Giugno 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Paolo Rumiz La secessione leggera. Dove nasce la rabbia del profondo Nord di Roberta Barazza

 

AUTORE: Paolo Rumiz
TITOLO: La secessione leggera . Dove nasce la rabbia del profondo Nord
CITTÀ: Milano
EDITORE: Feltrinelli
ANNO: 2001
Pagine: 198

Il Nord-est d'Italia è la regione più ricca e produttiva del Paese e, nonostante ciò, proprio qui, dove il tenore di vita è più alto, cova la rabbia più profonda e il grido di protesta più forte di tutto il Paese. E proprio qui, terra che ha sempre votato Democrazia Cristiana ed è sempre cresciuta all'ombra del campanile, e in cui "comandi" è una forma comune di saluto, proprio qui, scrive Paolo Rumiz, cresce con maggiore intensità il demone dell'Antistato. Dopo secoli di miseria e dopo aver alimentato i flussi dell'emigrazione verso l'Europa del Nord e l'America, il Nord produce da solo più del doppio del Paese nel suo insieme. E' un mondo che si è arricchito velocemente e ha conosciuto una trasformazione improvvisa e violenta, senza maturare, ritiene l'autore, una cultura e una sicurezza tali da permettergli di entrare in un circuito di scambi più vasti; al contrario, la sua dimensione ideale e rassicurante è quella locale di un'Italia minore, provinciale e parrocchiale. Questa velocissima trasformazione ha causato una perdita di identità, di radici e di cultura e ciò è alla base dell'insicurezza e dell'aggressività dei tempi più recenti. E' uno sviluppo velocissimo e frenetico; la gente sembra dedicarsi totalmente al lavoro, assorbita da una smania di produttività quasi bestiale che sembra sfuggire al loro controllo. Sembra, scrive Rumiz, che lavorino senza pensare, senza controllare la nuova realtà e le trasformazioni economiche e territoriali con sufficiente riflessione e rielaborazione. In Lombardia questa smania di produttività è soprattutto mania di 'fare'; nel Veneto diventa mania di 'avere', una ricerca di ricchezza e di accumulo a volte neanche usata per vivere più comodamente, come se il ricordo di tempi di povertà portasse solo ad accumulare per garantire un superamento totale e certo della miseria passata.
Può sorprendere il fatto che aree che in passato erano quasi esclusivamente democristiane siano ora a grande maggioranza leghiste. I valori del Cattolicesimo (solidarietà, apertura agli altri, generosità, spiritualità) sono infatti difficilmente traducibili nel pensiero della Lega. In realtà, secondo Rumiz, si può comprendere questa evoluzione considerando che quando nasce lo Stato Italiano unitario, la Chiesa non lo benedice affatto e invita i cattolici a "non servire" lo Stato. Per cui fin dall'inizio sorge una contrapposizione tra parrocchia e municipio, e il campanile si profila come un potere in contrapposizione al potere politico. Dal fascismo alla DC alla Lega; in questo passaggio la continuità ha un denominatore comune: il rifiuto della Stato sostituito da un "altro Stato", un'altra forma di potere all'ombra di esso. Ma questo rifiuto dello Stato vero, considerato sfruttatore e parassitario, non è sostitutivo di un rapporto davvero positivo con quest'altra forma di potere: se si chiedeva alla gente perché votava DC, molti rispondevano che anche la DC è imbroglio, abuso e arbitrio ma è "il partito di Dio" e un cattolico poteva votare solo questa. E il legame col Cattolicesimo è ribadito anche dal ruolo fondamentale della famiglia, specie nel Veneto. Il pranzo a casa con i familiari è un appuntamento assolutamente inderogabile. Un criterio molto importante per la scelta di un lavoro è la vicinanza a casa. E mangiare fuori casa è ritenuto una grande sfortuna, per cui il pendolare che non può pranzare a casa viene commiserato come un camionista sempre sulla strada.
I leghisti parlano del Nord, della Padania e della sua emancipazione ma in realtà UN Nord, UNA Padania non esistono. Il territorio non ha confini geografici precisi. Neanche Bossi sa dove inizia e dove finisce. Non vi è UN Nord, bensì una realtà molto complessa, eterogenea e anche contraddittoria. Non vi sono confini definiti, ma neanche un'identità, una lingua unitaria. Anche la Padania, dice Rumiz, non esiste. Bossi ha capito che l'Italia ha un immaginario simbolico molto povero. Altrove fiumi o montagne sono immagini che cementano l'unità di un popolo. Si pensi al Nilo in Egitto o al Reno in Germania. In Italia il Po non gioca un ruolo importante nell'immaginario collettivo e non è fortemente associato all'identità nazionale. E l'Italia, come ogni altro popolo, ha fortemente bisogno di simboli di identificazione. Bossi usa per questo il fiume, la simbologia delle ampolle e i riti celtici per cementare una certa coesione sociale. In realtà si può ridere del loro uso sballato ma Bossi ne ha capito l'importanza. E non solo Bossi. Anche l'Ulivo è un simbolo efficace, o l'immagine di Prodi in bicicletta, simbolo di un'Italia che "pedala". Anche l'assalto al campanile di San Marco è un simbolo. Perché non Palazzo Ducale, o la Biennale o il Municipio? Il campanile è un simbolo molto più forte; rappresenta l'identità veneta paesana e provinciale. Un Veneto che però non è Venezia, ma il suo contrario. Mentre il Veneto è chiuso, bigotto, provinciale, parrocchiale, Venezia è aperta, non bigotta, multiculturale, politicamente complessa. L'assalto al campanile non è tanto vittoria di Venezia e del Veneto su Roma quanto vittoria del Veneto su Venezia associata a Roma. Il Veneto che vuole staccarsi da Roma in realtà è il Veneto che crede di potersi staccare da se stesso ma in realtà neanche lo vuole. Il Veneto, secondo l'autore, non ha la competenza e capacità di gestione politica ed economica e neanche la cultura necessaria per una piena ed efficace autonomia. I più grandi imprenditori veneti non sanno neanche parlare in televisione. Il Veneto è come un bambino un po' sciocco che vuole giocare ma non sa gestire con competenza il gioco. In realtà il Veneto e la Lega non vogliono realmente una gestione del tutto autonoma: non la saprebbero dirigere. È piuttosto una questione di soldi. Ciò che vogliono realmente, scrive Rumiz, è solo un federalismo fiscale. Si lamentano che lo Stato fa loro pagare troppe tasse. In realtà c'è una forte evasione. Alcuni imprenditori hanno cercato di trasferirsi in Austria ma dopo aver conosciuto la severità del sistema fiscale austriaco vi hanno rinunciato. Si lamentano con Roma ma altrove le tasse sono più alte. Quando c'era la DC i politici "offrivano" possibilità di evadere il fisco in cambio di voti. E Bossi rappresenta questo: la possibilità di pagare meno tasse piuttosto che un'autonomia politica che non sembrano in grado di gestire.
Il Nord viene accusato di razzismo. Il razzismo è ignoranza, debolezza, insicurezza, paura di mescolanze che minano la propria identità. L'identità sociale e politica è molto debole in quest'area. Non essendoci un'identità chiara in cui riconoscersi, una cultura di gruppo in cui identificarsi (anzi spesso i confronti con l'estero sono sfavorevoli), non resta che il ghenos, la razza. Se si va all'estero, in molti paesi si trovano subito regole molto precise da rispettare. Noi italiani rifiutiamo norme e regole perché ci sembrano contro i nostri interessi. Non potremmo dunque chiedere agli stranieri di rispettarle se neanche noi le rispettiamo. Se la Padania si oppone a Roma, in realtà basta assistere ad un comizio leghista per trovarci tutta l'italianità più stereotipata: chiasso, campanilismo, anarchia, creatività. Contrapporre il Nord a "Roma ladrona" non ha senso. Non c'è un Nord attorno al fiume Po. La riva destra del fiume è diversissima dalla riva sinistra in termini sociali. E parlare di origine celtiche sfiora il ridicolo; un discorso storico corretto è molto più complesso. A sud del Po vi è un diffuso anticlericalismo, e un maggiore senso dello Stato e della solidarietà sociale; vi è un legame più stretto e positivo tra intellettuali e classe operaia. A nord del Po lo Stato è la sanguisuga che ci deruba con le tasse e non dà servizi; a sud del Po si pagano le tasse abbastanza volentieri perché vi sono buoni servizi e centri di assistenza e solidarietà. Bologna per la sinistra è ciò che Brescia era per la DC: modello di sviluppo e buon governo. La Padania non è in realtà un mondo unitario, bensì complesso e spesso contraddittorio. Bergamo è la provincia più leghista. Bolzano è una provincia autonoma e riceve moltissimo denaro pubblico, per cui ci si può chiedere se è il Nord sviluppato che mantiene il Sud o se sono gli operai pugliesi che mantengono i bolzanini. A Bolzano la scolarizzazione è molto bassa: circa il 3% di laureati mentre la media nel Nord è 4,1% e la media nazionale 7%. La percentuale dei suicidi a Bolzano è doppia della media nazionale. Sembra che l'arrivo di molto denaro abbia aumentato l'aggressività e la divisione sociale. La Padania non è unitaria neanche dal punto di vista storico e linguistico. A Bergamo, ad es., riesce difficile usare la lingua delle altre province ma addirittura Bergamo Sopra non capisce la lingua di Bergamo Bassa. E neanche nel suo rapporto con l'ambiente la Padania è unitaria: i monti, i fiumi sono sentiti come estranei e non parte di un territorio in cui identificarsi, e il Veneto resta uno dei luoghi d'Italia in cui più il paesaggio viene violato. Quindi un Nord eterogeneo e persino contraddittorio, un luogo di grande altruismo, come nel volontariato, ma anche di egoismo, razzismo, meschinità e materialismo. 

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