Giugno 2011  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
S. Thornbury, How to Teach Speaking di Paolo Torresan

AUTORE: Scott Thornbury
TITOLO: How to Teach Speaking
CITTÀ: Harlow
EDITORE: Pearson
ANNO: 2005

 

Scott Thornbury ripartisce le strategie didattiche volte a sostenere l’esercizio dell’oralità nel seguente modo:

  1. analisi del parlato (noticing awareness; nel linguaggio di P. E. Balboni: riflessione sulla lingua)

  2. esercizi di reimpiego (controlled practice nella letteratura anglosassone; Thornbury preferisce il termine practiced control; pratica di controllo [63], volendo così sottolineare l’azione di auto-regolazione che il soggetto esercita nell’atto di automatizzare strategie comunicative);

  3. produzioni libere (ovvero autonome, svolte in circostanze simili a quelle in cui si comunica nella vita reale).

In sintesi, nelle parole dell’autore [37; la traduzione è nostra; i numeri che rimandano alle tre fasi sono nostri]

“Gli studenti devono essere consapevoli delle caratteristiche della lingua oggetto di studio [1]; interiorizzare queste caratteristiche [2], e sviluppare la capacità di utilizzare le stesse quando si trovano a comunicare sotto una certa pressione [3]”

Il punto in cui si distacca la riflessione di Thornbury è la messa in dubbio della linearità di queste operazioni.

In altre parole se, con l’avvento del metodo comunicativo, e soprattutto per via degli scossoni che il cognitivismo impone alle convinzioni dei comportamentisti (al dire dei quali la mente sarebbe una tabula rasa), si suppone che le regole, anziché spiegate, possano essere interiorizzate dal soggetto che apprende, mediante il contatto con la lingua, rimane una traccia di ingenuità –a detta di Thornbury– in coloro che concepiscono le operazioni di analisi-reimpiego-produzione autonoma come momenti sequenziali (vedi immagine che segue).

ANALISI → REIMPIEGO → PRODUZIONE AUTONOMA

In particolare, è lo snodo reimpiego-produzione libera ad essere considerato con estrema attenzione da Thornbury. A suo modo di vedere l’idea secondo la quale (delayed oral practice) lo studente può avventurarsi in una comunicazione che presenta caratteristiche di verosimiglianza a quella che avviene al di fuori delle pareti dell’aula (con tutti gli aspetti legati all’imprevedibilità di quanto può dire l’altro, di pressione, di non pianificazione , di far leva sulle risorse disponibili, ecc.) solo dopo aver proceduralizzato a sufficienza una serie di chunk (analizzati in precedenza), rischia di essere controproducente.

Scrive [91; la traduzione è nostra]:

“Al fine di acquistare in autonomia, gli studenti hanno bisogno di sperimentare una qualità di comunicazione in classe che sia la stessa della comunicazione che avviene al di fuori dell’aula”.

Il bersaglio quindi dell’educatore inglese è quel comportamentismo perenne in atto in coloro a detta dei quali la libera produzione rappresenta una sfida improduttiva per gli allievi; a loro giudizio, lo studente potrebbe parlare solo quando è pronto a farlo, il che significa dopo una lunga serie di esercizi controllati.

Thornbury, ripetiamo, è convinto invece che se non si offre, fin dai livelli più bassi, l’occasione all’allievo di praticare liberamente lingua, all’interno di contesti di scambio autentici, il risultato, in termini comunicativi, sarà un affastellarsi disordinato di chunk, con una marcata influenza di abitudini linguistiche della LM.

Parlare in una lingua altra non è cioè il risultato di un apprendimento pregresso, ma è il luogo stesso in cui si dà, si potenzia, si affina e si rafforza l’apprendimento. In parole semplici: si impara una lingua, parlandola; mentre è ingenuo pensare che si parla una lingua, solo dopo che la si è imparata.

In questo senso, in termini operativi, anziché elementi giustapposti, analisi, reimpiego e libero esercizio possono esser colti come attività che si coimplicano, e che possono essere liberamente esercitate durante l’apprendimento linguistico, senza la necessità di dover rispettare sequenze didattiche che non rispondono alla complessità con cui abilità e competenze si formano nella mente di chi impara (si veda la immagine sottostante).

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