Giugno 2015 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
La storia della nostra lingua, come tutte le altre, è intrisa di tradizioni che si cristallizzano in parole, e queste ultime in espressioni ben fatte che ricorrono sempre uguali. Esse, per comodità, eufonia e giustezza, sopraggiungono alle nostre labbra spontaneamente talvolta in proverbi o in semplici modi di dire. Ma quando e perché questo avviene? Che cosa succede fra due o più persone che parlano perché sopraggiunga un proverbio? Che tipo di relazione lega i parlanti all’oggetto in riferimento? E succede ancora oggi e come? Pur nella evidente trasformazione diacronica e diatopica della lingua italiana, possiamo dire che esiste ancora questo segreto evento comunicativo che prevede una forte memoria collettiva? E può servire a uno straniero conoscere questo tipo di comunicazione per sentirsi parte di un evento?
Rispondere a queste domande è stata la motivazione che ci ha spinti a indagare fra le ragioni etnolinguistiche del proverbio adattandole, in una prospettiva contrastiva interculturale, a una lezione per studenti di italiano come lingua straniera.
La “lezione pilota” è indirizzata a studenti di livello B2. Si intende stimolare lo studente a fare attenzione a questo tipo di evento comunicativo, in particolare all’uso della metafora, ai giochi di parole, all’uso dell’ironia con cui si citano spesso i proverbi.
L’unità didattica sui proverbi è stata sperimentata in classi di studenti adulti L2 e LS, di livello B2/C1, rispettivamente in Italia, in Messico, in Camerun e in Inghilterra. Una scheda finale vuole raccoglierne l’indice di gradimento di apprendenti e di docenti, e la reale funzionalità a livello comunicativo.