Febbraio 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Mark Almond spiega il Drama Approach di Paolo Torresan

ABSTRACT

Mark Almond, Lecturer in Language Studies presso il Christ Church University College, di Canterbury, è noto per aver sviluppato un Drama Approach per l’insegnamento dell’inglese.

È formatore presso la Pilgrims (Canterbury, UK) e il Norwich Institute For Language Education (Norwich, UK). Cospicua la mole di articoli; la sua ultima fatica, A Complete Drama Approach To English Language Teaching, verrà pubblicata entro l’anno dall’editore “Modern English Publishing”.

Nell’intervista che ci ha concesso emergono le coordinate fondamentali della metodologia.

 

L’INTERVISTA

Caro Mark, nell’ambito dell’insegnamento delle lingue, si pensa alle tecniche teatrali quasi esclusivamente come una modalità per sviluppare la produzione orale. Tu pensi sia possibile servirsene anche allo scopo di introdurre un testo oppure di farlo comprendere o di analizzarne la lingua?

 

Sì, dipende dall’aspetto del Drama Approach che l’insegnante intende sottolineare.

Già la semplice lettura e è di per sé coinvolgente dal momento che stimola reazioni emotive da parte degli studenti, dando adito a domande del tipo: come ti saresti sentito in quella situazione? Cosa avresti detto a quella tal persona se si fosse comportata così con te? Conosci qualcuno di simile? Ti piace questo personaggio? Come continueresti la storia?

C’è da dire poi che, se è vero che uno scrittore scrive una sceneggiatura perché qualcuno la interpreti e se l’uso immediato che si può fare di questa in classe è appunto la rappresentazione, esistono molti modi di fare “teatro” in classe. Per me, Drama è un termine-ombrello, che comprende in sé tante strategie, che vanno dai classici role-play e improvvisazioni fino a attività meno note come lo storytelling, l’arte di raccontare una storia, oppure, più in generale, il presentare un qualsiasi argomento in pubblico.

Per quanto concerne la grammatica: il vantaggio maggiore consiste nel fatto che le strutture vengono evidenziate e messe a confronto con altre all’interno di un contesto, e non come entità a sé.

Ciò detto, l’attività più completa rimane comunque la messa in scena. Rappresentare qualcosa è un processo squisitamente cooperativo, in cui l’accento viene dato all’impegno creativo della compagnia di studenti-attori ai fini del successo comune. È quanto basta perché abbia luogo un’eccellente dinamica di gruppo e gli apprendenti acquisiscano una sempre maggiore sicurezza, sia nei confronti della lingua che in un senso più lato. Diremo poi che se ciò porta ad un perfezionamento della pronuncia, della fluenza e più in generale dell’oralità, lo si deve non tanto alla memorizzazione del testo, quanto al processo di costruzione dei personaggi durante le prove. Come vado a sostenere nel mio libro, è durante le prove che si hanno i maggiori benefici in termini di apprendimento linguistico.

 

Cosa rispondi alla critica più naturale che un insegnante di lingua ti può fare : “Sono attività fanno perdere troppo tempo!”?

 

Un’obiezione così formulata è propria di chi non sa come gestire al meglio attività di recitazione in classe. E mi riallaccio a quanto ho detto in precedenza: gli insegnanti dovrebbero essere formati su come trarre il massimo vantaggio da tecniche come il role-play o l’improvvisazione. In genere si è sì convinti della loro utilità (premesso si condividano i postulati di un approccio comunicativo), il fatto che non è invece chiaro è come servirsene proficuamente.

Nei miei laboratori presento tecniche che prendo a prestito dal mondo del teatro: sono ottimi strumenti per osservare, discutere e poi tradurre in atto alcuni comportamenti e modi di comunicare. Un buon esempio potrebbe essere il lavoro fatto da Keith Johnstone circa il ruolo di status nella comunicazione: ognuno di noi ricopre un certo status a secondo del luogo in cui si trova e delle persone che ha di fronte. Ecco, io mi servo di nozioni di questo genere e le rielaboro in modo da poterne ricavarne attività didattiche.

Oggigiorno sappiamo che, ai fini comunicativi, le parole che si dicono giocano una piccola parte, molto di più viene trasmesso dalle espressioni del viso, dai gesti, dal linguaggio del corpo e dal tono della voce. Non è certo mia intenzione suggerire agli insegnanti di passare parte delle ore di lezione a far esercitare gli studenti sul linguaggio nonverbale, ritengo però sia proficuo dedicare del tempo a discutere assieme a loro sugli effetti che certi gesti, un certo linguaggio del corpo o un determinato tono di voce possono avere sull’interlocutore. Si tratta di indizi che percepiamo immediatamente e inconsciamente nella nostra lingua madre ma che non sono invece così trasparenti nel contesto di una lingua straniera, quando monta cioè l’ansia di dover capire ogni singola parola.

 

Recitare però può essere imbarazzante…. Come ti comporti con gli studenti poco propensi a esibirsi di fronte ai compagni?

 

Una premessa: utilizzare tecniche di questo tipo in classe non costituisce una panacea, una soluzione cioè ai vari problemi che l’insegnante si trova ad affrontare ogni giorno. Ciò nondimeno può cambiare l’attitudine degli studenti verso la lingua, infondendo loro maggiore sicurezza.

Ora, è chiaro che uno studente timido non va messo sotto la luce dei riflettori, ha bisogno piuttosto di essere incoraggiato con un certo tatto a fare ogni volta un passo in più e di essere apprezzato; gli si può assegnare al limite assegnare un ruolo direttivo oppure si possono considerare alcune attività dove uno non è costretto a esibirsi dimostrando una certa performance.

Voglio ricordare una tra le esperienze che più mi sono rimaste impresse. In una classe allestimmo una rappresentazione di un solo atto e a un ragazzo croato, che aveva problemi di balbuzie e dimostrava una profonda insicurezza, assegnai un ruolo che per lui in un qualche modo costituiva una sfida; ebbene, durante l’esibizione, dimostrò una sicurezza insolita e non balbettava più.

 

Ricordo con piacere una tecnica che presentasti lo scorso luglio a Canterbury. Noi partecipanti a un certo punto dovevamo rimanere immobili… ce la puoi descrivere?

 

Ci sono molte freezing techniques in cui i corsisti rimangono immobili come se fossero “congelati”. Sono attività che non richiedono molto impegno da un punto di vista linguistico, hanno più a che fare con i sensi, in modo particolare con la consapevolezza dello spazio.

L’attività a cui ti riferisci si svolge più o meno così: gli studenti, a coppie, hanno un minuto di tempo per rappresentare con il corpo una parola scelta dall’insegnante, come per esempio “computer” o “amore”. È importante la negoziazione, che i due cioè arrivino a mettersi d’accordo su una rappresentazione comune. Ad un certo punto l’insegnante conta fino a tre, e al tre ogni coppia si immobilizza, “si congela”

L’insegnare sceglie una coppia a caso a cui chiedere di rappresentare l’immagine di fronte alla classe. Una volta che l’insegnante tocca sulla spalla i due, prima uno e poi l’altro, questi devono formulare una frase adeguata al contesto. Lo stesso procedimento si ripete quindi con gruppi di tre e successivamente con gruppi di quattro. Non mi limito a singole parole, a volte anche espressioni del tipo “una famiglia in vacanza” si prestano ottimamente allo scopo e ne escono dialoghi molto divertenti. Come per tutte le attività a carattere cooperativo, mentre discutono e mettono a punto il compito a loro richiesto, i discenti praticano abbondantemente la lingua [il corsivo è nostro, Ndt.].

 

Con una formula elegante, il tuo libro che sta per uscire suonerebbe in italiano come “Un approccio integrale mediato dal teatro” [“A Complete Drama Approach”]. Due domande: che cosa significa l’aggettivo “integrale” e quali qualità deve avere un insegnante che vorrebbe mettere in pratica un approccio di questo tipo?

 

L’aggettivo si riferisce al fatto che il libro presenta la messa in scena di un testo teatrale come un progetto autosufficiente e onnicomprensivo: c’è posto per il lessico, per la grammatica e per le abilità comunicative in generale. Il libro, in sostanza, cerca di venire incontro a un bisogno di materiale: come già dicevo, la percezione che tecniche teatrali possano essere impiegate proficuamente nell’insegnamento delle lingue è diffusa ma, di contro, di testi ricchi di soluzioni e di esperienze ce ne sono veramente pochi. È il motivo per cui presso la Pilgrims vengono attivati seminari e corsi sul tema, in modo che gli insegnanti desiderosi di sperimentare possano tornare in classe con nuove idee.

 

CONCLUSIONI

Questa intervista è un omaggio al lavoro che Mark Almond sta facendo da anni con la lingua inglese. In Italia, si sa, eccezion fatta per qualche articolo, non si dispone di testi sull’argomento. Proprio per questo siamo convinti che il contributo di Almond, pur nella sua essenzialità, cada su terreno vergine.  

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