Novembre 2012 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
L’organizzazione del convegno di luglio 2012 ha messo alla prova la Comunità dei Diplomati del Master Itals di 2° livello. Si tratta veramente di una comunità di pratica? Se sì, in base a quali parametri lo possiamo affermare? E in quale stadio della sua evoluzione si trova? I confronti e gli scambi avvenuti durante la preparazione del convegno, il suo svolgimento e i feedback successivi hanno fornito parecchio materiale per riflettere in tal senso e abbozzare alcune considerazioni.
1. INTRODUZIONE
Della Comunità dei Diplomati del Master Itals di 2° livello abbiamo già avuto modo di scrivere (cfr. Bollettino Itals, Anno IX, n. 42), delineando le ragioni della sua nascita e i meccanismi di funzionamento. Nel nostro articolo “Comunità di pratica del Master Itals di 2° livello: dalla teoria alla pratica“ scrivevamo:
Riteniamo inoltre che un incontro in presenza possa cementare ulteriormente i rapporti, rinvigorendo la dimensione cognitiva e sociale della comunità e offrendo stimoli per un’interazione più efficace, derivante dalla conoscenza più approfondita dei membri della comunità.
Tale incontro in presenza dovrebbe, a nostro avviso, sostenere anche un’altra vocazione di una comunità di pratica formata da “professionisti riflessivi” come quella sin qui descritta: elaborare delle ricerche applicate condivise da sperimentare e diffondere come prodotti della collettività. In tale prospettiva insegnante e ricercatore confluirebbero nella stessa persona, realizzando così la sintesi tanto invocata dal mondo dell’educazione.
Le nostre proiezioni si sono rivelate realistiche e, a conclusione dell’esperienza, possiamo dire che il convegno è servito a delineare meglio il profilo dei membri della comunità e, di conseguenza, il profilo della comunità stessa. In questo nostro breve intervento intendiamo esporre i tratti distintivi di questo convegno, cercando di definire la filosofia caratterizzante questo gruppo di professionisti in formazione continua.
2. LA COMUNITÀ DI PRATICA
Per poter cogliere il valore della costruzione peculiare del convegno, è necessario definire alcune parole comuni secondo l’accezione che posseggono nella microlingua della formazione.
Parlando di “comunità di pratica” è importante ricordare che, secondo Wenger (1998: 51-85 passim), con il termine practice si intende “[…] a process by which we can experience the world and our engagement with it as meaningful”.
Ma cosa significa meaningful? Sempre secondo Wenger, la pratica ci permette di trasformare le esperienze quotidiane in esperienze significative, quindi esperienze che assumono valore per noi. Vivere è un processo costante di negoziazione del significato con gli oggetti, le situazioni e le persone che costituiscono il nostro mondo. Se ne ricava che il significato non esiste né in noi, né nel mondo, ma nella relazione dinamica di vivere nel mondo. Da qui deriva il valore della partecipazione, intesa da Wenger come possibilità di mutuo riconoscimento e quindi fonte di identità per l’individuo.
Diventa quindi ora necessario precisare il termine “comunità” legandolo alla definizione di “pratica” visto sopra. Wenger ritiene che ci siano tre dimensioni di relazione attraverso le quali la pratica è fonte di coerenza all’interno di una comunità, distinguendola così da altre forme di aggregazione:
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mutuo impegno dei partecipanti: i membri sono coinvolti in azioni il cui significato è negoziato fra di loro;
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un’impresa comune, definita dai partecipanti e risultato di un processo di negoziazione;
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un repertorio condiviso fatto di parole, strumenti, abitudini, modi di fare le cose, storie, simboli, azioni o concetti.
Le comunità di pratica non sono intrinsecamente buone o cattive: molti fattori entrano in gioco per determinarne la natura. Sono però una forza molto potente che ha in mano la chiave per operare dei mutamenti reali nella vita delle persone che ne fanno parte.
Possiamo verificare se il gruppo dei diplomati del Master Itals di 2° livello è veramente una comunità di pratica andando a testare l’applicabilità delle condizioni esposte sopra alla loro situazione e, in particolare, all’organizzazione del convegno.
3. LA COMUNITÀ E L’ORGANIZZAZIONE DEL CONVEGNO
La caratteristica principale del convegno è stata la sua “costruzione dal basso”. La volontà di un incontro in presenza era chiaramente presente nella comunità, ma la sua strutturazione non era mai stata affrontata.
3.1 MUTUO IMPEGNO DEI PARTECIPANTI
Già durante la formazione on-line i partecipanti avevano delineato degli ambiti di interesse su cui confrontarsi. Le modalità però si sono profilate nel tempo, attraverso l’adozione di alcuni canali privilegiati di comunicazione (il forum) e il riconoscimento dello status del moderatore temporaneo delle discussioni. L’organizzazione del convegno ha fatto nascere nuove figure di riferimento necessarie per coordinare i momenti ritenuti importanti: l’incontro con le case editrici, l’individuazione delle aree tematiche in cui distribuire gli interventi, la redazione del testo degli interventi secondo delle norme condivise.
L’esclusione di alcune iniziative a vantaggio di altre, l’offerta del proprio tempo e delle proprie competenze per gestire alcuni momenti a distanza o in presenza e il riconoscimento delle capacità dei colleghi ha fatto sì che ciascun membro della comunità assegnasse significato anche a temi che sentiva meno pressanti per sé e il proprio contesto di lavoro, ma che riconosceva come un’esigenza dei colleghi.
3.2 IMPRESA COMUNE
Quale carattere doveva avere il convegno? Un sondaggio iniziale ne ha definito le linee generali, rilevando orientamenti diversi ma anche numerose posizioni comuni:
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le aree tematiche dovevano essere necessariamente limitate a 4 o 5 per non disperdere i contributi;
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era necessario che fossero presenti esperti delle aree tematiche individuate;
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gli interventi dei diplomati dovevano essere a carattere pratico e riflessivo, ricalcando il modello della ricerca-azione appreso durante la frequenza del Master (si veda il contributo di Maria De Luchi in questo numero);
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i tempi dovevano essere rigorosamente scanditi e fatti rispettare;
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doveva esserci tempo per la discussione e il confronto;
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anche chi non poteva partecipare in presenza doveva aver accesso a tutti i contenuti.
La condivisione dei dati emersi dal sondaggio ha dato origine poi a una proposta di struttura che, attraverso limature successive, ha portato a un modello di convegno partecipato e ampiamente interattivo, anche se non prevedeva momenti laboratoriali.
Il momento di incontro con le case editrici voleva porsi come dialogo con le stesse ed evitare l’impostazione “pubblicitaria” che spesso assumono questo tipo di kermesse. Per questa ragione si è deciso di impostare un sondaggio aperto a tutti gli insegnanti e arrivare al momento del convegno con delle richieste e dei dati da presentare agli editori (vedi il contributo di Nicoletta Peluffo in questo numero).
La percezione di condividere un’impresa e di essere parte importante della riuscita della stessa ha aumentato esponenzialmente l’interesse nei confronti dei lavori dei colleghi, senza però far scemare lo spirito dell’ “amico critico” che è uno dei principi fondamentali della ricerca-azione.
3.3. REPERTORIO CONDIVISO
Sia la preparazione del convegno che la strutturazione dei lavori di ricerca presentati hanno sottolineato come lo scambio efficace fosse possibile proprio grazie alla “lingua veicolare” condivisa dai partecipanti. Non ci si riferisce ovviamente all’italiano, quanto alla matrice glottodidattica e formativa esperita attraverso il Master e portata avanti nella didassi quotidiana nel luogo di lavoro.
Oltre alle componenti più strettamente legate all’insegnamento linguistico, è interessante notare come la comunità possa contare anche su strumenti di lavoro telematico ampiamente condivisi nelle modalità e nei tempi di sfruttamento.
4. DIFFUSIONE DELLA CONOSCENZA
Fin da subito, nell’organizzazione del convegno, ci si è chiesti se vi sarebbe stata una pubblicazione degli atti. Al di là delle considerazioni legate alle carriere individuali, la comunità, formata da insegnanti formati e esperti ma, nella maggior parte dei casi, non avvezzi alla pubblicazione, si è resa conto che dare ai propri lavori forma scritta e visibilità “oltre” i confini della propria aggregazione significava lavorare più in profondità e creare una nuova occasione di crescita professionale.
Si è scelto di collaborare attraverso il forum anche per la stesura degli atti, dinamica possibile grazie alla preziosa disponibilità di Paolo Torresan. La condivisione delle prime versioni degli atti e la lettura delle versioni corrette ha permesso agli uni di apprendere dagli errori degli altri. Tutti si sono cimentati con un genere come quello della scrittura accademica che ha regole e criteri di accettabilità ben precisi.
L’atto non è stato quindi un semplice prodotto ma un processo di costruzione.
La scelta di diffondere i lavori oltre le mura del convegno poggia sulla convinzione della Comunità che è importante far circolare le pratiche (soprattutto se buone) e mettere a disposizione di tutti i risultati del proprio ricercare.
5. CONTINUARE: IL CICLO DI VITA DELLA COMUNITÀ DI PRATICA
Come continuare l’esperienza? Il vigore dell’incontro in presenza ha prodotto una quantità enorme di stimoli da valutare e selezionare in base all’interesse per la comunità e alla fattibilità degli stessi. Ricordiamo infatti che la comunità non ha alcuna forma di finanziamento, il lavoro dei partecipanti è gratuito e volontario e poggia su un’istanza Moodle messa a disposizione gratuitamente dal Laboratorio Itals dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Le attività devono quindi essere realizzabili a costo zero oppure attraverso l’autotassazione dei partecipanti.
Vi è la richiesta forte di organizzare altri incontri in presenza e attraverso un altro sondaggio di feedback sono già state raccolte anche le caratteristiche che questi incontri dovrebbero avere. Vi è però anche l’esigenza di confrontarsi su temi trasversali, sempre riflettendo su problemi e proponendo soluzioni, mettendo a disposizione l’esperienza che ciascuno ha maturato.
Durante il convegno è emersa anche la diversa attitudine alla partecipazione dei membri: alcuni privilegiano il confronto in presenza, altri sostengono l’importanza della comunicazione a distanza. Vige comunque la consapevolezza del valore della “partecipazione periferica legittimata”, per citare ancora una volta Wenger e, soprattutto, di come sia fondamentale (Rossi, Bruni, 2006), per garantire un futuro alla comunità, andare oltre i concetti e di centro e confine perché di fronte al futuro tutti i componenti della comunità sono in qualche modo periferici.
A quale punto del suo ciclo di vita si trova dunque la Comunità dei Diplomati del Master Itals di 2° livello? Senza addentrarci in una descrizione della varie tappe (on-line è possibile consultare l’articolo di Rucci, 2006), a nostro avviso possiamo dire che la comunità sta passando dalla fase del matrimonio, in cui si stabiliscono i ruoli e si esplorano le possibilità di convivenza, alla fase del vivere come una coppia, in cui cioè si impegnano le risorse della comunità nella soluzione di problemi concreti, cioè la fase dell’operatività vera e propria della Comunità, in cui essa diventa punto di riferimento sia per l’esterno che per l’interno.
BIBLIOGRAFIA
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CELENTIN, P., 2007, Comunicare e far comunicare in Internet – Comunicare per insegnare, insegnare a comunicare, Cafoscarina, Venezia.
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BRUNI F., ROSSI P. G. (a cura di), 2006, “Editoriale”, Form@re, 41, http://formare.erickson.it/wordpress/it/2006/editoriale-39/
RUCCI, C., 2006, “Il ciclo di vita della comunità di pratica. Una metafora romantica”, in in Form@re, 41, http://formare.erickson.it/wordpress/it/2006/il-ciclo-di-vita-della-comunita-di-pratica-una-metafora-romantica/
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