Febbraio 2008 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Nel presente articolo si descrive un’esperienza di insegnamento on line dell’italiano come lingua etnica a classi di studenti oriundi italiani residenti all’estero. Questi apprendenti, con il loro portato di vissuto personale, di conoscenza attuale e potenziale della lingua e della cultura italiana, destinatari tradizionali e in un certo senso “antichi” dei processi di insegnamento e apprendimento dell’italiano, al confine tra la lingua madre (L1) e la lingua straniera o seconda (L2)2 sono stati considerati sotto una luce specifica, in modo da evidenziare i punti di forza e le difficoltà che si sono presentate all’interno del percorso didattico.
1. IL TARGET
Le aree tradizionali per le migrazioni italiane avvenute nei secoli precedenti sono rimaste mete privilegiate ancora fino alla metà del ventesimo secolo. Ad esse nel corso del tempo se ne sono aggiunte di nuove, marcando aree molto diverse non solo dal punto di vista geografico ma anche linguistico, sociolinguistico e culturale. Dagli Stati Uniti al Canada, all’America Latina, dai paesi europei della “mittelEuropa”(Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Olanda) o della Scandinavia (Svezia) fino alla lontana Australia3: in tutti i casi le condizioni “di arrivo” hanno attivato processi di adattamento e integrazione specifici, dipendenti dal contesto.
In tutti questi casi, infatti, e per ragioni diverse, il contesto e le precondizioni dell’emigrazione hanno prodotto effetti anche molto diversi sul piano socio-culturale e identitario di questi individui, determinando risvolti profondi anche sugli aspetti linguistici e semiotici, sulla conoscenza e presenza dell’italiano nel loro repertorio linguistico e culturale.
Eppure potremmo dire che nella quasi totalità si sono determinate anche condizioni e situazioni concrete che ad un’analisi più approfondita delineano un quadro sociolinguistico e culturale, che comprende, con le dovute differenze, caratteristiche, attitudini e comportamenti linguistici e sociali, specifici per questa tipologia migratoria, in parte comuni, in parte differenziabili secondo alcuni caratteristiche.
Lo schema di Bettoni (1993) classifica le caratteristiche comuni alle diverse situazioni migratorie sulla base di almeno sei variabili, allo scopo di tracciare una sorta di “profilo” dell’emigrato italiano, cui vogliamo anche in questo contesto riferirci: in primo luogo il riferimento alla migrazione intermedia, quella avvenuta da parte delle generazioni di padri e figli negli anni cinquanta e sessanta, perché più numerosa, e cui possono fondamentalmente essere riportate, per analogia di caratteristiche, anche i figli delle generazioni precedenti; in secondo luogo il contesto migratorio di arrivo tipico dei paesi di grande e composita immigrazione e “altamente industrializzati” (Olanda, Canada); in terzo luogo l’appartenenza a nuclei familiari o di individui stanziati all’estero, cioè quelli che più o meno volentieri alla fine “hanno fatto del nuovo paese la nuova patria”; in quarto luogo una distinzione necessaria tra la tipologia tipica dell’immigrato in paesi d’oltreoceano (più distanti ma anche con maggiore tendenza all’inglobamento dovuto alla politica di incremento demografico dei governi) e quella dell’immigrato in paesi europei (più vicini ma meno interessati all’inserimento e all’assimilazione per motivi esattamente opposti); in quinto luogo la distinzione tra la tipologia sociolinguistica degli immigrati in paesi in cui il prestigio economico e culturale dell’Italia era maggiore rispetto all’atteggiamento sociolinguistico degli individui giunti in società di destinazione in cui tale condizione non era ugualmente favorevole; insieme, in sesto luogo, alla maggiore o minore familiarità e “vicinanza” tra le lingue culture di arrivo e l’italiano, come nel caso delle lingue e culture romanze rispetto a quelle germaniche.
In tali condizioni migratorie comuni, lo stanziamento nei paesi “nuovi” ha prodotto situazioni diverse per conoscenza e presenza dell’italiano nel repertorio linguistico e culturale dei protagonisti, ma nello stesso tempo analoghe, anche se possedute in “densità” diversa: dai fenomeni di code switching o code mixing al bilinguismo o diglossia tra italiano e lingua del paese d’adozione; dalle interferenze continue tra le due lingue alla tendenza all’ italianizzazione, caratterizzata da varietà più o meno distanti di “italiano popolare”, ai fenomeni di dialettizzazioni dello stesso codice “lingua italiana”, con tendenze alla fossilizzazione.
2. IL PROGETTO
Se consideriamo questo target di riferimento come insieme di potenziali apprendenti in un percorso di insegnamento e apprendimento della lingua italiana e pensiamo ad identificarli come portatori di “bisogni, motivazioni, caratteristiche e risorse “ comuni, dobbiamo partire dal fatto che tale tipologia di apprendenti è stata già ampiamente e variamente trattata dagli studiosi dell’insegnamento dell’italiano L2: si potrebbe concludere da un certo punto di vista che tutto o quasi sia già stato detto? Senza contare che, per altri versi, molti apprendenti di origine italiana residenti all’estero sono ormai alla terza o quarta generazione: la lingua e la cultura italiana sono spesso lontane geograficamente e “affettivamente” per cui il loro approccio e interesse non dovrebbero discostarsi troppo da quello di un apprendente L2 come gli altri. E di quali altri si sta parlando? Ogni apprendente si caratterizza in realtà proprio per “bisogni, motivazioni, caratteristiche e risorse” individuali e in continua trasformazione.
Eppure gli insegnanti di lingua e i progettatori di percorsi di apprendimento linguistico sanno bene che è di solito possibile, oltre che necessario, elaborare un sillabo e un curricolo di studio sulla base di caratteristiche comuni agli apprendenti che facciano parte di un corso e che, con un certo margine di discostamento dalla media, tali caratteristiche sono anche riscontrabili, misurabili e verificabili.
In tutti i casi, secondo Vedovelli 2002a(190-192), tali caratteristiche possono trovare il loro comune denominatore nella ri-scoperta della propria lingua-cultura d’origine, che si pone come obiettivo di emancipazione e di evoluzione personale, legandosi alla formazione e all’equilibrio della propria identità e personalità.
A partire quindi dall’assunto e dall’obiettivo, che fa della riconquista della lingua di origine un fatto personale ma anche sociale e quindi di interesse della società nel suo complesso, si è mossa e si muove l’offerta formativa dell’insegnamento-apprendimento dell’italiano L2 nei confronti di apprendenti di origine italiana residenti all’estero.
Da parte dello stato italiano, nelle sue diverse espressioni a carattere centrale o locale, come anche da parte di altre istituzioni interessate, si sono registrate, già a aprtire dal secolos corso, varie iniziative: si segnalano in primo luogo le attività degli istituti di cultura italiana all’estero; delle istituzioni universitarie italiane all’estero o operanti in rete; di altre istituzioni nazionali o sovranazionali e internazionali; della Società Dante Alighieri, che svolge da molti anni una grande attività soprattutto nei paesi a grande presenza di emigrazione italiana.
Anche il progetto “Trentini nel mondo”, cui ho partecipato per conto del consorzio interuniversitario ICoN, si rivolge a questa tipologia di apprendenti oriundi, prevedendo l’insegnamento a distanza della lingua italiana come L2 o lingua etnica.
Tale iniziativa vuole trovare la sua dimensione ideale nella capacità di creare un contatto e un percorso comune di apprendimento linguistico che risponda a motivazioni comuni a individui distanti anche migliaia di chilometri, ma che possono nello stesso tempo differenziarsi per caratteristiche di emigrazione oltre che per genere, età, appartenenza socioculturale e grado di istruzione.
Il consorzio interuniversitario ICoN - Italian Culture on the Net - è un Consorzio di Università italiane che ha “lo scopo di promuovere e diffondere, per via telematica, la lingua, la cultura e l'immagine dell'Italia nel mondo”.4
Il progetto “Trentini nel mondo” è partito nel 2003, formato da un gruppo di lavoro costituito da un incaricato di ICoN alla supervisione e al coordinamento e da tre insegnanti di italiano L2, tra cui il sottoscritto, con esperienza pluriennale nell’insegnamento in presenza5.
L’incarico prevedeva in primo luogo l’analisi delle caratteristiche e dei bisogni dei destinatari individuati nel target e la suddivisione in livelli di competenza dell’italiano, in vista del loro piazzamento.
Il nostro lavoro comprendeva quindi l’analisi di situazioni anche molto differenziate, da conoscere per quanto possibile, suddividere e incanalare in percorsi omogenei, che fossero anche di interesse particolare e specifico per l’utenza. Per questa ragione, ogni livello di corso, che doveva distribuirsi nell’arco di nove mesi, aveva un sillabo solo in parte esistente, da integrarsi con contenuti e materiali “ad hoc”, da distribuire coerentemente sui tre trimestri del corso, al termine dei quali, compatibilmente con un feedback adeguato e con i progressi conseguiti, gli studenti potevano accedere al livello seguente.
Ogni percorso di apprendimento doveva quindi essere visionato e analizzato dal punto di vista di materiali, strumenti, testi, contenuti e obiettivi proposti e, eventualmente integrato con altre attività esterne, realizzate per rispondere meglio alle esigenze specifiche degli apprendenti, a partire da cui individuare direzioni e programmi.
E’ stato cioè fondamentale conoscere, per quanto possibile, i fattori “interni” ed “esterni” della personalità degli apprendenti, quali variabili fondamentali e necessarie alla costruzione di un percorso didattico6. A tali caratteristiche -che riguardano l’età, il sesso, il livello di scolarità e la professione- si aggiungono anche le pregresse esperienze di apprendimento di una lingua straniera -non solo dell’italiano- in presenza o a distanza e il profitto conseguito a livello non solo oggettivo, ma anche percepito; la formazione culturale in senso più generale e l’identità sociale dell’apprendente; la capacità e l’abitudine a lavorare da soli o in gruppo; la maggiore o minore facilità di socializzazione; le esperienze formative precedenti e persino i gusti,la conoscenza del mondo e lo stile di vita: in una parola tutti gli elementi che concorrono a delineare la personalità e le attitudini di un apprendente, che entrano in gioco come variabili fondamentali passibili di determinare richieste, bisogni e aspettative potenziali.
3. LA REALIZZAZIONE
Ma dalla teoria alla pratica sappiamo che gli adattamenti e gli inevitabili discostamenti fanno parte del gioco: per noi la sfida era abbastanza alta perché non avevamo una conoscenza diretta dei diversi individui, ma solo alcune caratteristiche anagrafiche, linguistiche e socioculturali, insieme ad i risultati di un test di piazzamento, con cui determinare la suddivisione in livelli di competenza nella lingua italiana.
Per quanto riguarda la lingua madre o predominante, gli apprendenti cui il progetto si rivolgeva erano per grande maggioranza di lingua neo-latina (soprattutto spagnola o portoghese), discendenti dei gruppi migratori stanziatisi in America Latina in fasi migratorie spesso diverse. Ma nello stesso tempo erano presenti in numero rilevante gli anglofoni, residenti per lo più negli Stati Uniti o in Australia, accanto a un numero di gran lunga inferiore di germanofoni, o appartenenti ad altre lingue-culture europee (francofoni). Mancavano invece totalmente, a riprova delle caratteristiche di stanziamento del target, i residenti in paesi dell’Africa o dell’Asia.
Anche dal punto di vista anagrafico, c’erano notevoli differenze, che richiamavano le differenze sociolinguistiche e culturali delle diverse generazioni di emigranti italiani, di cui si è già detto7: le loro età erano molto diverse e così anche la loro appartenenza e coscienza socioculturale. Analogamente la loro conoscenza della lingua-cultura italiana era veramente molto varia. Molti di loro, almeno a giudicare dai risultati del test di valutazione scritto, basato soprattutto sulle strutture linguistiche e su “norma” e “uso” dell’italiano, mostravano una conoscenza e competenza del tutto analoga a quella di un comune madrelingua. Per altri, invece, sembrava delinearsi la necessità di un intervento didattico analogo a quello previsto per i principianti assoluti di lingua seconda, in cui apparivano, episodicamente, elementi di italofonia non analizzata e apparentemente non sistematizzata. In mezzo a tali posizioni estreme, apparivano casi assai vari di conoscenza dell’italiano, in un quadro variegato ma nello stesso tempo “sui generis” e in qualche modo unitario.
Indipendentemente dai diversi livelli di competenza, infatti, le varietà interlinguistiche che ne risultavano erano interessanti combinazioni di “italiano”, con oscillazioni variamente marcate su tutti gli assi di variazione (diacronico, diatopico, diamesico, diastratico, diafasico): da elementi propri dello standard ricercato e quasi formale o “scritto”, si passava apparentemente senza coscienza a tratti più o meno forti di substandard, fino all’italiano popolare e regionale e al dialetto. In tutti i casi, con diverse frequenze e intensità, le varietà linguistiche erano assai contaminate da interferenze con altre lingue e con termini ed espressioni dialettali, ma anche con elementi, soprattutto lessicali e morfologici, che potremmo dire “desueti”, provenienti da fonti molto diverse per origine e “antiche” come epoca di riferimento.
La valutazione degli elaborati e delle competenze linguistiche dei destinatari del corso si presentava perciò abbastanza complesso: le loro produzioni spesso si assomigliavano, seguivano strategie analoghe, ma nello stesso tempo risultavano anche profondamente diverse nei loro esiti; in particolare le loro competenze linguistiche, sociolinguistiche e metalinguistiche sembravano sfuggire ad una classificazione in livelli, basata sulla rilevazione di elementi conosciuti e da apprendere secondo coerenza ed omogeneità di conoscenze. Il quadro era cioè piuttosto sbilanciato e da tale intreccio, risultavano esempi di pluri/multi-linguismo, manifestazioni di casi complessi di pluri/multi-culturalismo, spesso vissuti e “interpretati” senza completa coscienza dei confini tra l’una e l’altra componente8.
Il primo problema è stato quindi la divisione in livelli di competenza, cioè raccogliere elementi sufficienti per la valutazione e per distinguere i principianti assoluti, dai numerosissimi falsi principianti e dagli intermedi, visto che era molto forte e caratteristico l’effetto “transfert” sia dalla lingua del paese d’arrivo che dal dialetto9 .
A parte il dato prettamente linguistico il target di riferimento, unitario come caratteristiche ma nello stesso tempo molto variegato e composito, mostrava elementi di interesse anche sul piano delle competenze culturali, rilevate già in fase di piazzamento, su cui occorreva fare una seria riflessione. Certamente per tutti il riferimento all’Italia e al suo patrimonio artistico, culturale e linguistico era presente fin dall’inizio come obiettivo e aspirazione, e si sarebbe rivelato strategicamente valido e funzionale, per rimarcare un’ idea di condivisione e di appartenenza del gruppo.
Tale idea di “comunità”, era però percepita e vissuta dagli utenti-apprendenti in modi molto diversi. Per alcuni di loro, infatti, l’Italia era un paese conosciuto, meta di viaggi frequenti e di riflessioni culturali e sociali attuali. Quindi un “mondo” realisticamente presente, un patrimonio di informazioni e dati condiviso, un argomento di cui poter discutere o raccontare. Per altri, invece, la conoscenza dell’Italia si limitava a un retaggio sbiadito di informazioni antiquate e cliché superati o mai verificati; un riferimento teorico e ideale, a volte un po’ stereotipato, folcloristico e “datato” sul quale bisognava attivare nuovo interesse e motivazione. L’Italia di oggi è evidentemente molto cambiata rispetto alle immagini o alle fotografie dei loro nonni e tale differenza, stridente ai nostri occhi, costituiva per molti di loro un quadro di appartenenza rassicurante, opposto a volte con orgoglio e convinzione, che nascondeva anche il timore della scoperta di una realtà diversa.
Nei fatti il nostro intento didattico, formativo e informativo sul piano socioculturale attuale, risultava anche più complicato dall’intento parallelo e complementare di non “tradire” un senso più o meno reale di appartenenza e di conoscenza, che era stato la molla iniziale e andava quindi alimentato e sostenuto. Eppure sapevamo che il nostro obiettivo doveva anche essere quello di scardinare alcune conoscenze “superate” sull’Italia e sull’italiano, perché la ricostruzione del proprio patrimonio di idee e conoscenze diventasse anche ricostruzione di identità.
“La costruzione di conoscenza è strettamente collegata alla costruzione identitaria” (Logorio 2004). In questo caso l’apprendimento in rete ha rappresentato un terreno in cui gli apprendenti hanno potuto lavorare, sotto la guida del tutor, alla costruzione di una competenza linguistica e comunicativa, implicante necessariamente anche la (ri)costruzione di un’identità e di una personalità posseduta e conosciuta solo in parte. A questa, infatti, si legavano sempre, inestricabilmente e spesso inconsapevolmente le altre componenti: quella della lingua-cultura del paese ospite e ancora le “tracce” del dialetto (o dei dialetti) della famiglia e della comunità di origine.
La selezione dei testi e la scelta delle attività proposte si sono richiamate naturalmente al concetto di varietà e di equilibrio nella proposta didattica, che potesse essere cioè interessante, stimolante e nello stesso tempo adeguata e utile. Nel caso specifico i materiali didattici da proporre dovevano essere pertinenti e in linea con gli obiettivi già previsti e proposti nel corso “istituzionale” e con le fasi dello stesso, ma anche adeguati al mezzo, cioè alla proposta di fruizione a distanza e virtuale.
In questo senso, non sono mancati naturalmente esercizi e attività di reimpiego e fissaggio di argomenti culturali o strutture linguistiche apprese, spesso intese come “rinforzo” alle proposte del corso isituzionale.
Alcuni materiali integrativi si presentano con un percorso di apprendimento già stabilito, con alcuni obiettivi didattici previsti e da svolgersi individualmente o anche in autoapprendimento, essendo provvisti di chiavi. Questa tipologia di materiali è quella privilegiata anche nella parte istituzionale dei corsi, con cui sicuramente i nostri materiali vogliono porsi in sintonia, riproponendone schemi e approcci di lavoro, utili alla continuità e alla coerenza interna della proposta didattica.
D’altra parte si voleva anche fornire qualcosa di diverso, che integrasse le proposte del corso di altri temi e argomenti, o anche di altre attività ed esercizi, che potremmo definire “aperti” e le cui caratteristiche e obiettivi non sono identificabili una volta per tutte, perché basano la loro attenzione più sul “processo” che sul “prodotto” dell’apprendimento.
Questo secondo tipo di attività lascia margini più ampi di autonomia agli apprendenti e prevede spesso, più o meno esplicitamente, un ricorso al forum di classe, in cui discutere, confrontarsi o negoziare conoscenze e capacità con gli altri. Infatti, sono state privilegiate tutte quelle attività che possono influire sulla creatività dell’azione individuale e sulla scelta dei percorsi di apprendimento ma anche facilitare l’apprendimento collaborativo e costruttivista, strumenti e processi “chiave” dell’apprendimento a distanza e più in generale dell’insegnamento-apprendimento delle lingue straniere.
Con i materiali integrativi si è cercato cioè di innescare quei processi di socializzazione e di discussione, contenuti naturali dei forum di classe, che non solo sono alla base dell’acquisizione, ma risultano anche funzionali alla verifica e al feedback e nello stesso tempo preziosissimi per una maggiore conoscenza degli apprendenti tra di loro e da parte dei tutor. Per tutto il gruppo dei tutor, infatti, è stato davvero importante cercare di spingere gli apprendenti a “venire fuori”, esprimersi e lasciarsi conoscere: questo processo, più naturale nelle classi in presenza, non risulta altrettanto ovvio nel contesto della formazione a distanza e richiede quindi, in molti casi, ulteriori e continui stimoli.
Abbiamo sentito cioè primaria la necessità di proporre materiali didattici che incoraggiassero le dinamiche interattive tra gli apprendenti per raccogliere altre informazioni preziose sulle loro caratteristiche della personalità ma anche sulle loro preconoscenze e competenze esplicite o tacite sulla lingua e sulla cultura italiana, da cui potevano venire contributi interessanti per il percorso pedagogico. Queste attività “integrative”, sono quindi state create a partire da testi “vari”; con strategie didattiche, obiettivi e percorsi diversi, previsti e possibilmente interattivi; spesso non troppo vincolanti nella fruizione, per rispondere ai diversi stili cognitivi e per rispettare l’autonomia e gli interessi degli apprendenti; flessibili e opzionali, cioè da adattarsi volta per volta agli obiettivi del singolo, o di un gruppo, o della classe nel suo insieme. Sono però in generale accomunati dall’ intenzione di valorizzare quanto già concretamente o potenzialmente posseduto dagli apprendenti, in termini linguistici e culturali in senso ampio, per rivivificarlo, aggiornarlo, “rimetterlo in gioco” in un processo evolutivo di risistemazione collettiva necessaria e funzionale al processo di apprendimento.
4. CONCLUSIONI
L’idea di partire da queste “identità linguistico-culturali di contatto”, considerandole una risorsa su cui fare leva in tutto il percorso, integrandone aspetti e caratteristiche diverse, è stata praticamente il nostro leitmotiv, l’aspetto centrale di ogni decisione, prima e durante lo svolgimento del corso. In questo senso abbiamo cercato di selezionare i materiali integrativi al corso istituzionale cercando, attraverso questi, di rimettere in moto i processi di acquisizione-apprendimento di lingua-cultura, per riattivare eventuali blocchi interlinguistici fossilizzati e creare nello stesso tempo un effetto di “avvicinamento” e di interculturalità, che evitassero “ostacoli affettivi”. L’attenzione per il contributo degli apprendenti, infatti è stata sempre presente, tesa a valorizzare e sfruttare anche gli elementi culturali di contatto, dove possibile rilanciati all’interesse e al riconoscimento di tutto il gruppo. 10
Nello stesso tempo, nella selezione delle attività, si è cercato di proporre un input linguistico-culturale il più possibile attuale che servisse a proporre un’immagine dell’Italia, della sua lingua e della sua cultura in senso lato, più aggiornata, completa e meno “stereotipata”. Eravamo convinti, infatti, che in molti casi, le informazioni sull’Italia e sulla sua lingua e cultura, risultassero carenti o incomplete; le preconoscenze, che costituivano spesso le basi di identificazione con una “identità italiana” e più in generale con il nostro paese, dovevano essere integrate e arricchite di altri contenuti linguistici e culturali.
Di conseguenza sono risultati molto utili tutti i testi che parlano dell’Italia di oggi, come di un paese moderno, che è molto cambiato negli ultimi cinquanta anni e che sta cercando oggi di crescere e uscire dai contorni stereotipati di alcune immagini del passato.
Abbiamo ritenuto importante proporre un’immagine dell’Italia, per quanto possibile “nuova”, forse un po’ diversa da quella che conoscevano molti di loro, quella dei loro nonni o genitori; un’ Italia, con tanti problemi economici e sociali irrisolti ma certamente nuovi e diversi da quelli di cinquanta anni fa; un paese dove l’istruzione superiore e universitaria sono molto diffuse ma dove la disoccupazione giovanile è ancora uno dei problemi strutturali più gravi; dove i dialetti permangono con la loro importanza sociolinguistica e culturale ma dove l’italiano è ormai una lingua nazionale e comune; dove le persone viaggiano grazie alle nuove tecnologie dei trasporti interni ed esterni, si conoscono sempre di più tra di loro e guardano anche al di fuori dei propri confini nazionali, condividendo con il resto del mondo progressi, gusti e obiettivi insieme a dubbi, angosce e problemi.
In questo senso molte delle attività e dei materiali didattici riguardano il lavoro, l’arte, la società, il cinema o la musica; ma anche le città, i personaggi della realtà o della fantasia più famosi d’Italia e del mondo; altri mostrano aspetti della vita quotidiana e atteggiamenti socioculturali comuni in Italia ma tali da costituire anche occasione di (ri)scoperta, di confronto e di riflessione “comparata” e empatica. Parallelamente, sulla scia dei sillabi previsti nei corsi istituzionali, non mancano attività con obiettivi di tipo più marcatamente linguistico-strutturale, che spesso hanno dato luogo a interessanti discussioni contrastive sulle “somiglianze” e sulle “differenze” tra le lingue che, sviluppando la competenza metalinguistica nell’italiano, hanno aiutato nel processo di risistemazione e di differenziazione tra codici, necessario per la riappropriazione di una lingua-cultura che in questo caso -più che mai- si è affermato come riappropriazione di identità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Dalla rete:
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1Roberto Tomassetti <r.tomassetti@fastwebnet.it> insegna italiano a stranieri presso il Centro "Torre di Babele" dal 1994, dove si occupa anche di creazione di materiali didattici e di ricerca, di formazione degli insegnanti, di esami di certificazione di competenza in L2 (CILS) e per docenti L2 (DITALS) . Ha conseguito la certificazione DITALS per l’insegnamento dell’Italiano come lingua straniera, è specializzato in Didattica dell'italiano a stranieri presso l'Università per Stranieri di Siena, con cui collabora in progetti didattici, formativi e di ricerca (Centro DITALS, FAST, CLUSS). Attualmente è dottorando in Linguistica e didattica della lingua italiana a stranieri nello stesso ateneo. Ha pubblicato per diverse riviste, in particolare per la collana “LA DITALS RISPONDE”, “EDUCAZIONE PERMANENTE”, “ALTREITALIE” e per la rivista “ITALS”.
2 Vogliamo accogliere qui la dicitura peraltro ampiamente invalsa in letteratura glottodidattica di L2 per intendere la competenza in una lingua seconda come non (completamente e definitamene) materna, indipendentemente dal fatto che l’acquisizione si sia realizzata in Italia o all’estero, fermorestando che tali differenze del contesto di apprendimento possono determinare differenze anche significative in tempi, bisogni, strumenti, qualità e risultati dell’apprendimento
3 Si vedano gli studi numerosi e esaustivi di Lo Cascio (1987-1990), Haller (1991;1993), Tosi (1984-1995), Coveri-Benucci-Diadori (1998). Si vedano in particolare “I bisogni comunicativi in italiano L2 del profilo «Apprendente di origine italiana », in Vedovelli (2002a) e Vedovelli (2002b), De Fina-Bizzoni (2003), Balboni- Santipolo (2003)
In Australia in particolare l’immigrazione ha avuto effetti “sui generis” a causa dell’immigrazione “più recente e multiculturale” (Coveri-Benucci-Diadori 1998)
4 Dalla home page del sito. Per maggiori dettagli e per conoscere l’intera offerta formativa di ICoN si visiti il sito www.italicon.it
5 Il gruppo di lavoro di cui facevo parte comprendeva, oltre al sottoscritto, altri due insegnanti ed esperti di italiano L2 (Gianluca Aprile e Paola Casella), con il coordinamento di un responsabile incaricato da ICoN (Nadia Gatto)
6 Un apprendente che si inserisce in un percorso formativo di acquisizione linguistica porta tutto sé stesso, il suo vissuto, le sue aspirazioni, le esperienze pregresse e le sue conoscenze tacite o esplicite all’interno di questo, proiettandovi naturalmente interessi, dubbi, ansie e aspettative.
Nel suo approccio all’apprendimento, nelle dinamiche che può essere in grado di realizzare, gestire o sostenere, deve fare i conti in primo luogo con i tratti personali, i cosiddetti “fattori interni” della personalità che fanno riferimento agli studi di Krashen e del suo “modello”(Krashen 1977, ma anche 1985, 1994) e consistenti fondamentalmente in caratteristiche quali l’ETA’, la MOTIVAZIONE all’apprendimento dell’oggetto di studio, la gestione delle COMPONENTI AFFETTIVE e PSICOLOGICHE della personalità, il SESSO, le proprie ATTITUDINI e i propri STILI COGNITIVI e dell’apprendimento (Pallotti 1998; Villarini, in De Marco 2002).
Analogamente e facendo riferimento alle stesse autorevoli fonti, dobbiamo almeno menzionare i cosiddetti “fattori esterni” consistenti fondamentalmente in INPUT linguistico e culturale totale proposto all’interno del corso; le capacità di INTERAZIONE legate all’apprendimento e più in generale l’attitudine alla SOCIALIZZAZIONE e alle relazioni con gli altri (Pallotti 1998). A questi vanno aggiunti e integrati i cosiddetti FATTORI SOCIALI, identificabili con “…tutte le caratteristiche dell’ambiente in cui vive l’apprendente e il suo stile di vita” (Villarini, in De Marco 2002: 79).
7 Si vedano i precedenti paragrafi.
8 “Il più delle volte appare fuorviante considerare l’italiano (o gli altri idiomi coinvolti nella situazione migratoria) nella loro purezza: spesso il riferimento ad esso nella nostra emigrazione è solo in termini di immagine di un’identità di origine; spesso si pensa che sia italiano ciò che in realtà è dialetto; più spesso ancora gli emigrati non credono che quello che usano sia l’italiano” (Vedovelli 2002a:190-192)
9 “Accanto al contatto delle lingue in purezza è normale il miscuglio, dalla cui configurazione derivano le tendenze al mantenimento e alla scomparsa dell’idioma originario della famiglia e della comunità emigrata. Così, anche i nostri emigrati all’estero vedono predominare entro gli individui e la comunità la convivenza degli idiomi fino al loro miscuglio”(Vedovelli 2002a:190-192)
10 “Pur centrata sull’italiano, l’azione formativa può assumere le funzioni e gli obiettivi di una educazione linguistica più generale, che veda nel contatto tra le lingue e le culture uno strumento di promozione umana e sociale” (Vedovelli 2002a:190-192)