Settembre 2015 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
AUTORI: M. Gonzáles Davies
TITOLO: Multiple Voices in the Translation Classroom
CITTÀ: Amsterdam
EDITORE: John Benjamins
ANNO: 2004
Il volume di Maria Gonzáles Davies raccoglie anni di esperienze e di studio sulla pratica della traduzione in contesti diversi:
- insegnamento linguistico (livello avanzato)
- formazione degli insegnanti (curiosi di introdurre attività traduttive, comunicativamente orientate, nelle loro classi)
- studenti di traduzione
Si tratta di un testo che affronta le insidie del tradurre attraverso una ricca serie di attività e di percorsi (sequenze di attività). Ed è proprio in nome di un uso comunicativo della traduzione che la studiosa intende recuperarla come strumento glottodidattico, nell’ottica di formare allievi capaci di mediare tra lingue e culture differenti. La traduzione, in questo senso, anziché facilitare un transfer negativo, lo previene. Mediante l’atto del tradurre (o dell’analizzare traduzioni non riuscite) lo studente può essere messo in contatto con la difficoltà di far corrispondere lessico e funzioni tra le lingue. Per quanto possa sembrare paradossale, la traduzione non è di per sé uno strumento inadatto nella classe moderna di lingua (così come si potrebbe pensare sulla base delle reminiscenze di come veniva impartita una lezione secondo il metodo grammaticale-traduttivo); dipende appunto dall’uso che se ne fa, e dagli obiettivi didattici che ci si pone. C’è, peraltro, da considerare che lo strumento può avere una sua giustificazione pragmatica, dal momento che a chi studia una lingua, prima o poi, viene chiesto – dagli amici, dai familiari, dai parenti – di tradurre o di far da interprete. Di particolare interesse, nell’aula di lingua, è l’uso della retroversione o traduzione doppia (backtranslation): lo studente traduce un testo dalla L2 alla L1 (o viceversa, anche se è considerevolmente più difficile); dopo un po’ di tempo lo ritraduce al contrario, ripristinando la versione d’origine. L’analisi degli errori intercorsi, sia formali che semantici, può diventare illuminante per lo studente. Numerose, le variabili dell’attività suggerite dall’autrice; ne citiamo un paio:
- la “gist backtranslation” (172-173): lo studente A legge un testo breve, gira il foglio in modo che non può più consultare quanto ha letto, prova a tradurre ciò che ricorda; lo studente B fa altrettanto con un altro testo breve; successivamente, si scambiano i testi tradotti e ciascuno cerca di ripristinare la versione di base, verificando poi se e quanto essa dista dall’originale. In questo tipo di traduzione-sintesi (o traduzione-riassunto) lo studente opera scelte pragmatiche in tempo reale, in una situazione di immediatezza simile a quella nella quale si può trovare, se si trova a svolgere il ruolo da interprete fuori dalle pareti della scuola (cfr. il concetto di “pressione comunicativa”).
- La “reverse dictation” (173-174): l’insegnante detta un testo in L2/LS (es. le battute dei personaggi di una sequenza filmica); gli studenti non trascrivono quanto sentono, ma traducono in L1. Alla fine l’insegnante mostra il testo originale in L1 (es. nel nostro caso, la versione originale in L1, di cui la versione dettata dall’insegnante può corrispondere ai sottotitoli in L2/LS). L’attività può essere adattata in maniera tale che il dettato avvenga all’interno della coppia: lo studente A detta il testo a B, che traduce all’istante. Anche in questo caso si allena la capacità di mediazione linguistica in condizioni di forte pressione.
Le doppie versioni di testi
- titoli di film, sottotitoli, canzoni tradotte sul web, menu, avvisi pubblici
- costituiscono una miniera incredibile: gli studenti, se nella direzione LS>L1, possono analizzare la bontà delle operazioni di traduzione, cogliere il perché di eventuali errori, e al limite confrontare la loro analisi con quella
- se resa disponibile dalla mediazione dell’insegnante – di un traduttore esperto (p.21).
La classe si trasforma, così, in una fucina di riflessione sui processi di transfer. Sono molto interessanti, poi, le attività che l’autrice pianifica in sede di introduzione alla traduzione. Per esempio, un’attività (pp. 112-113) si sviluppa a partire da un semplice smile, con riportato il nome John, e con una nuvoletta, con scritto “Matilda Monday” (Matilda lunedì), come se fosse un pensiero. Agli studenti è chiesto di scrivere a cosa immaginano si riferisca il pensiero dell’emoticon. Inevitabilmente si apre lo spazio alla soggettività: ci può essere chi pensa che il personaggio sia innamorato di una certa Matilda, chi pensa il personaggio vada a vedere il film “Matilda” il prossimo lunedì o si trovi con gli amici in un bar chiamato “Matilda”; così come altri possono pensare si tratti di un padre divorziato che può vedere la figlioletta Matilda il lunedì, o, in versione meno tenera, che si tratti di un serial killer che premedita quale sarà il suo prossimo bersaglio: una donna di nome Matilda. Nella comparazione delle interpretazioni c’è modo di discutere su come e quanto debba/possa essere fedele l’interprete/traduttore all’input di riferimento; su quali possano essere le inferenze culturali e individuali; se esiste o meno un parametro per stabilire la legittimità di una proposta rispetto alle altre. Scrive l’autrice (114), in merito alla varietà di interpretazioni riferite all’immagine descritta sopra:
“Different sentences are often used to explain the same thing. How can they be different if, apparently, the participants have been through a similar objective experience? This is just a small reflection on the complexity of mental operations, on the one hand, and on the futility of searching for a correct translation on the other. What is correct? What is faithful? All the above sentences [riferite all’emoticon] are, clearly, correct and faithful renderings of the picture, which points to the fact that seeking an Ideal or one-to-one translation leads to a dead end, whereas flexibility and creativity favour communication as long as they can be justified, transmit the text’s message, and keep and effect (comic, dramatic, and so on) similar to that of the source text. Translation, then, should be understood as communication not at the search for an exact equivalence. Translation loss may be inevitable […]”.
L’arte del tradurre, ricordiamo in chiusura, ha vissuto uno sviluppo molto simile a quello che ha attraversato la didattica delle lingue straniere: da una impostazione più formalistica ad un approccio più sensibile all’equivalenza pragmatica del messaggio, e più in generale alle sfaccettature culturali.