Febbraio 2013  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Sintesi dei dati raccolti nell’analisi di attività didattiche per un pubblico di adulti analfabeti in L1 di Marta Congiu e Sara Di Simone

ABSTRACT

Questo lavoro, proposto qui in sintesi, è il frutto delle ricerche svolte sulla situazione di adulti, analfabeti nella prima lingua, che si trovano a studiare la lingua italiana nel nostro paese. È stata presa in esame l’offerta didattica di italiano come lingua seconda al fine di individuare elementi che siano alla base di attività didattiche efficaci e soddisfino i bisogni reali degli apprendenti. L’osservazione, condotta in una scuola a Roma e in un Centro Territoriale Permanente a Sassari, attraverso una compilazione sistematica di schede (una per ciascuno degli argomenti scelti: attività didattiche, spazio, interazione, discenti, materiali e metodi, comportamento) e la somministrazione di questionari ad insegnanti che lavorano con apprendenti analfabeti, hanno fornito dati sul profilo degli apprendenti, sul loro comportamento in classe e sulla didattica svolta. Il proposito è quello di evidenziare le caratteristiche della programmazione, delle attività didattiche e degli strumenti a disposizione in alcuni contesti d’insegnamento, interrogarsi sull’efficacia e individuare gli aspetti su cui si può e si deve lavorare. Il nostro obiettivo, nella convinzione di dover cercare gli strumenti per lavorare anche in situazioni così specifiche, sarà quello di proseguire in un percorso di studio che abbia come finalità la cura, intesa come “[…] il rapporto tra effettività e possibilità: dove il fatto di essere mondo, di essere quell’uomo lì e non altro, rappresenta per l’uomo la condizione della sua stessa progettualità esistenziale: della stessa possibilità di formarsi, di divenire ciò che può, concretamente, ma solo ciò che lui può1”.

 

1. CONTESTO DI OSSERVAZIONE

 

1.1. CTP, SASSARI

Il Centro Territoriale Permanente della città di Sassari opera in un territorio abbastanza omogeneo sul piano economico, sociale e culturale, che ha visto crescere negli ultimi anni, con l'aumento dei flussi migratori, l'esigenza di favorire e promuovere percorsi di integrazione linguistica e culturale.

I docenti del Centro hanno stabilito e adottato un preciso protocollo di accoglienza attraverso cui è stato possibile evidenziare le varie categorie di utenti che si iscrivono ai corsi: cittadini italiani che aspirano a terminare la scuola dell’obbligo; immigrati di varia nazionalità che necessitano dell’alfabetizzazione in lingua italiana o che vogliono perfezionarne la conoscenza e acquisire il titolo di licenza media per integrarsi meglio nel mondo del lavoro; adulti e giovani in cerca di occupazione. Tra le metodologie didattiche utilizzate troviamo: autoinchiesta; animazione; informazione; rielaborazione e confronto; problem-solving; tutoraggio. Per quanto riguarda la valutazione, gli studenti e gli insegnanti compilano sia questionari iniziali, per sottolineare i contenuti proposti, la durata e la scansione oraria, i bisogni, che finali, per evidenziare aspetti negativi, aspetti positivi, nuove proposte per migliorare l'offerta formativa in rapporto alle esigenze degli utenti. La sede dei corsi è una scuola elementare situata nel centro storico della città; ciò contribuisce a creare un clima disteso e allegro, grazie a tutti i manufatti che i bambini creano regolarmente e che sono messi in mostra nei vari anditi. I corsi di lingua e cultura italiana per stranieri che si tengono solitamente sono due, consolidamento e alfabetizzazione. Il corso di alfabetizzazione osservato è durato un intero anno scolastico e si è svolto dal lunedì al giovedì, dalle 20 alle 22. Gli orari vengono incontro alle esigenze degli studenti, per lo più lavoratori.

Le finalità e gli obiettivi che il docente intende raggiungere con questi discenti sono l'acquisizione delle strumentalità di base della lettura e della scrittura; saper decodificare semplici messaggi scritti di uso corrente; saper produrre semplici testi scritti.

 

1.2. SCUOLA MIGRANTES, ROMA

La scuola oggetto di osservazione in questi mesi appartiene alla rete Migrantes, che comprende scuole, per lo più gestite da associazioni di volontariato, che operano su tutto il territorio romano e che offrono agli immigrati servizi di vario genere, tra cui corsi di lingua gratuiti, supporto in iter burocratici, sostegno alle persone. Le scuole lavorano in rete, scambiandosi informazioni e coordinandosi per progetti, e hanno rapporti stabili con le istituzioni territoriali di Roma e del Lazio. La scuola Migrantes osservata - da qui in poi chiamata semplicemente Scuola - offre corsi di lingua italiana la mattina e formazione per docenti e volontari il pomeriggio. Gli studenti sono divisi in tre classi: analfabeti, classe di livello iniziale e classe di livello intermedio (corrispondente al livello A2 del Quadro Comune Europeo2). Assistenti e insegnanti sono, per la maggior parte, volontari che si mettono a disposizione per un determinato numero di ore a settimana. Alcuni insegnanti, invece, sono sempre presenti e vengono retribuiti. La metodologia utilizzata è ispirata principalmente al metodo Montessoriano, alle tecniche di Freinet e alle esperienze che la Scuola ha maturato negli anni. Il lavoro è rivolto alla valorizzazione del singolo, al riconoscimento dell’identità, ad attività corporee e manuali, alla costruzione autonoma dei materiali, ecc. La Scuola, composta da una stanza molto grande e due più piccole, è situata in un quartiere nella zona sud della città di Roma; lo stesso spazio è utilizzato anche da altre associazioni. Le aule, improvvisate all’interno di questo spazio, risultano inadatte principalmente per due motivi: non esistono banchi scolastici, ma solo grandi tavoli con sedie, e una delle stanze, che nasce in realtà come cucina, è eccessivamente piccola rispetto al numero degli studenti. La Scuola apre molto presto e le attività didattiche incominciano alle nove. Viene offerta la colazione a tutti quelli che arrivano e la didattica in classe è preceduta da una serie di attività che coinvolgono tutti gli studenti, in cui si propongono esercizi motori, giochi, canzoni, ginnastica ecc. La Scuola accoglie studenti che provengono da diversi contesti e situazioni, tra cui quelli provenienti dal Centro Accoglienza Richiedenti Asilo; questa struttura, quando non è in grado di offrire essa stessa dei corsi di lingua, contatta le scuole Migrantes per inviargli i propri studenti.

 

2. INTERPRETAZIONE DEI DATI RACCOLTI

 

2.1. DISCENTI

In controtendenza con il dato complessivo italiano, che vede il 51,8 % di donne sul totale dei residenti stranieri in Italia3, le classi osservate in questi mesi hanno una presenza maggiore di uomini (77%) . L’età degli apprendenti varia dai 16 ai 50 anni. Spesso all’arrivo molti si dichiarano minorenni per poter usufruire di accoglienza fino alla maggiore età. La provenienza geografica è illustrata nel grafico n. 1.

Fig. 1. Paesi di provenienza degli studenti

 

Si delinea un’eterogeneità nelle classi, dove grandi gruppi dominano e interagiscono tra loro e dove aspetti culturali prevalenti, inevitabilmente, orientano le attività e il modo di interazione tra studente-studente e studente-insegnante. Le lingue parlate sono diverse: a eccezione dei casi in cui si registra la conoscenza del francese o dell'inglese a livello elementare o di qualche vocabolo di italiano, per il resto le lingue conosciute sono il Wolof per i Senegalesi, il Bambara per gli studenti di Mali, Guinea e Costa d’Avorio, l’arabo e il bengalese. Gli apprendenti osservati nella Scuola a Roma sono, per lo più, richiedenti asilo e persone trasferitesi in Italia per un ricongiungimento familiare; gli apprendenti osservati a Sassari sono, per lo più, persone che lavorano come ambulanti o che sono in Italia per un ricongiungimento familiare. Il dato complessivo sulla tipologia degli studenti è illustrato nel grafico n. 2.

Fig. 2. Tipologia studenti

 

La condizione sociale, l’abitazione e il lavoro sembrano incidere profondamente sulla motivazione e la partecipazione attiva alla didattica. In particolare, gli studenti osservati a Roma sono residenti in un CARA, Centro Accoglienza Richiedenti Asilo4, nella provincia di Roma e vivono in una situazione di tacita semiclandestinità. La normativa5 prevede, infatti, che il richiedente asilo possa restare in Italia per qualche mese, con un permesso di soggiorno provvisorio, in attesa che la sua domanda venga valutata e che venga convocato in audizione. La maggioranza, però, resta in questa situazione per anni, senza identità, documenti, lavoro e casa. È evidente che questa condizione trasforma la Scuola nell’unica abitudine quotidiana e incide profondamente sulla motivazione degli apprendenti. La maggior parte delle donne incontrate che non risiedono in un CARA sono in Italia per il ricongiungimento familiare. La Scuola, anche in questo caso, assume una dimensione rilevante: se da una parte rappresenta l’unica possibilità di interazione nella lingua seconda, dall’altra comporta enormi difficoltà nel confronto con l’altro e nel superamento di ostacoli culturali e sociali. La maggioranza degli apprendenti appartiene alla categoria degli analfabeti strumentali e degli analfabeti totali6, non conosce né la scrittura né la lettura. Alcuni di loro dichiarano di non aver mai frequentato la scuola o di averlo fatto per qualche anno; molti di loro hanno una lingua prima che non presuppone la scrittura. I dati complessivi sulla situazione di partenza degli apprendenti osservati a Roma e a Sassari è illustrata nel grafico n. 3.

Fig. 3. Cosa sa fare l'apprendente all'inizio del corso?

 

Oltre a mancare completamente delle abilità scrivere e leggere, molti di loro evidenziano difficoltà enormi nella produzione e nella comprensione orale. È significativo pensare che queste persone, alcune nel nostro paese già da qualche anno, non riescano a presentarsi, a parlare di sé, a comprendere o a dare informazioni sul quotidiano, a chiedere indicazioni o aiuto. Si può affermare che, oltre alle funzioni pragmatiche descritte nel livello contatto del QCER, dovranno acquisire gli strumenti per poter studiare la lingua, purtroppo in una situazione anagrafica (età adulta) che sembra svantaggiarli nell’apprendimento. Sia per il livello A1 del QCER che per lo Stage I/ Benchmark 17, la maggioranza degli apprendenti rimane ben lontana dai descrittori.

Fig. 4. Cosa sa fare con la lingua l'apprendente all'inizio del corso?

 

Al momento della consegna o quando per qualsiasi motivo l’insegnante si rivolge allo studente, osserviamo dei dati molto diversi tra il CTP e la Scuola. Nel CTP il 31% degli apprendenti comprende sempre la consegna dell’insegnante, il 26 % spesso; nella Scuola la maggioranza degli apprendenti, il 40%, ha bisogno che l’insegnante spieghi singolarmente la consegna, mentre il 21% ha bisogno che sia un compagno a spiegarla in lingua madre e sempre il 21% che qualcuno la svolga per primo. Questo ultimo dato, come si vedrà nella sezione comportamento, descrive bene alcuni modi di agire degli studenti di Mali, Guinea e Costa d’Avorio, che riescono a svolgere un compito con l’imitazione di un compagno.

Fig. 5. L'apprendente comprende le domande dell'insegnante?

 

Le situazioni che si delineano sono due: la prima in cui lo studente ha bisogno continuamente del sostegno dell’insegnante che non solo spiega, ma svolge fisicamente l’attività, in modo da poter essere imitato e osservato di continuo; la seconda in cui c’è maggiore autonomia da parte di alcuni studenti, che hanno però un livello linguistico superiore agli altri. Di solito svolgono il compito e poi si annoiano, aspettando che tutti finiscano. Inevitabilmente questo crea demotivazione e distrazione.

Fig. 6. L'apprendente riesce a svolgere autonomamente l'attività?

 

 

2.2. SPAZIO

I due istituti osservati si differenziano per la disposizione dei banchi all’interno dell’aula. Nella classe del CTP, la disposizione è quella tradizionale, con i banchi in fila messi di fronte alla cattedra e alla lavagna. Non cambia in funzione delle attività proposte, perché la grandezza dell’aula, assai ridotta, non permette degli spostamenti. Quando vengono svolte attività di gruppo, gli studenti spostano le proprie sedie per poter lavorare più facilmente, ma solo il tempo necessario allo svolgimento dell’attività. Questa disposizione dei banchi corrisponde a quella che viene chiamata “lezione frontale”, nella quale è sempre l’insegnante ad essere il fulcro della lezione. L’insegnante sta spesso alla cattedra e si muove fra i banchi solo quando lo spazio lo permette; i primi banchi sono i più vicini, non solo in termini fisici, ma anche in termini di contatto emotivo e comunicativo.

Anche nella classe della Scuola, la disposizione è fissa e l’insegnante sta sempre in piedi di fronte alla lavagna, ma i banchi, che in realtà sono dei tavoli, sono disposti a ferro di cavallo. Questo setting permette agli studenti di guardarsi in faccia e di gestire meglio gli elementi extraverbali della comunicazione. Nonostante ciò, anche in questo caso, lo spazio a disposizione è ristrettissimo, non è possibile muoversi, e a volte girare una sedia diventa un problema. Una disposizione diversa, invece, si riscontra durante le attività che vengono svolte da tutte le classi della Scuola in un salone comune: i banchi sono, infatti, disposti a isole, l’ideale per lavori di coppia o a piccoli gruppi.

In entrambi i casi, le disposizioni spaziali riscontrate non favoriscono l’interazione fra gli studenti. Con la disposizione frontale dei banchi gli studenti possono comunicare solo con i vicini di banco. Con la disposizione a ferro di cavallo gli studenti interagiscono solo con persone che conoscono e quasi mai per questioni legate alla didattica. Il punto focale della visuale degli studenti è lo stesso nelle due classi: hanno sempre di fronte l’insegnante e la lavagna. La disposizione dei banchi in aula ha degli effetti anche sul comportamento motorio dell’insegnante, che trascorre la maggior parte del tempo alla cattedra o alla lavagna. Una conseguenza di ciò è che le interazioni basate sul contatto, sia fisico che emotivo, si riducono drasticamente, influendo sia sull’interazione che sulla didattica stessa. Per quanto riguarda la disposizione degli studenti nei banchi, i discenti preferiscono stare vicino ai compagni che già conoscono, o con cui condividono la stessa LM.

 

 

2.3. ORGANIZZAZIONE DELLO SPAZIO NEL QUADERNO

L’importanza della spazializzazione della pagina8 (intesa come la base su cui si pongono i segni grafici) e della parola è stata più volte evidenziata dagli studi che hanno esaminato il collegamento tra la scrittura e i processi cognitivi e culturali. Come anche Fernanda Minuz ha sottolineato (2011: 70):

un analfabeta strumentale che non ha mai imparato a leggere e a scrivere, deve imparare le convenzioni proprie ad ogni sistema di scrittura: nel sistema latino, la lettura procede da destra a sinistra e dall’alto in basso, le parole si dispongono in alto rispetto alla riga e questa disposizione determina la direzione più efficiente nel tracciare i grafemi scrivendo”.

Si è voluta verificare la presenza di alcune problematiche tipiche di chi si relaziona per la prima volta con lo spazio del quaderno, che ricorrono spesso anche in chi è affetto dal disturbo della disgrafia9, ad esempio nell’impugnare la penna, nella capacità di utilizzare correttamente lo spazio a disposizione, nella pressione della scrittura sul foglio ecc.

Il grafico n. 7 illustra il tipo di quaderno che gli studenti utilizzano a scuola. Nella classe del CTP gli studenti utilizzano sempre il quaderno a righe. Questo per una precisa raccomandazione dell’insegnante, che ritiene che le righe grandi possano facilitare la scrittura e siano più adatte per questo tipo di discenti. Al contrario, nella Scuola, si opta più facilmente per i quadretti o per altri tipi di quaderni, o si lavora direttamente sulle fotocopie, che presentano già uno spazio apposito per lo svolgimento dell’esercizio e non necessitano dell’uso del quaderno.

Fig. 7. Tipo di quaderno utilizzato

 

In generale, tutti mostrano dei problemi nell’orientamento nello spazio e nella trasposizione. Alcuni mostrano comunque difficoltà più evidenti, che sono motivo di frustrazione durante le attività e costituiscono un grave impedimento all’apprendimento della lingua.

Soprattutto negli analfabeti totali, la capacità di utilizzare lo spazio a disposizione per scrivere è ridotta. Non essendosi mai confrontati con l’attività della scrittura, non hanno la capacità di orientarsi nello spazio. Nella classe del CTP è l’insegnante a doverli guidare passo per passo, indicando con una croce nella riga il punto in cui deve iniziare la scrittura. Nella Scuola vengono svolte molte attività di pregrafia finalizzate a sviluppare la manualità dei discenti e a migliorare la capacità di tracciare correttamente il segno grafico. L’impugnatura è risultata quasi sempre scorretta, e a volte le dita arrivano a toccare la punta della penna e il foglio, rendendo l’operazione della scrittura ancora più difficile. Questo impone all’insegnante un controllo continuo durante lo svolgimento delle attività. Alcuni studenti tengono il quaderno troppo lontano rispetto al proprio corpo o quasi ci si appoggiano sopra; altri lo posizionano in maniera obliqua, assumendo una postura scorretta anche con la schiena; uno studente posiziona il quaderno addirittura perpendicolarmente rispetto alla linea del banco, dovendo poi piegarsi di lato per poter scrivere. Ancora l’analisi dei dati ha messo in luce che gli studenti non riescono a rispettare i margini del foglio, quando presenti. Seguire la linea di scrittura della riga o del quadretto è un altro esercizio che ha fatto emergere delle problematiche. Alcuni riescono a seguire la riga senza difficoltà, altri no. Per evitare che le parole siano scritte oblique, l’insegnante evidenzia con un colore la riga su cui scrivere, chiedendo allo studente di rimanere sulla striscia di colore. A volte risulta difficile anche dopo aver effettuato questo passaggio. È stato inoltre notato che, anche quando si riesce a seguire la linea, ci sono degli errori nel posizionamento sulla riga di alcune lettere, come la P, la F, la G, ecc., che vengono ripetutamente scritte non a cavallo della riga, ma nello spazio sopra essa.

È altresì emerso che la pressione della mano sul foglio risulta non adeguata, per lo più troppo marcata, negli studenti che presentano difficoltà nell’impugnare correttamente la penna e in quelli che hanno una postura scorretta.

Nella scheda si è scelto di osservare anche l’operazione di copiatura dalla lavagna, vista l’alta frequenza di questo tipo di attività. Spesso, la copia risulta difficile: alcuni studenti non riescono a copiare correttamente, omettendo qualche lettera, inserendo spazi non richiesti, invertendo tra di loro alcune vocali, o scrivendo le lettere a specchio. Alcuni hanno difficoltà nel tracciare il segno, nell’orientare la scrittura, nel rappresentare il grafema.

L’analisi del ritmo di scrittura ha evidenziato delle differenze tra le due scuole. Mentre nella Scuola gli apprendenti scrivono per lo più con estrema lentezza, nel CTP il ritmo di scrittura varia da studente a studente, con delle differenze marcate. Un’eccessiva lentezza si nota soprattutto in alcuni degli apprendenti presenti in classe, che hanno dimostrato di avere grosse difficoltà nella scrittura e che necessitano di più tempo, anche nelle operazioni di copiatura dalla lavagna.

 

 

2.4. INTERAZIONE

Nella classe del CTP l’interazione fra studenti durante le attività è abbastanza consistente: parlano tra loro per aiutarsi nello svolgimento e spesso chiacchierano tra loro.

Al contrario, nella classe della Scuola l’interazione è minima. Gli studenti interagiscono solo con i compagni che già conoscono o con quelli con cui condividono la stessa lingua madre. A volte si scambiano suggerimenti riguardanti le attività, a volte sono semplici chiacchierate tra conoscenti. Per quanto riguarda le lingue utilizzate nelle interazioni (grafico n.8) la lingua utilizzata maggiormente in entrambe le classi è la lingua madre, con il 62%.

Fig. 8. Lingua utilizzata nelle interazioni

 

La lingua italiana, invece, viene utilizzata nella Scuola solo se richiesta dalle attività (utilizzando per il resto solo la lingua madre, e limitando così le interazioni solo ai gruppi di studenti che la hanno in comune), nel CTP anche al di fuori delle attività, per la sua funzione sociale di comunicazione, con i compagni di altre nazionalità e con l’insegnante (grafico n.9).

Fig. 9. Lingue utilizzate nelle interazioni

 

Anche nella lingua utilizzata dall’insegnante ci sono delle differenze: mentre nel CTP il docente utilizza solo la lingua italiana, nella Scuola ricorre anche ad altre lingue per far capire le consegne agli studenti, che spesso non vengono comprese perché non adatte al loro livello linguistico, culturale e forse anche cognitivo, e il docente deve ripetere e fare esempi, far vedere esattamente come svolgere il compito, farsi imitare per facilitare la comprensione. Al CTP, le consegne risultano più semplici e più chiare; ma, quando comunque non vengono comprese da qualcuno degli studenti, questo o si rivolge all’insegnante per una spiegazione o chiede aiuto a qualche compagno di classe che risponde in LM. Quando gli scambi studente/insegnante sono semplici (quindi sempre costituiti da una domanda dell'insegnante e una risposta da parte dello studente) riescono con più facilità a raggiungere gli obiettivi. Quando, invece, lo scambio è maggiormente articolato, come per esempio le interazioni descritte nel livello A1 del QCER, l’efficacia comunicativa dell’interazione fra insegnante e studente fallisce. È emerso che le attività cooperative che presuppongono scambi verbali tra gli studenti sono veramente poche, e che, nella maggior parte delle situazioni registrate durante l’osservazione, la struttura dell’interazione è composta dalla “tripletta” domanda-risposta-commento. È stato osservato che nelle interazioni in classe è sempre il docente a detenere il potere in termini conversazionali: parla più del doppio rispetto ai discenti, fa un maggior numero di domande, apre e chiude l’interazione. Questo vale soprattutto nella classe del CTP, ma anche la Scuola presenta all’incirca le caratteristiche appena descritte.

 

 

2.5. MATERIALI E METODI

Si è ritenuto necessario osservare e descrivere i materiali e i metodi utilizzati in classe per comprendere quanto l’insegnante, nella scelta di un materiale e di un metodo (e quindi nella programmazione del corso e nella somministrazione delle attività), tenga realmente in considerazione i bisogni dell’apprendente e per registrare quanto le proposte didattiche vadano a vantaggio o a svantaggio dello sviluppo di un’abilità e della motivazione. La programmazione delle attività ha avuto come obiettivo principale, in entrambi i contesti di osservazione, lo sviluppo della scrittura e della lettura. I descrittori del QCER poco sono d’aiuto alla programmazione degli insegnanti. Questo strumento, infatti, si dimostra spesso inadeguato per ciò che riguarda gli ambiti o domini (lessico) e per l’approccio testuale. A Scuola la didattica propone elementi del Metodo Naturale di Freinet e del Metodo Montessori, di quest’ultimo soprattutto la costruzione autonoma dei materiali, l’utilizzo della chiave alfabetica e della lavagna mobile. In generale tutta la didattica ha come obiettivi il riconoscimento e la valorizzazione dell’identità dell’apprendente, l’abbassamento del filtro affettivo e l’attività fisica funzionale all’apprendimento. Nell’insegnamento della lettura e scrittura vengono presentate le lettere singolarmente: prima le vocali, che si ripetono con più frequenza nelle parole italiane, e poi ogni consonante. Di ogni lettera si presenta la grafia, la fonetica e vocaboli in cui la lettera è presente. Nei testi, a volte composti da due o tre frasi, si rintraccia la lettera e non la sillaba. Nel CTP viene utilizzato il Metodo Sillabico che fa riferimento all’approccio analitico, usato tradizionalmente nell’insegnamento della lettura e della scrittura, e che ha come unità base la sillaba. In quanto facile da isolare, la sillaba costituisce il punto di partenza per l'analisi e la sintesi dei segmenti di una parola. Come sottolinea Minuz (2011: 83), “le sillabe costituiscono un’unità più facilmente discernibile, e presentano l’ulteriore vantaggio di formare molto presto parole dotate di senso”. Ogni sillaba viene associata ad un’immagine, di solito un oggetto o un animale, il cui nome inizia con la sillaba proposta e che fa parte dell'esperienza e del lessico dei discenti. Attraverso l'uso di queste immagini si aiuta lo studente a ricordare meglio e ad automatizzare più facilmente il legame tra segno grafico e suono corrispondente, tra grafema e fonema. Si parte da vocali, dittonghi, sillabe dirette e inverse, per arrivare alle sequenze bisillabiche piane, presentando parole allo scopo di facilitare e motivare l'apprendimento della lingua scritta. Si passa poi a segmentare la frase in parole e la parola in sillabe, con una scansione del ritmo non solo nel tempo, ma anche nello spazio. Parallelamente alla presentazione delle varie sillabe e delle difficoltà ortografiche, vengono proposti brevi enunciati e semplici frasi. I dati registrati evidenziano come in nessuno dei contesti osservati si utilizzino manuali. Gli insegnanti affermano spesso che le proposte editoriali a loro disposizione non soddisfano mai i bisogni degli apprendenti analfabeti. Infatti l’impressione è che i manuali non solo non tengono presente le caratteristiche e le difficoltà dei discenti (differenze culturali, paratesto, scarsa comprensione), ma propongono anche ambiti distanti dalle loro esperienze quotidiane, perdendo la possibilità di utilizzare contesti più familiari agli apprendenti come risorsa a cui attingere per materiali e attività.

Nei due contesti di osservazione i materiali sempre presenti in classe sono la lavagna, i cartelloni, la chiave alfabetica montessoriana e l’alfabetario mobile. La lavagna è l’elemento su cui vertono molte delle attività osservate (l’insegnante scrive alla lavagna e gli studenti copiano, lo studente interrogato scrive alla lavagna ecc.); i cartelloni, preparati dall’insegnante e appesi al muro, vogliono essere un sostegno per la memorizzazione dello studente: presentano la lettera, le sillabe e un vocabolo in cui viene utilizzata la lettera; al vocabolo scritto corrisponde l’immagine; la chiave alfabetica montessoriana, rappresentata su un cartellone, è attaccata al muro in un punto visibile a tutti, presenta le vocali in rosso e le consonanti in blu ed è pensata per venire in soccorso dell’apprendente in qualsiasi momento; l’alfabetario mobile, composto da un supporto di legno su cui si scrive poggiando delle piastrine di legno o cartoncino, sulle quali è scritta la lettera in corsivo, aiuta l’apprendente che non sa scrivere con la penna a sviluppare in parte l’abilità di scrittura.

Fig. 10. Chiave montessoriana

 

Per lo più i materiali sono costruiti o dall’insegnante o dagli apprendenti durante le attività. In quest’ultimo caso la costruzione permette agli studenti lo sviluppo della manualità, che rappresenta un passaggio importante nell’acquisizione della scrittura. La costruzione autonoma dei materiali (ad esempio, le lettere dell'alfabeto), che poi verranno riproposti continuamente nel corso della programmazione, è di grande efficacia per la motivazione.

L’esercizio della scrittura è continuo, ma spesso l’inadeguatezza dei materiali si somma alle difficoltà degli apprendenti: per mancanza di risorse e per l’elevato numero di partecipanti, alcuni studenti si trovano a scrivere con una matita colorata o con il pennarello. In generale vengono utilizzate molte immagini, la cui grafica non è sempre adeguata: fanno riferimento al mondo dell’infanzia o a oggetti e ambiti molto distanti da quelli conosciuti dagli apprendenti. Inoltre, le fotocopie sono in bianco e nero e poco comprensibili poiché frutto di ripetute copie che rendono poco nitide le immagini.

In questi contesti vengono presentati materiali grigi, fotocopie tratte da vari manuali in commercio, collage di vari materiali ed esercizi pensati per un target di discenti differente, ma riadattati per un nuovo tipo di destinatari, che risultano poco motivanti per gli apprendenti. Secondo Barni e Villarini (2001: 55), sono ancora tanti gli insegnanti che utilizzano questo tipo di materiali. Tale scelta è dovuta alla carenza di materiali editi specificatamente per discenti analfabeti e alle caratteristiche del corso organizzato (c’è chi frequenta il corso solo per un breve periodo e poi lo abbandona, c’è chi si trasferisce in Italia a corso già iniziato, chi non si può permettere di comprare libri per un corso di italiano ecc.).

Durante l’osservazione nel CTP non sono mai stati presentati video e tracce audio. Sugli obiettivi fonetici si lavora solo con la voce dell’insegnante e, in particolare, per rafforzare il rapporto fonema-grafema si utilizza il dettato ortografico. Nella Scuola, al contrario, vengono utilizzati video e tracce audio, ma risultano inadeguati al livello linguistico degli studenti. Anche qui, nella presentazione delle lettere, la fonetica non viene affidata ad un supporto audio ma alla voce dell’insegnante.

 

 

2.6. ATTIVITÀ DIDATTICHE

La sezione sulle attività didattiche ha lo scopo di delineare un quadro generale di tutto ciò che gli studenti hanno svolto in classe. Le attività sono state, per prima cosa, definite, al fine di evidenziare quali fossero le più ricorrenti e con quale frequenza venissero proposte in classe.

Nella Scuola sono state proposte molte attività di pregrafia (come mostra il grafico n. 11, occupano il secondo posto con il 17%), che hanno permesso agli apprendenti di sviluppare la manualità che consente loro di tenere correttamente la penna e di orientare correttamente il segno grafico nello spazio della pagina. È stato evidenziato che questa tipologia di attività ha un buon impatto sugli studenti, che dimostrano un grande entusiasmo nel costruire da soli e con le proprie mani i materiali, e questo nonostante le difficoltà nel ritagliare i tessuti o i cartoncini. Una nota negativa emerge, però, per quanto riguarda l'alfabeto, presentato in corsivo: essendo una grafia che non si incontra comunemente, non permette agli studenti un facile riconoscimento.

Oltre alla pregrafia, un notevole peso è stato dato all'abbinamento immagine – testo e ad attività con obiettivi cooperativi e interculturali, che sono state svolte da tutte le classi insieme. Queste sono state utili a creare un clima sereno e disteso ma necessitavano di una maggiore contestualizzazione, con riferimenti ad ambiti più adatti agli adulti. Per le stesse ragioni è anche importante adeguare le attività al livello linguistico degli studenti per renderle più comprensibili e fruibili.

Tra le attività proposte nella classe del CTP sono prevalse quelle di lettura, abbinamento, completamento di testo e dettato ortografico. Spesso le attività svolte sono state non articolate, con pochi esempi, senza presupporre un reimpiego del lessico presentato.

Fig. 11. Attività didattiche

 

Le attività di pregrafia e abbinamento immagine-testo sono la maggioranza, insieme a individuazione delle sillabe, dettato ortografico e completamento. La frequenza di somministrazione di queste attività è coincisa con la presentazione in classe di ogni nuova lettera dell’alfabeto.

Fig. 12. Frequenza delle attività didattiche

 

Per quanto riguarda le quattro abilità di base, è stato evidenziato che le percentuali più alte sono state raggiunte dalla comprensione scritta e dalla produzione scritta, con rispettivamente il 31% e il 28%. Percentuali più basse si sono riscontrate nel caso della comprensione e produzione orale (16% e 22%), che risultano dunque essere un bisogno poco esaudito degli studenti. Per discenti analfabeti nella loro prima lingua è fondamentale sviluppare le capacità che permettano loro di impadronirsi delle abilità di lettura e scrittura, ma è altrettanto importante essere in grado di comunicare oralmente, di capire quello che gli viene detto e di rispondere a propria volta. Molti degli studenti lavorano come ambulanti, e sentono quindi ogni giorno la necessità di poter comunicare oralmente con i parlanti nativi. Altrettanto forte, se non di più, è la necessità di chi risiede in un CARA e potrebbe usare le proprie competenze orali per una maggiore integrazione anche al di fuori della scuola.

Fig. 13. Abilità di base

 

Ci è sembrato opportuno domandare se le attività proposte in classe fossero adeguate o meno ai bisogni degli studenti stessi. In questo caso, come mostra il grafico n. 14, la risposta è stata ampiamente positiva. Va sottolineato che le attività sono state sì adeguate, ma non sufficienti. Le osservazioni effettuate hanno dimostrato che sarebbe stato necessario sviluppare nello stesso modo tutte e quattro le abilità di base, proponendo attività maggiormente spendibili, per aiutare lo studente a raggiungere l'autonomia linguistica.

Fig. 14. Adeguatezza delle attività ai bisogni degli studenti

 

 

2.7. COMPORTAMENTO

Dal comportamento degli apprendenti è emerso un generale clima sereno all’interno delle classi, reazioni emotive a volte anche inaspettate e reazioni fisiche legate non solo all’attività che l’insegnante ha proposto, ma anche agli aspetti culturali e alla storia personale degli studenti.

L’osservazione delle reazioni e dello stato d’animo degli apprendenti al momento della consegna ha evidenziato che solo il 31% ha compreso immediatamente la consegna e ha svolto il suo compito. Il 23%, invece, non ha eseguito il compito ma ha aspettato che l’insegnante intervenisse, ripetendo la consegna, spiegando con altre parole e svolgendo anche lei il compito. In questo caso è sembrato che gli studenti di Mali, Nuova Guinea e Costa d’Avorio potessero svolgere l’attività cogliendo l’input non dalle parole ma dall’imitazione.

Infine, il dato più significativo in termini di percentuale ci mostra che la maggior parte degli studenti ha utilizzato la propria lingua madre con gli altri apprendenti al momento della consegna. A tal proposito, ricordiamo che in entrambe le situazioni osservate sono presenti gruppi di studenti che parlano la stessa lingua, o che appartengono agli stessi gruppi familiari, o che vivono nella stessa casa o nello stesso centro. Inoltre, la condivisione con il gruppo è un elemento significativo delle culture degli apprendenti.

Fig. 15. Come reagisce lo studente alla consegna?

 

Gli apprendenti si sono mostrati a volte distratti o svogliati, a volte partecipativi e ben disposti. Nella comparazione dei dati sul comportamento dello studente quando viene coinvolto nell’attività dall’insegnante sono emersi elementi molto interessanti. Come si vede dal grafico n. 16, il 28% degli studenti ha interpretato il coinvolgimento da parte dell'insegnante come un momento di riconoscimento della propria identità: essere chiamati alla lavagna non ha rappresentato un momento di difficoltà in cui si è soggetti a giudizio, ma un'occasione di individualismo in cui si emerge dalla massa nella quale, nelle esperienze quotidiane, si viene confusi. Analizzando singolarmente le due classi, notiamo che le due percentuali sono molto lontane tra loro: nella Scuola si raggiunge il 43%, mentre nel CTP il dato del 10% indica una reazione a noi più vicina culturalmente.

Il 21% degli studenti ha vissuto con entusiasmo il momento dell'attività. Nella lettura di questi dati è necessario sottolineare che probabilmente gli apprendenti del CTP si sono dimostrati entusiasti in presenza di un input adeguato al loro livello linguistico, mentre gli apprendenti nella Scuola erano entusiasti di essere protagonisti. In entrambe le classi, gli studenti non hanno mostrato timidezza, dato che ha confermato un clima di distensione e un buon rapporto con l'insegnante.

Fig. 16. Lo studente chiamato in causa dall'insegnante

 

Considerando che la lavagna è uno degli strumenti più utilizzati nella didattica, si è ritenuto necessario registrare la posizione dello studente nel momento in cui utilizza questo strumento (grafico n. 16).

Fig. 17. Come si posiziona lo studente davanti alla lavagna?

 

 

3. SINTESI DEI DATI RACCOLTI

 

3.1. ANALISI DEI BISOGNI

I bisogni non si possono definire a priori, ma nella programmazione l’insegnante può partire da quelli oggettivi e affinare le attività man mano che emergono i bisogni dei singoli apprendenti. Partendo dalle indicazioni di Paolo Balboni (2002: 91-92), che distingue i bisogni in bisogno pragmatico futuro, bisogno di imparare a imparare, bisogno al presente, si è delineato un quadro che ha evidenziato sia i bisogni che sono stati tenuti in considerazione sia quelli che sono stati tralasciati nella progettazione dei corsi e nello svolgimento delle attività.

I bisogni pragmatici futuri si esplicano nella necessità degli apprendenti di superare, attraverso lo studio della lingua, una situazione totale o parziale di esclusione sociale. In questo caso, i bisogni reali e immediati degli apprendenti sono stati soddisfatti solo in parte, perché, in entrambi i contesti, le insegnanti hanno ritenuto opportuno favorire la lettura e la scrittura rispetto alle altre abilità. Questa scelta si adatta ai bisogni degli apprendenti che in qualche modo sono già inseriti nel tessuto sociale, cioè gli studenti lavoratori, che già riescono a interagire in lingua italiana, anche se solo con brevi e semplici scambi.

Ma si adatta solo in parte agli apprendenti che si trovano in Italia per un ricongiungimento familiare. Le donne incontrate in questi mesi, ad esempio, trascorrono la maggior parte del tempo in casa, hanno contatti principalmente con la loro comunità e quindi negli scambi quotidiani utilizzano soprattutto la lingua madre. Hanno tuttavia necessità di imparare la lingua per parlare con gli insegnanti, per offrire sostegno ai figli nello studio, per interagire al di fuori della propria comunità.

I bisogni pragmatici futuri degli apprendenti che vivono nel CARA, invece, sono stati difficili da individuare. La loro situazione precaria influisce su ogni tipo di progettualità e compromette la motivazione. I desideri e le aspettative, che si possono tradurre in bisogni linguistici, dipendono dal loro destino in questo Paese, ed è stata proprio questa situazione aleatoria a rendere i loro bisogni estremamente altalenanti.

Il secondo bisogno analizzato, il bisogno di imparare ad imparare, si traduce, in questi contesti, nella necessità di possedere strumenti che facilitino lo sviluppo delle abilità di base. Agli apprendenti, che non sanno scrivere e leggere nella loro lingua madre perché spesso questa non presuppone la scrittura, sono state proposte attività manuali rivolte allo sviluppo del movimento sul quaderno, del senso della direzione e più in generale della scrittura. Queste attività, e la costruzione autonoma dei materiali didattici, rappresentano il primo passo verso l’indipendenza nello studio.

Le attività non hanno tenuto però conto della necessità di rilevare gli elementi non presenti nella propria esperienza e nella propria cultura d’origine, come ad esempio la capacità di trasposizione dalla realtà alla rappresentazione iconica, fino ad arrivare all’astrazione completa, o la visione euclidea dello spazio. Allo stesso modo è stato completamente assente il confronto tra la lingua madre e la lingua seconda.

In merito ai bisogni al presente è emerso che le attività proposte hanno risposto solo in parte alle necessità degli apprendenti. L'insegnante deve orientare la programmazione ai bisogni comunicativi e sociali, al fine di poter condividere in italiano le proprie esperienze, e affermare la propria identità, la propria cultura, la memoria di ciò che ci si è lasciato alle spalle. Le attività devono presupporre la cooperazione e lo scambio: il discente deve essere messo nella condizione di interagire in lingua italiana, imparando a lavorare in classe per raggiungere non solo obiettivi linguistici, ma comunicativi in senso più ampio.

 

 

3.2. MOTIVAZIONE

Quando si indaga sull’apprendimento di una lingua, non si può prescindere dalla motivazione dei discenti che intraprendono un nuovo percorso formativo. Come sostiene anche Caon (2004: 18), “Uno studente motivato è un soggetto che si attiva per un bisogno, un desiderio, un interesse particolare o una causa esterna e compie un determinato percorso per raggiungere la meta”.

Dall’analisi dei dati relativi alla motivazione che ha spinto i discenti a intraprendere un corso di italiano L2, è emerso un quadro significativo. Le motivazioni che hanno spinto i discenti della Scuola a frequentare un corso d’italiano sono molto diverse. Qualcuno lo ha fatto perché spinto dalla necessità di integrazione; per i più, però, la scuola ha rappresentato un’alternativa alla quotidianità. Questo è un caso particolare, visto che la maggior parte degli studenti risiedeva in un CARA (che non offre una formazione linguistica), e la scuola spesso ha rappresentato l’unico tramite di contatto con la comunità. Per quanto riguarda le donne arrivate per ricongiungimento familiare, la motivazione strumentale di lungo periodo10 si è intrecciata indissolubilmente con la motivazione integrativa specifica, poiché il desiderio di inserirsi nella società e integrarsi nella comunità dei parlanti è stato costantemente supportato dalla necessità di saper gestire interazioni quotidiane, per esempio con gli insegnanti dei propri figli. Per altri studenti non si è potuto parlare di motivazione di lungo periodo, visto l'incertezza sul futuro e sull'effettiva possibilità di restare in Italia. In una situazione del genere, la motivazione è altalenante, cambia di giorno in giorno, e necessita, dunque, di essere costantemente rinforzata e stimolata.

Le motivazioni espresse dagli studenti della classe del CTP hanno offerto un quadro diverso. In questo caso, la maggioranza ha dichiarato di aver necessità dell’esame o dell'attestato di frequenza per il rinnovo del permesso di lungo soggiorno. È sembrata, quindi, prevalere una motivazione strumentale di breve periodo. In realtà, anche qui abbiamo riscontrato una motivazione strumentale di lungo periodo e una motivazione integrativa specifica, supportate dal fatto che alcuni studenti, che hanno già ottenuto l’attestato, hanno continuato a frequentare il corso e si sono applicati con la stessa costanza di chi ancora non l’aveva ottenuto. Lo stesso tipo di motivazioni sono state riscontrate anche per le donne, che hanno bisogno della lingua per affrontare situazioni quotidiane, per esempio aiutare i propri figli nei compiti di scuola.

 

 

3.3. SPENDIBILITÀ DELLE ATTIVITÀ OSSERVATE

Durante l’osservazione è emerso che le competenze apprese non sono state sufficienti in termini di spendibilità nel quotidiano. La maggior parte delle attività è stata rivolta allo sviluppo delle abilità di lettura e scrittura, tralasciando quella orale. Il discente, alla fine del corso, è riuscito forse a compilare una scheda o a leggere un cartello, ma non ha avuto la possibilità di interagire verbalmente in modo autonomo.

Anche se difficile in classi eterogenee come quelle osservate, l’insegnante dovrebbe individuare motivazioni comuni agli studenti da sfruttare dal punto di vista linguistico, proponendo quindi attività che abbiano aspetti spendibili sia per gli studenti lavoratori, sia per chi ancora non lavora. Per alcuni studenti le attività didattiche andrebbero inserite in contesti legati alle pratiche burocratiche e al mondo lavorativo, operando sull’acquisizione della lettura e della scrittura e sulle strutture per la comunicazione quotidiana per chi non è ancora alfabetizzato.

Inoltre, visto che in entrambe le classi le donne sono in Italia per ricongiungimento familiare, le proposte didattiche dovrebbero puntare sulle urgenze di chi deve gestire una famiglia, come le pratiche burocratiche per l’affitto di una casa, i rapporti con le strutture sanitarie, i problemi nel seguire i figli nella vita quotidiana e a scuola, i rapporti con gli insegnanti ecc.

I progetti di vita e i progetti lavorativi futuri sono importanti per individuare e caratterizzare le attività didattiche, in modo da stimolare e aumentare la motivazione. In questo caso specifico, parlare di progetti di vita futuri non è sempre facile, soprattutto con gli studenti che risiedono nel CARA, i quali non sanno neanche se potranno rimanere in Italia o verranno rimpatriati. Nonostante questo, capire gli obiettivi a breve termine che il discente si pone, aiuta l’insegnante a proporre delle attività spendibili.

 

 

4. CONCLUSIONI

Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che la programmazione di un corso per adulti immigrati analfabeti dovrebbe, sin dall’inizio, prevedere lo sviluppo sistematico delle quattro abilità di base. Di fatto, però, confrontarsi con questo tipo di apprendenti induce l’insegnante a orientare la didattica, almeno per i primi mesi, solo sulle abilità di scrittura e di lettura. Così facendo si tralasciano i bisogni comunicativi più immediati e quotidiani dell’apprendente che, come nel caso della maggioranza degli studenti della Scuola, ha vissuto il corso di lingua come una delle poche occasioni di contatto con italiani. Gli studenti si sono ritrovati a frequentare un corso in cui hanno lavorato esclusivamente sulla scrittura e sulla lettura, con tutte le difficoltà connesse, senza riuscire a parlare e comprendere e senza riuscire a utilizzare immediatamente ciò che avevano appreso. L’insoddisfazione che ne è derivata ha danneggiato in maniera sistematica una motivazione spesso altalenante.

A tal proposito, in questi mesi è emerso che le motivazioni che hanno spinto queste persone a frequentare un corso d’italiano sono eterogenee. Molti sono stati spinti dal progetto personale di rimanere in Italia per un lungo periodo e quindi dalla necessità di integrazione (trovare un lavoro migliore, migliorare i propri rapporti sociali, avere un attestato), altri invece hanno presentato una motivazione legata a situazioni contingenti (è il caso di quegli studenti che non sanno se rimarranno a lungo in Italia). Nella creazione delle attività didattiche questo si è tradotto nella necessità di fornire stimoli efficaci sia per coloro che sono stati mossi da una motivazione strumentale, sia per quelli che hanno vissuto nell’incertezza.

I contenuti delle attività avrebbero dovuto essere ispirati non solo agli ambiti descritti dal QCER, documento che comunque sembra non considerare per molti versi questi apprendenti, ma far riferimento anche alla storia dello studente e alla sua quotidianità di straniero che vive in Italia. L’analisi delle motivazioni e dei bisogni ha evidenziato la necessità di proporre percorsi di studio che abbiano una maggiore ricaduta sulla vita degli studenti sia in classe, sia fuori, e che li aiutino a sviluppare degli strumenti appropriati per agire e fare con la lingua.

Queste considerazioni ci hanno portato a delineare attività didattiche che, utilizzando le tecniche del TPR e lavorando sulla comprensione e sulla produzione orale, abbassino il filtro affettivo e innalzino la motivazione, senza trascurare le attività di pregrafia e gli obiettivi affettivo-relazionali.

 

 

BIBLIOGRAFIA

AA. VV., 2011, Dossier Statistico Immigrazione 2011, XXI˚ Rapporto, IDOS, Pomezia.

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BALBONI P. E., 1994, Didattica dell’italiano a stranieri, Bonacci, Roma.
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CONSULTA REGIONALE PER L'IMMIGRAZIONE, 2011, Piano annuale per l’immigrazione 2011, [Internet] (14 pagine), Regione autonoma della Sardegna, http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_274_20110726184225.pdf.
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SITOGRAFIA

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http://www.itals.it/nozion/nozm.htm#anchor411830
Nozionario di glottodidattica a cura di P. E. Balboni, Università Cà Foscari

www.interno.it
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2 Q C E R 2002.

3 XXI Rapporto sullimmigrazione Dossier statistico 2011 Caritas Migrantes 2012: 13

5Cfr. Dpr 16.09.2004 n.303; Dl 19 novembre 2007 n.251.

6 Minuz 2011: 15-30.

7 Canadian Language Benchmarks 2000: 4-50

8 Con spazializzazione della pagina, si intende la rappresentazione delle lettere, dei grafemi, delle parole e degli spazi, di come sono collocati e distribuiti nello spazio della pagina.

9 La disgrafia è un disturbo specifico dell'apprendimento (DSA) che consiste nella difficoltà a riprodurre correttamente sia le lettere che i numeri; è riferita esclusivamente all'abilità grafica e non alle regole ortografiche e sintattiche.

 

10 Pallotti 1998: 212.

 

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