Novembre 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Il testing linguistico: a che punto siamo? di Anna Lia Proietti

ABSTRACT

In questo breve intervento si intende gettare uno sguardo, per quanto personale e limitato, sulla storia del testing linguistico, dalle sue origini ad oggi per poi passare brevemente agli spunti che paiono promettenti, fornendo in questo modo le basi per analizzare alcuni degli strumenti che possono essere utilizzati dagli insegnanti nella loro attività. Lo scopo è quello di fornire, per quanto in maniera limitata ed incompleta, spunti di riflessione e strumenti pratici a chi voglia integrare efficacemente l’utilizzo del testing nella propria pratica didattica e valutativa.

Le voci a cui corrispondono dei collegamenti ipertestuali rimandano ad un glossario allegato.

 

1. CENNI STORICI

Fino alla fine dell’ottocento il testing linguistico si basava ancora su brani di traduzione ed esercizi di grammatica normativa, in questa fase, definita pre-scientifica,“language testing took both validity and reliability for granted;” (Davies, 2003: 356).Questa pratica, in sede di verifica, è durata nella didattica dell’italiano L2/LS molto più a lungo che nelle altre lingue, perché corrispondeva al metodo grammatico-traduttivo con cui l’italiano era insegnato fino a pochi decenni fa.

Il primo passo verso il moderno testing linguistico è costituito dal Silent Reading Test, pubblicato da F. Kelly nel 1915, un test di lettura-comprensione seguito da un quiz a scelta multipla. Le prime pubblicazioni scientifiche sul testing linguistico appaiono intorno agli anni ’20 quando C. Handschin delinea otto principi per la costruzione del test di lingua, alcuni di essi ancora attuali, come ad esempio quello sulla coerenza fra prassi didattica e testing: “It must test in a manner analogous to the one usually employed by teachers, and not in a way in which class have never reacted before” (in Barnwell, 1996:15), anticipando cosi il dibattito sull’effetto washback che, dagli anni ottanta in poi, appassionerà chi si occupa di testing.

Negli anni ’20 si afferma il “nuovo test”, un quiz a scelta multipla fattoriale e traduttivo che va piano piano a soppiantare il “vecchio test” di traduzione non tanto per ragioni teoriche quanto di economia nella correzione. È solo nel 1929 che, grazie al lavoro di V. Henmon, emerge la necessità di verificare le diverse abilità: vocabolario, lettura e comprensione, traduzione dalla L1, traduzione dalla L2, composizione, grammatica, ascolto e comprensione, pronuncia e produzione orale: lo stimolo che mancava per aprire la discussione su come costruire un test valido ed informativo che comprenda tutte queste abilità.

Negli anni ’30, la sofferenza politica che coinvolge l’intero globo frena lo sviluppo della ricerca in tutti i campi della glottodidattica, testing linguistico compreso. Paradossalmente è proprio lo scoppio della seconda guerra mondiale a sbloccare la situazione, sotto la spinta della necessità dei soldati, mandati a combattere all’estero, di poter capire “la lingua del nemico”. Nasce il celeberrimo ASTP (Army Specilized Traning Program) un corso intensivo in cui 12000 militari americani vengono “addestrati” in 9 mesi a parlare una delle 24 lingue straniere insegnate. Questo corso ha un approccio che potrebbe essere definito comunicativo, ma i test di ingresso e di livello sono ricchi di esercizi di morfosintassi e solo in qualche raro caso compaiono prove di ascolto e comprensione orale. L’esercito non ha una sua filosofia di testing, sebbene incoraggi test con prove con punteggi riferiti ad un criterio piuttosto che ad una norma. Il divario fra obiettivi del corso ASTP e formato del test non viene mai completamente sanato, ma almeno la discussione diventa vivace.

All’inizio degli anni ‘50 compaiono i primi test interamente in lingua target, in cui il quiz a scelta multipla viene utilizzato anche per domande di tipo comunicativo e non più solo per verificare la conoscenza di elementi discreti di morfosintassi o traduzione.

 

2. L’APPROCCIO STRUTTURALISTA

La versa svolta arriva quando, con l’elaborazione dello strutturalismo, uno studioso di nome Robert Lado, si impegna a dare una veste scientifica al testing linguistico e raccoglie il suo pensiero nell’opera: Language Testing. The construction and use of foreign language tests. (1961). In questa opera vengono enurmerate le 5 caratteristiche fondamentali del test oggettivo (Validity, Reliability, Scorability, Economy, Administrability). Con l’affermarsi del test oggettivo, il quiz a scelta multipla non conosce formati concorrenti e per un periodo segna la fine delle prove a risposta aperta, di quelle di traduzione ed anche della composizione. La teoria di Lado si basa sulla linguistica contrastiva che vede i problemi che insorgono nell’apprendere una lingua straniera come un transfer negativo della L1 sulla L2 e quindi il test come prova atta a verificare il superamento di questo trasfer. Certo che questo tipo di test, nonostante le sue basi scientifiche, era comunque soggetto a critiche, prima fra tutte quella del suo stesso teorico che afferma: “One must use a range or combination of... skills versus the elements of language versus subjective methods of test construction, depending on the puposes and conditions of the test” (in Davies, 2003: 357).

 

3. L’APPROCCIO INTEGRATIVO E COMUNICATIVO

Si arriva quindi all’altra pietra miliare di questa disciplina, lo studioso J. . Carroll, che in opposizione al “Discrete-point test” di Lado, più o meno nello stesso periodo, teorizza l’ “integrative test”,che non otterrà grande attenzione,fino a quando appariranno i primi lavori di Selinker sulla teoria dell’interlingua che presto soppianterà la visione dell’errore come transfer negativo tipica della linguistica contrastiva. Quando, ad una conferenza del ATESOL, Caroll dichiara: “We have the paradox that more we attempt to mesure different skills, and the better our measurements of these skills, the higher the correlation among the skills and thus the more appear to converge toward the measurement of a single all-embracing skill” (Carrol 1973), finalmente viene ascoltato e preso sul serio.

Alla base dell’approccio integrativo c’è l’idea che la lingua non può essere divisa in abilità ma che, per valutare le capacità effettive di un parlante, si debba misurare in toto. L’approccio integrativo si occupa della lingua nella sua globalità. Nei test integrativi si utilizza il linguaggio autentico pur senza metterne veramente alla prova l’uso funzionale.

Negli anni in cui Carrol si batteva per l’affermazione dell’approccio integrativo, un altro studioso, Oller (Oller,1972), aveva iniziato i suoi studi sulla ridondanza della lingua, ipotizzando la grammatica dell’attesa (expectancy grammar), l’elemento di predizione che a parer suo era fondamentale per “fare bene” con la lingua. La sua idea di test linguistico era un test che potesse includere anche la valutazione di questa grammatica dell’attesa ed a questo scopo riprende a studiare il Cloze Test, utilizzato per la prima volta circa 20 anni prima da Taylor.

Il cloze test si basa sulla teoria della psicologia Gestalt sulla “chiusura” ovvero la capacità del cervello di completare inconsciamente le informazioni mancanti. L’approccio integrativo riporta l’attenzione anche sulla prova di dettato, non solo come prova atta a stabilire la perizia ortografica, ma anche per impegnare la memoria uditiva, la capacità di distinguere tra segmenti di suono, la familiarità con la grammatica di una lingua e la capacità di comprensione testuale. Le ricerche hanno dimostrato che il dettato è un’ottima prova, in grado di diagnosticare la capacità linguistica globale.

Nel 1980 esce il libro di Carrol, Testing Comunicative Performance, in cui si analizzano aspetti fino ad allora trascurati come il rapporto fra pratica didattica e test: fra le caratteristiche del test, indicate nell’acronimo RACE (Relevance, Acceptability, Comparability, Economy), compare per la prima volta l’Accettabilità, si dà cioè voce al punto di vista dello studente in una discussione che coinvolge tutt’oggi numerosi studiosi. Rispetto al test integrato, il test comunicativo accetta l’ipotesi che la lingua possa essere suddivisa in abilità (come per esempio lettura, ascolto, grammatica) e che per accertare con accuratezza le competenze effettive di uno studente si debba ricorrere ad un test che le analizzi separatamente, in situazioni che comunque simulino situazioni comunicative naturali.

 

4. IL TESTING LINGUISTICO IN ITALIA

Per l’italiano L2/LS la pietra miliare è il 1981; in quell’anno, infatti viene, elaborato il Livello Soglia, all’interno del “Progetto Lingue Moderne” del Consiglio d’Europa. Anche per l’italiano, come era successo prima per l’inglese ed il francese, vengono identificati sei livelli di conoscenza o meglio “di saper fare” con la lingua. Basandosi su questi livelli i maggiori enti certificatori italiani hanno elaborato le loro prove di certificazione (Celi, Cils, Roma Tre, Plida ecc.)

A partire dagli anni ’90 la discussione si è spostata su temi, per così dire, più sociali, quali il washback, l’impatto, questioni di etica e politica. Si sono affrontante anche discussioni sul testing orale e su quello basato sul computer.

 

5. IL TESTING LINGUISTICO COMPUTERIZZATO

A partire dagli anni ’90 la discussione sul testing ha coinvolto anche le nuove tecnologie, ed in particolare il computer. Il più famoso fra i test di livello computerizzati è senz’altro il TOEFL CBT. Lanciato nel 1998 negli USA ha ormai quasi completamente sostituito il test carta e penna. L’avvio di questa pratica di verifica di livello ha offerto nuovi spunti di discussione. Non si è ancora appurato in maniera inconfutabile quanto l’imperizia nell’uso del computer vada ad incidere sul risultato finale del test, considerando che non si può dare per scontata, in ogni parte del mondo, una minima alfabetizzazione informatica. Altro campo di possibile disparità fra il test al computer e quello carta e penna riguarda i processi cognitivi coinvolti, non vi è infatti l’assoluta certezza che siano gli stessi. Anche la valutazione della prova scritta (nello specifico caso del TOEFL CTB) potrebbe risentire dell’effetto di una calligrafia magari poco chiara, rispetto ad un testo scritto con il computer.

Gli studi condotti fino a questo momento paiono provare che non ci sono grandi differenze tra il somministrare un test carta e penna ed uno computerizzato anche quando si tratta di persone che hanno scarsa familiarità con il computer stesso (Kunnan, 1999, 242).

In ogni caso molti studiosi sottolineano che le prove utilizzate dai test computerizzati sono ancora troppo tradizionali.

Un progetto di testing computerizzato, che ha suscitato grande interesse è DIALANG. Il progetto DIALANG è finanziato dalla Commissione della Comunità Europea all’interno del Programma Socrates, Lingua 2 (<www.dialang.org>). Si tratta di un test diagnostico, scaricabile gratuitamente dal sito, in 12 lingue europee, fra cui l’italiano, che non ha, almeno per il momento alcuna finalità certificativa.

La vera innovazione di questo test sta nel fatto di cercare di coinvolgere l’utente nel processo di valutazione. Prima di iniziare il test vero e proprio, si ha la possibilità di accedere alla sezione di autovalutazione, una per ogni abilità. L’utente deve riflettere su 18 affermazioni riguardanti la capacità di lettura, ascolto, scrittura. In base alle risposte date in questa sezione e a quelle date nel test di vocabolario, il sistema valuta il livello, secondo i parametri della Cornice Comune Europea di Riferimento (CEF).

 

6. RISORSE PER COSTRUIRE UN TEST DI LINGUA

Nell’introduzione si è detto che questo excursus non doveva essere ridotto ad un compendio della storia del testing linguistico standardizzato e di livello ma che si volevano proporre anche spunti pratici. Qui di seguito si illustrano alcuni materiali che possono essere utili a chi voglia preparare le proprie verifiche, siano esse diagnostiche, di livello, di progresso, oppure adattare test linguistici già esistenti alla propria prassi didattica, in maniera tale che si crei un washback positivo ed un clima che sempre più aiuti lo studente ad acquisire la lingua.

 

P.E.Balboni, 1998, Tecniche didattiche per l'educazione linguistica. Italiano, lingue straniere, lingue classiche, UTET, Tornino

Questo volume, preparato dal noto studioso Paolo E. Balboni (1998) ed edito da Utet, Torino, rimane un testo fondamentale sia per la didattica delle lingue in generale che per il testing linguistico. Il volume infatti si divide in due parti: una di impostazione più teorica sulla glottodidattica e l’altra pratica, in cui si analizzano una per una le tecniche che possono essere utilizzate in classe sia come stimolo all’apprendimento che nel momento della verifica. Tutte le tecniche vengono descritte attraverso i criteri di Pertinenza, Accettabilità, Informatività, Economia e Glottotecnologie, così da avere schede già pronte su cui riflettere, per poi prendere decisioni operative riguardo la verifica che si vuol costruire/adattare.

 

G. Grego Bolli (a cura di), 1998, Glossario terminologico del testing linguistico’, in: Multìlingual glossary of language testing terms, Studies in Language Testing, 6, Cambridge, UK: Cambridge University Press, pp.284-320.

Il progetto di creare questo glossario è nato dall’esigenza di avere una terminologia, relativa al testing linguistico, che sia equivalente in tutte le lingue europee. Oltre a fornire riferimenti incrociati per ogni voce, fornisce spunti bibliografici per chi voglia approfondire gli argomenti presentati.

 

Il sito internet dell’ALTE (Association of Language Tester in Europe), <www.alte.org>

Questo sito può essere considerato una vera miniera di informazioni. Nella sezione progetti si può trovare un agile glossario da consultare online e soprattutto il progetto “The Content Analysis Checklists”, che si propone di fornire indicazioni a coloro che vogliano preparare da soli il proprio test linguistico. Dalla pagina web di questo progetto è possibile scaricare degli opuscoli che guidano passo per passo alla realizzazione di test linguistici ben costruiti.

 

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Alderson, J.C., Wall D., 1993, “Does Washback Exist?”, Applied Linguistics, 14, 115-129.

 

Alderson, J.C., Huhta, A., 2005, “The development of a suite of computer-based diagnostic tests based on the Common European Framework”, Language Testing, 22 (3), 301-320.

 

Bachman, L.F. and Palmer, A.S., 1996, Language testing in practice. Oxford University Press, Oxford.

 

Baily K.M., 1999, Washback in language testing, ETS, Princeton; N.Y.

 

Balboni P.E., 1994, Didattica dell’italiano a stranieri, Bonacci, Roma

 

Balboni P.E., 1998, Tecniche didattiche, UTET, Torino

 

Barnwell D.P., 1996, A history of foreign language testing in the United States, Bilingual Press/Editorial Bili Tempe, Arizona, USA

 

Davies, A., 2003, “Three heresies of language testing research”, Language Testing, 20, 355-368

 

Kunnan, A.J., 1999, “Recent developments in language testing”, Annual Review of Applied Linguistics, 19, 235-253.

 

Carroll, J. B., 1973, Foreign language testing: Will the persistent problems persist? In M. C. O'Brien (Ed.), Testing in second language teaching: New dimensions, 6-17. Dublin: ATESOL-Ireland.

 

Oller, J. W., 1972, “Cloze tests of second language proficiency and what they measure”, Language Learning 23, 105-118.

 

Porcelli, G.,1975, Il language testing. Problemi e tecniche, Minerva italica.

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