“Nuove minoranze”. Come cambia lo spazio comunicativo.
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Con 191 nazionalità e 122 lingue parlate dai migranti, secondo stime ufficiali ormai datate (l’articolo risale al Convegno del 2006), l’Italia si configura come un giovane Paese di immigrazione, ma ad alta complessità per la ricchezza di dinamiche tra lingue a contatto. Vincenzo Orioles in questo saggio ci presenta una rassegna, in alcuni tratti analitica, in altri più descrittiva, di alcune fondamentali dimensioni del plurilinguismo. E’ il concetto stesso di minoranza linguistica, così come i più lo intendevano fino allo scorso millennio, a dimostrare la propria inadeguatezza. Particolare attenzione viene dedicata all’analisi del quadro giuridico con approccio comparativo in materia di tutela delle minoranze linguistiche. L’elevato grado di tutela per le “minoranze storiche” presenti nei territori nazionali europei è una conquista relativamente recente, cui fa da contraltare una diffusa disattenzione da parte del legislatore a livello internazionale, europeo, nazionale e regionale verso i diritti delle ‘nuove minoranze’ alloglotte. I principi della Dichiarazione Universale dei Diritti linguistici (Barcellona, 1996), contraria per motivi di pari dignità tra idiomi alle distinzioni tra “lingua regionale” e “lingua minoritaria” (cfr. art.5 e art. 37), sono dunque ancora lontani dal ricevere piena accoglienza negli ordinamenti degli Stati, con eccezione del sistema spagnolo. Interessanti, a questo proposito, sono i riferimenti dell’autore ad alcune realtà regionali italiane, che malgrado tutto hanno iniziato a sviluppare strumenti operativi promozione del patrimonio plurilinguistico e di superamento del vecchio modello tripolare Stato, lingua nazionale, minoranze storiche – un processo di “riformismo linguistico dal basso”. Il vuoto legislativo è innanzitutto un ritardo nei confronti dei mutamenti di uno spazio comunicativo nel quale anche noi italofoni siamo coinvolti, negoziando con i meccanismi di pressione che le ‘nuove minoranze’ esercitano sui preesistenti repertori linguistici. Il risultato non è un mero accostamento di vecchio e nuovo, ma un rinforzo dei processi di de-standardizzazione, mentre si ridefiniscono funzionalmente le lingue regionali, che secondo l’autore stanno divenendo lingua prima “di soggetti privi di retroterra diatopico-dialettale”. Tale paradosso rivela, tuttavia, una sua coerenza il “policentrismo etnico” (Bagna e Barni), cioè con il sistema di distribuzione delle ‘nuove minoranze’ sul territorio italiano. Proprio questo genere di fenomeni linguistici, definiti con chiarezza a livello teorico nel paragrafo di apertura, avrebbero forse meritato un repertorio minimo di esempi, a completamento di un saggio dove fattori chiave come il quadro legislativo, i percorsi di formazione e ricerca (es. gli osservatori per le mappature geolinguistice del territorio), gli strumenti interpretativi e la lettura di alcuni dati statistici si offrono come un valido orientamento a servizio di operatori e insegnanti del futuro, chiamati a costruire, nell’era della “glocalizzazione”, un nuovo senso condiviso di cittadinanza tra abitanti di lingue diverse.
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