Febbraio 2006 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
AUTORE: Lerida Cisotto
TITOLO: Psicopedagogia e Didattica
CITTÀ: Roma
EDITORE: Carocci
ANNO: 2005
Il testo, fresco di stampa, sintetizza mezzo secolo di riflessioni circa il rapporto tra mente, conoscenza e didattica. L’obiettivo è quello di offrire al docente le coordinate teoriche della scienza dell’educare, non già come verità raggiunte, quanto come nodi di pensiero, svincoli, affermazioni che ora si escludono, ora si integrano.
Mente. Per il comportamentismo insegnare è un’operazione di travaso: l’insegnante sa, lo studente no, quindi l’insegnante insegna, mentre lo studente impara. Alle spalle c’è l’assunto che la mente sia una tabula rasa e che apprendere si risolva in una serie di comportamenti introiettati per abitudine e secondo modelli via via più complessi.
L’attacco cognitivista è mosso negli anni ’60, a partire dal riconoscimento del ruolo attivo che la mente assume nell’atto di ricevere un’informazione. L’attenzione degli studiosi si sposta così gradualmente dal prodotto al processo: se si volessero usare metafore animali si direbbe che lo studente è visto più come uno scimpanzé curioso, che manipola, trasforma l’oggetto del conoscere, piuttosto che come un pappagallo che passivamente e meccanicamente ripete.
Negli anni ’70, e poi ancora negli anno ’80, insegnanti, studenti e ricercatori studiano la mente come strategia, come stile, come modulo, come rete di connessioni.
Le teorie si avvicendano; si sottolinea, specie nell’approccio socio-costruttivista il ruolo fondamentale che ricopre, ai fini dell’apprendere, l’ambiente. A questa frase di Vygotskij si ispira la pedagogia del Cooperative Learning che tanta fortuna continua ancora ad avere: “Ciò che il bambino fa in collaborazione oggi, lo potrò fare da solo domani, poiché l’unico buon apprendimento è quello che precede lo sviluppo, non quello che lo segue”.
Quando le idee di Vygotskij cominciano a circolare, l’aria che si respira è già, per così dire, familiare, sia in filosofia che in linguistica.
Conoscenza. Negli ultimi decenni il concetto di conoscenza si è allargato. Quasi a rendere giustizia al vecchio adagio latino: Non scholae sed vitae, si cerca di guardare all’intera rete di poli formativi che possono, assieme, alla scuola, soddisfare i bisogni cognitivi dell’allievo. Si parla perciò di “aula didattica decentrata”, traducendo un concetto multiforme di conoscenza, come un oggetto cioè che permette diverse vie d’accesso, diverse modalità di interpretazione e di comprensione. L’insegnante deve puntare a un apprendimento significativo che incida nella memoria degli studenti, cavalcando i loro interessi e poggiando sulle loro esperienze pregresse; e a un apprendimento maturo o esperto, in cui gli studenti siano indotti a mettere in discussione credenze ingenue che fanno credere che la conoscenza sia rapida, e non richieda gradualità, che sia certa, se trasmessa da una persona posta in autorità anziché un processo di continua ricostruzione, e che sia scomponibile in elementi discreti, anziché un continuum che si espande in maniera indefinita.
Didattica. Un buon insegnante sa che nell’atto di veicolare il sapere e soprattutto di valutarne l’elaborazione, mette in gioco le sue emozioni. La dimensione affettiva è come una matrice, un utero della conoscenza, visto e considerato che il modo in cui l’insegnante “vede” lo studente, si traduce nel modo in cui lo stesso studente si percepisce come soggetto pensante. In altri termini, l’identità linguistica, scientifica, letteraria, ecc., viene costituita dall’atteggiamento cognitivo e soprattutto emotivo dell’insegnante, che può favorire o ostacolare l’autostima dello studente.
La posizione di Cisotto ammorbidisce il contrasto motivazione estrinseca-motivazione intrinseca che animò il dibattito pedagogico negli anni ’70, e che si traduceva in un irriducibile aut-aut. Questo passo è illuminante:
“Una ricompensa espressa sotto forma di apprezzamento per il lavoro eseguito durante un’attività intrapresa sulla base dell’interesse e, dunque, intrinsecamente motivata, non può che avere un effetto positivo sulla motivazione stessa. Un ragazzo può impegnarsi seriamente nello studio perché desidera imparare cose nuove e riceve gratificazione dal sentirsi competente, ma questo orientamento intrinseco non lo rende meno sensibile agli apprezzamenti di insegnanti o genitori. Se riferiti ad un lavoro ben svolto, tali apprezzamenti accrescono di fatto l’autostima e rafforzano propositi di impegno per il raggiungimento di traguardi importanti. Ciascuno di noi ha provato l’effetto incoraggiante di un apprezzamento ricevuto al momento giusto, da cui deriva indirettamente la conferma a proseguire nella direzione intrapresa. La capacità di sostenere il proprio apprendimento in forma autonoma e di guidarlo sulla base di motivi intrinseci è da ritenersi infatti un obiettivo, piuttosto che una condizione di partenza dei processi di istruzione”.
Nel complesso il volume è ben equilibrato e risulta esaustiva la trattazione degli argomenti; lodevoli qualità, considerata l’ardita impresa di restituire con chiarezza la portata e il significato delle questioni che animano tuttora le scienze dell’educazione.