Novembre 2007 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Il dott. Nicola Firmani ha diretto l''Istituto di Cultura di Beirut fino allo scorso luglio (l'incarico ora è assunto dal dott. Troili Ennio)***.
In questa intervista, rilasciataci ai primi di giugno 2007, Firmani ci dà l'idea di quali siano state, negli ultimi anni, le strategie adottate dall’Istituto per promuovere con successo la lingua e la cultura italiana in Libano.
Si tratta di un quadro incoraggiante, che può tornare utile a tutti coloro che sono coinvolti nella promozione della lingua e della cultura italiana all’estero.
L’INTERVISTA
Gentile Dottor Firmani, volevamo chiederLe innanzitutto quali sono i suoi legami con il mondo mediorientale e con il Libano in particolare?
Il Libano è uno dei paesi che conosco meglio. La mia prima nomina è stata per Beirut, nel periodo 83-87, durante una guerra civile spaventosa, in cui ogni giorno avveniva il conteggio delle vittime. Nonostante le difficoltà, è stato un periodo di intensi rapporti bilaterali, tra l’Italia e il Libano, sia sul piano culturale che su quello commerciale. Giocò, a tal proposito, un ruolo di estrema importanza l’appoggio che fornimmo all’Associazione di Laureati Libanesi in Italia, a cui appartenevano professionisti che avevano vissuto in Italia una decina d’anni circa —tra corsi di laurea, specializzazioni – e alcuni dei quali si erano sposati in Italia.
Successivamente, nel 2001, dopo aver svolto il mio mandato in molte altre sedi, ritornai una seconda volta in Libano, e ripresi tutta una serie di relazioni che si erano, per così dire, interrotte. Riattivai, in primo luogo, l’associazione di libanesi in Italia. L’obiettivo che si venne profilando fu allora quello di diffondere la nostra lingua nel maggior numero di scuole.
Ci può parlare delle istituzioni nelle quali l’italiano viene insegnato?
Certo. L’Istituto è composto da una sede centrale, che attualmente è a Baadba, nei pressi di Beirut, e alcune succursali: una ad Hamra, nel pieno centro di Beirut, una a Kaslik, a venti chilometri da Beirut, verso Nord; una a Tripoli (la capitale del Nord), e una, infine, a Tiro, che verrà inaugurata a breve, dopo essere stata distrutta durante l’ultima guerra con Israele. In tutte le sedi, l’insegnamento della lingua italiana viene impartito mediante corsi trimestrali di durata annuale, con un coinvolgimento di circa mille studenti.
Abbiamo avanzato la richiesta alle autorità libanesi di inserire l’italiano nei licei di Stato. Si tratta di un progetto che, dopo le prime inevitabili difficoltà, è andato felicemente in porto: dai sette licei iniziali siamo giunti ai diciotto attuali, in cui l’italiano viene insegnato come seconda lingua straniera, dopo l’inglese o il francese. Diciotto licei, ripeto, per un totale di milleseicento studenti che studiano la nostra lingua per loro decisione o per scelta delle loro famiglie.
Abbiamo inoltre pensato, come incentivo per i migliori, scelti fra le varie scuole, di offrire la possibilità di effettuare un viaggio-studio in Italia. Grazie all’amministrazione di Pavia, abbiamo promosso così esperienze di scambio linguistico-culturale, che sono state giudicate estremamente positive sia dalle autorità locali che dal Ministero.
L’italiano viene insegnato nelle università? Quali sono gli sbocchi lavorativi di chi studia la nostra lingua?
Da quest’anno è attivo il Dipartimento di Italiano presso l’Università di Stato libanese, con una nostra lettrice di ruolo, professori locali, da noi qualificati e aggiornati.
C’è da dire che i giovani che studiano l’italiano possono disporre di una vasta gamma di possibilità lavorative. L’Italia, infatti, è il primo partner commerciale del Libano. Molte società hanno bisogno di persone che parlino la nostra lingua. In passato abbiamo anche organizzato dei corsi per commercianti che intendevano perfezionare la conoscenza del lessico legato all’ambito commerciale.
L’Alitalia, l’Ambasciata, il Consolato, l’Istituto di Cultura sono ulteriori canali di sbocco lavorativo. Ci sono, infine, varie ONG che operano sul posto.
Oltre alle ragioni commerciali, cosa attira un libanese a iscriversi a un corso di lingua italiana?
Le ragioni sono moltissime.
Molti si iscrivono ai corsi perché intendono continuare i loro studi in Italia: abbiamo ogni anno un flusso di circa duecento studenti orientati a frequentare l’Università italiana.
C’è poi chi appartiene a un ceto sociale medio-alto che impara l’italiano perché lo considera una lingua colta, e magari si diletta a recarsi in Italia per assistere all’Opera a Verona, durante la stagione lirica, o per fare shopping a Milano.
C’è comunque da dire che molti libanesi sono trilingue (parlano arabo, inglese e francese), per cui gli risulta relativamente facile imparare una nuova lingua.
Quali sono gli aspetti della nostra cultura che attraggono di più: cinema, letteratura, ecc.?
Molti studenti sono interessati al nostro cinema. Per questo, ogni anno organizziamo diverse rassegne cinematografiche (in passato, in una sala dell’Istituto allestimmo un cineclub, di circa 90 posti; anticipavamo la proiezione del film con una spiegazione dei contenuti e con attività volte a facilitare la comprensione della lingua).
Un altro aspetto è quello musicale. Non mi riferisco solo alla musica classica; abbiamo organizzato anche concerti di musica leggera, che hanno riscosso un notevole interesse, specie tra i giovani.
Infine, non va dimenticato lo sport. Abbiamo un sacco di studenti tifosi della Juve, del Milan, della Roma. Quando ci sono stati i mondiali, nel 2006, interi quartieri erano tappezzati di bandiere italiane. Il Libano, non va dimenticato, è un paese di grande emigrazione (quattro milioni sono i libanesi che risiedono in Libano e sedici milioni quelli che vivono all’estero); durante i mondiali, molte famiglie esponevano le bandiere dei paesi in cui i parenti si trovavano a lavorare.
Vorrei però aprire una digressione, e dire che un certo amore per l’Italia ha anche ragioni storiche. Qui non mi riferisco agli scambi avvenuti in un passato lontano, ma ai recenti anni Ottanta, in cui il Libano è stato un teatro di guerra. Il contingente italiano, comandato dal Generale Angioni, dimostrò un comportamento estremamente corretto. Il Generale organizzò allora un ospedale da campo al servizio di tutte le confessioni (aperto ai drusi, agli sciiti, ai sunniti, ai cristiani), sopra le parti. Quel tipo di politica favorì in un certo qual modo l’incolumità della nostra Ambasciata: non si verificarono casi di rapimenti, come invece avvenne in altre Ambasciate. Insomma, da quella esperienza è rimasta una bella eredità, che ha predisposto favorevolmente i libanesi verso tutto ciò che è italiano.
Ci può parlare anche dell’insegnamento dell’italiano in realtà scolastiche private?
Abbiamo istituito forti collaborazioni con realtà private, come la Saint Joseph, la Sagesse, la Saint Esprit di Kaslik, la Nôtre Dame di Loussai, l’AIUB, l’Accademia di Belle Arti di Sinner Filles.
L’italiano è insegnato anche in numerosi licei privati, come il celebre Louis Vegman, il Conservatorio di Musica, Le Petit Lycée, Le Grand Lycée, la scuola delle suore carmelitane, chiamata ‘la scuola italiana’.
A Tripoli sono attivati dei corsi presso i Padri Carmelitani, mentre la prestigiosa Università dei Padri Antoniani, in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Ravenna, promuove dei corsi di mosaico.
Una realtà molto variegata e consistente, diciamo.
Abbiamo investito tutte le nostre forze e siamo stati facilitati dalla collaborazione con istituzioni locali, pubbliche e private. Ci possiamo dire soddisfatti.
Quanti sono coloro che studiano l’italiano in Libano, se è possibile darci una cifra, anche se approssimativa?
Circa cinquemila. Se consideriamo che la popolazione libanese si aggira sui quattro milioni, si tratta di una percentuale abbastanza alta.
*** Ci scusiamo con i lettori per aver dichiarato, in una prima versione (apparsa agli inizi di novembre 2007): " Il dott. Nicola Firmani è il direttore dell'Istituto di Cultura di Beirut", lasciando intendere che egli continuasse a dirigere l'Istituto al momento della pubblicazione del n. XXII del Bollettino. Il Direttore, P.E.B.