Giugno 2011 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Il contesto di immersione linguistica offre al docente di italiano a stranieri preziose opportunità non solo per l’insegnamento della lingua ma anche per la riflessione interculturale. L’interazione quotidiana in situazioni autentiche, nelle quali emergono non solo gli usi linguistici ma anche i modelli culturali del popolo ospitante, consente all’insegnante di allontanarsi dai modelli didattici trasmissivi, proponendo una metodologia esperienziale per l’apprendimento della cultura straniera. Questo contributo si compone di due sezioni: nella prima parte offriremo un contesto teorico di riferimento per la didattica della cultura in prospettiva esperienziale, mentre nella seconda parte, attraverso la descrizione di un esempio di tecnica, la verbalizzazione, si evidenzieranno alcune possibili realizzazioni della didattica della cultura secondo un’ottica esperienziale.
1. IL CONTESTO TEORICO-METODOLOGICO DI RIFERIMENTO
Nella società globalizzata l’interesse per lo studio delle lingue straniere è sempre più orientato verso l’uso di una lingua per scopi strumentali (comunicazione “spicciola”, progressione di carriera, ecc.). In questo contesto appare secondaria la dimensione culturale, ossia la conoscenza e la comprensione dei modelli di comportamento e dei valori di riferimento del popolo che parla la lingua oggetto di studio.
L’Unione Europea stessa, pur nella sua opera di promozione del plurilinguismo, propone la nozione di “Lifelong Language Learning”, dove accanto a “Language” non compare “Culture”, la qual cosa nella nostra visione rappresenta uno dei molti segnali, più o meno consapevoli, di una concezione prevalentemente strumentale dell’apprendimento linguistico.
L’inadeguatezza dell’apprendimento di una lingua in prospettiva meramente strumentale risulta evidente soprattutto nel momento in cui si realizzano situazioni di contatto culturale (fenomeni migratori, progetti di mobilità studentesca, possibilità di praticantato all’estero, ecc.), che proprio il mondo globalizzato contribuisce a creare. In questi contesti, che per loro natura prevedono una qualche forma di immersione linguistica e culturale in un paese straniero, la non conoscenza dei modelli culturali e di civiltà del popolo ospitante può condurre ad incomprensioni e scontro interculturale.
Sulla scorta di queste considerazioni, specialmente nei corsi di lingua in immersione, appare essenziale recuperare il connubio lingua-cultura, che storicamente la glottodidattica italiana ribadisce fin dagli anni Settanta, includendo la “culturizzazione” come parte integrante delle mete glottodidattiche (per un approfondimento, Freddi 1999).
Secondo gli orientamenti più recenti, inoltre, la didattica della cultura non andrebbe intesa come trasmissione di nozioni storico-sociali di un paese, quanto piuttosto come osservazione e riflessione sui comportamenti culturali di un popolo (Balboni 2007).
Questa prospettiva si rivela essenziale soprattutto nel contesto di immersione linguistica e culturale, dove l’insegnamento trasmissivo di una cultura risulterebbe riduttivo rispetto alle enormi potenzialità di questa specifica situazione di apprendimento.
Tuttavia, affinché si realizzi il processo di apprendimento culturale è necessario che l’osservazione e la riflessione non siano lasciate allo spontaneismo dell’allievo, ma si collochino all’interno di un preciso quadro teorico-metodologico, che si discuterà in questo paragrafo. Solo alla luce di ciò è possibile progettare e realizzare percorsi e tecniche specifiche finalizzate all’apprendimento culturale (per un approfondimento, Daloiso 2010).
1.1. LA NOZIONE DI APPRENDIMENTO ESPERIENZIALE APPLICATA ALLA DIDATTICA DELLA CULTURA
Con una massima resa celebre dalla moderna glottodidattica, Von Humbolt affermò che le lingue non si possono insegnare, ma il docente può creare le condizioni affinché queste possano essere apprese. Ciò sembra valere a maggior ragione per la didattica della cultura, dal momento che i modelli culturali sono variabili sul piano:
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diacronico: i comportamenti e le abitudini di un popolo mutano nel tempo, e questa è una delle principali ragioni per cui un insegnante di italiano all’estero non aggiornato rischia di proporre modelli culturali lontani dalla realtà attuale dell’Italia;
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diatopico: i modelli culturali non coincidono con la visione stereotipata di un popolo anche perché essi assumono forme diverse in ciascuna zona o regione del paese; questo vale non solo per gli aspetti più folkloristici (si pensi agli orari dei pasti nelle diverse regioni d’Italia) ma anche per alcuni valori (ad esempio, il concetto di ospitalità nel Sud Italia);
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diastratico: alcuni modelli di comportamento non sono assoluti, ma dipendono dal grado di formalità della situazione comunicativa. In questa prospettiva lo stereotipo dell’italiano che interrompe continuamente l’interlocutore diviene sociotipo nel momento in cui si distinguono le situazioni in cui questa mossa comunicativa è accettabile (riunione di lavoro tra pari, telefonata, lezione a scuola, ecc) e quando invece, pur essendo possibile, risulta irrispettosa e irritante (discorso pubblico in parlamento, dibattito televisivo, convegno, ecc.). Di conseguenza si potrebbe ipotizzare l’esistenza di una sorta di continuum diastratico che coinvolga i modelli non solo linguistici ma anche culturali.
Per queste ragioni, specialmente nei corsi in immersione, un insegnamento formale, esplicito e trasmissivo della cultura straniera risulta inappropriato, e andrebbe sostituito da una metodologia esperienziale, che coinvolga attivamente l’allievo nella scoperta e nell’osservazione dei modelli culturali.
Con l’espressione “apprendimento esperienziale” si fa riferimento ad una precisa teoria psicologica, formalizzata ufficialmente da Kolb (1974, 1984), ma che si inserisce all’interno di un più vasto alveo cognitivista e costruttivista. Secondo questa prospettiva l’apprendimento segue un percorso preciso (cfr. 1.2) che parte dall’esperienza concreta, passando per l’osservazione e giungendo alla sistematizzazione teorica.
Questo percorso di apprendimento, di cui già abbiamo discusso le rilevanti implicazioni per l’insegnamento delle lingue a bambini (Daloiso 2009), ci sembra particolarmente adeguato alla didattica della cultura nei contesti di immersione. Se, infatti, i modelli culturali non sono insegnabili tout court in quanto variabili nel tempo, nello spazio e nelle situazioni, allora sarà l’esperienza culturale che l’allievo vive quotidianamente a “nutrire” di contenuti la lezione.
In altri termini, attraverso lo svolgimento di attività di osservazione e interazione guidate l’insegnante potrà coinvolgere gli allievi in esperienze che si svolgono al di fuori della lezione, i cui risultati saranno oggetto di riflessione in classe e consentiranno di affrontare aspetti della cultura italiana secondo una modalità induttiva (per un ampio repertorio di tecniche glottodidattiche specifiche per i corsi in immersione si rimanda a AA.VV. 2004).
1.2. L’APPRENDIMENTO ESPERIENZIALE DI UNA CULTURA
Apprendere una cultura secondo una modalità esperienziale non significa semplicemente osservare i comportamenti di un popolo e trarne le relative implicazioni. La teoria dell’apprendimento esperienziale, infatti, postula che l’allievo debba seguire un ciclo matetico costituito da quattro fasi interdipendenti, ciascuna delle quali peraltro associabili ad uno specifico stile cognitivo (Kolb 1985).
Cerchiamo dunque di sintetizzare questo percorso matetico, ponendone in evidenza la pertinenza e la rilevanza nella didattica della cultura in contesti di immersione linguistica:
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esperienza: in questa fase, nella quale predominano emozioni, sentimenti ed azioni, l’allievo è a contatto diretto con persone, eventi, situazioni, luoghi impregnati della cultura ospitante, e fa esperienza sul campo dei relativi modelli di comportamento. Nei corsi di lingua in immersione la fase dell’esperienza è talvolta trascurata, forse perché si ritiene che l’allievo viva già autonomamente esperienze al di fuori della classe. In realtà, spesso il contatto non guidato con i modelli culturali può condurre a incomprensioni, visioni stereotipate, ipotesi non corrette sulla cultura ospitate. Per tale ragione può risultare efficace:
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recuperare durante le lezioni le esperienze che gli allievi stanno vivendo al di fuori della classe, collegandole alle attività previste dal curricolo;
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prevedere attività che richiedano qualche forma di esperienza guidata sul campo, quali ad esempio la simulazione in ambiente autentico, il reportage, ecc. (per un approfondimento, Daloiso 2010);
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osservazione: in questa fase l’allievo è concentrato nella registrazione di dati sensibili che consentano la comprensione di fenomeni, comportamenti, situazioni; l’osservazione subentra dunque all’azione, che invece caratterizzava la fase dell’esperienza. Nell’ambito della didattica interculturale si adotta la prospettiva secondo cui non è possibile insegnare una cultura, ma è possibile insegnare ad osservare una cultura (Balboni 2007; Celentin, Serragiotto 2000). Per risultare efficace sul piano didattico, l’osservazione deve tuttavia essere guidata dal docente attraverso procedure didattiche precise (Daloiso 2010);
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concettualizzazione: alla fase di osservazione e registrazione di dati deve seguire un momento strutturato di lavoro in classe finalizzato a:
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la socializzazione dei dati raccolti, in modo da evitare che l’allievo assolutizzi le proprie osservazioni sul campo;
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l’individuazione di aspetti ricorrenti, che l’insegnante potrà utilizzare per formare insieme agli allievi categorie di sociotipi.
In questa fase si cerca dunque di sistematizzare le osservazioni raccolte all’interno di un quadro concettuale e logico che cerca di dare senso alle esperienze. Si utilizzeranno in questa fase modelli di pensiero e linguaggio logici (“dalle osservazioni emerge che…”, “gli aspetti ricorrenti sono…”, “possiamo dedurre che…”);
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sperimentazione: poiché i modelli logici difficilmente riescono a rendere conto della complessità e della varietà insite nella cultura, sarà importante che alla fase di concettualizzazione seguano ulteriori attività sul campo, attraverso le quali gli studenti potranno verificare se le loro deduzioni erano corrette, e ampliare le osservazioni svolte.
2. UN ESEMPIO OPERATIVO: LA VERBALIZZAZIONE
Tenendo presente il quadro di riferimento teorico-metodologico delineato nel paragrafo precedente, in questa sezione discuteremo un esempio di tecnica di natura esperienziale (cfr. 1) utilizzabile nella didattica della cultura.
La scelta di dedicare questo paragrafo ad una tecnica specifica nasce dalla constatazione che, diversamente dall’educazione linguistica, la didattica della cultura non dispone attualmente di un repertorio di tecniche formalizzato e categorizzato sul piano scientifico. Sulla scorta di queste considerazioni, cogliamo l’occasione per approfondire con un esempio operativo la tassonomia di tecniche esperienziali per la didattica della cultura proposta in un nostro recente studio (Daloiso 2010). Discuteremo, dunque, la tecnica della verbalizzazione, illustrandone gli obiettivi e le procedure didattiche da seguire per il suo svolgimento.
2.1 DEFINIZIONE E OBIETTIVI
La tecnica della verbalizzazione di norma viene utilizzata nell’educazione linguistica per sollecitare la riflessione da parte degli allievi sui meccanismi cognitivi sottostanti l’apprendimento linguistico (Balboni 2008).
Nella prospettiva della didattica della cultura, invece, con il termine “verbalizzazione” intendiamo una tecnica da svolgersi individualmente che consiste nel chiedere agli studenti di esplicitare verbalmente pensieri, aspettative, sentimenti e azioni durante una specifica situazione comunicativa, concordata in precedenza con l’insegnante (Daloiso 2010).
La verbalizzazione rientra nella tipologia di tecniche introspettive, di cui fa parte ad esempio anche il diario interculturale, le quali sono finalizzate a far emergere i modelli culturali dell’allievo, per renderli poi oggetto di riflessione. In questo senso la verbalizzazione contribuisce al processo di Cultural Awareness, che costituisce il primo passo verso la comprensione di modelli culturali stranieri.
Questa tecnica mira al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
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consapevolezza intra-culturale: acquistare coscienza dei modelli della propria cultura di appartenenza all’interno di una specifica situazione comunicativa;
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confronto inter-culturale: saper porre in relazione i propri modelli culturali con quelli della cultura ospitante, adottando un atteggiamento di interesse verso la diversità culturale.
2.2. PROCEDURE OPERATIVE
Posti la definizione e gli obiettivi didattici precedentemente illustrati (cfr. 2.1), discutiamo ora le tre fasi (preparazione, azione e riflessione) che compongono questa tecnica.
La fase di preparazione
L’insegnante concorda insieme agli studenti una situazione comunicativa nella quale gli studenti dovranno interagire al di fuori della lezione in aula. La scelta della situazione, che si rivela cruciale per la riuscita dell’attività, deve essere regolata dai seguenti criteri:
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significatività interculturale: una situazione comunicativa è tanto più interessante sul piano interculturale quanto più è codificata a livello di procedure, comportamenti, ecc. Ne consegue che possono essere situazioni significative un invito a cena, un esame o un colloquio con il docente all’università, un’interazione al bar, un colloquio di lavoro, ecc. Ai fini dell’attività è inoltre essenziale che, ad eccezione dello studente, gli interlocutori coinvolti nella situazione siano parlanti nativi, condizione imprescindibile per l’autenticità culturale dello scambio comunicativo;
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realizzabilità pratica: l’insegnante deve assicurarsi che tutti gli allievi abbiano l’effettiva possibilità di svolgere il compito interagendo nella situazione indicata. E’ essenziale, dunque, conoscere la composizione del gruppo-classe e i contesti extrascolastici nei quali gli studenti si trovano quotidianamente ad interagire, in modo da optare per una scelta oculata della situazione comunicativa.
La fase di azione
In questa fase ciascun allievo dovrà seguire le seguenti procedure:
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prima dell’evento comunicativo, utilizzando un apparecchio di registrazione audio o video l’allievo dovrà verbalizzare aspettative, pensieri, azioni da lui svolte in preparazione all’evento; se lo studente parteciperà ad un cena a casa di amici, dovrà esplicitare come si vestirà e perché, se porterà qualcosa per il padrone di casa, cosa si aspetterà di mangiare, come si aspetta si comporteranno gli amici, ecc. L’insegnante potrà facilitare questa fase con una griglia strutturata contenente alcune variabili culturalmente interessanti (ad esempio, vestemica, oggettemica, norme di comportamento, ecc.);
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dopo l’evento comunicativo, lo studente:
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procederà a una seconda verbalizzazione “a caldo”, nella quale registrerà le sue impressioni rispetto alla serata, riportando le sue osservazioni rispetto alle variabili sopra indicate;
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a distanza di alcuni giorni, riascolterà le proprie verbalizzazioni e cercherà di sintetizzarle ai fini di una breve presentazione in classe.
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La fase di riflessione
Questa fase conclusiva si svolge prevalentemente in aula e prevede la socializzazione collettiva dei risultati dell’attività.
Può essere utile predisporre un cartellone contenente due colonne distinte che riportano le diciture “mi aspettavo che…” e “è accaduto che…”. A turno gli allievi racconteranno la propria esperienza, sintetizzando nel tabellone l’aspetto osservato a loro giudizio più importante.
Nel caso in cui si ripeta lo stesso aspetto, è opportuno segnarlo ugualmente nel cartellone, in modo da porre in risalto gli elementi “culturalmente più evidenti” della situazione comunicativa.
Questa tecnica può collegarsi a successive attività, che proseguano la riflessione interculturale attraverso strumenti più strutturati (ad esempio, osservazioni sul campo, reportage, inchieste, ecc.).
3. RIFLESSIONI CONCLUSIVE
In questo saggio abbiamo posto in evidenza il valore della dimensione esperienziale nell’apprendimento di una cultura straniera in contesto di immersione linguistica.
Nella prima parte del contributo, facendo riferimento ad alcune teorie formalizzate nell’ambito della psicologia dell’apprendimento (cfr. 1.1), si è sottolineata l’importanza di un percorso che preveda l’esperienza, l’osservazione, la concettualizzazione e la sperimentazione (cfr. 1.2), le quali favoriscono una didattica della cultura induttiva.
Nella seconda parte abbiamo scelto di concentrare la discussione su una tecnica esperienziale specifica, descrivendone la natura, gli obiettivi e le procedure operative (cfr. 2), in modo da esemplificare sul piano operativo la possibilità di una didattica della cultura induttiva ed esperienziale.
Vorremmo dunque concludere questo saggio evidenziando il contributo della verbalizzazione all’apprendimento esperienziale di una cultura. Come si evince dalle procedure operative descritte, questa tecnica prevede, infatti, fasi di esperienza, osservazione e concettualizzazione, e può essere collegata ad ulteriori attività didattiche finalizzate alla sperimentazione sul campo delle “ipotesi culturali” formalizzate nella fase di riflessione in aula.
BIBLIOGRAFIA
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