Aprile 2006 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
AUTORI: Daniela Orbetti, Rossella Safina, Gianfranco Staccioli
TITOLO: Raccontarsi a scuola. Tecniche di narrazione autobiografica
CITTÀ: Roma
EDITORE: Carocci - Faber
ANNO: 2005
Recentemente pubblicato per Carocci e Faber, Raccontarsi a scuola è un testo di didattica rivolto agli insegnanti di scuole inferiori, elementari e medie, che si accingano ad affrontare l’autobiografia in classe come strumento didattico-pedagogico.
Di agevole lettura, il testo si presenta interessante in quanto offre al contempo spunti teorici, riflessioni, percorsi didattici da applicare in classe e una costante esemplificazione tratta dalla storia della letteratura autobiografica.
Perché l’autobiografia e perché a scuola?
Parlare di sé, raccontarsi è un’esigenza innata nell’uomo e costituisce il nocciolo della nostra identità, del nostro stare al mondo. Raccontarsi non è semplicemente sommare fatti, ma è anche e soprattutto confrontare, opporre, giustapporre ed apprendere. Non è passato tout court, ma è al contempo presente e futuro. Non è oggettività ma soggettività e oggettività insieme. La società di oggi, sempre più frenetica e tecnologica, tende a rimuovere questa esigenza, pur senza riuscirci del tutto. Questo bisogno, evidente negli adulti, si fa ancora più impellente in un bambino in fase di crescita.
Partendo da questo presupposto, gli autori sostengono l’esigenza che la scuola si faccia luogo privilegiato di accoglienza e mantenimento della memoria collettiva e individuale.
Ruolo degli educatori è quello di sviluppare nel bambino il pensiero riflessivo e critico necessario per apprendere dalla propria esperienza e da quella degli altri. Nella pratica scolastica, ciò si traduce nel ritagliare spazi nei quali i bambini, stimolati da incipit di scrittura, da immagini o suoni e indirizzati dalle regole del narrare, possono dare corso ai loro ricordi.
Le tecniche narrative presentate nel testo stimolano diversi sensi nel bambino, ma hanno un comune denominatore: consentono di raccontarsi, mantenendo le distanze dal vissuto attraverso strategie di estraniazione. Si parte da generi più tradizionali come il diario intimo o il racconto familiare per passare a tecniche artistiche come l’autoritratto –interessante il riferimento all’esperienza di Frida Kahlo– per arrivare infine alla ludobiografia, vale a dire la biografia attraverso il gioco. Un gioco particolare, diremmo, dove non contano le vittorie, ma i percorsi, le zone d’ombra ed i dettagli; esattamente come accade –sostengono gli autori– nella partita a scacchi che si tiene tra Marco Polo e il Gran Khan nelle Città Invisibili di Calvino, in cui la scacchiera vuota diventa più importante dei pezzi conquistati. Insomma, il gioco favorisce l’ascolto e la cooperazione e consente di raccontare/raccontarsi con leggerezza nella consapevolezza della finzione.
Notevole, nel testo, il continuo ammiccamento al passato, ad avvalorare l’idea della necessità della memoria per la costruzione di un’identità. Il passato ricorre come confronto per descrivere giochi didattici e attività ludiche di altre epoche (gli autori fanno, ad esempio, riferimento ai giochi linguistici del Cinquecento, come il gioco della pazzia nel Libro del Cortegiano di Castiglione); il passato come citazione letteraria; il passato come exempla. Interessante in questo senso è l’uso n classe del Questionario di Proust –questionario autobiografico a cui lo scrittore realmente si sottopose nel 1890– o, ancora, l’impiego della poesia S’i’ fosse foco di Cecco Angiolieri come input per attività sulla funzione del desiderio.
Leggendo il testo si ha la sensazione che non sia semplicemente dedicato all’infanzia, ma a tutti coloro che sentono la necessità vivere in un modo più autocritico e riflessivo.
Il riferimento ad Alice nel Paese delle meraviglie che vive una doppia vita di protagonista e di bambina che riflette su di sé sembra ribadire che –nelle parole di Demetrio– “il nostro sé è una casa abitata da tutto e dal contrario di tutto: abbiamo un’indiscutibile età cronologica, ma possiamo essere, nei fatti, ancora bambini e bambine nel nostro modo di sentire e di atteggiarci”.