Nota del redattore: Con questa prima parte del suo intervento, Mario Polito, noto pedagogista, presenta le coordinate fondamentali della Teoria della Gestalt, così come essa si può applicare in ambito educativo; in un prossimo intervento andrà a focalizzare le implicazioni che possono discendere in termini di gestione della classe.
INTRODUZIONE
Non c’è niente di più pratico di una teoria, diceva Kurt Lewin. La teoria della Gestalt è una teoria che può facilitare i processi di apprendimento e di insegnamento e rinnovare sia la relazione educativa, sia la didattica.
Integrando i contributi della Psicologia della Gestalt (W.Köhler, M.Wertheimer, K.Koffka, W.Metzger, G.Katona, K.Lewin) e quelli della Terapia della Gestalt (F.Perls, R.F.Hefferline, P:Goodman, 1951, tr.it., 1971 ) è possibile elaborare una Psicopedagogia della Gestalt.
La Teoria della Gestalt può offrire alla pedagogia molti suggerimenti per dare vigore teorico e fecondità pratica alla relazione pedagogica e didattica. Finora la Teoria della Gestalt è stata applicata estesamente all’ambito clinico e solo marginalmente alla didattica e alla pedagogia. Quei lavori (Fuhr, G.I.Brown, V.Oaklander) dedicati al rapporto tra Gestalt e apprendimento si limitavano a trasferire in ambito educativo i temi fondamentali della clinica gestaltica, ed in particolare, i temi del ciclo di contatto, la comunicazione personale ed autentica, il qui e ora, e le numerose tecniche “spettacolari” della Terapia della Gestalt, come la notissima “dialogo con la sedia vuota”: in altri termini, si applicava la Gestalt all’insegnamento, senza ripensarla teoricamente o ristrutturarla in modo coerente. Tali applicazioni della Gestalt alla didattica erano il frutto di psicoterapeuti gestaltisti che erano passati all’insegnamento, ma senza elaborare una adeguata ristrutturazione pedagogica della Gestalt. Era il tempo in cui si applicava la Gestalt a tutto: si creavano minestroni teorici di cui parlano I.From (1985) e M.V.Miller (1994).
Con questo articolo desidero dimostrare che è possibile fare un passo avanti verso un ripensamento teorico della prospettiva gestaltica per costituire le basi di una coerente Psicopedagogia della Gestalt.
Per raggiungere questo obiettivo desidero percorrere un cammino che finora non è stato ancora battuto da altri: desidero infatti integrare i contributi della Psicologia della Gestalt con i contributi della Psicoterapia della Gestalt. Tale integrazione è la via più feconda per rinnovare sia la didattica sia la relazione educativa.
Finora molti gestaltisti che hanno applicato la Gestalt alla didattica hanno trasferito frettolosamente l’impostazione clinica all’insegnamento, trascurando le premesse teoriche della Psicologia della Gestalt. Hanno trapiantato in classe l’impostazione psicoterapeutica della Gestalt, senza adeguarla al nuovo ambito pedagogico. Così facendo si sono esposti a delle critiche pesanti: si accusa tale impostazione gestaltica applicata all’insegnamento di superficialità teorica perché trascura il tema dell’apprendimento disciplinare, stravolge il gruppo classe trasformandolo in un gruppo psicoterapeutico, sottovaluta i contenuti disciplinari e sopravaluta la relazione e la comunicazione: si crea un bel clima in classe ma non si impara niente a livello di contenuti disciplinari. A causa di tale impostazione, che trascura la Teoria della Gestalt sulla percezione, sull’intelligenza, sulla memoria, sulla creatività, sull’insight, sul problem solving, si è diminuita la forza della Teoria della Gestalt, riducendola soltanto ad una bella tecnica umanistica centrata sulla comunicazione autentica e personale. Tale impostazione è una grande risorsa, ma può essere resa ancora più ampia e ricca integrandola con i contributi della Psicologia della Gestalt.
Forse tale ristrutturazione potrà incontrare critiche, malumori e riluttanza. Agli psicologi della Gestalt non piacerà accostare la loro pura psicologia della forma alla psicoterapia: sembrerà loro un inquinamento. Agli psicoterapeuti gestaltisti, abituati solo all’esperienza clinica, sembrerà una forma di eccessivo intellettualismo approfondire i temi teorici aperti dalla Psicologia della Gestalt sulla percezione, intelligenza, insight, in direzione psicopedagogica. Tuttavia fu proprio F. Perls a ristrutturare la Psicologia della Gestalt in modo creativo e geniale, applicandola alla clinica: grazie a tale riconfigurazione egli ci ha donato un nuovo approccio psicoterapeutico, che oggi vogliamo estendere ad altri settori dell’esperienza, come il settore psicopedagogico. Ma per fare questo, è necessario ristrutturare, ripensare in forma nuova tutti i contributi emersi finora.
Oggi possediamo un corpo teorico che possiamo chiamare “Teoria della Gestalt”, che è il luogo di convergenza di numerose ricerche svolte in molti settori a partire dagli inizi del 1900. I settori più fertili di ricerche sono stati la psicologia della percezione, la dinamica di gruppo e la psicoterapia. Sono settori differenti, ma tutti animati da un’impostazione che si è rivelata feconda di suggerimenti. Riferendomi a tale corpo teorico è possibile superare la polemica e la spaccatura tra psicologi della Gestalt e psicoterapeuti della Gestalt. Utilizzando tutti i contributi teorici della Gestalt è più facile integrarli in una prospettiva psicopedagogica. È tempo di superare le polemiche e le gelosie: la Teoria della Gestalt è ampia e può dare ospitalità a molti ricercatori. Essa non è un campo recintato, ma aperto.
Ecco alcuni contributi che possiamo applicare immediatamente alla pedagogia: la Teoria del Campo Organismo-Ambiente; l’apprendimento come adattamento creativo; l'apprendimento e l'insegnamento come esperienze di contatto; la dinamica di gruppo secondo la Teoria del Campo di K.Lewin; le leggi dell’organizzazione gestaltica (l’effetto figura-sfondo, l’effetto Von Restorff, la tendenza al completamento, la buona continuazione, la buona forma, la pregnanza); la ristrutturazione ed il problem solving; l'insight; il pensiero produttivo (M.Wertheimer), la memoria come riorganizzazione (Katona).
Grazie a tale ventaglio di concetti e di indicazioni pratiche, la Teoria della Gestalt può offrire una visione globale e un metodo efficace per affrontare sia i problemi dell’apprendimento sia quelli della relazione interpersonale tra insegnanti e studenti. Essa presenta un modello molto ampio, che è capace di valorizzare l’intreccio di tutti i fattori che intervengono nell’esperienza di apprendimento.
Vi sono molti libri sulla didattica, ma sono costruiti in modo frammentato: vi sono libri sulla programmazione e sulle tecniche didattiche, libri sulla metacognizione, libri sulla motivazione, libri sulla dinamica di gruppo, ma manca una visione teorica unitaria. Vi è solo una giustapposizione di proposte e di ricerche slegate. La Teoria della Gestalt è bene equipaggiata per concepire il bisogno di unità, di complessità e di integrazione.
Dall’integrazione della Psicologia della Gestalt e della Psicoterapia della Gestalt può nascere una nuova teoria, che possiamo chiamare Psicopedagogia della Gestalt, una teoria che si interessa in modo specifico sia del processo di insegnamento-apprendimemto sia della relazione educativa. L’obiettivo fondamentale è quello di rendere finalmente possibile l’apprendimento come una vera esperienza, un’autentica esperienza di contatto con l’ambiente e con gli altri, una esperienza di creatività e di “formazione”.
Per dimostrare che tale teoria psicopedagogica della Gestalt può essere realizzata concretamente, prendiamo in esame otto concetti chiave:
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L’adattamento creativo come valore e fine dell’educazione.
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L’apprendimento all’interno del Campo Organismo-Ambiente.
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Il bisogno di apprendere.
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Insight ed apprendimento.
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Il gruppo classe come risorsa per apprendere insieme.
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Le leggi di organizzazione gestaltica applicati alla didattica.
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La conoscenza come ristrutturazione e ricostruzione.
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La priorità della relazione educativa sulla didattica.
Analizziamoli dettagliatamente.
1. L’ADATTAMENTO CREATIVO COME VALORE E FINE DELL’EDUCAZIONE
Secondo la Teoria della Gestalt, l’apprendimento serve per facilitare l’adattamento creativo dell’Organismo all’Ambiente. Apprendere non significa inghiottire nozioni, ma dare forma alla propria personalità: essere artefici di se stessi. La cultura è “formazione”: è un dare forma, la propria forma. Il fine dell’educazione è l’adattamento creativo: un adattamento non conformistico, ma originale, personale e radicato nella propria esperienza e nel proprio progetto esistenziale.
Il concetto di adattamento creativo (F.Perls, R.F.Hefferline, P.Goodman, 1951, tr.it., 1971) è un “contenitore teorico” molto ampio che ci permette di abbracciare vari aspetti della pedagogia e della didattica: l’apprendimento legato all’esperienza, la creatività come continua ristrutturazione dei dati, l’intelligenza come scelta dei mezzi per creare il miglior rapporto tra i bisogni organismici e le opportunità ambientali, il senso di competenza, la crescita e l’autorealizzazione.
L’insegnante che accoglie il concetto di adattamento creativo all'interno del campo Organismo Ambiente si avvicina ai suoi studenti con una solida intenzionalità educativa: essere lì con loro per aiutarli ad individuare i propri bisogni, a scoprire le proprie potenzialità, a dare forma alla propria mente: solo in questo modo è possibile trasformare l’esperienza di studio in un’autentica esperienza di creatività. Egli utilizzerà gli spunti offerti dalla propria materia per facilitare il loro adattamento creativo all'interno del campo Organismo Ambiente.
Il compito dell’insegnante in quanto educatore è quello di sostenere e facilitare l’autoregolazione organismica (K.Goldstein 1939 e F.Perls, R.F.Hefferline, P:Goodman, 1951, tr.it., 1971). Secondo la Teoria della Gestalt, l’Organismo, cioè il Soggetto, nella sua relazione con l’Ambiente, possiede dei criteri di autoregolazione, che lo conducono a soddisfare i suoi bisogni di crescita e di autorealizzazione.
L’intervento dell’educatore è quello di sostenere e di facilitare il processo di autoregolazione organismica di ogni soggetto. Per raggiungere questo risultato egli predispone l’ambiente educativo affinché lo studente possa organizzarsi autonomamente; in tale contesto educativo l’iniziativa appartiene sempre al soggetto, mentre l’educatore rimane nello sfondo. Egli può rimanere nello sfondo, perché ha fiducia nelle risorse dell’Organismo, il quale possiede in se stesso delle proprie leggi di funzionamento, che gli forniscono tutti gli strumenti per un adattamento creativo alla realtà. La Teoria della Gestalt cerca di equilibrare il bisogno di autonomia dello studente con l’impegno educativo dell’insegnante di garantirgli un ambiente preparato, all’interno del quale l’allievo può usare risorse maggiori e maggiori opportunità per realizzare un suo personale modo di adattamento creativo all’ambiente.
L’insegnante che accetta la concezione gestaltica dell’autoregolazione organismica, organizza la propria materia e l’esperienza scolastica fornendo degli stimoli e delle opportunità, ma con la consapevolezza profonda che ognuno dei suoi studenti prenderà solo alcune parti di ciò che egli offre: è inevitabile che sia così; è giusto che sia così. Ognuno dei suoi studenti prenderà solo quelle informazioni che sono più significative o più utili. L’insegnante che apprezza l’impostazione scolastica sa dare un nome a questo processo di ristrutturazione: è convinto che la cultura non è introiezione, ma assimilazione; sa fidarsi della capacità ricostruttiva dei propri studenti di accogliere l’essenziale per la loro crescita. Potrà discutere con loro, potrà stimolarli, potrà essere di pungolo per loro, ma avrà fondamentalmente fiducia nelle loro capacità di autoregolazione.
2. L’APPRENDIMENTO ALL’INTERNO DEL CAMPO ORGANISMO-AMBIENTE
Secondo K. Lewin (1936, 1951), il Campo Organismo-Ambiente è un sistema di relazioni, di energie, di forze, di resistenze, di ostacoli. Qualunque cosa accade nel Campo Organismo-Ambiente dipende da quell’insieme di forze e viene modificata da esso in questo momento, qui ed ora. Da questo punto di vista, possiamo considerare l’apprendimento come una funzione del Campo Organismo-Ambiente, una funzione che non si esaurisce all’interno di uno studente, ma coinvolge la relazione tra l’insegnante e i suoi studenti. Lo studente impara all’interno di un campo Organismo-Ambiente, diventando consapevole di sé, dei propri bisogni (voglia di apprendere) e delle opportunità ambientali (scuola, strutture didattiche, insegnanti).
Questa impostazione teorica ci offre una visione ampia e unitaria delle varie dimensioni dell’apprendimento, perché è capace di prendere in considerazione contemporaneamente la sfera cognitiva, quella emotiva, quella motivazionale, quella affettiva e relazionale: si impara in un Campo in cui sono presenti, bisogni, mete, oggetti, persone, desideri, emozioni, affetti, resistenze, barriere, ostacoli, difficoltà, risorse.
Accogliendo l’impostazione della teoria del Campo Organismo-Ambiente non è più possibile guardare agli studenti solo come studenti, perché sono delle persone; non è possibile considerare la didattica come trasmissione di informazioni, perché apprendere significa rispondere a dei bisogni presenti nel Campo Organismo-Ambiente. Per insegnare e far apprendere è indispensabile creare una relazione affettiva solida tra insegnanti e studenti e soprattutto risvegliare le forze motivazionali degli studenti. In tale prospettiva l’apprendimento non dipende dalla presentazione delle informazioni, ma dall’incontro riuscito tra i propri bisogni di conoscenza e le risposte ambientali scolastiche. L’apprendimento dipende dall’elaborazione personale ed originale delle informazioni da parte dello studente. La rielaborazione dipende dall’interesse, dipende dall’affettività, dipende dalla relazione educativa nella quale sono inseriti insegnanti ed allievi. Ad esempio, le strategie metacognitive fornite dall’insegnante, non sono solo informazioni metacognitive (“Per ricordare meglio questo concetto utilizza questo schema o questa strategia di memorizzazione”), ma sono anche la espressione di una relazione affettiva tra insegnanti e studenti (“Io mi prendo cura di voi e del vostro apprendimento”).In tale contesto, il messaggio dell’insegnante è sia cognitivo che affettivo. Appare più chiaro perciò che l’apprendimento è una funzione del Campo Organismo-Ambiente, cioè della relazione di contatto tra insegnanti e studenti.
In tale prospettiva possiamo considerare il disturbo di apprendimento come disfunzione del Campo Organismo-Ambiente.
“Lo studente che non impara” indica una relazione disturbata tra sé e l’insegnante, tra sé e l’ambiente scolastico. Quando vi è una relazione disturbata tra insegnanti e studenti, cominciano le mitragliate delle proiezioni reciproche. Gli insegnanti colpevolizzano gli studenti accusandoli di svogliatezza, indolenza e disinteresse. Ma anche gli stessi studenti colpevolizzano gli insegnanti di svogliatezza, indolenza e disinteresse. Si può uscire da questa situazione adottando una visione gestaltica del Campo Organismo-Ambiente. In tale prospettiva la demotivazione non è vista solo come difetto degli studenti, ma anche come mancanza di stimoli significativi da parte degli insegnanti o della struttura didattica e soprattutto come disfunzione di contatto tra i bisogni di questi studenti e le risorse ambientali scolastiche.
Per cambiare tale situazione scoraggiante l’insegnante può cominciare a ristabilire la funzionalità del Campo Organismo-Ambiente chiedendo agli studenti: “Quali sono i vostri bisogni di conoscenza?”. Inoltre l’insegnate può chiedere a se stesso: “Cosa desidero insegnare? Come posso ristrutturare e ripensare la mia materia, in modo che gli studenti ne ricevano un vantaggio cognitivo? Come mi avvicino a loro? Come presento la mia materia? È una presentazione motivante o demotivante?”. L’insegnante si interroga su come può adattare creativamente la propria materia agli studenti, e gli studenti si interrogano su come possono ristrutturare le informazioni e le stimolazioni che ricevono dall’insegnante per ricreare al proprio interno visioni più ampie, più rigogliose e più colorate di conoscenze: mappe cognitive più efficaci ed interessanti.
La Teoria del Campo, inoltre, ci permette di dare una fondazione teorica al concetto di motivazione. Essa suggerisce di non fare delle prediche, ma di costituire ambienti stimolanti e di instillare nel campo di esperienza dello studente un valore, una meta di attrazione, che possa sollecitarlo ad orientare l’energia verso quel punto.
Ad esempio, è impossibile incrementare la motivazione alla matematica se la matematica non gode di valore, di attrattiva nella mente o nello spazio vitale di un allievo e se la relazione dell’allievo con l'insegnante di matematica è pessima. In questo caso un obiettivo della didattica della matematica è quello di far emergere, all’interno del campo dell’esperienza dello scolaro, la desiderabilità della matematica. Solo a questo punto nasce il piacere di risolvere esercizi di matematica.
Se si desidera intervenire su questo studente demotivato per coinvolgerlo nell’apprendimento, è opportuno agire sulla sua interazione con l’ambiente scolastico. L’insegnante, ad esempio, può proporre stimoli differenti, oppure chiedere allo studente quali sono i suoi interessi; verso quali scopi è orientata la sua attenzione; quali sono i suoi bisogni, soprattutto quali sono i suoi bisogni di apprendimento.
La didattica diventa efficace quando l’insegnante riesce a trasporre o tradurre i contenuti specifici di una materia all’interno del campo vitale, dell’esperienza vitale di un allievo. Aprendo questa prospettiva, egli offre allo studente l’opportunità di scavare all’interno dei propri bisogni, della propria storia, del proprio progetto esistenziale e di chiedersi in che modo l’ambiente scolastico può soddisfare tali bisogni.
Consideriamo adesso il campo vitale degli studenti.
Gli studenti non sono solo studenti. Gli studenti sono anche persone. Bambini nella scuola di infanzia, e nella scuola elementare. Preadolescenti nella scuola media. Adolescenti nella scuola superiore.
Gli studenti, durante il periodo scolare, vivono un processo di crescita che non è solo cognitiva, ma anche esistenziale e personale. Essi vivono situazioni di vita all’interno delle quali cercano di diventare più differenziati, più autonomi, più indipendenti, più consapevoli della propria identità, più flessibili e versatili. In altri termini vivono per arricchire la propria personalità e per autorealizzarsi.
Non vivono, dunque, in funzione della scuola, anche se negli edifici scolastici passano circa 10000 ore della loro vita.
Il campo vitale dello studente non è riducibile all’esperienza scolastica, anche se la famiglia, la scuola e lo studente stesso, attribuiscono a questa esperienza una grande importanza, spesso eccessiva e totale. Il campo vitale di uno studente adolescente è quello ampio di una persona che cresce, che si apre alla vita, che si confronta con i temi degli affetti, dei sentimenti, dell’amicizia, della solidarietà, della sessualità, dell’orientamento professionale. All’interno di questo vasto orizzonte di interessi, di bisogni e di pulsioni, vi è anche l’impegno scolastico che non può, né deve, assorbire tutta l’esperienza di uno studente.
Quando si vuole comunicare con gli studenti, è necessario tenere conto del vasto raggio della loro esperienza di vita. L’esperienza scolastica è soltanto una parte, fondamentale, importante, ma solo una parte della loro esperienza. Tutti gli studenti diventano vivaci quando possono parlare di sé e della propria esperienza e diventano spenti quando non capiscono il significato di ciò che “devono imparare”: non fa ancora parte della loro esperienza.
La Teoria del Campo elaborata dalla Teoria della Gestalt ci invita a considerare gli studenti come persone all’interno del loro Campo Organismo-Ambiente: gli studenti non sono contenitori da riempire, ma persone che hanno il diritto di esprimere i loro bisogni di apprendimento e di utilizzare le offerte dell’ambiente didattico per ristrutturare i dati cognitivi, per dare forma e Gestalt alla loro mente.
I vantaggi forniti dalla Teoria del Campo elaborata da K.Lewin sono i seguenti:
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Si supera ogni riduzionismo, perché il “campo” conduce a comprendere l’immensa complessità dei fenomeni. La complessità è considerata come cornice teorica che contiene numerose relazioni intrise di dinamismo.
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Si evita il concetto di causalità lineare, perché il “campo” presenta un intreccio di connessioni, di influenze e di cause concorrenti.
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Si focalizza sulla descrizione dell’insieme degli eventi in modo strutturato, superando la teoria associazionistica che analizzava una parte dell’insieme dopo l’altra, senza però riuscire a cogliere l’intrinseca relazione delle parti all’interno dell’insieme.
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Si sottolinea l’importanza del presente e delle forze che stanno agendo qui e ora, superando l’unilateralità della ricerca delle cause nel passato, perché il “campo” implica un sistema di forze attive nella situazione presente.
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Si supera l’oggettivismo del modello delle scienze naturali, perché la teoria del Campo Organismo-Ambiente riconosce la presenza della soggettività costituita dalle valutazioni, scelte, affetti, aspettative, preferenze e rifiuti.
3. IL BISOGNO DI APPRENDERE
Un insegnante che accoglie l’approccio gestaltista si prende cura del bisogno di apprendere dei suoi studenti: invece di focalizzarsi sui contenuti da proporre, si focalizza sui bisogni di apprendimento da stimolare; organizza il proprio contenuto in modo da sviluppare tale bisogno di apprendimento. Quindi utilizza i contenuti, soprattutto i contenuti più significativi, più belli, più entusiasmanti della propria materia, per “creare”, per far emergere, per risvegliare l’attenzione, l’interesse, la curiosità. Egli vuole rispondere ai bisogni di conoscenza dei suoi studenti.
Egli si chiede:
“In che modo quello che sto presentando può stimolare il bisogno di apprendere dei miei studenti? Come posso utilizzare le cose più interessanti della mia materia per far crescere la loro curiosità, la voglia, il desiderio, l’interesse? Quali sono i loro bisogni? A quali bisogni degli studenti sto rispondendo, proponendo queste lezioni? Quali sono i loro bisogni di sapere, di conoscere le informazioni che ritengo siano importanti per loro, per la loro crescita, per la loro cultura?”.
La Teoria della Gestalt si focalizza sul ciclo dell’esperienza che comincia con la percezione dei bisogni.
Una didattica che vuole diventare esperienza di apprendimento deve partire dalla valorizzazione dei bisogni degli studenti: non bisogni indotti, ma bisogni autentici, organismici, che conducono all’autorealizzazione.
Invece di inventare tecniche più o meno manipolative e seduttive di motivazione verso lo studio, la Teoria della Gestalt è molto più radicale e incisiva: va alla radice dei bisogni, sostenendo che si impara subito e profondamente solo ciò che è radicato nei bisogni esistenziali di uno studente. Non vi può essere apprendimento senza il bisogno di apprendere.
Il bisogno crea spontaneamente uno stato di attivazione e di attenzione. Non è necessario minacciare, rimproverare, punire. Gli studenti sono attenti quando sono in contatto con il loro bisogno di conoscenza: in tale contesto gli studenti diventano più svegli, più attenti, più sensibili, più focalizzati e diretti allo scopo. L’insegnante ottiene maggiore attenzione se conosce la via per attivare i bisogni di conoscenza dei propri studenti. Se non riesce ad evocarli, non solo non è possibile attivare il processo di conoscenza: non sarà possibile insegnare.
Per facilitare la consapevolezza dei bisogni di apprendimento degli allievi, l’insegnante può chiedere a ciascuno di loro:
“Quali sono i tuoi bisogni cognitivi? Cosa vuoi sapere? Cosa vuoi imparare? Cosa vuoi imparare in modo dettagliato ed approfondito? Come vuoi investire il tuo tempo e la tua energia per imparare quello che ti interessa? Fai una lista dei tuoi bisogni e delle tue motivazioni”.
Sono domande sorprendenti per gli studenti. Quasi nessuno di loro le ha mai sentite.
Attualmente nella scuola non si tiene conto dei bisogni di conoscenza dello studente, perché si è focalizzati solo sullo svolgimento del programma: si impone un determinato programma, senza averlo ri-strutturato, ri-formulato, in funzione dei bisogni e degli interessi degli studenti. Per questa ragione è inevitabile che vi siano nella scuola demotivazione, mancanza di interesse e dunque tendenza degli insegnanti ad utilizzare minacce e punizioni: “Se non studi, sarai bocciato”. Raramente si incontra un insegnante che esclama: “Guarda che bello, questo argomento! Guarda che interessante, questo problema! Guarda che sfidante, questo compito! Se noi lo risolviamo, possiamo sentirci veramente bravi e intelligenti. Mettiamoci alla prova. Vediamo fin dove siamo capaci di risolverlo”. Presentando la propria materia con entusiasmo, l’insegnante può riuscire a risvegliare negli allievi il bisogno, l’interesse, la curiosità. In altri termini, può andare incontro a ciò che l’Organismo ha naturalmente radicato in sé: il bisogno di conoscere, il bisogno di esplorare, il bisogno di mettersi alla prova, il bisogno di imparare, il bisogno di giocare, il bisogno di sentirsi efficienti.
L’insegnante può ristrutturare la propria materia di studio in funzione di questi bisogni, già insiti nell’Organismo. Una volta fatto questo, non è più necessario spingere all’azione o motivare, perché il bisogno, quando è stato risvegliato, mette in azione il proprio organismo: lo studente diventa attivo, motivato, interessato, coinvolto, desideroso di imparare.
Consideriamo soltanto due tra i bisogni sopra citati: il bisogno di sentirsi competenti e il bisogno di giocare. Sono due bisogni insiti nell’Organismo, già inscritti biologicamente. Se l’insegnante ristruttura la sua materia, la riordina, la seleziona, per individuare quelle situazioni che possano rispondere a questi due bisogni, non avrà bisogno di punire e tanto meno di far prediche per far studiare di più; autonomamente per una spinta interna, gli studenti vorranno apprendere, perché l’apprendimento è legato, finalmente, alla sensazione di competenza, alla sensazione di piacere, di coinvolgimento, che è intrinseco nel gioco.
Il bisogno di apprendere è schiacciato e distrutto dalla didattica dell’introiezione.
La maggior parte dell’apprendimento scolastico è fatto di introiezioni, cioè di informazioni e dati imparati a forza, ingoiati senza gusto e stipati senza ordine nella mente. Le informazioni offerte dagli insegnanti rimangono degli introietti finché non vengono assimilate. F.Perls (1947) scrive: “Ogni introiezione deve passare attraverso la macina dei molari, altrimenti rimane un corpo estraneo che disturba la nostra esistenza”.
Le informazioni scolastiche diventano utili solo quando lo studente comincia a destrutturarle, a masticarle e ad assimilarle. In tale processo di assimilazione egli utilizza le sue preconoscenze, le sue preferenze, i suoi gusti; mette in primo piano ciò che sa, ciò che gli piace, ciò che gli è utile. In base a questa griglia di preferenze, di preconoscenze, di attitudini, egli accetta alcune parti tra tutto quello che gli è stato offerto e ne rifiuta altre. Alcune cose le assimila rapidamente, altre più lentamente, a seconda della consonanza o della dissonanza che esse creano in lui. Egli integra le informazioni attorno ai suoi bisogni e valori esistenziali.
L’apprendimento è più efficace se l’insegnante organizza le sue lezioni in funzione dell’assimilazione. Ogni insegnante può modificare il proprio atteggiamento didattico: da insegnante che versa contenuti nella mente degli studenti si potrebbe trasformare in un insegnante che li aiuta a masticare e assimilare.
Per far masticare un’idea, bisogna chiedere:
“Tu cosa ne pensi? Come pensi di utilizzare questa idea? Quale parte vuoi utilizzare subito? Quale parte vuoi tralasciare? Quale parte vuoi rifiutare? Scegli, tra quello che io ti ho dato, cosa ti interessa maggiormente, fai attenzione a come lo ristrutturi nella tua esperienza, nelle tue mappe cognitive. Trova un tuo modo di dare ad esso la struttura più coerente, più solida, più creativa, più originale. Hai il diritto di scegliere quello che io ti sto proponendo, quello che a te sembra più utile per i tuoi bisogni, e di trascurare quello che per il momento non ti serve”.
In questo modo l’insegnante stimola e sostiene l’elaborazione autonoma dello studente: lo autorizza a distruggere la “struttura” di ciò che è stato insegnato, per spingerlo a creare una sua “struttura”, una sua forma, una sua Gestalt; lo autorizza ad essere critico, cioè capace di scegliere solo ciò che egli vuole assimilare per crescere ed autorealizzarsi.
Gli studenti che hanno dovuto introiettare a forza un gran numero di informazioni e di nozioni, hanno perduto il gusto del sapere. La parola “sapère” deriva dal verbo latino “sápere” che vuol dire appunto “gustare”. Il sapere è la capacità di gustare la cultura, la vita, la natura. Quando si forza lo studente a introiettare nozioni senza coinvolgimento e senza entusiasmo, si crea un ingombro nella sua mente e si distrugge anche il gusto, il senso del gusto del sapere. A quel punto emerge il disgusto verso tutto ciò che è legato allo studio, alla cultura, al sapere. Il disgusto può essere considerato una difesa nei riguardi dell’introiezione forzata di informazioni che gli studenti devono subire. L’apprendimento autentico non è introiezione, ma è elaborazione, assimilazione e ricostruzione, una ricostruzione di senso, di significato, di visione.
Con il processo di assimilazione, si sottolinea la separazione dello studente dall’insegnante o dal maestro.
Assimilare significa ristabilire i confini, dopo che è stato stabilito e gustato un contatto. Lo studente, attraverso l’assimilazione, si separa da ciò che l’insegnante gli ha offerto: si sente autorizzato a ristrutturare ciò che ha appreso in termini personali ed originali; si sente in diritto di poter criticare, addirittura di rifiutare ciò che l’insegnante gli ha presentato, se questo non risponde ai suoi bisogni. La Teoria della Gestalt valorizza il momento della separazione dello studente dall’insegnante: solo così lo studente può rendersi autonomo e diventare a sua volta insegnante di se stesso.
Per facilitare la scelta, l’autonomia, l’auto-organizzazione delle conoscenze, bisogna far giungere allo studente un messaggio analogo al seguente:
“Mentre studi, puoi decidere, momento per momento, cosa ti interessa e cosa non ti interessa. Puoi scegliere e rifiutare. Puoi leggere in modo approfondito o a salti, a seconda dei tuoi bisogni. Prima di ogni cosa devi essere consapevole dei tuoi bisogni cognitivi. Come puoi diventare consapevole? Ascoltandoti. Non devi ascoltare solo me. Ascolta anche i tuoi interessi e le tue preferenze. Usale come orientamento, come bussola”.
L’assimilazione richiede tempi lunghi: ma ciò contrasta con la fretta ossessiva degli insegnanti.
Quello che manca nella scuola non è il materiale didattico, ma il tempo di rielaborazione e di assimilazione.
La maggior parte dei materiali didattici che finora sono stati costruiti non sono stati sufficientemente scavati, rielaborati, spremuti, a causa della fretta. Per tale ragione, essi non hanno potuto dare il massimo di sviluppo cognitivo in essi contenuto. F.Perls (1942 tr.it. 1995), a proposito dell’importanza della masticazione del cibo fisico e del cibo mentale, scrive: “Ognuno guadagnerà molto di più per la sua conoscenza e intelligenza leggendo un buon libro sei volte che leggendo sei buoni libri una volta”.
La fretta che assale ossessivamente gli insegnanti nello svolgimento del programma può distruggere qualsiasi materiale didattico, qualsiasi curriculum, anche se ottimo.
È impossibile imparare sotto l’incalzare della fretta. È impossibile assimilare in fretta. La Teoria della Gestalt riconosce che il tempo è una dimensione essenziale dell’esperienza, da vivere momento per momento e da amplificare attraverso il continuum di consapevolezza. La fretta riduce il campo della coscienza, spegne la luce della consapevolezza, impedisce di prendere in considerazione i molti aspetti di un problema da risolvere o da rielaborare. Una nuova didattica, impostata gestalticamente, non si può fermare alla presentazione delle informazioni, ma deve prendersi cura dei tempi di assimilazione. Una lezione può essere presentata in un quarto d’ora, ma l’assimilazione può durare intere giornate e settimane.
Quando vi è assimilazione, vi è un intreccio di pensieri ed emozioni. La Teoria della Gestalt suggerisce di rendere ogni apprendimento una autentica esperienza vitale sia cognitiva che emotiva. Si può raggiungere questo obiettivo se l’insegnante modifica la sua modalità didattica, se porta in classe non monotone lezioni, ma esperimenti di apprendimentoe compiti che sfidanol’intelligenza, e che permettono a ciascuno di sperimentare e di provare come funziona la propria mente, di mettere alla prova lo strumento migliore che possediamo, che è il pensiero, con tutte le sue strategie. Uno studente apprende in modo vitale quando è portato a confrontarsi con un compito che gli servirà per tutta la vita o che gli servirà per sviluppare la sua potenzialità cognitiva.
L’insegnante può diventare più efficace se aiuta lo studente a percepire i propri bisogni cognitivi. Lamente dello studente è un immenso tesoro di ricchezze, di informazioni, di cui forse lo studente può aver perduto le chiavi di accesso. Tocca all’insegnante fornire queste chiavi ed evocare le potenzialità che lo studente possiede. In termini pratici spetta dunque all’insegnante servirsi di problemi didattici opportunamente scelti o problem solving. Essi provocano la ristrutturazione e l’insight, che secondo la Teoria della Gestalt, costituiscono l’essenza del vero apprendimento.
L’insegnante che accoglie l’impostazione gestaltica del “pensiero produttivo” di M.Wertheimer entra in classe con un problema e chiede agli studenti di rivolgersi al proprio interno per trovare tutte le risonanze pertinenti, i dati utili, le ristrutturazioni necessarie e risolutive di questo problema. Partendo da esso, l’insegnante crea nella mente dello studente una discrepanza tra ciò che egli sa e ciò che non sa. Introduce nella mente dello studente la novità, l’inatteso, l’imprevisto, lo sconosciuto, l’ignoto. Il contatto con un problema, il contatto con ciò che lo studente non sa, crea in lui il bisogno di riequilibrare la dissonanza. Ciò lo spinge ad essere attivo, attento e interessato. Si attiva la spinta verso la formazione di nuove figure o di nuove configurazioni.
Per facilitare l’assimilazione, è necessario aiutare ogni studente ad individuare e a sviluppare il proprio stile cognitivo. L’insegnante che accoglie l’impostazione gestaltica si prende cura del processo di individuazione e di differenziazione di ogni suo studente: egli desidera che ciascuno studente si esprima nel suo stile preferenziale. Egli valorizza gli osservatori analitici e gli osservatori globali, i riflessivi e gli intuitivi, quelli che sono portati ad elaborazioni astratte e quelli che invece amano la concretezza, gli immaginativi e i razionali, i sognatori e i pratici, i rapidi e i lenti: dalla combinazione e dalla integrazione di tutte queste risorse emerge una classe in cui è bellissimo imparare insieme. Il tal modo l’obiettivo della massima individualizzazione del profilo di apprendimento si accompagna all’esperienza della più ampia condivisione.
Nella Teoria della Gestalt è stato approfondito il tema del “ciclo dell’esperienza”. Esso può essere applicato all’apprendimento e si può parlare di “ciclo di apprendimento”. L’apprendimento efficace nasce dal bisogno di apprendere, il quale, viene soddisfatto nel momento in cui il soggetto mette in attivazione e in sinergia il sistema di consapevolezza e di significati del soggetto, nonché le sue strategie,e f con le risorse offerte dall’ambiente
In dettaglio, il ciclo di apprendimento può essere suddiviso, secondo la Teoria della Gestalt, nelle seguente fasi: il bisogno, l’interesse, l’attivazione, l’azione, la soddisfazione che segue al successo, l’assimilazione.
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Percezione del bisogno.
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Consapevolezza ed attribuzione del significato alle proprie sensazioni, spinte e bisogni.
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Attivazione dell’Organismo per raggiungere l’obiettivo, mobilitazione e orientamento.
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Azione o sequenze di azioni, guidate dal bisogno e dal criterio di scegliere i mezzi più opportuni e le opportunità ambientali per raggiungere lo scopo fino alla sensazione di successo.
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Assimilazione e integrazione .
Consideriamo adesso le interruzioni del processo di apprendimento.
Il tema dell’interruzione di contatto è stato descritto diffusamente in tutti i testi clinici della Psicoterapia della Gestalt (F.Perls, R.F.Hefferline, P.Goodman 1951, tr.it., 1971, E.M.Polsters 1973 tr.it. 1986). Esso può essere utilmente rivisto anche in termini pedagogici.
Il processo dell’esperienza ed il processo di apprendimento possonoessere interrotti in vari momenti
Il processo di apprendimento può essere interrotto durante la fase della sensazione dei propri bisogni. Quando lo studente non si sente in contatto con i propri bisogni conoscitivi, avverte apatia e disinteresse: non ha voglia di niente.
Il processo di apprendimento può essere interrotto durante la fase della consapevolezza, quando bisogna dare significato alle proprie sensazioni. Si può verificare il caso di uno studente che, pur essendo interessato ai problemi della chimica, della fisica, delle biologia, non riesce a dare un significato, un valore ad essi, perché, ad esempio, i suoi genitori sono artisti e lo ridicolizzano in queste sue manie scientifiche. Oppure si può verificare il caso di uno studente appassionato di arte, bloccato nel dare valore a questa sua tendenza, dalla considerazione degli insegnanti o dei genitori che svalutano l’arte e propongono invece una visione utilitaristica della vita“L’arte non ti dà da mangiare, prova a fare qualche cosa di diverso”.
Il processo di apprendimento può essere bloccato nella fase della mobilizzazione o della focalizzazione dell’energia per raggiungere i risultati di apprendimento. Lo studente è consapevole dei propri bisogni di studiare, dà significato ad essi, ma non riesce a mobilitare le sue energie verso lo studio, per la presenza di altre spinte o pulsioni che emergono e che non riesce a mettere da parte. Tale mancanza di mobilitazione energetica o di attivazione non facilita la concentrazione e l’azione diventa inefficace, dispersiva o debole.
Il processo di apprendimento può essere bloccato nella fase dell’azione, quando essa non è efficace, perché non è pianificata, diretta allo scopo. Alcune persone si bloccano pur facendo una grande qualità di cose: sono sempre attivi, spesso iperattivi, ma non sono in contatto con ciò che potrebbe soddisfare i loro bisogni.
Si può bloccare l’apprendimento nella fase dell’assimilazione, quando lo studente, dopo aver appreso qualcosa, non si dà del tempo per ritirarsi in se stesso, rilassarsi, lasciarsi fluire al proprio interno e integrare le informazioni nuove che ha appreso all’interno delle sue mappe cognitive. Invece di prendersi il tempo per assimilare tali novità, comincia nuovamente a tuffarsi nell’azione e considera l’assimilazione o la ripetizione come una perdita di tempo, come qualcosa di inutile. Di solito studenti iperattivi hanno difficoltà ad accettare la pausa di riflessione ed il silenzio, e a valorizzare la ripetizione come una forma di assimilazione, di ristrutturazione, di crescita.
Come si possono superare tali blocchi?
Con una nuova visione pedagogica. Un insegnante non farà errori pedagogici e didattici quando si focalizza sulla crescita dei propri studenti, sul loro adattamento creativo, su loro processo di assimilazione, sul pensiero produttivo. Tale consapevolezza pedagogica è la migliore tecnica di insegnamento: con essa egli può aiutare gli studenti ad apprendere con impegno ed entusiasmo, e raggiungere la loro autorealizzazione. Quando manca tale consapevolezza si verificano blocchi nella comunicazione e nell’apprendimento.
Consideriamo adesso il continuum di consapevolezza come metodo di apprendimento
La consapevolezza amplifica l’apprendimento. La Teoria della Gestalt ha elaborato lo strumento metodologico del continuum di consapevolezza. Esso consiste nel percepire costantemente e chiaramente la direzione verso cui ci si sta muovendo, chiedendosi costantemente: “Di cosa sono consapevole adesso, come sono consapevole adesso?”. Tale consapevolezza facilita la percezione chiara e intensa dei propri bisogni e fornisce un orientamento sicuro per l’azione. Questo strumento metodologico può essere applicato anche nell’apprendimento. Possiamo aiutare lo studente a chiedersi:
“Come sto apprendendo in questo momento? Sono interessato? Come sono interessato? Come sono coinvolto? Sto provando gioia nell’apprendere queste informazioni? Mi sto annoiando? Mi sto costringendo ad apprendere queste cose, mentre vorrei fare dell’altro? Dove sta andando il mio interesse, mentre sono qui in questa situazione di apprendimento, che non mi coinvolge? Che cosa vorrei apprendere? Come lo vorrei apprendere? Come sto ristrutturando le informazioni? Secondo modalità personali ed originali?
Queste domande sono metacognitive, perché facilitano la riflessione e il controllo su come si apprende e su come si conosce.
Nella Teoria della Gestalt il continuum di consapevolezza consiste nell’essere costantemente in contatto con se stessi, con la propria esperienza, con quello che si percepisce, con quello che si sta facendo, con il valore che si sta assegnando alla propria esperienza. Il miglior metodo per apprendere consiste nell’imparare a conoscere i propri procedimenti cognitivi.
Il continuum di consapevolezza è uno strumento metodologico che ci permette di prenderci cura, in modo fresco e vitale, dei continui adattamenti creativi necessari in ogni momento dell’apprendimento.
L’ampliamento della consapevolezza conduce all’emergere di una figura chiara. Solo dopo tale formazione della figura, si libera l’energia che viene canalizzata per dare soddisfazione al bisogno, che è diventato chiaro e forte. Solo quando lo studio è stato arricchito di colore e di significato, si è capaci di convogliare su di esso interesse, attenzione, concentrazione, vitalità.
4. INSIGHT ED APPRENDIMENTO
L’insight può essere definito come una ristrutturazione di dati e di relazioni che non erano state percepite prima. Improvvisamente, elementi differenti e frammentati si riuniscono insieme in una nuova configurazione, in una nuova Gestalt.
Il concetto di insight è stato approfondito, anche in termini “sperimentali”, da W. Köhler (1927). Studiando il comportamento intelligente delle scimmie antropoidi, ha potuto riscontrare in esse il fenomeno dell’insight. Egli aveva strutturato le seguenti situazioni sperimentali: le scimmie erano affamate e quindi erano spinte dal bisogno di raggiungere il cibo. Generalmente il cibo era posto in luoghi tali da costituire un problema a raggiungerlo: ad esempio, all’esterno della gabbia o gabbia o in un contenitore pendente dal soffitto. Nella situazione sperimentale vi erano altri oggetti che non erano legati al raggiungimento del cibo: c’erano, ad esempio, un bastone e delle casse vuote. Inizialmente, la scimmia usava il bastone per attività di vario genere, come per esempio ludiche. Ad un certo punto, però, si creava nella mente della scimmia affamata una relazione tra bastone e banana. Il bastone perdeva la sua caratteristica di essere oggetto di percussione o di gioco e acquistava un altro significato; veniva ristrutturato in un altro campo percettivo, come allungamento della mano per tirare a sé la banana, prima irraggiungibile. Avveniva una ristrutturazione del campo e si creavano nuove relazioni tra gli oggetti presenti e il bisogno da soddisfare: in questo caso, il bastone diventava uno strumento per avvicinare la banana.
L’insight non avviene gradualmente ma per illuminazione improvvisa: ad un certo punto si riesce a ristrutturare i dati in modo tale da vedere immediatamente la soluzione. È famoso l’aneddoto di Archimede. Aveva lavorato per anni sul problema del galleggiamento senza riuscire a comprenderne la regola sottostante. In un dato momento, però, entrando nella sua vasca da bagno, ristrutturò i dati pensando che un corpo riceve una spinta pari al peso dell’acqua spostato da esso. Questa intuizione lo riempì di gioia, tanto che uscì nudo per strada gridando: “Eureka. Eureka. Ho trovato la soluzione”. Improvvisamente, era giunto al sapere. Vi era stato un salto, un cambiamento totale della percezione: un attimo prima non sapeva nulla, da quel dato momento sapeva tutto. In quel momento di esaltazione intellettuale, vi fu una partecipazione emotiva, affettiva di tutta la sua persona.
La teoria dell’associazionismo sosteneva che noi apprendiamo per accumulazione, rafforzando le associazioni le une alle altre attraverso il meccanismo della ripetizione. Si impara attraverso prove ed errori: sono memorizzate le associazioni seguite da successo e dimenticate quelle seguite da insuccesso. La teoria della Gestalt demolisce il modello associazionistico e propone una nuova teoria dell’apprendimento, basata sulla ristrutturazione dei dati in funzione di un bisogno da soddisfare. È da tale impostazione che emerge una nuova concezione dell’apprendimento, dell’intelligenza e della memoria.
W.Köhler, K.Koffka ed altri gestaltisti, in alternativa al principio associazionista dell’apprendimento per accumulazione tramite prova ed errore, introdussero la nozione di apprendimento per intuizione, per insight, per ristrutturazione dei dati.
L’insight è una ristrutturazione efficace dei dati in funzione della soluzione di un problema. Tale impostazione dà molta importanza al tema dell’elaborazione, del transfer, degli schemi e mappe mentali. Uno studente apprende quando riesce a ristrutturare i dati che possiede, o che sono a disposizione nel proprio ambiente, per risolvere il problema che si sta ponendo. L’apprendimento, secondo la Teoria della Gestalt, non è accumulazione di datné ripetizione di associazioni stimoli-risposte. L’apprendimento è ristrutturazione di tutte le informazioni che uno possiede per risolvere un problema. Insight, appunto, cioè ristrutturazione del campo percettivo-cognitivo, che comprende la relazione tra i propri bisogni e gli elementi disponibili, presenti nell’ambiente, capaci di offrire la risposta giusta ad essi.
Purtroppo, la maggior parte della didattica attuale non è basata sull’insight, sulla ristrutturazione dei dati, ma solo sulla introiezione e sulla ripetizione meccanica di ciò che è stato introiettato.
Secondo la Teoria della Gestalt l’apprendimento consiste nella percezione di una situazione, nel riconoscimento degli aspetti che costituiscono il problema, nella ristrutturazione percettiva dei dati in funzione della soluzione di un problema. Si tratta di ristrutturare non solo i dati ma, soprattutto, la relazione tra i vari dati all’interno di un insieme. È stato M.Wertheimer ad insistere sull’importanza di aiutare lo studente alla percezione della “relazione delle relazioni” all’interno di un problema. M.Wertheimer sostiene infatti che per risolvere un problema, bisogna cogliere la relazione delle parti con il tutto.
Egli cita il risultato intuitivo di una bambina.
Alcuni studenti dovevano risolvere il problema dell’area di un parallelogramma sghembo. Loro conoscevano la regola della moltiplicazione della base per l’altezza, ma questo parallelogramma impediva loro di capire come potevano applicarla, finché una bambina disse che, “tagliando questa parte e mettendola in quest’altro posto si poteva avere un rettangolo regolare”. Perciò si fu in grado di risolvere facilmente il problema. In altri termini, non è sufficiente possedere la capacità di cogliere la relazione, ma è necessario cogliere relazioni all’interno di un tutto. La capacità intuitiva, dunque, non è passiva, ma è una rielaborazione attiva della situazione, delle difficoltà, degli squilibri, del bisogno di chiarezza, dell’impegno di utilizzare ciò che si ha a disposizione, l’esperienza passata, le strategie acquisite.
La maggior parte della didattica attuale è basata sull’introiezione e non sull’insight. L’insight, tuttavia, non è una pozione miracolosa. È solo una metodologia che può essere insegnata ed appresa attraverso la ristrutturazione creativa dei dati.
Come si giunge all’insight?
Attraverso una stimolazione continua a produrre configurazioni di dati alternative, , in luogo di soluzioni pronte all’uso, che evitano la fare la fatica di pensare, di creare, di ristrutturare le informazioni in modo originale.