Febbraio 2010 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Insegnare lingua italiana a manager è possibile qualora si tengano presenti molte variabili che vanno dalla diversa tipologia di studenti che si ha di fronte al nuovo ambiente in cui l’insegnante deve muoversi. In questo articolo, partendo da una breve descrizione del manager e del docente di lingua, verranno proposte alcune strategie didattiche perseguibili per impostare un corso di lingua che risponda al bisogno linguistico dello studente-manager e sia al contempo flessibile e motivante.
1. LO STUDENTE-MANAGER E L’INSEGNANTE-FORMATORE: I DUE ATTORI DELLA FORMAZIONE LINGUISTICA IN AZIENDA.
Secondo quanto si legge in Della Volpe (2000: 352), la comunicazione formativa interna a una compagnia è quella «cui spetta il compito di sviluppare quella capacità indispensabile per fronteggiare un cambiamento»: se è vero che, di solito, ad essa è riferibile un programma ben organizzato di incontri formativi inerenti alle nuove tendenze aziendali delle quali è opportuno informare il personale, tuttavia sembra ascrivibile a quest’ambito comunicativo anche l’apprendimento linguistico di cui un alto funzionario necessita quando viene trasferito in una sede straniera, con un nuovo incarico, funzione diversa e staff composto da parlanti nativi della lingua. Il cambiamento di vita che il manager affronta avviene su vari fronti: quello aziendale, in quanto deve cambiare luogo e team di lavoro; quello professionale, poiché spesso ottiene una promozione e quindi anche nuove mansioni; quello psicologico, dal momento che non è semplice lavorare in un ambiente sconosciuto, con un personale diverso, riprendendo, molto spesso, le fila di quanto il predecessore ha fatto e apportando il proprio contributo senza turbare ordini precostituiti ma garantendo continuità e perfetta inclusione con il nuovo contesto lavorativo. A questo si aggiunga che la vita privata non viene in soccorso al manager in quanto il paese, la lingua, le usanze gli sono sconosciute ed egli si trova travolto da una quantità di contingenze nelle quali è difficile districarsi. A lui, immigrato a tutti gli effetti, sia pure con caratteristiche diverse dalle consuete, catapultato nel nuovo paese in tempi brevissimi, vengono peraltro richieste fin da subito un’ottima resa sul lavoro e la massima professionalità; in cambio l’azienda mette a disposizione tutti i mezzi possibili per agevolare la sua introduzione (alberghi convenzionati, auto e mezzi di comunicazione, assistenza medica e legale, agenzie immobiliari) ma, ciononostante, egli si scontrerà con gli inevitabili imprevisti e i problemi quotidiani. Tutte queste possibilità infatti gli vengono offerte in inglese, lingua attualmente veicolare, creando un’iniziale facilitazione, ma anche contribuendo a isolarlo in modo ulteriore: successivamente, del resto, non gli sarà risparmiata la conversazione in Questura per il permesso di soggiorno, quella con il negoziante di telefonini per un problema di attivazione dei numeri privati, quella con il proprietario della nuova casa che intende affittare, nonché i problemi relativi al pagamento di bollette, le discussioni con gli impiegati di banca o ancora lo scambio di battute con il tassista, il barbiere e quello con l’idraulico o il muratore per il restauro di una parte della casa. Non gli sarà nemmeno possibile evitare di interessarsi alle visite specialistiche dei propri figli, agli incontri con i genitori dei loro compagni di scuola, non trascurabili se vuole riuscire a condurre una vita regolare fatta di rapporti sociali e se vorrà mantenersi in forma come era abituato a fare prima, dovrà parlare con il personale della palestra per decidere il migliore abbonamento o la tariffa più adeguata alle proprie esigenze. I problemi non vengono meno neanche a lavoro dove, sebbene durante meeting o teleconferenze si usi preferibilmente l’inglese, gli sarà più facile riscuotere successo, simpatia o ammirazione nel proprio gruppo di lavoro se, in breve tempo, riuscirà a parlare qualche parola della lingua del paese di arrivo e successivamente a parlarla a un livello medio alto o addirittura correntemente1. Occorre infatti tenere presente che «la lingua non si presenta in isolamento, ma sempre accompagnata da altri fattori e, per usare un’espressione di S. J. Schmidt (1982: 33, citato in Borello, Baldi 2003: 23) “nel quadro di una situazione comunicativa complessa”, dove la lingua funge da sistema comunicativo necessariamente immerso nelle attività sociali e connesso ad entità non linguistiche».
Pertanto il ruolo del docente di lingua non si profila facile: egli dovrà sopperire alle difficoltà sopra accennate e rendersene partecipe creando attività didattiche che si adattino ai bisogni dello studente e possano in breve fornirgli il tipo di funzioni linguistiche e conoscenze di cui necessita affinché egli si muova con una relativa disinvoltura nel nuovo contesto linguistico. Infatti, annota Balboni (2003: XIV-XV)
«insegnare, lo sappiamo bene oggi alla luce di tutte le riflessioni sul problem solving, sull’insegnamento cooperativo, sulle comunità d’apprendimento ecc., non è to impart knowledge, che porterebbe a frecce monodirezionali, ma è condividere un processo. L’attenzione alla comunicazione fa sì che si passi da to impart knowledge a to share knowledge»
Tuttavia non sono pochi gli ostacoli cui il “formatore di lingua”, questo forse il modo più giusto per definirlo in questo contesto, deve far fronte:
-
La scarsità del tempo: nessuno degli studenti-manager è in grado di garantire una normale frequenza alle lezioni, che di solito vengono fissate per appuntamento, né tanto meno una concentrazione costante. Non sono pochi i casi in cui la lezione viene cancellata e slitta di una settimana per un viaggio d’affari che deconcentra e riporta a parlare solo inglese, facendo dimenticare molte delle cose apprese precedentemente; talora, poi, la sessione di lingua viene bruscamente interrotta a causa di una telefonata a cui lo studente deve rispondere o un incontro al vertice, tanto inaspettato quanto inevitabile.
-
L’assenza degli strumenti cui di solito un docente è abituato: manca tutto l’apparato multimediale e bibliografico che una scuola mette di solito a disposizione in quanto si è in un ufficio e, pertanto, si deve cercare di prevedere il tipo di problematiche cui si può andare incontro proponendo tempestivamente attività preparate ad hoc.
-
L’aspetto psicologico, poi, costituisce un problema non da poco: il manager è una persona di solito pronta e capace, abituata ad affrontare situazioni complesse, quindi le attività non devono essere troppo semplici perché potrebbero ingenerare demotivazione, ma nemmeno eccessivamente difficili in quanto diventerebbero frustranti. Non bisogna, infatti, dimenticare che chi occupa una posizione in alto è di solito abituato da un lato a vincere sfide di notevole livello e dall’altro ad incorrere raramente in errori. In molti casi questa tipologia di studenti è poco gestibile perché dotata di forte decisionismo: il tentativo di stabilire anche come impostare la lezione è assai frequente e, per quanto possibile, è opportuno concordare obiettivi e temi delle unità didattiche per arrivare a dei risultati concreti, senza creare irrigidimenti o tensioni nei rapporti. Inoltre chi si ha davanti è spesso stanco, stressato o, al contrario, attraversa fasi di entusiasmo e motivazione a seconda dell’andamento del proprio lavoro: per questo l’insegnante deve essere nel primo caso, ancora una volta, facilitatore; nel secondo caso, deve saper approfittare dei momenti di maggiore gratificazione per introdurre concetti più complessi e far progredire lo studente.
-
Il tipo di preparazione e di mansioni che lo studente ha: l’insegnante dovrà cercare di andare incontro al tipo di apprendimento che risulta più congeniale al discente2. Infatti, poiché l’individualizzazione della lezione appare conforme a questo tipo di insegnamento, è facile riscontrare una notevole propensione alle attività di produzione orale e comprensione scritta per coloro che operano nel settore delle risorse umane e della formazione, così come coloro che operano nei campi economico-finanziari e ingegneristici sembrano maggiormente a proprio agio quando si propenda a un metodo più tradizionale basato su regole, esercizi e letture. Particolarmente produttivo sarà, dunque, l’uso di materiali diversi e, talora, disparati, che possano andare incontro non solo ai gusti e alle esigenze, ma anche alle capacità cognitive e acquisizionali di ogni singolo studente.
2. QUALE METODO? COME CAMBIA L’UNITÀ DIDATTICA
Da quanto esposto sopra risulta che il metodo varia in relazione al tipo di utente del corso e alle sue necessità. Ciascun manager ha una formazione specifica e un settore specialistico di azione: la scoperta della forma mentis è pertanto una delle prime difficoltà cui l’insegnante deve far fronte durante la lezione individuale più che in quella di gruppo, e nell’apprendimento a manager più che mai. In linea generale si riscontrano tuttavia caratteristiche analoghe: capacità induttive, prontezza d’intuito, memoria, attitudine alla competizione e alle sfide, volontà di progredire rapidamente. Quest’ultima è un’opportunità su cui far leva durante il percorso formativo e un gravoso difetto cui far fronte qualora, a causa di esso, si vada incontro a fretta, trascuratezza, scarsa attenzione.
A questo proposito, fin dalle prime lezioni, è necessario fornire le basi linguistiche per muoversi in un contesto straniero, cercando di non ingenerare nello studente la sensazione di essere precluso dal mondo circostante. Durante le prime lezioni sarà dunque opportuno:
-
permettere allo studente di utilizzare in modo efficace le principali funzioni linguistiche (salutare; dare/chiedere informazioni; esprimere necessità, desideri; chiedere permessi; invitare; rifiutare; accettare);
-
far notare che molte funzioni linguistiche sono adattabili a svariate situazioni e quindi imparando una “formula” essa sarà riutilizzabile in più contesti;
-
procedere per aree tematiche fornendo il vocabolario necessario a coprire le principali necessità, senza soffermarsi a lungo sul superfluo.
La scarsità di tempo a disposizione, tuttavia, non permette di dilungarsi come avviene generalmente nelle normali unità didattiche in classe: di solito i manager preferiscono una lezione interattiva, dove loro stessi sono i protagonisti, amano mettersi alla prova e dimostrare di essere all’altezza di sostenere lo sforzo di queste prime lezioni facendo fronte con iniziativa e creatività ai problemi che il docente gli pone e risolvendoli rapidamente.
Come cambia dunque l’unità didattica?
Motivazione: è completamente incentrata sulla ricerca delle parole che il discente già conosce, non occorre richiamarne altre, di solito sono più che sufficienti, al massimo si può tentare di farne immaginare alcune alle quali arriva spesso da solo facendo riferimento alla conoscenza di altre lingue o al riadattamento dalla propria. Durante le prime lezioni non è il caso di appesantire troppo il volume di cose da imparare: sarebbe eccessivamente stancante, poco utile, demotivante e, in breve, spingerebbe lo studente e lasciare il corso3. Il manager ha una vita già abbastanza complicata e stressante per dover considerare una lezione di lingua un ulteriore problema da affrontare: peraltro «è innegabile che l’insegnamento è una sofisticatissima azione di marketing, in cui l’allievo si propone di “acquistare” una crescita personale, degli strumenti critici, determinati contenuti dei quali allo studente non interessa nulla, di cui non percepisce, se non raramente, l’utilità, che spesso interpreta […] come violenza pura alla sua identità, i suoi desideri, i suoi reali bisogni» (Balboni 2003: XX).
Globalità- Sintesi- Riflessione: si può scegliere di sottoporre allo studente un breve dialogo, soluzione preferibile specie nelle prime lezioni e con coloro che sono meno portati all’improvvisazione oppure in modo più audace, di chiedere allo studente di venire a capo di una situazione problematica: es. devi andare in centro, non sai quale autobus prendere, chiedi informazioni a un passante.
Di solito quest’ultima soluzione è quella che poi viene preferita di gran lunga: in una prima fase infatti il manager è stimolato a dare il meglio di sé cercando di far fronte alla situazione problematica con i propri mezzi, cosa che lo diverte e lo avvince. Inoltre bisogna considerare che la loro vita lavorativa è costellata da problem solving, dunque lo studente si troverà in una condizione a lui familiare risponderà ad essa nel modo più spontaneo senza stress. La correzione che ne segue, inoltre, lo interessa molto, lo stimola a trovare anche nuove soluzioni e nuove risposte alternative a quelle già date, gli consente di memorizzare nuove espressioni e di correggere quelle utilizzate, lo responsabilizza una volta di più davanti all’errore. Se nella prima fase, infatti, aveva tentato di evitarlo, nella seconda, resosi consapevole dell’errore commesso, cerca di non ripeterlo e di memorizzare la formula giusta4. Infine, la riflessione sulle strutture linguistiche che ne deriva porta spesso anche a una riflessione più ampia e correlata ai modi di parlare, a questioni di ordine interculturale, a porre domande su fatti accaduti che si riallacciano alla tematica affrontata e al contempo permettono un ampliamento di conoscenze relative alla vita in Italia, agli italiani, ai loro usi e costumi. In questa unità didattica “ridotta e velocizzata”, dunque, la fase della globalità comprende anche quelle di sintesi e della riflessione.
Verifica: sarà possibile condurre una verifica in svariati modi, proponendo sia il tradizionale dialogo da completare o da ricostruire (soluzione che garantisce simultaneamente il ripasso e il consolidamento della strutture apprese) sia il gioco, più creativo e distensivo, che consente di chiudere la lezione. Sebbene possa apparire strano, le attività ludiche vengono apprezzate e scelte di buon grado dallo studente-manager, in quanto da un lato costituiscono una pausa dal proprio lavoro, dall’altro non lo annoiano in quanto finalizzate all’apprendimento.
In una seconda fase di apprendimento, quando ormai i primi rudimenti grammaticali e le funzioni linguistiche di base saranno apprese, sarà opportuno arricchire la lezione con letture sull’Italia e la società italiana, oltre a ritornare sugli argomenti grammaticali trattati con esercizi e approfondimenti di vario genere; così facendo si ottiene un duplice effetto: da un lato l’apprendimento a spirale che consente di non demotivare il discente e di non frustrarlo sottoponendolo a una pressione eccessiva, dall’altro l’ampliamento del lessico attraverso letture più complesse che, sebbene possano risultare meno facilmente fruibili, ingenerano autostima per il buon livello raggiunto e risultano interessanti per l’argomento trattato. Durante la globalità il dialogo sarà dunque sostituito con un testo scritto di vario genere (descrizione, articolo di giornale, racconto umoristico) o con un testo audio, o un breve filmato e gli esercizi di rinforzo della grammatica e del lessico andranno dai tradizionali cloze a attività di combinazione.
Per le successive fasi di progresso grammaticale che riprendono dopo il ripasso e il consolidamento delle strutture apprese, sembra necessario procedere secondo brevi unità didattiche, come accennato sopra, ferma restando la priorità di soddisfare i bisogni linguistici degli studenti che, a questo punto, optano per la scelta di linguaggi settoriali e brevi sessioni grammaticali ad hoc per progredire nell’uso della lingua.
3. QUALI CONTENUTI?
I contenuti sono l’elemento che crea maggiori problemi all’insegnante formatore. Non sono infatti assimilabili né a quelli dei turisti né a quelli degli immigrati, ma piuttosto appare preferibile una combinazione delle due tipologie5.
Siamo infatti di fronte a “immigrati particolari”, che si muovono nei livelli più alti della società, vivono in appartamenti o hotel di lusso, oppure in ville, partecipano a aperitivi e cene nei migliori locali, si ritrovano in feste a bordo piscina e restaurano la propria casa o comprano mobili per renderla più confortevole e adeguata alle loro esigenze. Nel fine settimana non si accontentano di visitare una località turistica, ma preferiscono luoghi inusuali senza porre problemi di costi e, se devono rilassarsi, non lo fanno solo ascoltando un brano di musica sul sofà, ma probabilmente andando a sciare, alle terme, al mare o in gita in barca. In ufficio di solito partecipano a meeting, a conference call, danno istruzioni al proprio staff su come procedere, fanno presentazioni e tengono lezioni. Al contempo, tuttavia, come peraltro già accennato, si scontrano anche con problemi pratici: parlare con il parcheggiatore, dare indicazioni al tassista, richiedere una visita medica, parlare al telefono, ordinare qualcosa al bar, ma anche, e non è il caso di trascurare, dare istruzioni agli operai che restaurano la casa, occuparsi dell’impianto della piscina o parlare con il giardiniere.
Le due tipologie di contenuti portano ovviamente a una scelta di materiale sempre diversa: se infatti, talora, vista la specificità e, soprattutto, considerata l’assenza di testi che vengano in soccorso, per certi argomenti sarà opportuno che l’insegnante stesso crei il materiale da utilizzare durante la lezione (ad es.: unità didattiche relative a come organizzare un meeting, tracciare vantaggi e svantaggi della propria posizione lavorativa, fare raffronti tra la propria azienda e un’altra dello stesso settore, esporre e descrivere un argomento relativo alle proprie mansioni, come esprimere le proprie idee durante una conversazione di lavoro; oppure attività di ampliamento del lessico relative alla macchina, le terme, la moda, il teatro, la piscina, ecc…; tutte queste attività, sia quelle che concernono il lavoro, sia quelle sul tempo libero contengono, peraltro, lessico e funzioni linguistiche riutilizzabili anche nelle situazioni quotidiane), nei casi in cui le situazioni siano più assimilabili a quelle tradizionali (ad es.: prenotare una camera d’albergo, andare al ristorante, andare alla posta, ecc…) sarà possibile, invece, appoggiarsi ai testi in commercio. È opportuno per lo studente-manager, come per qualunque studente, far riferimento a un testo su cui leggere, studiare e imparare; alcuni richiedono il cd per poterlo ascoltare durante le ore di volo da una sede all’altra della compagnia o nei viaggi di andata e ritorno da casa al posto di lavoro. Tuttavia la scelta di un manuale troppo improntato ai temi di interesse per turisti e, dunque, del tempo libero e delle attività di intrattenimento o del gossip, risulta noiosa per il manager, mentre appare preferibile scegliere manuali che si attestino su tematiche di ordine generale, riferite alla vita quotidiana, al tempo libero, al lavoro ma anche a problemi concreti di tutti i giorni: come muoversi in banca, alla posta, così come in farmacia, dal dottore o in un negozio.
CONCLUSIONI
Insegnare lingua a manager può essere una sfida interessante e motivante, se si accetta un ritmo diverso e dinamiche sempre non facilmente avvicinabili alle esigenze di una lezione tradizionale in classe. Il formatore è chiamato a dare prova non solo di particolare flessibilità e elasticità ma anche di una singolare capacità di ascolto e di attenzione verso lo studente, cercando di essere un autentico professionista, specializzato nella propria materia e per questo chiamato a portare il proprio contributo cooperando alla realizzazione degli obbiettivi dell’azienda.
BIBLIOGRAFIA
ANTONELLI G., 2007, L’italiano nella società della comunicazione, Il Mulino, Bologna.
BALBONI P. E., 19982, Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, UTET, Torino.
BALBONI P. E., 2001, Parole comuni e culture diverse, Marsilio, Milano.
BALBONI P. E., 2003, Introduzione, in Borello E., Baldi B., Teorie della comunicazione e glottodidattica, UTET, Torino, XIV- XV.
BARNI M., VILLARINI A. (cur.), 2001, La questione della lingua per gli immigrati stranieri. Insegnare, valutare e certificare l’italiano L2, FrancoAngeli, Milano.
BORELLO E., BALDI B., 2003, Teorie della comunicazione e glottodidattica, UTET, Torino.
BORELLO E. (cur.), 1994, L’incomunicabilità di massa. Linguaggi settoriali: funzionamenti e apprendimenti, Edizioni dell’Orso, Alessandria.
CARDONA M., 2001, Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue. Una prospettiva glottodidattica, UTET, Torino.
Centro di documentazione educazione degli adulti del Lazio (cur.), 2004, Italiano per migranti : apprendimento della lingua 2 e inserimento nel mondo del lavoro, FrancoAngeli, Milano.
CORDA A., MARELLO C., 2004, Lessico. Insegnarlo e impararlo, Guerra, Perugia.
DELLA VOLPE M., 20002, Gestione della comunicazione aziendale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli.
GENSINI S. (cur.), 20023, Manuale della comunicazione, Carocci, Roma.
GILLI D., NANETTI M. (cur.), 1994, Imparare le lingue nella piccola e media impresa: audit linguistico e sistemi di apprendimento autonomo delle lingue straniere/Isfol, FrancoAngeli, Milano.
GUIDO N., LIPPOLIS M. (cur.), 2007, Valorizzare l’insegnamento e l’apprendimento linguistico, ISFOL, Roma.
JAFRANCESCO E. (cur.), 2005, L’acquisizione dell’italiano L2 da parte di immigrati adulti, Atti del XIII convegno nazionale ILSA, Edilingua, Roma.
MATTHEI E. H., ROEPER T., 2001, Elementi di psicolinguistica, Il Mulino, Bologna.
1 «La lingua, intesa come adeguata competenza comunicativa, come adeguata capacità di mobilità nello spazio linguistico della società ospite, è anche condizione di possibilità per l’inserimento sociale e professionale: una competenza linguistica adeguata consente di inserirsi in contesti di socializzazione complessi e non marginali, e questi attivano processi che consentono alla competenza di svilupparsi ulteriormente», Barni, Villarini: 2003: 35.
2Si legge in Guido, Lippolis (2007: 41):
«Non è da dimenticare che siamo in un contesto di andragogia, da cui la glottodidattica trae alcune indicazioni relative, soprattutto, ai seguenti principi:
-
L’adulto ha una storia di apprendimento e tende a seguire modelli che gli sono noti, anche se a suo tempo non lo hanno soddisfatto;
-
L’adulto ha meccanismi di analisi e formalizzazione più consolidati di quelli di un adolescente e tende spesso a procedere dall’apprendimento regolare all’acquisizione spontanea;
-
L’adulto vive una vita di relazioni sociali (ruoli professionali e familiari, ad esempio) ed interpersonali […] che devono essere tenute in conto durante l’apprendimento se non si vuol far scattare il filtro affettivo;
-
Nello studio di una lingua straniera l’adulto ha scopi ben precisi e richiede risultati più tangibili ed immediati dello studente delle scuole o dell’università.»
3 «Per la riuscita di un corso è dunque fondamentale distribuire l’apprendimento di un determinato corpus linguistico in diversi giorni, senza, allo stesso tempo, sovraccaricare troppo una lezione di input diversi ed eterogenei. In realtà si tratta di un rapporto di equilibri più delicato di quanto sembri, perché da un lato un allievo può sentirsi inizialmente stimolato da una costante presentazione di input diversi, ma può avere la sensazione di “soccombere” di fronte a una progressione troppo veloce, o di non sentirsi all’altezza del compito e questo può innescare un meccanismo di rinuncia; dall’altro si può produrre l’effetto contrario, che può condurre alla percezione di un cammino di apprendimento troppo lento, di essere sempre allo stesso punto e di progredire poco, producendo uno stato di insofferenza che non conviene all’allievo, ma nemmeno all’insegnante […]» Cardona, 2004: 77.
4 «L’errore può rappresentare una utile tappa formativa quando può essere elaborato, discusso, compreso, ma questo può accadere quando il sentimento, ossia la percezione cosciente di un’emozione, è positivo e non consente l’innalzamento del filtro affettivo. D’altra parte, se l’errore commesso è riconducibile alla performance, e si tratta dunque di uno sbaglio (mistake), lo studente possiede probabilmente gli strumenti linguistici e metalinguistica per intervenire, comprenderlo e spesso autocrreggersi. Tuttavia, in presenza di un errore riconducibile alla competenza (error), l’allievo potrebbe non capire dove ha sbagliato e perché. In questo caso l’intervento ed il consiglio dell’insegnante diviene fondamentale, ma esso può raggiungere la massima efficacia in un rapporto di fiducia e collaborazione». Cardona, 2001: 42.
5 «Per stabilire quali parole devono rientrare nelle conoscenze di uno studente straniero ci si deve innanzitutto chiedere a quale scopo sta imparando l’italiano. […] L’obbiettivo che si vuole raggiungere determina la scelta tra lingua scritta o parlata, il livello di specializzazione nei linguaggi settoriali e la distinzione tra conoscenza ricettiva e produttiva delle parole da imparare.» Corda, Marello 2004: 30.