Novembre 2007 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Una descrizione puntigliosa, un’analisi capace di indagare cause e difficoltà relative alla promozione dell’italiano in terra di Giordania, preziosi spunti interculturali: sono questi gli ingredienti dell’intervista che ci ha rilasciato Maria Laura Iasci, lettrice ministeriale ad Amman.
L’INTERVISTA
Gentile Dott.ssa Iasci, ci può descrivere la situazione dell’italiano in Giordania? Quali sono le istituzioni che promuovono la lingua e in quali città sono concentrate?
L’italiano è insegnato in cinque università giordane. Nell’università più grande, l’Università Giordana di Amman, l’insegnamento dell’italiano avviene presso la Facoltà di Lettere, nel Dipartimento di Lingue Moderne. Qui da circa sei anni è stato creato un corso di laurea bilingue, un double major in inglese e italiano; l’italiano è la lingua straniera più studiata dopo l’inglese e il francese (seguono lo spagnolo e il tedesco, quindi altre lingue, come il giapponese, il cinese, il coreano, ecc.). Frequentano i corsi circa mille studenti a semestre; oltre a quelli della Facoltà di Lettere, ci sono molti che provengono da altre facoltà (architettura, farmacia, ingegneria, ecc.).
L’Università della Giordania è dotata di un Centro di Documentazione della Cultura Italiana che risale a una decina di anni fa, creato grazie alle donazioni fatte dalla Fondazione Agnelli e dal Ministero degli Affari Esteri italiano.
Presso il Centro Linguistico dell’Università è stato, inoltre, recentemente allestito un centro multimediale, dotato di computer collegati a Internet, materiale audio e video, testi cartacei.
Nell’Università della Giordania insegnano due lettori ministeriali, alcuni professori giordani che hanno conseguito il dottorato in Linguistica Italiana in Italia, una contrattista locale italiana laureata in Lettere, un professore che ha conseguito il dottorato in Italianistica presso l’Università di Pisa.
Per quanto riguarda il Nord, abbiamo due Università: quella di Yarmuk, ad Irbid, dove opera un lettore ministeriale, coadiuvato da una contrattista locale italiana, e quella di Al Aldeit, a Mafrak, in cui l’insegnamento dell’italiano è gestito da un professore giordano, che ha conseguito il dottorato in Linguistica Italiana in Italia.
In entrambe le università, ci sono circa duecentocinquanta, trecento studenti a semestre. Non è istituita in nessuna delle due una laurea bilingue in italiano pari a quella che c’è all’Università della Giordania; a Yarmuk il corso di italiano è un minor all’interno del corso di laurea in lingue moderne, mentre nell’Università di Al Albeit costituisce una minispecializzazione all’interno del corso di laurea in Inglese.
I corsi a Mutak, un’università a sud di Amman, sono stati invece chiusi a causa sia dei costi relativi agli spostamenti degli insegnanti di italiano che vivevano ad Amman, sia e soprattutto per una modalità di valutazione di tipo pass/ no pass (promosso/ bocciato) che ha provocato una grande demotivazione tra gli studenti.
Sempre a sud di Amman, tra Amman e Gerash, l’italiano è divenuto da poco materia di insegnamento presso la Philadelphia University. Sono attivi per ora dei corsi elementari, ma un recente incontro tra il Primo Segretario, il dott. Manzitti, e il Rettore dell’Università ha posto le basi per l’introduzione di livelli più avanzati, che possono interessare soprattutto quanti sono iscritti alla Facoltà di Turismo. L’insegnante è una contrattista locale, in possesso del Master Itals.
Nei pressi di Amman, l’italiano viene insegnato anche nella città di Zarka, presso la università yashemita. La gestione dei corsi è affidata a una contrattista locale italiana.
A livello di scuole private o associazioni culturali cito la Florence, di proprietà di un professore laureato in Italia, che ha precedentemente insegnato nei corsi di italiano organizzati dall’Ambasciata (rivolti sia ad adulti che a bambini, secondo la ex legge 153/1971). Presso la Florence si tengono corsi di italiano per adulti e di preparazione alla certificazione CILS (faccio presente, tra l’altro, che in base ad un accordo tra l’Università della Giordania e l’Università per Stranieri di Siena che risale al 1996, ogni anno si tengono due sessioni dell’esame CILS presso l’Università della Giordania, gestiti da un lettore ministeriale).
Una seconda realtà è il Comitato di Amman della Società Dante Alighieri, costituito due anni fa dalle insegnanti di madrelingua italiana che, da anni, insegnavano nei corsi per adulti organizzati dall’Ambasciata. Presso la sede, situata a pochi passi dall’Ambasciata, si tengono dei corsi trimestrali, per un’utenza di circa duecento studenti l’anno. La Dante di Amman ha organizzato in passato dei corsi di cucina (per i quali si è avvalsa di un cuoco, presente ad Amman in virtù di un progetto promosso dalla Regione Abruzzo e dal Moon College – progetto finalizzato alla costituzione di una scuola alberghiera), varie conferenze (sulla città di Napoli, per esempio, tenuto dal prof. Musto dell’Università di Napoli; su un particolare sito web per la promozione dell’italiano, illustrato dalla giornalista Loredana Cornero). Presso la Dante è possibile sostenere la certificazione PLIDA.
Quali sono le motivazioni che spingono uno studente giordano a iscriversi a un corso di italiano?
Una delle motivazioni allo studio dell’italiano è l’interesse per la cultura in generale. Molti studenti, specie quelli che provengono dalla Facoltà di Architettura, sono interessati all’arte.
Ci sono poi motivazioni di tipo professionale. Penso agli studenti che vogliono continuare a studiare in Italia, provenienti soprattutto dalle Facoltà di Ingegneria, Medicina e Farmacia. Anche gli studenti della scuola di mosaico a Madaba, istituita con l’aiuto dell’Italia, avrebbero l’intenzione di proseguire gli studi in Italia, seguendo corsi presso Dipartimenti di Archeologia o di Restauro. Molti, ancora, studiano italiano perché vorrebbero trovare un impiego nel paese come guide turistiche, per quanto il flusso di turisti italiano sia calato a causa dei recenti fatti politici dell’area.
Ma ci sono anche motivazioni di altro genere; l’interesse per il calcio, per esempio, è vivissimo (mi hanno riferito – io non c’ero – che alla finale dei mondiali sembrava di stare in Italia).
Ci sono dei fattori, invece, che ostacolano la diffusione dell’italiano?
Innanzitutto va riconosciuto che ottenere il visto, soprattutto per gli studenti che sono in giovane età e quindi a rischio immigrazione, è difficile. In genere agli studenti universitari il visto è concesso in presenza di una borsa di studio; purtroppo però le borse di studio che riusciamo ad ottenere sono pochissime: sei o sette, da dividere tra tutte le università. Senz’altro la comparazione con altri paesi che offrono molte più borse di studio – pagando a volte anche il viaggio – non gioca a nostro favore.
Un secondo tipo di difficoltà risiede nella comunicazione all’interno dell’Università: non è affatto facile trasmettere in breve tempo, a tutti, le informazioni relative a un evento culturale. Ogni tentativo di mettere in contatto studenti giordani di italiano con gli studenti italiani di arabo presso l’Università della Giordania, non ha avuto successo – tanto per fare un esempio.
Va detto, comunque, che l’assenza di un Istituto di Cultura in Giordania limita di molto le possibilità di promuovere eventi culturali.
Ci sono state o ci saranno delle convenzioni tra università italiane e università giordane che possono favorire lo scambio culturale?
Esiste un accordo culturale Italia-Giordania, firmato nel 1999 e poi ratificato nel 2004 dal Ministro Moratti. Esso prevede lo stanziamento di fondi per l’organizzazione di eventi culturali in Giordania, l’istituzione di cattedre di italiano e la concessione di borse di studio a studenti giordani meritevoli (il numero delle borse, tuttavia, è andato diminuendo, nonostante la domanda sia sempre tanta).
Per quanto riguarda progetti tra le singole università, ce ne sono tanti.
Ci sono accordi tra l’Università della Giordania e l’Università di Lecce per le facoltà scientifiche.
Il Direttore dell’Ufficio Internazionale dell’Università della Giordania (che tra l’altro è anche Rettore della Facoltà di Lettere) è interessato a incrementare il numero di scambi con università italiane in cui si insegna l’arabo.
Esistono dei progetti di apprendimento a distanza?
Recentemente, assieme al Direttore del Dipartimento di Lingue Moderne (che, tra l’altro, è anche un insegnante di italiano) ho steso un progetto volto a inserire una componente online nei corsi di laurea bilingue italiano-inglese. Si tratterebbe di una modalità di blended learning; pensavamo che una percentuale del voto finale fosse dedicata alla partecipazione all’attività online e prevedevamo la presenza di ospiti di madrelingua italiana, al fine di aumentare le opportunità di contatto. Il progetto è stato approvato dal preside dell’Academic Research, che è un’unità all’interno dell’università. Speriamo, dunque, che a partire da settembre l’iniziativa possa realizzarsi. Certo è che si dovrà prestare una particolare attenzione affinché la virtualità possa essere percepita in maniera ‘calda’, come presenza di persone vive e non contatti di teste o di macchine. Il contatto in presenza continuerà, di conseguenza, ad essere fondamentale, proprio perché le tecnologie non consentono la ricreazione in toto del contesto situazionale.
Una domanda, infine, che riguarda la didattica: quali sono le eventuali difficoltà che un insegnante italiano può incontrare nel contesto giordano?
Una difficoltà, sicuramente, è quella di coinvolgere gli studenti in attività collaborative. Prevalgono, infatti, nel sistema educativo giordano, modalità di apprendimento passive: gli studenti sono più abituati a memorizzare che a collaborare, anche per via di una certa separazione tra maschi e femmine (anche se c’è da dire che nella Facoltà di Lettere c’è una netta prevalenza di studentesse).
È curioso notare come le relazioni tra i sessi all’interno del campus siano molto più rilassate che al di fuori del campus. Per cui, al di fuori del campus, può succedere che due compagni di corso di sesso diverso non si salutino, perché le norme sociali non lo prevedono, laddove all’interno del campus possono invece salutarsi, parlare, fare una passeggiata insieme.
Tornando alla questione della difficoltà di mettere gli studenti nelle condizioni di collaborare, ritengo si debba agire per gradi, condurli per mano e facilitare la comprensione tra studenti, non solo tra studenti di sesso diverso, ma in generale.
Venendo allo studio della lingua, bisogna dire che gli studenti giordani hanno una qualche difficoltà nel momento della riflessione metalinguistica. In effetti, sebbene arrivino all’italiano con già alle spalle una buona competenza in inglese (lingua che, negli ultimi anni, viene insegnata fin dalla prima elementare) la loro esperienza di apprendimento li spinge a puntare molto sull’ottenimento di una certa fluenza, con una scarsa coscienza delle strutture. Di conseguenza, nel momento in cui si accingono allo studio di una terza o di una quarta lingua, si trovano in difficoltà a seguire corsi in cui è richiesto uno studio formale della lingua o in cui vi è una comparazione tra due lingue, come nei corsi di traduzione dall’inglese all’italiano.
Immagino che gli studenti escano demotivati da questi corsi.
Certo. Diciamo che cerco di facilitare il loro apprendimento, organizzando attività di conversazione in cui è possibile scambiarsi i pareri sul perché una versione è meglio di un’altra, o perché due traduzioni possano essere entrambe accettabili da due punti di vista diversi. Tuttavia instaurare una discussione libera è spesso faticoso perché, appunto, gli studenti sono abituati al professore che sta in cattedra a valutare, a giudicarli male quando commettono un errore.
All’inizio dei miei corsi capitava, a lezione conclusa, che gli studenti mi rivolgessero delle domande e che poi si scusassero per avermi fatto le domande, come se chiedere non fosse lecito.
Insomma, gli studenti devono essere continuamente incoraggiati a porre domande, a esprimersi liberamente.
Vorrei aggiungere a questo proposito che nel 1999, è stato avviato un progetto – grazie ai fondi della Banca Mondiale e finanziato dal Ministero dell’Università giordano – per introdurre delle innovazioni nel curricolo di studi universitario, in modo da adeguarlo al mercato del lavoro. Questo progetto intende riformare le metodologie pedagogiche, sviluppando, in luogo della trasmissione dei contenuti, le capacità critiche e creative degli studenti, adottando un modello costruttivista della conoscenza e valorizzando la qualità dell’insegnamento.
Rientra, tra l’altro, nel progetto, l’istituzione di un centro di Quality Assurance, che ha come scopo la valutazione degli insegnanti.
L’attività di questo centro si è attirata, tuttavia, parecchie critiche.
Il fatto di avere un dottorato, difatti, suggellerebbe un ruolo di prestigio sociale che molti non vorrebbero fosse intaccato.
Altri invece criticano i criteri di valutazione. Io stessa, per dire, ho contestato la valutazione di cui sono stata oggetto: in un corso di grammatica in cui si insisteva molto sulle abilità scritte, gli studenti avevano espresso una valutazione negativa sulla base del fatto che non avevo sviluppato abbastanza le abilità orali. Ho contestato perciò la struttura stessa della valutazione: una griglia creata a priori, applicata ad ogni situazione didattica, indipendentemente dagli obiettivi specifici del corso.
Ad ogni modo, il fatto di usare le valutazioni degli studenti per prendere delle decisioni in merito alla promozione degli insegnanti lascia adito a perplessità: c’è una letteratura vastissima che suggerisce di considerare sì le valutazioni espresse dagli studenti, ma all’interno di un progetto più ampio, più articolato, di strumenti di misurazione dell’eccellenza dell’insegnamento.