Giugno 2010 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
AUTORE: B. Severgnini
TITOLO: L’italiano. Lezioni semiserie
CITTÀ: Milano
EDITORE: Rizzoli
ANNO: 2007
Oggi,14 dicembre 2009, mentre mi prendevo una pausa nella rilettura del testo di Severgnini, mi è capitato di ascoltare un’intervista televisiva (su Rai Due, un dibattito frivolo attorno al tema “Belle e zitelle”) .Un tale, introdotto come esperto di seduzione, mentre commentava la situazione di infelice nubilato di donne famose, si esprimeva dicendo “hanno tutte le sintamotologie…”. Sintomatologie, mi son chiesto? Perché non sintomi, è più breve, è più accessibile, è più preciso.
Ritornato alla testiera, ho pensato: “Vuoi vedere che la lettura di Severgnini mi ha fatto effetto!”
Parrà strano che recensiamo il libro di Severgnini, rivolto a un grande pubblico: una recensione del genere stona in una rivista specialistica come la nostra. Italiano, lezioni semiserie non è un testo scientifico infatti; la bibliografia è assente; c’è una anarchia dei pensieri. Eppure nel libro si aprono squarci sull’italiano parlato e scritto, per opera di un osservatore molto sensibile. Si direbbe “per forza di cose: Severgnini è giornalista e scrittore”. Certo, tuttavia alla competenza si aggiungono intuizioni sociologiche e psicologiche raffinate.
Parecchi brani possono essere introdotti nei corsi di lingua a stranieri.
Severgnini non è un purista: non disdegna di manifestare un atteggiamento disinvolto nei confronti di alcuni aspetti linguistici, come con la proposta di bandire l’allomorfo gli di fronte alla p seguita da consonante (19): “si dovrebbe scrivere gli pneumatici, come si scrive gli pseudonimi […] ma suona pedante. Scrivete pure i pneumatici. Si pronuncia meglio ed è più familiare”.
La grande battaglia Severgnini la gioca però sul versante dello stile e dell’efficacia. I mulini a vento contro cui combatte sono:
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le metafore cristallizzate (che tolgono vigore e originalità all’esposizione);
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gli aggettivi in eccesso (a pag. 162 si legge: “esiste una inflazione semantica, subdola come quella monetaria. Se dico «Mario è bravo, gentile, disponibile, onesto, aperto, simpatico», lo demolisco. L’ascoltatore percepisce l’esagerazione implicita in quella scarica di parole, e pensa che Mario sia un mezzo deficiente. Se dico: «Mario? Una persona perbene» convinco i miei interlocutori che Mario lo è davvero”);
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le tautologie (in tempo reale, società civile, leggi vigenti, sincera verità, dibattito a più voci, impressione personale, ecc.);
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le pesantezze sintattiche (il che usato come passpartout; lievita sulla pagina che rimane sconvolta dall’eccesso di congiunzioni che scrittore lo poco avveduto non sa contenere –come abbiamo agito noi con quest’ultima frase);
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le ridondanze;
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l’oscurità del messaggio (a pag. 132: “Se costringete il lettore a rileggere, avete già perso. Se vi succede di pensare – peggio: di dire – «Non ha capito!» vergognatevi. La colpa non è MAI di chi non capisce, ma SEMPRE di chi (non) si spiega. O si spiega male”). Parole sante!
Rileggere, limare, togliere, rivedere, semplificare, mettersi nei panni di chi legge, evitare formattazioni per dare enfasi (per esempio il corsivo per evidenziare un concetto), sono alcune tra le indicazioni suggerite dallo scrittore lombardo.
Infine, l’aspetto più interessante per chi insegna una lingua a stranieri: il libro parla di valori della cultura italiana di oggi, nascosti tra le pieghe di comportamenti linguistici diffusi. .
Tra i vari esempi, riprendiamo il ciao-ciao-ciao, con cui si congedano gli interlocutori al telefono (rivela la fatica del congedo?), l’imperversare di avverbi che esprimono genericità delle intenzioni (in qualche modo: in quale modo; mannaggia? In un certo senso; perché in un altro senso, no?) o il proposito di avere uno sguardo ecumenico (pensiamo al ma anche di veltroniana memoria), congiunzioni che “avanzano una goffa richiesta di aiuto” (p. 25, nel senso che), la cavalcata del tu anche in contesti informali (si pensi anche all’uso invalso negli scambi tra i politici dell’Italia della Crisi: Giulio, Gianfranco, Tonino, Emma, Pierferdinando, Umberto, Giorgio, Rosy, Silvio, con concubine al seguito: Patrizia, ecc.).
L’unico dissapore nella lettura di questo testo curioso è l’eccesso di ironia. Circoli di battute si muovono di riga in riga come mulinelli nella pagina, e disorientano.
Ricordo un commento di Mario Rinvolucri alla maniera di cucinare italiano in alcuni ristoranti del Kent. Per apparire italiani, molti cuochi inglesi riempiono le pietanze di spezie. Tuttavia, Rinvolucri –che ha origini italiane– nota che la cucina del bel Paese è capace di equilibrio: c’è il porceddu e c’è il pane carasau; c’è la soppressa veneta (insaccato) che si accompagna alla polenta, ecc.
Ecco, Severgnini ricorda un po’ questi cuochi inglesi. A forza di fare il simpatico, s’inimica il lettore. A forza di scherzare sulla lingua, su di sé, sul proprio scherzare, sul lettore, su tutti, produce una sensazione di fastidio prima, e poi di disturbo. L’ossessione per la battuta, ora dotta ora alla Striscia La Notizia, il caricare di ridicolo persone ed eventi come fosse il conduttore di Paperissima, ci fa dire che Severgnini, sullo stile, non ha proprio raccontato tutto.