Settembre 2014 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Nel presente articolo sono raccolte alcune riflessioni sul rapporto con l’italiano, lingua parlata nel Paese di immigrazione, di apprendenti non udenti di origine straniera frequentanti la scuola italiana. Le considerazioni presentate di seguito nascono da un confronto tra le competenze e le conoscenze acquisite attraverso la formazione e le esperienze di insegnamento dell’italiano come lingua seconda nel contesto scolastico, con i contenuti proposti dal Laboratorio per l'handicap e le attività di sostegno - modulo non udenti, tenuto all’interno del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università degli Studi di Macerata.
1. IL RUOLO DELLA LINGUA ITALIANA NELL’INTEGRAZIONE DELL’ALUNNO DI ORIGINE STRANIERA
Per entrare nel merito dell’argomento, riteniamo opportuno esporre alcune linee introduttive sul ruolo che la lingua italiana riveste nel contesto scolastico e nel processo di integrazione dell’alunno straniero a scuola.
Negli ultimi otto anni abbiamo avuto la possibilità di avvicinarci e conoscere il contesto scolastico attraverso esperienze di insegnamento della lingua italiana a bambini non italofoni residenti in Italia da periodi di tempo differenti. Nel ruolo di facilitatori linguistici abbiamo osservato il contesto della classe plurilingue per alcune ore durante la settimana, affiancando gli alunni segnalati per ricevere un ‘sostegno linguistico’, come veniva comunemente chiamato il servizio offerto nelle scuole frequentate. Da queste esperienze di osservazione sono nate occasioni di riflessione sull’importanza attribuita all’apprendimento della lingua italiana come strumento per l’integrazione e l’istruzione.
Per l’istituzione scolastica, la facilitazione linguistica, intervento per accompagnare lo studente non italofono nell’apprendimento dell’italiano, è considerata un servizio indispensabile, anche se non sempre garantito. Come affermato nel documento La via italiana per la scuola interculturale, redatto dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri:
“L’acquisizione e l’apprendimento dell’italiano rappresenta una componente essenziale del processo di integrazione: costituiscono la condizione di base per capire ed essere capiti, per partecipare e sentirsi parte della comunità, scolastica e non”.
Per gli insegnanti si tratta inoltre di un aiuto importante per affrontare la situazione di difficoltà derivata dalla gestione di pubblici diversi presenti in classe.
Con l’inserimento di un alunno non italofono, l’attenzione è rivolta anzitutto alle competenze linguistico-comunicative raggiunte dallo studente in italiano lingua seconda poiché la conoscenza della lingua è considerata prerequisito fondamentale per la partecipazione alle lezioni, per l’interazione, lo svolgimento delle attività proposte in classe, per l’apprendimento e quindi per la valutazione. Nella scuola la scansione dei tempi dettata dal curricolo rende la conoscenza della lingua italiana fondamentale per la partecipazione alle attività e per perseguire gli obiettivi di apprendimento: dalle abilità di lettura e scrittura fino allo studio delle discipline. Pertanto diventa indispensabile monitorare costantemente l’apprendimento della lingua e di conseguenza stabilire degli interventi a livello di contenuti disciplinari che siano calibrati sulle competenze linguistiche raggiunte dallo studente. Accelerare i tempi di apprendimento dell’italiano, ritenuto possibile affiancando all’alunno un esperto esterno che ha il compito di seguirlo nel suo percorso di acquisizione della lingua e che fa da mediatore rispetto ai contenuti delle lezioni, è considerato un fattore importante. Inoltre la presenza del facilitatore agevola il lavoro dell’insegnante in classe; nella sua collaborazione con l’esperto esterno, il docente suggerisce attività e argomenti proposti all’intera classe da svolgere con gli studenti affiancati. A partire dalla valutazione delle competenze in ingresso in italiano lingua seconda, si creano dei percorsi per l’apprendimento della lingua e per l’adattamento dei contenuti e degli obiettivi prestabiliti per l’intera classe. Si lavora quindi su un piano differenziato, in un rapporto individuale alunno-insegnante con l’obiettivo di accompagnare nell’apprendimento dell’italiano e di avvicinare ai concetti e ai contenuti disciplinari.
In questo quadro, la differenza linguistica viene percepita come il principale ostacolo da superare per consentire l’integrazione. Si avverte quindi la tendenza ad identificare l’alunno non italofono con il suo deficit, con l’essere privo di un prerequisito fondamentale, la lingua, per la partecipazione alle attività scolastiche. Da qui deriva l’esigenza di risolvere la situazione di complessità della classe, di eliminare le contraddizioni attraverso degli interventi mirati a ripristinare a colmare il vuoto dello studente non italofono per ripristinare un ordine e una apparente normalità funzionale all’attivazione degli interventi didattici che la scuola prevede.
2. LA LINGUA ITALIANA PER I BAMBINI SORDI DI ORIGINE STRANIERA
La presenza di alunni stranieri sordi porta la scuola a riflettere ancora una volta sul ruolo della lingua italiana e sugli interventi messi in atto per affrontare la diversità culturale e linguistica che definisce la scuola italiana oggi.
Nel caso dell’apprendente straniero sordo[1] che fa il suo ingresso nella scuola italiana, l’intervento della facilitazione linguistica descritto nel paragrafo precedente per favorire l’apprendimento della lingua italiana e quindi il processo di integrazione, risulta inadeguato se non rivisto alla luce di considerazioni specifiche e affiancato da altre misure richieste dal caso. Lo studente straniero sordo si trova nella condizione di affrontare una duplice distanza nel nuovo contesto scolastico: culturale e sensoriale allo stesso tempo. Tale situazione crea uno stato di estraneità più evidente e accentuata nei confronti della quale la scuola si trova di nuovo in difficoltà: intervenire su ciò che considera il punto di partenza per l’integrazione dell’alunno straniero, e cioè la conoscenza della lingua italiana, mette in gioco altre riflessioni e competenze in parte diverse da quelle che riguardano l’intervento rivolto all’apprendente straniero udente e che derivano dalla sua condizione di sordità. La scuola si rende conto che lo strumento di comunicazione per eccellenza su cui puntare per ristabilire l’ordine in classe e favorire l’interazione quotidiana ed educativa perde la sua centralità.
Lo studente straniero sordo privato della possibilità di ascoltare la lingua e quindi di entrare in contatto con essa tramite il canale uditivo non acquisirà l’italiano spontaneamente per contatto. Questa considerazione rimette in gioco i concetti di acquisizione e apprendimento, in riferimento allo conoscenza di una lingua diversa da quella materna, e porta ad interrogarsi sulla collocazione della lingua italiana nella biografia linguistica dell’alunno.
Fino a questo punto abbiamo parlato di lingua e di apprendimento di una lingua riferendoci allo sviluppo della competenza linguistico-comunicativa che avviene attraverso il canale uditivo e che riguarda il saper usare una lingua in maniera corretta da un punto di vista formale, appropriata al contesto ed efficace al raggiungimento di determinati scopi. La condizione del sordo che fa affidamento sul senso della vista prima che sugli altri sensi porta a dare maggiore centralità ad altre competenze, extralinguistiche, che mettono in gioco in maniera visibile ed immediata le differenze culturali.
Se l’alunno straniero sordo non può ricevere input adeguati attraverso il canale uditivo, sfrutterà la vista, molto sviluppata nei non udenti, come senso per avvicinarsi e indagare i nuovi contesti quotidiani. Se non c’è la possibilità di stabilire un contatto con la lingua italiana attraverso l’oralità sarà particolarmente attento a cogliere quei codici visivi che connotano culturalmente lo scambio comunicativo e che vengono usati assieme alla lingua. Il sordo osserverà le espressioni del viso, i movimenti del corpo, la gestualità durante la comunicazione, la vicinanza e il contatto con l’interlocutore durante lo scambio comunicativo e a tutto questo cercherà di dare un’interpretazione. Si troverà quindi in una condizione di immersione per così dire parziale nella lingua attraverso i codici che la affiancano, attraverso il contatto con le componenti ‘visive’ della comunicazione. Non poter accedere alle lingue verbali tramite la loro naturale dimensione orale, impedisce di definire l’italiano come lingua seconda per un alunno straniero sordo che vive in Italia. Dall’altro lato è pur vero che egli si trova quotidianamente in una condizione di contatto diretto con la lingua nei contesti in cui è comunemente usata attraverso i linguaggi visivi che si associano ad essa, condizione che viene a mancare nell’apprendimento di una lingua straniera.
Sarà quindi importante soprattutto in una prima fase di accoglienza, prestare attenzione a questi linguaggi per evitare incomprensioni e fraintendimenti.
Altro codice collegato alla lingua verbale con cui lo studente entrerà in contatto in maniera spontanea ed autentica sarà la scrittura. Il sordo potrà ‘vedere’ la lingua nei contesti frequentati quotidianamente attraverso i testi scritti prodotti per fini comunicativi autentici. Questo contatto frequente e necessario con il codice scritto della lingua ne facilita l’apprendimento. Si tratta di un altro aspetto che distingue l’apprendimento di una lingua non materna nel proprio Paese di origine dall’apprendimento della stessa nel Paese in cui è naturalmente parlata nel caso di un apprendente sordo.
Certamente, per l’apprendente straniero udente come per il sordo, è importante rilevare la biografia linguistica ed essere informati, da docenti che accoglieranno l’alunno in classe, sul percorso scolastico e sulle lingue apprese (lingua dei segni e lingua verbale del Paese di origine e altre lingue, studiate a scuola, per esempio) per poter definire degli interventi appropriati in base all’età. Sono molti e diversi i casi di bambini sordi, per il tipo di sordità e per gli interventi educativi e sanitari che potrebbero aver ricevuto o che potrebbero desiderare. Qualsiasi decisione in ambito scolastico potrà essere presa solo dopo una prima fase di conoscenza e un confronto iniziale con lo studente e i suoi genitori per individuarne scelte e intenzioni, che potrebbero orientare anche verso la possibilità di avvicinare lo studente ad un’altra lingua italiana, la Lingua italiana dei Segni.
A scuola l’alunno straniero non udente svilupperà le abilità legate alla scrittura (comprensione e produzione di testi scritti) e conoscerà il funzionamento della lingua italiana avvalendosi del codice scritto. In questi ambiti di intervento è possibile individuare delle affinità tra l’insegnamento della lingua italiana a studenti stranieri udenti e a studenti non udenti, siano essi di origine straniera oppure no. Prescindendo dal fatto che in quest’ultimo caso non sarà possibile procedere nell’insegnamento della lingua secondo un percorso che rispetti la sua naturale dimensione orale e che prediliga in una prima fase lo sviluppo della abilità orali e poi di quelle scritte, l’obiettivo in entrambi i casi sarà quello di avvicinare lo studente al referente e quindi al significato per poi passare alla veste, orale o grafica, che esso assume.
Pertanto sarà fondamentale avvalersi dell’uso di oggetti e immagini: partendo da aree lessicali che rimandano a contesti conosciuti e quotidiani e dalla presentazione di un lessico concreto, conoscere la parola significa anzitutto vederla, capire qual è il suo referente, com’è fatto e a cosa serve l’oggetto che denomina per passare poi alla sua forma grafica, per l’alunno straniero sordo, e alla sua forma fonica prima e grafica dopo per l’apprendente udente.
Allo stesso modo nell’insegnamento della grammatica agli alunni stranieri udenti si procede dalla scoperta della funzione che è dietro l’aspetto grammaticale per poi passare all’analisi della forma stessa. Gli aspetti della lingua non verranno presentati isolatamente ma all’interno di testi realizzati per scopi comunicativi autentici.
Da queste considerazioni possiamo rilevare come una formazione glottodidattica fornisca degli strumenti adeguati anche per affrontare i bisogni di un apprendente non udente che si avvicina alla conoscenza di una lingua verbale. Questi procedimenti utilizzati per l’insegnamento della lingua italiana a bambini stranieri udenti, integrati da accorgimenti specifici (parlare distintamente, con un tono di voce normale, moderando la velocità nella pronuncia delle parole e delle frasi, avere il viso ben illuminato, sono aspetti da tenere presente per avvicinare alla labiolettura) possono essere adottati anche nell’insegnamento della lingua italiana a bambini non udenti avvalendosi dell’uso del codice scritto.
3. CONCLUSIONI
A partire dalle esperienze di insegnamento della lingua italiana vissute a scuola, abbiamo cercato di rispondere ad una personale esigenza di ridefinizione dell’italiano nell’integrazione di studenti di origine straniera che vivono una condizione di differenza percettiva oltre che culturale. Interrogarsi sul rapporto che un alunno straniero non udente istaura con la lingua verbale a partire dalla rilevanza che assume il canale visivo porta ad individuare aspetti della comunicazione generalmente trascurati nell’insegnamento delle lingue e ad avvalersi di pratiche didattiche adottate nell’insegnamento delle lingue straniere.
Anche in questo caso, al fine di programmare un intervento di insegnamento quanto più calibrato sulle competenze già acquisite dallo studente, sarà di fondamentale importanza ripercorrere la sua biografia linguistica: ricostruire il quadro delle lingue conosciute e studiate nel Paese di provenienza per definire gli obiettivi del percorso da intraprendere in base all’età.
[1] Con il termine sordo ci riferiamo a chi è affetto da sordità grave e non riesce ad avere intellegibili, attraverso l’udito, frasi e/o parole emesse dall’interlocutore.