Settembre 2010  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
I verbi italiani nei rapporti d’accordo e reggenza: questione di rilievo nella padronanza della lingua italiana di Márcia Marques Marinho Castro

ABSTRACT

La padronanza linguistica non può prescindere dalla conoscenza del sistema verbale nei suoi aspetti più dettagliati e, in questo caso, particolare enfasi è data agli elementi caratteristici della reggenza e ai rapporti d’accordo. Malgrado l’abbondanza di ricerche e lavori scolastici dedicati all’argomento fatti da grammatici e linguisti, si tratta spesso di analisi generali della grammatica normativa italiana, invece di guide pratiche – ma non meno approfondite – sulla questione delle regole e delle loro eccezioni. Dunque, considerata la rilevanza dello studio del codice verbale rispetto all’accordo e alla reggenza, lo scopo di questo lavoro è mettere in evidenza queste due prospettive ed il loro inserimento nel complesso verbale dell’italiano.

 

 

 

 

1. INTRODUZIONE

 

La molteplicità di elementi che compongono il sistema verbale italiano e la complessità degli aspetti che li caratterizzano rendono abbastanza particolari il processo di apprendimento e lo studio dell’italiano. L’acquisizione della lingua italiana a livello avanzato – quella che permette lo sviluppo armonico delle quattro abilità è un’impresa che richiede un´attenzione dettagliata ai verbi, alla loro reggenza e ad alcune particolarità che includono la conoscenza di pronomi, particelle e preposizioni.

Inoltre, la varietà dei componenti sintattici del discorso intorno al verbo – il cosiddetto sintagma verbale – il loro rapporto con i sintagmi preposizionali ed il bisogno di elementi come la coesione e la coerenza ragionevole nell’uso del linguaggio esigono che si dedichi ai verbi un‘attenzione speciale e riflettono le difficoltà rispetto al raggiungimento della padronanza linguistica, come stabilita dal quadro comune europeo di riferimento per le lingue (Bertocchi, Quartapelle 2002:16):

 

Le competenze linguistiche includono abilità e conoscenze riferite al lessico, alla fonologia, alla sintassi e ad altre dimensioni del linguaggio visto come sistema, indipendentemente dalla valenza sociolinguistica delle sue variabili e dalle funzioni pragmatiche delle sue realizzazioni.”

 

Anche se quest’affermazione mette in rilievo il concetto di “competenza linguistica” introdotto da Chomsky, in opposizione alla “competenza comunicativa” da Dell Hymes – che tiene in considerazione l’intervento di fattori culturali, sociali e contestuali sull’apprendimento e sull’uso di una lingua – le capacità che devono essere raggiunte dall’allievo richiedono, in primo piano, la consapevolezza della lingua come un insieme complesso ed articolato, essendo la conoscenza approfondita dei suoi elementi uno strumento di dominio dello stesso codice linguistico.

Rispetto a questi elementi, i verbi sono tra quelli che possono offrire agli studenti maggior difficoltà, in particolare per quanto riguarda l’accordo e la reggenza. Dunque, lo scopo di questo compito è di chiarire questi aspetti della lingua italiana e di riflettere sugli ostacoli incontrati dai madrelingua e non nel raggiungimento della padronanza linguistica, permettendo cosi agli allievi (ed ad alcuni professionisti come i traduttori) di consultarlo come fonte ausiliare di informazione sul tema, in caso di dubbio. Infine, sono forniti dati supplementari in riferimento ad alcune particelle in italiano, oltre alla reggenza verbale in tre lingue romanze a confronto: l’italiano, il portoghese ed il francese.

 

 

2. L’ACCORDO DEL PARTICIPIO PASSATO COL SOGGETTO E COL COMPLEMENTO OGGETTO

 

Secondo la regola generale, stabilita anzitutto a partire dai criteri di transitività ed intransitività dei verbi, il participio passato nei tempi verbali composti si accorda in genere e numero col soggetto quando l’ausiliare è “essere”, in opposizione ai tempi che richiedono l’ausiliare “avere”, in cui il participio rimane immutato, ossia, al maschile singolare, in base alla tendenza di “cristallizzazione” del participio segnalata da L. Serianni (2006:366):

 

Storicamente si osserverà con Rohlfs (1966-1969:725) che, giacché i tempi composti con ‘avere’ per indicare il passato muovono dalla formula tardo-latina DOMUM CONSTRUCTAM HABEO (‘ho una casa costruita’ => ‘ho costruito una casa’), appar chiaro che in origine il participio s’accordava col relativo oggetto-accusativo. Tuttavia, col passare dei secoli s’è avuta una sorta di fossilizzazione del participio e col perdersi della coscienza del significato originario, l’accordo del participio non fu più strettamente osservato.”

 

Diversamente, l’accordo col complemento oggetto sottostà ad altri criteri; quando i complementi sono rappresentati dai pronomi atoni “lo, la, li, le” e precedono il verbo, si fa obbligatoriamente la concordanza del participio (“Hai visto la nuova macchina di Carlo?Si, l’ho vista”). Innanzitutto, l’accordo del complemento in questo caso varia in rapporto alla sua forma di presentarsi ed alla sua posizione rispetto al verbo.

Quando il complemento è costituito da una delle particelle clitiche “mi, ti, ci, vi”, impiegate come pronomi diretti, l’accordo col participio diviene facoltativo – allora, si può dire, trattandosi di qualcuno di sesso femminile: “Ti ho visto ieri pomeriggio” oppure “Ti ho vista ieri pomeriggio.”

Al contrario di quello che avviene con i pronomi diretti deboli, i pronomi indiretti non richiedono l’accordo col participio, che rimane, dunque, invariato; infatti, quest’accordo è vietato dalla grammatica normativa anche quando il pronome è anteposto al verbo: “Tu hai telefonato ad Alessandra? Si, le ho telefonato.”

 

 

2.1. IL PRONOME PLEONASTICO

Molti parlanti dell’italiano hanno un atteggiamento controverso nei confronti dei pronomi pleonastici; da un lato, alcuni usi, ridondanti o troppo colloquiali, sono così considerati scorretti o stigmatizzati (“A me mi piace la pasta”), mentre altri sono indubbiamente necessari o adeguati per raggiungere lo scopo dell’enfasi: “Di questo tema dobbiamo parlarne adesso.”

Secondo il contesto ed il bisogno di rafforzamento da parte della persona che parla questa lingua, l’impiego dei pronomi pleonastici è permesso in alcuni casi in cui si può richiedere una posizione appropriata dei nomi a cui si riferiscono questi pronomi. Il trasferimento a sinistra dei nomi è obbligatorio quando il pronome diretto (lo/la/li/le) viene prima del verbo, e in questo caso, ovviamente, si fa l’accordo con il participio nei tempi composti: “La bicicletta l’ho lasciata al parcheggio.”

La grammatica non obbliga (ma consente) di fare il trasferimento dei nomi a sinistra quando occorrono altri pronomi prima del verbo, senza l’accordo con il participio – “A Michele gli ho telefonato stamattina.” Quando il nome, invece, è dislocato a destra del cosiddetto pleonastico, si parla di trasferimento facoltativo a destra, specialmente in tono colloquiale, con l’accordo del participio fatto secondo i casi stabiliti dalla regola generale: “Dove l’hai lasciata la macchina?”

 

 

2.2. I PRONOMI DI CORTESIA

 

Ai pronomi di cortesia viene associata la funzione di chiarire i livelli di formalità, cortesia e deferenza nel dialogo e stabiliscono un segno di distinzione dovuto ad un senso generale di rispetto.

Le forme di cortesia servono pure a denotare la distanza che vige all’interno di un rapporto gerarchico tra i parlanti.

In maniera simile a quello che avviene nella maggioranza delle lingue europee, il pronome plurale “voi”, venuto dal “vos” e dal “nos” maiestatico, può essere impiegato per rivolgersi ad una sola persona; però, questo accade quasi esclusivamente in delimitati contesti geografici e sociali, dato che l’uso del “voi” per riferirsi ad un singolo sia più comune tra gli anziani – un impiego proveniente da arcaismi – e nei regionalismi meridionali, secondo usi e caratteristiche di queste regioni.

Di fatto, la forma cortese più ampiamente diffusa nell’italiano di oggi è il “Lei”, malgrado la sua origine controversa e poco chiara (Belardinelli, 2007:13-14):

 

Più complesso invece il caso del lei che non è mai testimoniato nell’italiano delle origini. Si deve partire dalle locuzioni reverenziali del tipo Tua o Vostra Signoria Magnificenza e simili, seguite da pronomi allocutivi: inizialmente sono usati pronomi di seconda persona, sia voi che tu, ma a un certo punto, nella seconda metà del Quattrocento, viene usato un pronome anaforico, che richiama quella locuzione, e quindi è di terza singolare, del tipo essa, quella, questa, codesta e lei. Quest’ultimo, dapprima nei casi preceduti da preposizione (così in una lettera di Lorenzo il Magnifico, del 1465) e solo più tardi come soggetto (un esempio è in una lettera dell’umanista Pontano, del 1476, per la cancelleria aragonese di Napoli). In questi primi esempi, quindi, il lei appare ancora in bilico fra l’essere un semplice richiamo (pronome anaforico) alla formula di cortesia presente a capo lettera e il divenire una nuova forma allocutiva di cortesia a sé stante. Lentamente nel Cinquecento e nel Seicento, ma soprattutto nel Settecento la forma Ella / Lei conquista definitivamente terreno e si affianca, come possibile scelta alternativa al voi, con un valore intermedio tra la forma estesa Vostra Signoria e il più comune voi.”

 

Quando si usa l’allocutivo di deferenza “Lei”, tutti i pronomi che vi siano riferiti vengono concordati al femminile: “Professore, posso farLe una domanda?”. Gli aggettivi o participi fanno l’accordo secondo il sesso della persona a cui ci si rivolge – “Signor Rossi, da dove è venuto?”. Benché non sia molto usuale, la concordanza di questi termini al femminile sarebbe rigorosamente giusta e permessa in caso di grande riverenza, ossia, nel tono più formale o anche in presenza dell’allocutivo “Ella”: “Signor Bianchi, Lei è convocata all’assemblea”/”Ella, Signor Bianchi, è stata già qui?”.

 

 

2.3. L’ACCORDO CON I VERBI SERVILI

 

Per quanto riguarda i verbi modali o servili, l’accordo del participio nei tempi composti dipende dell’ausiliare che, a sua volta, è richiesto dal verbo all’infinito che segue il participio, in base alla norma generale. Quindi, se il verbo all’infinito è coniugato in un tempo composto con l’ausiliare “essere”, il participio del verbo modale è sottoposto all’accordo in numero e genere – “Ieri siamo dovuti andare a cena dai suoceri”. Però, c’è un’eccezione a quest’orientamento: quando il verbo all’infinito è proprio “essere”, si consiglia di scegliere l’ausiliare “avere” e, in questo caso, il participio del verbo servile non viene concordato al soggetto – “Avrei potuto essere paziente”.

Quando il verbo modale ed il verbo all’infinito vengono insieme ad una particella pronominale, si usa l’ausiliare “essere”, quando la particella è proclitica rispetto all’ausiliare stesso, mentre si impiega “avere” se la particella é collegata all’infinito: “A Natale mi sono voluto vestire benissimo”/”A Natale ho voluto vestirmi benissimo.” Ovviamente, in queste occasioni il participio si accorda o rimane invariato nel modo richiesto dalle regole principali di concordanza dei verbi servili, a dispetto delle loro oscillazioni storiche, verificabili nei due brani di Promessi Sposi (capitolo XXII), presi dalle edizioni del 1827 e 1842:

 

Il signore entrò, e girato un'occhiata per la stanza, vide Lucia ravvolta nel suo cantuccio e quieta. « Dorme? » domandò sotto voce alla vecchia: « colà, dorme? eran questi i miei ordini, sciagurata? « Io ho fatto il possibile, » rispose questa: « ma non ha mai voluto mangiare, non ha mai voluto venire... (PS, 1827).

Il signore entrò, e data un'occhiata per la camera, vide Lucia rannicchiata nel suo cantuccio e quieta. « Dorme? » domandò sotto voce alla vecchia: « là, dorme? eran questi i miei ordini, sciagurata?
« Io ho fatto di tutto, » rispose quella: « ma non ha mai voluto mangiare, non
è mai voluta venire... (PS, 1842).

 

 

2.4. L’ACCORDO COL PRONOME RELATIVO «CHE»

 

Tra i pronomi relativi, il “che” è la forma più impiegata nell’oralità, essendo invariabile e svolgendo funzione di soggetto (in caso nominativo) o di complemento oggetto (all’accusativo). Serve a sostituire un antecedente e ad unire una proposizione relativa ad un’altra, chiamata reggente, per questo è sempre preceduto da un periodo, ma non ci sarà mai una preposizione che gli sia anteriore.

Per quanto riguarda l’accordo del participio nei tempi composti dei verbi transitivi (ossia, quelli che richiedono l’ausiliare “avere”), la grammatica consente di stabilire la concordanza del complemento oggetto anteposto al verbo quando la proposizione principale e quella subordinata relativa sono unite dal pronome “che”.

Quindi, sarebbe giusto dire: “Queste sono le lettere che io ho scritte.” Tuttavia, quest’impiego non è proprio del linguaggio quotidiano, essendo riservato al registro formale e scritto o a quello erudito, anche se nella lingua parlata.

Malgrado la tendenza, dalla parte di grammatici e parlanti, a non fare l’accordo del participio negli enunciati di questo tipo, L. Renzi mette in luce l’aspetto stilistico, gli arcaismi ed i criteri regionali vincolati alle eventuali concordanze del participio, quantunque il complemento oggetto ci venga posposto (Renzi, 1988-1995:239-240):

 

Con i verbi transitivi, se il complemento oggetto è un SN o l’elemento relativizzato di una proposizione relativa, solitamente il participio rimane invariabile: “Ho mangiato una pesca. La pesca che ho mangiato era piuttosto acerba”. In fasi antiche dell’italiano, in certe varianti stilistiche alte e in certi tipi di italiano regionale meridionale è possibile avere accordo con il complemento oggetto: “Ho poi conosciuti alcun’altri”/”Abbiamo riservate delle poltrone per le Signorie Vostre”.”

 

 

2.5. L’ACCORDO CON IL «SI»

 

Dapprima, bisogna distinguere i vari usi della particella “si” – riflessivo, reciproco, passivante ed impersonale.

Nel caso del “si”riflessivo, anteposto al verbo transitivo in forma non accentata (in opposizione a “sé”), si fa l’accordo del participio nei tempi composti col soggetto, dato che la funzione riflessiva riguarda la propria sfera personale, anche nel senso di compiere un’azione “per sé” (in forma riflessiva apparente): “Maria si è guardata allo specchio e si è preparata un caffè”.

Se il “si” svolge la funzione di complemento di termine, nel senso di “a sé stesso(a)”, l’accordo del participio viene fatto pure col soggetto: “Flora si è lavata i capelli”.

Però, quando “si” si accompagna a un altro pronome cambia in “se” (non accentato) e, in questo caso, il participio viene concordato col pronome complemento oggetto – “Laura si è comprata il libro di anatomia” oppure “Laura se lo è comprato”.

Il “si” reciproco nei tempi verbali composti richiede l’ausiliare “essere” e la concordanza col soggetto – “Gloria ed Anna si sono sempre scritte”. L’impiego della particella “si” nelle strutture impersonali con i verbi transitivi e gli agenti indefiniti, simili alle costruzioni passive, richiede basicamente l’ausiliare “essere” nei tempi composti (“venire”ed “andare” sono meno utilizzati; quest’ultimo mette l’accento sull’idea di necessità); come termine passivante, “si” stabilisce l’accordo del participio col soggetto della frase passiva, ossia, col complemento oggetto della forma attiva: “I risultati si sono ottenuti in modo piacevole”.

Nelle costruzioni impersonali – quelle che esprimono affermazioni generali, proibizioni o azioni attribuite ad un soggetto indeterminato (rappresentato da “noi/uno/ognuno/qualcuno”), il participio del tempo composto s’accorda al maschile plurale quando il verbo stesso richiede l’ausiliare “essere” nella forma non impersonale e al maschile singolare quando il verbo, invece, è impiegato in forma non impersonale con l’ausiliare “avere”: “Si è andati in palestra”/”Si è mangiato bene”.

 

 

2.6. L’ACCORDO CON LA PARTICELLA «NE» CON VALORE PARTITIVO

 

Oltre a svolgere le funzioni di rafforzativo, avverbio di luogo e complemento di termine, la particella “NE”, invariabile in questi casi, presenta valore partitivo con quantificatori, essendo la rappresentazione di una parte di un insieme assoluto o totalizzante. In questo senso, l’accordo del participio in tempi composti può ubbidire:

 

  1. alla tendenza di “fossilizzazione” del participio che, in questo caso, rimarrebbe invariato;

  2. alla logica che stabilisce il rapporto col termine antecedente alla particella, ossia, la materia o sostanza di cui si prende una frazione, e

  3. all’inclinazione di avvicinare il participio ai quantificatori che introducono l’oggetto diretto:

 

Scrive Renzi (1988-1995:240)

 

Quando in posizione di complemento oggetto troviamo un SN di significato partitivo, l'accordo può mancare o può avvenire sia con l'antecedente di ne, sia con il SN in posizione di complemento oggetto (in quegli stili che ammettono l'accordo del participio passato con l'oggetto). Seguono tre esempi: "Di birra, ne ho bevuto due litri"; "Di birra, ne ho bevuta tre litri"; "Di birra, ne ho bevuti tre litri".”

 

 

2.7. LA REGGENZA VERBALE – CONFRONTO COL FRANCESE E COL PORTOGHESE

 

Vediamo sotto alcuni verbi (e locuzioni verbali) fondamentali nell’espressione quotidiana in italiano, la loro reggenza e le forme corrispondenti in francese e portoghese, con lo scopo di farne il confronto e operare una verifica di punti comuni e divergenti:

 

 

Espressioni italiane

 

Corrispondente in francese

 

Corrispondente in portoghese

 

1. Abitare a (una città) / in (un paese)

 

Habiter à (une ville, un pays au masculin)/en (un pays)

Morar em (uma cidade, um país)

 

2. Andare a (una città) / in (un paese)

Aller à (une ville, un pays de genre masculin)/ en (un pays)

Ir a, para (uma cidade, um país)

3. Aver fiducia in qualcuno

Avoir confiance en quelqu’un

Ter confiança em alguém

4. Cominciare a fare qualcosa

Commencer à faire quelque chose

Começar a fazer algo

5. Contare su qualcuno

Compter sur quelqu’un

Contar com alguém

6. Credere a, in qualcosa

Croire à (en) quelque chose (en Dieu)

Crer em alguma coisa

7. Dare qualcosa a qualcuno

Donner quelque chose à quelqu’un

Dar algo a alguém

8. Decidere di fare qualcosa

Décider de faire quelque chose

Decidir fazer alguma coisa

9. Dimenticare qualcosa/qualcuno

Dimenticarsi di qualcosa/qualcuno

Dimenticare o dimenticarsi di fare qualcosa

Oublier quelque chose, quelqu’un/oublier de faire quelque chose

 

Esquecer algo/alguém

Esquecer-se de algo/alguém

Esquecer ou esquecer-se de fazer algo.

 

10. Dipendere da qualcosa/qualcuno

Dépendre de quelque chose, quelqu’un

Depender de algo, alguém

 

11. Dire qualcosa a qualcuno

Dire quelque chose à quelqu’un

Dizer algo a alguém

12. Influire su qualcosa, qualcuno

Influer sur quelque chose, quelqu’un

Influenciar algo, alguém

 

13. Interessarsi di, per qualcosa

S’intéresser à quelque chose

 

Interessar-se por alguma coisa

 

14. Invitare qualcuno a qualcosa, a fare qualcosa

Inviter quelqu’un à quelque chose/à faire quelque chose

Convidar alguém para algo, para fazer algo

15. Offrire qualcosa a qualcuno

Offrir quelque chose à quelqu’un

Oferecer algo a alguém

 

16. Parlare di, su (un argomento, una materia)

Parler de (d’un thème, d’une matière)

Falar de (um assunto, um tema, uma matéria)

17. Partecipare a qualcosa

Participer à quelque chose

Participar de algo

18. Partire per (una città, un paese)

Partir pour (une ville, un pays)

Partir para (uma cidade, um país)

19. Pensare a qualcuno, qualcosa

Penser à quelqu’un, quelque chose

Pensar em alguém, alguma coisa

20. Preferire una cosa a un’altra

Préférer une chose à une autre

Preferir uma coisa a outra

 

21. Preoccuparsi per (di) qualcosa, qualcuno

Se préoccuper de quelque chose, quelqu’un

Preocupar-se com algo, alguém

22. Restare/rimanere a (una città)/in (un paese)

Rester/demeurer à (une ville, un pays masculin)/en (un pays)

Ficar/permanecer em (uma cidade, um país)

23. Riuscire a fare qualcosa

Réussir à faire quelque chose

Conseguir fazer algo, alguma coisa

24. Tentare di fare qualcosa

Essayer de faire quelque chose

Tentar fazer algo

25. Venire da (una città, un paese)

Venir de (une ville, un pays)

 

Vir de (uma cidade, um país)

 

 

Tab. 1 - La reggenza verbale – confronto col francese e col portoghese

 

 

3. CONCLUSIONE

 

Per terminare si può dedurre che la conoscenza approfondita di una lingua, sia come madrelingua, sia come lingua straniera o seconda lingua, non può prescindere dallo studio, a livello avanzato, dei verbi nei loro aspetti più dettagliati. La consapevolezza degli impieghi verbali, della loro reggenza e degli accordi che sono essenziali all’espressione linguistica adeguata, coerente e coesa è raggiunta dall’osservazione delle norme grammaticali, come anche delle eccezioni alle regole, e dalla prassi abituale di riferimento e consultazione del sistema verbale italiano.

Quindi, le peculiarità dell’insieme rappresentato dai verbi italiani e dai pronomi e preposizioni che si associano nei processi di concordanza e reggenza esigono attenzione raddoppiata, non solo da parte degli studenti, ma anche degli insegnanti, traduttori e ricercatori nella sfera linguistica. Lo scopo principale di questo lavoro è mettere in evidenza la complessità e la varietà degli elementi del regime verbale italiano e sottolineare il bisogno di adottare alcuni procedimenti al fine di raggiungere la padronanza della lingua.

 

 

 

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