riquadro. Osservando i loro fogli, ne apprezzo l’aspetto e osservo: Ah, avete fatto così... a voi piace vero? Si maestra, risponde J., noi facciamo sempre così.
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SITOGRAFIA
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Percorsi di formazione per l’apprendimento collaborativo in e-learning e consultazione per insegnanti e appassionati di costruttivismo. http://www.humantrainer.com/wiki/Kurt-Lewin.html
Psicologia per professionisti, comunità di pratica, formazione.
http://ilblogdellamente.com/psicologia-cognitiva/
Sito personale. Consultazione, epistemologia, curiosità, indagini.
Rivista on line.
http://scuolafacendo.carocci.it
Una miniera per insegnanti, osservatori e gruppi di ricerca-azione: consigli operativi, formazione e materiali per l’osservazione e la didattica
1 L’unità di comunicazione, format, è […] “una struttura d’interazione standardizzata, inizialmente microcosmica fra un adulto e un bambino, che contiene dei ruoli delimitati, che alla fine diventano reversibili […]. Le azioni di ciascuno dei due partecipanti sono contemporaneamente risposta e stimolo successivo, in un processo di influenzamento reciproco che permette di creare forme sempre più evolute di cooperazione. (Bruner 1983, in Taddeo 2007).
2 Nel 1948 Bion iniziò le sperimentazioni nei gruppi a fini terapeutici sui veterani della II Guerra mondiale, presso la Tavistock Clinic di Londra, scoprendo che all’interno dei gruppi si determinavano delle tensioni. Da qui il problema generativo, che determinò la ricerca-azione.
3 Fenomeno osservato dal ricercatore Elton Mayo nel 1927 presso gli impianti della Western Electric Company (Hawthorne Works) poco lontano da Chicago, per “effetto Hawthorne” s’intende un comportamento positivo che si verifica per effetto della presenza di osservatori, ma che non dura nel tempo. http://ilblogdellamente.com/psicologia-cognitiva/effetto-hawthorne/#more-2920
4 I bambini lavorano a lungo a una sorpresa per me, parlano moldavo e non vogliono essere disturbati.