Aprile 2005 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Insegnare è un’attività creativa, interessante, formativa sia per il discente che per l’insegnante, duttile, malleabile, mai statica.
Ogni classe è diversa, proprio perché abbiamo a che fare con persone, ognuna delle quali con particolarità uniche (Margotta, 1999).
Ma proprio attorno a questa diversità ruota la più grande difficoltà.
Come fare un buon lavoro in una classe dove ci sono così tante unicità?
Vorrei appunto trattare delle più frequenti problematiche che giornalmente incontro e di come risolvo gli eventuali conflitti, avvalendomi di strategie tratte in parte dalla letteratura glottodidattica e molto dalla mia esperienza personale.
1. I PIÙ FREQUENTI FATTORI DI DIVERSITÀ
Nel contesto lavorativo in cui opero, le problematiche più evidenti si verificano nel corso intermedio-avanzato, che accoglie studenti la cui competenza varia da un livello B2 ad un livello C2. Il corso prevede 3 ore di 50 minuti ciascuna, dalle 11.00 alle 13.45, con una pausa di 15 minuti, dal lunedì al venerdì, per quattro settimane, per un totale di 60 ore.
I fattori di maggiore diversità sono: l’età, la motivazione e gli interessi, il retroterra culturale e il livello linguistico. In particolare, il livello linguistico presenta disomogeneità sotto due punti di vista: le conoscenze metalinguistiche (il “sapere la lingua”, cf. Balboni 1994) e le competenze comunicative (abilità linguistiche, ovvero le componenti “sapere fare lingua” e “saper fare con la lingua”, cf. Balboni, 1994).
2. L’IMPOSTAZIONE INIZIALE DEL CORSO: UNA PRIMA RICOGNIZIONE DELLE DIFFERENZE
Il primo giorno agli studenti viene somministrato un test d’entrata, in parte scritto (esercizi di completamento) e in parte orale (dialogo).
Una volta terminato il test “istituzionale” vengono formate le classi. Somministro quindi un ulteriore test, da me predisposto, che mi permette di conoscerli meglio, sotto il profilo personale, e di valutare con maggiore precisione la loro competenza. Il “mio” test funziona così: ciascuno si presenta al compagno, questi relaziona poi alla classe le caratteristiche dell’intervistato. Nel momento della presentazione in plenum chiunque può intervenire e fare domande per conoscere più approfonditamente la persona descritta: si tratta di un momento socializzante, informale, utile ad abbassare il filtro affettivo.
Quindi consegno un foglio con scritto “Cara Alba”, l’inizio di una lettera all’insegnante. Alla lavagna scrivo le domande che valgono come una sorta di traccia:
-
Da quanto tempo studi italiano?
-
Con quale frequenza?
-
Quali sono le strutture grammaticali che conosci?
-
Qual è per te la cosa più difficile in italiano?
-
Perché hai deciso di studiare questa lingua?
-
Quali sono le tue aspettative da questo corso?
In questo modo ho la possibilità di testare l’abilità di scrittura, e ottengo informazioni sui bisogni della classe.
3. LA GESTIONE DELLE DIFFERENZE
3.1. UNA MEMORIA PERSONALE
Spesse volte mi torna in mente la mia maestra, Gina, che gestiva una pluriclasse di 15 bambini (sei di prima elementare, cinque di seconda e quattro di terza). Svolgeva tre programmi simultaneamente e a volte succedeva che il compito dato a noi, di prima, finiva in anticipo ed io partecipavo alla spiegazione e al lavoro dell’altra classe. Era molto stimolante, ci integravamo nel gruppo e partecipavamo all’attività.
Ho fatto tutti e cinque gli anni delle elementari in questa situazione di pluriclasse, e quando sono passata in prima media, ho avuto meno problemi degli altri studenti che avevano frequentato una “monoclasse”; ero abituata alla negoziazione, al lavoro di gruppo, al confronto con un compito difficile e alla varietà degli stimoli
3.2. ALCUNI CONSIGLI
I principi fondamentali per una classe multilivello, in un corso intensivo, a mio avviso, sono:
- variare attività, con un’alternanza equilibrata, per coprire tutte le abilità e per permettere a tutti di fortificare quanto già sanno o di scoprire qualcosa di nuovo, attraverso tipologie di esercizi che attivano stili cognitivi diversi. Occorre cioè far in modo che ogni studente trovi qualcosa di adatto a lui/lei nell’arco della lezione e sfidi sé stesso/a e si metta in gioco in quello che di solito è portato ad evitare;
- attività a tempo, ogni attività deve andare da un minimo di 20 minuti ad un massimo di 40 minuti;
- cambiare le coppie ed i gruppi, costantemente, dimodoché si abbia meno probabilità che si formino conflitti (Comoglio e Cardoso, 1996) e si offra l’opportunità a tutti di confrontarsi e di imparare dal compagno;
- unità didattiche brevi. A volte per sfruttare tutte le risorse di un brano vengono proposte attività ripetitive e noiose che demotivano lo studente e lo rendono impermeabile all’acquisizione. L’unità didattica, la vedo più tematica; può essere trattata in modo discontinuo, lasciata e poi ripresa, in modo da avere una continuità nella discontinuità, come meglio chiarisco nel prossimo punto.
- ciclicità, ovvero un percorso didattico a spirale, che permette di ritornare più volte sullo stesso testo, per acquisirlo in maniera più solida. Riproponendo la stessa lettura, per esempio, a seguito di un’attività di comprensione e allo scopo di un’operazione di analisi, si memorizzano il vocabolario e le strutture. Riproporre un role-play può servire a stratificare l’appreso.
- precisione nelle consegne, l’insegnante deve dare istruzioni precise su come si svolge un’attività, pena obiezioni, incomprensioni e malcontenti.
- compiti a casa, ogni giorno si danno attività metalinguistiche, graduate, in modo che gli studenti abbiano del tempo a disposizione per studiare da soli, secondo i propri ritmi.
3.3. UNA STRATEGIA: ATTIVITÀ DIFFERENZIATE E CIRCOLAZIONE DELLE INFORMAZIONI
Si tratta di un’attività di analisi, fatta su due testi, la lettera A e la lettera B (in allegato), che gli studenti hanno già compreso.
L’attività può essere suddivisa in 4 fasi:
Fase A (10 minuti)
Assegno quattro tipi di esercizi, a seconda dell’abilità dello studente. Gli esercizi vanno svolti individualmente.
Esercizio 1: Trova nelle lettere A e B i congiuntivi usati, specificando i tempi e cerca di spiegare perché vengono usati.
Esercizio 2: Trova nelle lettere A e B i condizionali, specificando i tempi e cerca di spiegare perché vengono usati.
Esercizio 3: Trovate nelle lettere A e B i pronomi diretti, indiretti, combinati, riflessivi, impersonali e inseriteli nella griglia sottostante:
Diretti |
Indiretti |
Combinati |
Riflessivi |
Impersonali |
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Esercizio 4: A cosa si riferiscono le parole sottolineate? Completa la tabella.
Lettera A
Si cerchi |
…………………………………………… |
Prendermela |
…………………………………………… |
Ce li hanno tutti |
…………………………………………… |
Ci fa stare meglio |
…………………………………………… |
Lettera B
Si svolgono |
…………………………………………… |
Mi sono ritrovato |
…………………………………………… |
Mi fa sentire |
…………………………………………… |
Ci ha ripudiato |
…………………………………………… |
Si salva più |
…………………………………………… |
Ci manca |
…………………………………………… |
…………………………………………… |
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Si acquisisce |
…………………………………………… |
Fase B (cinque minuti)
Gli studenti che hanno svolto lo stesso tipo di esercizio confrontano i risultati.
Fase C (30 minuti)
Vengono raggruppati gli studenti con gli esercizi 1 e 2 e gli studenti con gli esercizi 3 e 4. Si spiegano a vicenda qual era il loro compito e come hanno proceduto per portarlo a termine. Ognuno ha modo di chiedere delucidazioni e chiarire i dubbi.
Fase D (35 minuti)
Si mettono assieme uno studente che ha lavorato in successione sugli esercizi 1 e 2 e uno che ha lavorato sugli esercizi 3 e 4. Ciascuno spiega il lavoro svolto all’altro.
Una volta terminata questa fase, si può discuterne in plenum e chiudere così l’attività.
Per riassumere, illustriamo la disposizione degli studenti nel corso dell’esercizio.
Riteniamo che la classica forma “a ferro di cavallo” garantisca al meglio lo scambio di informazioni.
Fase A
Fase B:
Fase C:
Fase D:
ALLEGATI
Qui di seguito le due lettere tratte da: www.corriere.it/solferino/severgnini/04-02-24/08.spm,
la rubrica “Italians” che Beppe Severgnini tiene sul Corriere della Sera online.
Lettera A)
Martedì, 24 febbraio 2004
Una ricetta per la serenità
Caro Beppe, cari Italians,
leggendo le lettere ad “Italians” delle ultime settimane trovo che sia diffuso un senso di generale infelicità, e che si cerchi a tutti i costi un capro espiatorio. Premessa: non sono nero, non sono ebreo, non sono arabo, non sono musulmano, non sono omosessuale, non sono una donna, non sono vecchio, non sono handicappato, non sono meridionale, non sono un politico.
Faccio parte del primo mondo, ho ventitré anni sono sano, bianco e nel pieno delle forze. Insomma, in base ai luoghi comuni che aleggiano spesso nei pareri di chi scrive, dovrei ritenermi fortunato e avere tutte le carte in regola per una vita soddisfacente e prospera. Invece, guarda un po’, ho un sacco di problemi. Certo, potrei prendermela oggi con Berlusconi, domani con gli zingari, dopodomani con le donne emancipate e così via. Sarebbe semplice, ma non risolverei un bel niente. E se il vero problema fossimo noi stessi? E se forse, prima di cercare le pagliuzze generalizzando a sproposito demolissi la trave che è in me? Quello che voglio dire è che i problemi ce li hanno tutti, e a volte è preferibile incolpare qualcuno, ci fa stare meglio. Ma poi, il giorno dopo, il problema è ancora lì. E allora via a incolpare via via un po’ tutti, finché non resta che rabbia e angoscia. Siamo tutti nella stessa barca: americani e indiani, arabi ed ebrei, cristiani e buddisti. Donne e uomini, ciechi e malati terminali. Basterebbe così poco per avere una ciurma felice e un viaggio sereno, anche durante una tempesta. Basterebbe essere un po’ meno capitani e un po’ più mozzi. Non abbiate paura: invece di incolpare chiunque, chiedetegli aiuto. Non è un segno di debolezza, anzi, è la cosa più vicina all’eroismo che possiate fare.
A. Mick Barni
Lettera B)
Venerdì, 27 febbraio 2004
Giovani: ci manca la grinta
Cari Italians,
sono stato a uno degli oramai “classici” aperitivi che si svolgono a Parigi tra Italians (online), ovvero una comunità nata sulla falsa riga di “Italians” allo scopo (credo) di riunire tutti gli italiani sparsi per il globo, ma residenti nella stessa città. Sotto il classico cielo plumbeo parigino mi sono ritrovato insieme a centinaia di elegantissimi italiani, tutti under 35 e con un buon livello di istruzione, che fuggivano l’Italia per tutti quei motivi che sarebbe noioso citare ancora, ma che il Corriere riporta in una sua rubrica denominata “profonda Italia” con il titolo “Laurearsi costa caro poi il lavoro non arriva o è mal pagato”.
Questo appuntamento che amo perché mi permette di usare la mia cara lingua madre e nel contempo odio perché mi fa sentire un emigrante non per scelta, ma per obbligo, ha avuto il solito epilogo nei discorsi camerateschi e purtroppo veri sull’Italia che ci ha ripudiato. Questa Italia. Poche nascite e città demograficamente vecchissime, università gestite da professori “patriarchi”, clientelismo negli affari, disoccupazione e lavoro nero al sud, lavoro per raccomandazione e a stipendi bassissimi al nord, (non bassi), produttività delle aziende in calo e mancanza di tecnologia, poca ricerca, manager vecchi con cultura da bar-sport, immigrazione mal gestita, carovita in impennata, emigrazione dei giovani laureati, governo con interessi e opposizione senza, aziende in crisi o in bancarotta fraudolenta con l’ausilio delle banche. Neppure il calcio si salva più. In una situazione del genere penso che sia solo a noi “giovani” di poter cambiare qualcosa, ma l’impresa è ardua.
Conoscendo quelli restati e vedendo quelli partiti, posso dire subito che siamo pochi, e sebbene istruiti, siamo stati abituati a vivere nella bambagia con 2 mamme e 5 nonni a testa, vacanze magari in Sardegna e camicia stirata, più paghetta da metalmeccanico.
Ci manca l’aggressività delle generazioni precedenti, l’autonomia che si acquisisce nel gruppo e i nostri ideali non superano l’avere il nuovo cellulare per mms o il vestito Burberry. Dovremmo essere boxeurs e invece siamo damerini da salotto.
Giorgio Guglielmino
BIBLIOGRAFIA
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