Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunicazione interculturale
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Il volume si focalizza su tutte quelle componenti della competenza comunicativa che, se ignorate, possono creare grandi problemi comunicativi tra parlanti provenienti da culture diverse; questioni che possono emergere prepotentemente anche se gli stessi parlano un buon inglese come lingua franca e che sono connesse alla comunicazione non-verbale: il concetto di tempo e la sua percezione, la sua strutturazione (turni di parola, ordine del giorno, ecc.), il concetto di puntualità; la gerarchia, esplicita o implicita, che si esprime con segni non-linguistici (dalla prossemica all’arredamento agli status symbols) ma anche con tutte le forme linguistiche di rispetto; linguaggi gestuali: spesso sostituiamo le parole che non conosciamo o ne sottolineiamo altre con gesti… che in altre culture possono avere significati completamente diversi, talvolta osceni o offensivi; anche la prossemica, la distanza tra i corpi, ha valore comunicativo e può interferire con la comunicazione verbale; i linguaggi oggettuali, dalla scelta dei vestiti a quella degli status symbols. Un’altra sezione è dedicata ai problemi strettamente linguistici che possono creare nell’interlocutore la sensazione di aver a che fare con una persona aggressiva, infida, inaffidabile…
Il senso profondo del volume è quello di spingere gli insegnanti di lingue a chiedersi quali valori della cultura che insegnano vogliono proporre agli allievi come esemplari di un determinato paese, come modelli che rendono interessante lo studio di una cultura; in secondo luogo, aiutare gli insegnanti a distinguere gli stereotipi dai sociotipi reali, ovvero la cultura che viene attribuita ad un paese partendo dalla sua cultura quotidiana autentica: a questo scopo l’ultimo capitolo suggerisce una griglia di osservazione della cultura, da utilizzare sia per la propria autoformazione sia per insegnare agli allievi ad osservare una cultura.
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