Febbraio 2010 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
AUTORI: Cristina Maddoli
TITOLO: L’italiano al cinema
CITTÀ: Perugia
EDITORE: Guerra
ANNO: 2004
Il titolo del libro, L’italiano al cinema, chiarisce l’autrice, si presta ad una duplice chiave di lettura: l’italiano, da un lato, si riferisce alla lingua, dall’altro è il nome collettivo che rimanda a: gli italiani. In sostanza, il cinema, o meglio i dodici film selezionati, sono intesi come vettori che permettono di tracciare l’evoluzione politica e sociale, nonché linguistica, che il nostro paese ha attraversato durante l’arco di un secolo e mezzo.
Seguendo una chiara linea cronologica e prestando attenzione a che i film presentati risultino interessanti non solo per le peculiarità linguistiche e per il significato culturale, ma anche per il pregio artistico, Cristina Maddoli aiuta il lettore a percorrere con pazienza e spirito di indagine un balzo temporale così lungo. La sua ricognizione parte dall’unità d’Italia (il Gattopardo), passa per la prima Guerra Mondiale (La grande guerra), quindi per il ventennio fascista (Una giornata particolare; Amarcord); ritrae la miseria delle borgate romane e partenopee del dopoguerra (Ladri di biciclette; L’oro di Napoli); rappresenta le ansie e le contraddizioni del boom economico (Una vita difficile; I mostri), raggiunge gli anni ’70, segnati in Sicilia dall’affermazione dello strapotere mafioso (I cento passi), e arriva agli anni ’80 (Speriamo che sia femmina; Ultrà), fino alle insicurezze che caratterizzano l’Italia di oggi (L’ultimo bacio).
Un’esplorazione ad ampio raggio, dicevamo, considerata pure la mole di materiale autentico che segue la presentazione critica di ogni film: articoli di cronaca, poesie, estratti di romanzi, manifesti dell’epoca, fotografie, ecc. Di fatto, Maddoli, punta a contestualizzare il più possibile il testo cinematografico, in modo da indurre il lettore ad uno sguardo profondo, lucido, “intrinseco”; quasi a invitarlo, se straniero, a superare la convizione di vedere, attraverso il film, un pezzo di storia italiana, facendogli percepire, invece, il modo in cui l’Italia -in quel tal frangente storico e per conto di quel tal regista- ha visto se stessa.
Sul versante linguistico, il discente straniero di livello avanzato può contare su una serie di agevoli esercitazioni lessicali e su preziose e acute osservazioni sociolinguistiche, che consentono di apprezzare la finezza delle scelte stilistiche che caratterizzano la sceneggiatura di molti film.
A tutti è chiaro, per esempio, che il neorealismo attinge a ciò che fino ad allora era visto come lo stimma di una sottocultura rozza e ignorante, il dialetto, e fa di esso la bandiera di una nuova estetica: l’arte come mimesi della realtà , tanto più efficace, dunque, quanto più autentica. Ma che dire di una lingua che subisce un processo di “lifting”, com’è quella che caratterizza i dialoghi dell’Ultimo bacio? Che dire cioè di una lingua dove abbondano le iperboli, gli eufemismi, la denominalizzazione -tratti del gergo giovanile che sono entrati a forza nell’italiano contemporaneo? Che dire, insomma, di una lingua, parlata appunto dagli italiani di oggi -tanto dal trentenne quanto dal sessantenne- che riflette la paura di crescere e di invecchiare, tema centrale della pellicola di Muccino?
In sostanza, il testo in esame si presta a veicolare significati e considerazioni che tornano utili non solo al discente straniero ma anche al nativo italiano, che ha modo perciò di indagare in profondità e apprezzare con maggiore consapevolezza la cultura di cui è portatore.