Settembre 2004  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Bepi Merisio, Per le antiche strade di Paolo Torresan

AUTORE: Bepi Merisio
TITOLO: Per le antiche strade
CITTA': Perugia
EDITORE: Edizioni Centro Valle Studi Imagna
ANNO: 2004

Se è vero che la differenza rende umane le culture, come afferma il sociologo Ulderico Bernardi, il nostro paese vanta una cultura "umanissima", giacché -cito Prezzolini- offre una gran quantità di paesaggio, di uomini, di ricordi, di costumi e di parlate, per cui dieci miglia in Italia permettono maggiore diversità d'incontri che non cento negli Stati Uniti del Nord. Siamo infatti eredi di un passato straordinariamente impreziosito dalla diversità di luoghi, di incontri e di accenti. Siamo figli di scalpellini, di sarte contadine, di braccianti operosi, di artigiani pazienti. Di sera sorseggiamo l'aperitivo nei campielli dove secoli addietro si decidevano le rotte delle sete, d'estate attraversiamo autostrade che lambiscono chiese romaniche, e nei nostri dialetti sonnecchiano fonemi etruschi, sopravvivono vocaboli arabi, si tramandano nenie greche. Le "strade" di Bepi Marisio, ovvero le tante foto di questo suo album (che lo confermano tra i fotografi più celebri del Bel Paese), sono i luoghi in cui si è venuta a costituire la nostra identità: la piazza, la chiesa, la casa di famiglia, il cortile. Si tratta di un balzo all'indietro in un tempo non lontano: dall'ambiente rurale del dopoguerra al boom degli anni sessanta; eppure il senso di appartenenza, che istintivamente saremmo tenuti ad avvertire, è messo in agitazione da un brivido segreto. Come pellegrini al seguito del cerimoniere dovremmo trovare una calda identità guardando alle processioni del Corpus Domini, così come ci dovrebbe risultare familiare la tensione che si legge nelle facce degli scolaretti alle prese con gli abbecedari ma un non so che ci urta e ci sconforta. Sarà che quei luoghi paiono sempre più inabitati -nel tempo, il nostro, segnato della precarietà degli incontri, dalla scomparsa dell'agorà dall'orizzonte degli ideali-, sarà, ancor di più, che la schizofrenia tra memoria e presente, tra spinta verso il futuro e sfiducia nella res pubblica toccano vertici che raggiungono -parola di politologo (Sartori)- i vertici della demenza. Sarà. E tuttavia il disagio che danno queste foto non è nostalgia: è una fitta benefica, uno scotimento salutare, un qualcosa che arriva dal profondo, che ha le caratteristiche emotive della liberazione e della salvezza. Non è la memoria, mi chiedo e vi chiedo, l'antidoto più potente all'omologazione e la fonte di ogni dialogo interculturale? In effetti, come il fotografo- e la metafora viene dal libro più bello del poeta Paolo Ruffilli (Garzanti 1987)- nella camera oscura si accorge di particolari straordinariamente preziosi che gli erano sfuggiti mentre fotografava, sfogliando Merisio abbiamo come l'impressione di leggere qualcosa di ben più profondo di quanto possa apparire a prima vista. Detto altrimenti, queste foto, intense come scene di film neorealista, raccontano con grazia e straziante lucidità i valori di cui si va a impastare la nostra lingua, trasmettono i significati di molte parole imparate e che ora insegniamo. Eppure mai come oggi, assieme al paesaggio e ai beni culturali, la memoria storica è patrimonio a rischio…  

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