Febbraio 2008 | Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792 Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni |
ABSTRACT
Oggi molti italiani sono attratti dalla Nuova Zelanda, paese affascinante agli occhi di molti soprattutto per le sue bellezze naturali e per la qualità della vita. Pochi sanno tuttavia che già dalla fine del 700 alcuni italiani tentarono di insediarsi in quel paese così distante, alla fine del mondo, come molti di loro dicevano. Quest’ articolo intende appunto tracciare a grandi linee l’evoluzione dell’emigrazione italiana in Nuova Zelanda. Sebbene l’immigrazione italiana in questo paese sia stata di modesta dimensione numerica, a differenza ad esempio della situazione in Australia o in America, può tuttavia vantarsi di una storia molto interessante che la rende unica e degna di studio. Dopo aver presentato l’evoluzione dell’emigrazione italiana in Nuova Zelanda arrivando fino ai nostri giorni, ci si soffermerà sulla comunità italiana per eccellenza, la Little Italy di Wellington e si cercherà di tracciare anche un quadro del repertorio linguistico di questa comunità.
1. I PRIMI ITALIANI IN NUOVA ZELANDA
La prima presenza italiana in Nuova Zelanda risale al 1769-1770 data che segna il primo viaggio di esplorazione del capitano Cook verso i mari del Sud. Un italiano partecipò alla spedizione di Cook e fu tra i primi europei a toccare le coste della Nuova Zelanda1. Il primo vero flusso di italiani in Nuova Zelanda risale tuttavia al 1874 quando il ministro delle Finanze, Julius Vogel, presenta un piano di risanamento delle finanze con immigrazione incoraggiata e assistita per la costruzione di strade, ferrovie e per la colonizzazione delle nuove aree. Emigrarono in questo modo persone provenienti dall’Europa Continentale per lavorare assieme agli immigranti della Gran Bretagna. A questi scopi, emigrarono 300 italiani (la maggioranza erano uomini soli e una piccola percentuale con famiglia) che furono sistemati nella baia di Jackson, una zona piovosa e umida del Westland (situata a sud-ovest dell’Isola del Sud). Questo tentativo di insediamento non fu fortunato: l’estremo isolamento dell’insediamento, le vie di comunicazioni inadeguate e le false aspettative degli italiani e anche delle autorità riguardo il tipo di coltivazione che vi potevano sviluppare fecero sì che il tentativo di insediamento fallì e quasi tutti gli italiani se ne andarono da quella regione. I commissari per l’emigrazione, tutte le autorità neozelandesi e anche i cittadini mossero critiche molto aspre verso l’emigrazione italiana che definirono:
Sotto ogni punto di vista assai poco soddisfacente, perché il carattere fisico e morale delle persone introdotte è completamente disadatto al lavoro di colonizzazione.2
Intorno al 1870, altri italiani provenienti da varie regioni d’Italia, si mossero di propria iniziativa verso l’isola del Sud della Nuova Zelanda, attratti come tanti altri avventurieri, dalla febbre dell’oro. Molti italiani si fermarono per cercare oro nella West Coast nei giacimenti battezzati da loro stessi Garibaldi diggings. E’ difficile sapere con precisione quanti fossero gli italiani presenti in Nuova Zelanda in quel periodo. Nella sua ricerca sugli italiani in Nuova Zelanda, Bruno Ballara indica che da un rapporto del 1870 elaborato dal consolato italiano di Melbourne, da cui la colonia della Nuova Zelanda dipendeva, gli italiani residenti in questo paese ammontavano a circa 265 unità. Secondo censimenti ufficiosi del 1878 e 1891, gli italiani presenti in Nuova Zelanda erano rispettivamente 583 e 397. Dobbiamo comunque arrivare al 1896 per apprendere come, secondo il primo censimento ufficiale del governo neozelandese, siano presenti in Nuova Zelanda 483 italiani.3
Gli insediamenti auriferi furono comunque provvisori e benché molti tornarono in Italia, alcuni vi rimasero, presero la cittadinanza neozelandese ed emigrarono verso altre località del paese dove esistevano opportunità economiche adatte alle loro abilità lavorative.
Negli ultimi due decenni del diciannovesimo secolo, i centri urbani in forte espansione come Wellington, Auckland e Dunedin offrivano buone opportunità di lavoro nel settore della pesca e fu infatti come pescatori che trovarono lavoro i primi italiani residenti in quelle città. Ian Burnley, che ha studiato a fondo l’emigrazione italiana in Nuova Zelanda, rivela che furono proprio due cercatori d’oro, Nicola Cacace e Salvatore Gargiulo, entrambi originari di Massalubrense4, che, spostandosi dai campi auriferi in cerca di condizioni di vita migliori, si stabilirono nei pressi di Wellington, dando così origine all’emigrazione italiana a Eastbourne e Island Bay. Nel 1890, si registra la presenza di uomini italiani provenienti da Sondrio e Piuro (Valtellina) nelle piantagioni di gomma dell’isola Nord della Nuova Zelanda.
2. L’EMIGRAZIONE A CATENA: DALLE ORIGINI FINO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Ai primi del 1890 avranno inizio dall’Italia le prime emigrazioni conosciute sotto il nome di “emigrazione a catena”. Con questo termine si intende l’emigrazione che con la trafila dei richiami, permette a parenti ed amici degli emigrati già stabiliti in Nuova Zelanda, di stabilirsi a loro volta nel nuovo paese. L’immigrazione a catena ha caratterizzato il 90% dell’immigrazione italiana in Nuova Zelanda.
Dopo il 1900, ha inizio l’emigrazione da Stromboli verso Island Bay, una baia di Wellington. Ballara5 racconta che il capostipite della catena di Island Bay è stato un marinaio di Lipari sbarcato in Nuova Zelanda per un breve periodo di convalescenza, a seguito di un incidente a bordo della nave. Tornato in patria, non dimenticò la Nuova Zelanda che l’aveva attratto per la bellezza dei luoghi e, lasciata nuovamente l’Italia, vi si stabilì definitivamente e col tempo chiamò conoscenti e parenti, che costituirono così assieme agli italiani di Massalubrense, l’inizio di un vero e proprio villaggio italiano.
Tuttavia, l’emigrazione a catena è cominciata con persone provenienti maggiormente dal nord Italia. Infatti, prima del 1914, l’emigrazione italiana verso la Nuova Zelanda arrivava maggiormente da Livorno e non da Massalubrense. Più del 11% dei 363 italiani naturalizzati neozelandesi prima della prima guerra mondiale erano originari di Livorno, ma benché successivamente emigrarono anche le mogli e le famiglie, questa catena di emigrazione si affievolì col miglioramento delle condizioni economiche del Nord Italia.6 Nello stesso periodo, inizia una catena che rimarrà attiva fino al 1970 e che vede italiani provenienti dalle province di Conco, Vicenza e Treviso emigrare verso le località di Wellington e Lower Hutt per lavorare nella coltivazione di ortaggi.
Tra il 1918 e 1938, si rafforza notevolmente l’emigrazione degli italiani provenienti da Massalubrense e continuano ad arrivare le mogli e i parenti degli italiani provenienti da Pistoia, Stromboli, Potenza, Treviso e Belluno. Gli strombolani si sistemano quasi solamente a Wellington, mentre le persone di Massalubrense (i massesi) e di Potenza sviluppano un nuovo insediamento a Nelson, nell’isola del Sud. A parte l’insediamento a Island Bay, alcuni massesi si stabiliscono a Longlands (Hawkes Bay) e a Gisborne. La maggiore emigrazione italiana in Nuova Zelanda viene registrata tra il 1929 ed il 1936.
Agli albori della seconda guerra, gli italiani in Nuova Zelanda avevano un atteggiamento piuttosto favorevole verso il regime fascista anche se questo era lontano da fanatismi e si avvicinava più a un sentimento di italianità che ad una presa di posizione politica. Tuttavia, il governo neozelandese guardava con sospetto e timore gli italiani e nel 1940-1941 decise di internare sull’Isola di Somes (oggi chiamata Matiu Island, il nome maori originario), un’isoletta nella baia di Wellington, insieme ad altri uomini di origine tedesca, giapponese e tongana, 38 uomini di origine italiana con l’accusa di essere dei fascisti. La maggioranza di questi italiani fu rilasciata nel 1944.
La seconda guerra mondiale costituisce per i massesi una cesura. Le famiglie sul punto di ricongiungersi sono bloccate e le donne finalmente decise a seguire i mariti dovranno aspettare 7 anni prima di poter partire per la Nuova Zelanda perché nessuna nave è in partenza. Anche la trasmissione di notizie e la rimessa di denaro vengono interrotte.
2.1 Le catene di emigrazione dall’Italia verso la Nuova Zelanda dal 1890 al 1970
(Fonte: The Te Ara.govt.nz, The Encyclopedia of New Zealand)
3. L’EMIGRAZIONE A CATENA DEL SECONDO DOPOGUERRA
Nel secondo dopoguerra, l’emigrazione in Nuova Zelanda è stata dominata dal flusso continuo di italiani originari di Massalubrense e di altri paesini del napoletano (Sorrento, Puolo, e Capri) diretti quasi esclusivamente verso Wellington e Nelson. In contrasto con la catena massese molto attiva, il movimento da Stromboli si affievolisce notevolmente e appare molto invecchiato. Questo dipende in parte dalla chiusura naturale di un ciclo di emigrazione e in parte da un cambiamento decisivo delle leggi sull’emigrazione che, a partire dal 1933 sanciscono la possibilità di richiamo del coniuge e dei figli di età inferiore ai ventuno anni, ma non dei parenti in linea collaterale. Nello stesso periodo, gli italiani provenienti da altre regioni continuavano a giungere in quantità moderata.
Tra il 1945 e il 1970, soltanto la catena d’emigrazione da Massalubrense-Sorrento verso Wellington e Nelson rimane attiva. Le migrazioni da Vicenza, Treviso e Udine continuano verso Auckland ma queste sono di dimensioni ridotte.
Dalla metà degli anni 70, il flusso degli italiani diretti verso la Nuova Zelanda diminuisce drasticamente fino a segnare la fine dell’emigrazione italiana di “massa” verso la Nuova Zelanda. Le cause di questo processo sono dovute in parte alla profonda crisi economica verificatasi in quegli anni in Nuova Zelanda che costringerà il paese a ridurre il numero degli immigranti e, in parte alla ripresa economica di cui gode l’Italia di quegli anni che non costringerà più tanti italiani a dover emigrare.
Gli italiani arrivati in Nuova Zelanda nel dopoguerra provenivano dunque da un numero ristretto di regioni quali la Campania, la Sicilia, la Basilicata e il Veneto. Si trattava soprattutto di uomini fra i 20 e 40 anni, con poca istruzione. Erano pescatori, braccianti, manodopera non qualificata che vivevano in paesini di campagna e che furono quasi costretti ad emigrare per ottenere migliori condizioni di vita. Fin dall’inizio dell’emigrazione italiana in Nuova Zelanda, le mete preferite dagli italiani sono state Wellington, Auckland, Nelson e Christchurch in quanto centri urbani dove si poteva trovare lavoro più facilmente.
Arrivati in Nuova Zelanda con un basso livello di istruzione, molti italiani della prima generazione hanno trovato lavori non qualificati che ancora oggi svolgono. La manodopera italiana si è concentrata particolarmente nei settori della pesca e dell’agricoltura. Gli italiani hanno dominato nell’industria della pesca, nella coltivazione in serra del pomodoro e nella lavorazione del “terrazzo”, che assieme alla vite e agli orti della valle di Hutt, Taita, Epuni e di Nelson, è il principale contributo al progresso del paese dato dagli italiani in Nuova Zelanda. Gli italiani sono poco rappresentati invece nel settore terziario e nelle professioni.
Poiché la grande emigrazione italiana risale agli anni 50-70 e i nuovi arrivi sono cessati da una trentina d’anni, una delle caratteristiche della comunità italo-neozelandese è il rapido invecchiamento della prima generazione. Oggi gli italiani residenti in Nuova Zelanda hanno raggiunto dopo tanti sacrifici e duro lavoro una buona posizione economica.
4. I RIFUGIATI E I LAVORATORI SPECIALIZZATI
Oltre agli italiani arrivati in Nuova Zelanda con il richiamo di parenti e familiari grazie alla trafila dell’emigrazione a catena, ci sono anche persone provenienti da ex province italiane concesse alla Iugoslavia dopo la seconda guerra mondiale, specialmente da Istria, Fiume e Pola. A queste persone, arrivate dall’Italia all’inizio degli anni 50, tra il 1951 e 1954 è stato concesso l’ingresso in Nuova Zelanda in quanto displaced persons (persone rifugiate). Queste persone rappresentavano nel 19687, il 10% della popolazione italiana residente in Nuova Zelanda e si stabilirono soprattutto a Auckland e a Wellington.
Dal 1963 al 1968, piccoli gruppi di uomini8 hanno ricevuto assistenza per emigrare in Nuova Zelanda da grandi ditte di lavori pubblici, Cubitt-zhokke, Cogefar e Codelfa che erano state incaricate della costruzione di due importanti complessi idroelettrici, uno a Manapouri (Southland) e l’altro a Turangi9 (nel centro dell’Isola del Nord). Queste ditte ricercavano lavoratori altamente qualificati e specializzati nei lavori delle miniere e delle gallerie capaci di usare attrezzature moderne. Molti tra questi lavoratori sono tornati in Italia alla fine dei lavori visto che c’erano poche prospettive di lavoro in Nuova Zelanda per operai specializzati come loro.
5. GLI ITALIANI IN NUOVA ZELANDA OGGI
Non è facile sapere con precisione quanti siano gli italiani presenti in Nuova Zelanda oggi. Infatti non sono disponibili indagini specifiche e i dati a disposizione sono o troppo vecchi o troppo generali. Secondo dati forniti dall’Ambasciata d’Italia di Wellington, oggi gli italiani presenti in Nuova Zelanda sono circa 2000 ma i discendenti di italiani sarebbero circa 15 mila. Dai dati forniti nell’ultimo censimento sulla popolazione neozelandese del 200610 risulta che il numero di residenti in Nuova Zelanda nati in Italia sono 1539. Inoltre, all’interno del censimento si chiedeva anche alle persone di indicare a quali gruppi etnici appartenessero. 3114 persone hanno risposto di appartenere all’etnicità italiana. Queste informazioni che riguardano il senso di appartenenza ad una o più etnie non rivelano le presenze italiane in Nuova Zelanda ma indicano piuttosto quante persone in questo paese sentono di appartenere all’etnicità italiana. Fra queste persone possono dunque essere incluse persone nate in Italia, figli di italiani nati in Nuova Zelanda, e forse anche persone di terza o quarta generazione che sentono ancora forte il legame con l’Italia e la cultura italiana.
Benché l’emigrazione italiana di ‘massa’ si sia ormai spenta da anni, alcuni italiani continuano ad emigrare in Nuova Zelanda. Ma chi sono gli italiani che emigrano oggi in Nuova Zelanda? Si tratta di un diverso tipo di emigrazione che parte da un contesto socio-culturale e linguistico molto cambiato rispetto agli emigranti degli anni del dopoguerra. Gli italiani che emigrano in Nuova Zelanda oggi, non emigrano più per trovare condizioni economiche migliori ma per trovare una qualità di vita migliore. Molti vengono attratti dai paesaggi incontaminati, dalle dimensioni ancora a misura d’uomo, dallo stile di vita più tranquillo ma pur sempre moderno che questo paese può offrire come pochi al mondo possono vantarsi di offrire.
Chi emigra oggi in Nuova Zelanda non si appoggia più, come una volta sulla presenza di un parente o di un amico in Nuova Zelanda. Dal 198611, l’unico criterio di valutazione per poter vivere in Nuova Zelanda si basa sulle qualità personali, le capacità, il livello di istruzione, sulla potenziale attitudine a contribuire alla vita economica e sociale del paese e sulla capacità di insediarsi bene. Nel 1991 il Ministry for Immigration ha instaurato un sistema a punti per regolare il flusso degli immigrati in Nuova Zelanda. il permesso di residenza viene concesso automaticamente a coloro che raggiungono il minimo punteggio richiesto dal ministero in quel periodo. Il punteggio minimo può variare a discrezione del Ministero da un mese all’altro.
Dal 1995, ci sono stati ulteriori cambiamenti nel modo in cui viene assegnato il punteggio e la conoscenza della lingua inglese diventa un fattore molto restrittivo e selettivo. Gli italiani che vogliono andare a vivere in Nuova Zelanda devono essere persone altamente qualificate oppure devono possedere una somma di denaro abbastanza grande da investire in un settore dell’economia neozelandese.
6. LA COMUNITÀ ITALIANA DI WELLINGTON
Gli italiani a Wellington non rappresentano una comunità unica, bensì diverse piccole comunità provenienti da diverse catene di emigrazione. Oggigiorno, la concentrazione più grande si trova a Island Bay seguita poi da quella di Avalon (Hutt Valley) e Eastbourne12.
Fig. 6.1 Rappresentazione topografica della concentrazione degli italiani nella regione di Wellington (Burnley: 1969: fig. 5)
Tuttavia, è a Eastbourne, e più precisamente a Rona Bay, che ha origine il primo insediamento italiano nella regione di Wellington13. Fu Bartolo Russo, uno strombolano, il primo a stabilirsi a Eastbourne e che diede in questo modo inizio alla catena di emigrazione da Stromboli verso la Nuova Zelanda. Nel 1894 acquistò 210 acri di terreno pianeggiante intorno alla baia. Da allora, piccole migrazioni di italiani, prima da Stromboli e più tardi da Massalubrense, avranno luogo verso la baia che diventa così la base di una piccola flotta di pescherecci italiani.
All’inizio degli anni Venti, molte famiglie strombolane di Eastbourne si trasferirono a Island Bay, un piccolo borgo situato a sud della città di Wellington. Questo borgo offriva una baia naturalmente protetta dai venti da un isolotto ed era vicina alle acque pescose dello Stretto di Cook. I primi italiani che si stabilirono a Island Bay erano originari di Massalubrense e Stromboli e si pensa che furono prima minatori nelle miniere d’oro nel Westland. All’inizio, l’insediamento italiano era dunque un piccolo villaggio di pescatori isolato dal centro di Wellington ma, dopo la prima guerra mondiale, le periferie si ingrandirono fino a raggiungere l’insediamento italiano. Cominciarono ad aprirsi vari negozi e tra i quali alcuni gestiti da italiani che aprirono pescherie e generi alimentari dove olio, pasta ed altri prodotti tipici venivano venduti alla popolazione locale. La pesca è stata l’attività economica più importante e diffusa per gli italiani di Island Bay. Nel periodo del primo conflitto mondiale l’insediamento d Island Bay contava almeno 85 persone nate in Italia. Tra le due guerre mondiali, i movimenti da Massalubrense e da Stromboli continuarono e si arriva così a contare nel 1968, 310 italiani residenti a Island Bay.
Per molti anni e ancora oggi, la popolazione neozelandese ha guardato a Island Bay come a un luogo genericamente italiano e ai suoi abitanti come a un insieme omogeneo, senza cogliere la differenza tra il gruppo strombolano e quello napoletano. Lo studio di Antonella Patete sulla comunità italiana di Island Bay14 mette in risalto invece il fatto che i due gruppi sono molto diversi sia per retroterra geografico e culturale che per modalità di emigrazione, comportamento e interazione con la società neozelandese.
L’emigrazione da Stromboli (che prevede prima l’arrivo degli uomini e poi, a distanza di pochi anni, quello delle mogli) è già in declino negli anni Trenta e può dirsi ormai concluso negli anni Quaranta. Dall’altro lato c’è l’emigrazione da Massalubrense, che è fino alla seconda guerra mondiale un fatto maschile. I napoletani, come con termine generico si definisce a Island Bay chi viene da Massalubrense, Puolo o Sorrento, emigrano senza le donne e vivono l’esperienza dell’emigrazione come uomini singoli. Finita la seconda guerra mondiale, i napoletani tornano nei loro paesi per sposarsi e con le loro spose si stabiliscono definitivamente a Wellington.
Elenio (1995:28) accenna anche alle differenze di mentalità che esistevano tra le donne strombolane e le donne massesi. Le strombolane andavano a ballare, andavano al cinema e conducevano una vita sociale più aperta verso la nuova società, mentre le massesi erano meno sicure di se stesse e trascorrevano la maggior parte del tempo ad occuparsi della famiglia, a pulire la casa e a cucire.
A questi due modelli di emigrazione si accompagna un diverso modello occupazionale. Infatti, nonostante per la popolazione neozelandese gli uomini di Island Bay rimangono ancora una volta genericamente i pescatori dello Stretto di Cook, gli strombolani non sono in genere pescatori ma sono nella maggior parte dei casi commercianti ed i loro esercizi sono generalmente legati alla vendita di pesce, al dettaglio o all’ingrosso.
Convivono dunque a Island Bay due gruppi di italiani ben distinti e separati anche geograficamente all’interno del borgo visto che, come afferma Burnley (1969: 42), i massesi si sono concentrati nella zona sud di Island Bay verso il mare, mentre gli strombolani si sono concentrati soprattutto nella zona nord15.
Avalon è un borgo situato nella Hutt Valley, a poche decine di chilometri dalla città di Wellington. Gli italiani che provenivano dalla provincia di Pistoia, da Belluno e dalla Valle del Piave vi si stabilirono prima della prima guerra mondiale. Questi erano agricoltori specializzati nella produzione di ortaggi che sfruttarono con successo il terreno alluvionato e molto fertile della valle del fiume Hutt. L’emigrazione italiana a Avalon rallenta notevolmente negli anni Cinquanta, quando il comune della città decide di comprare il terreno sul quale lavoravano questi italiani per costruirvi nuove case. Molti italiani rimasero nelle loro case ma dovettero cambiare occupazione: alcuni si specializzarono nella coltivazione dei pomodori sotto serra (che richiedevano poche estensioni di terra), altri andarono a lavorare nelle fabbriche della Hutt Valley e altri ancora andarono in pensione. Già nel 1968, Burnley16 afferma che questo insediamento appare invecchiato a causa del numero limitato di emigrazioni di giovani persone dopo la seconda guerra mondiale.
Se nel 1966, secondo lo studio di Burnley17, quasi il 40% degli italiani in Nuova Zelanda erano residenti nella zona di Wellington e Hutt Valley, dal censimento18 del 2006 risulta invece che è a Auckland che vivono oggi il 30% degli italiani, seguito da molto vicino da Wellington con il 27%. Questo spostamento demografico degli italiani verso Auckland potrebbe forse spiegarsi col fatto che il movimento verso il Nord caratterizza tutta la storia demografica della Nuova Zelanda degli ultimi trenta-quaranta anni. Comunque, ancora oggi, Wellington, e più particolarmente Island Bay viene riconosciuta e percepita come la Little Italy neozelandese e la comunità italiana neozelandese per eccellenza.
7. IL REPERTORIO LINGUISTICO DELLA COMUNITÀ ITALIANA DI WELLINGTON
Gli italiani che vivono nella regione di Wellington provengono come è stato detto nei paragrafi precedenti, da tre regioni d’Italia: la Campania (Massalubrense e altri paesi del Napoletano), la Sicilia (la catena di Stromboli) e il Veneto (Vicenza e Belluno). In questo paragrafo si disegnerà un panorama d’insieme delle lingue che fanno parte del repertorio linguistico degli italiani emigrati a Wellington (la prima generazione) e dei loro figli che appartengono invece alla seconda generazione.
Dalla descrizione della realtà sociolinguistica dell’Italia in generale negli anni Cinquanta e Sessanta che viene proposta da De Mauro nella sua Storia Linguistica dell’Italia Unita19 e dal livello socio-economico degli emigranti italiani diretti verso la Nuova Zelanda alla ricerca di condizioni di vita migliori, è possibile affermare che il dialetto della loro regione di origine, è la loro prima lingua, la lingua che usano più spesso e più spontaneamente.
L’italiano standard invece è la loro seconda lingua che conoscono con competenza diversa. In mancanza di studi precedenti riguardo il mantenimento dell’italiano della prima generazione di italiani residenti a Wellington, è difficile sapere quanto fosse diffusa la loro conoscenza dell’italiano, ma è probabile come affermano Bettoni e Rubino (1996: 12) scrivendo dell’Australia:
…che tra gli emigranti il bilinguismo dialetto-italiano fosse più diffuso di quanto faccia pensare l’entità del monolinguismo dialettale dell’Italia di quegli anni. Questo perché, tra chi si preparava a emigrare, era forse presente una maggiore permeabilità all’italiano proprio in preparazione del grande viaggio.
Si può affermare comunque che per molti italiani della prima generazione la conoscenza dell’italiano standard non si è sviluppata, a differenza di ciò che è capitato per gli italiani rimasti in Italia che hanno preso mano mano confidenza coll’italiano standard e che hanno beneficiato dei cambiamenti sociali avvenuti in Italia. Come afferma Berruto (1987: 180), per i primi, l’italiano standard, spesso rappresentato nella sua varietà di italiano popolare marcato regionalmente non ha un ruolo importante nella vita di tutti i giorni. Il dialetto locale rimane per questi italiani il mezzo di comunicazione più importante all’interno della famiglia e nei rapporti sociali con gli amici corregionali.
Con l’emigrazione in Nuova Zelanda, oltre al dialetto e all’italiano, si è aggiunto al repertorio linguistico dei nostri connazionali anche l’inglese. Non avendo avuto contatti preliminari con questa lingua, tutti hanno dovuto impararla come lingua straniera nel paese ospitante. L’inglese, che hanno dovuto apprendere con grosse difficoltà, rappresenta per gli italiani della prima generazione lo strumento essenziale per l’inserimento sociale e lavorativo nella società neozelandese.
Per quanto riguarda la seconda generazione, come è stato già riscontrato in molti studi precedenti sugli italiani all’estero (Tosi (1991) in Inghilterra, Bettoni (1996) in Australia e Haller (1993) negli Stati Uniti), è generalmente il dialetto usato in casa la lingua che apprendono per prima e che praticano quasi esclusivamente fino a quando vanno a scuola.
L’inglese è la lingua che in ordine cronologico i figli apprendono per ultimo, a meno che uno dei due genitori non la usi frequentemente in casa. Anche per i figli di italiani in Nuova Zelanda, l’apprendimento della nuova lingua può essere traumatico, specialmente se non c’è in casa un fratello o una sorella maggiore oppure se non hanno amici più grandi che possano servire da intermediari.
Molti superano molto bene le difficoltà iniziali e presto parlano inglese come i loro coetanei neozelandesi. L’inglese diventa la lingua che si usa a scuola e con gli amici, e il dialetto la lingua da usare a casa e coi parenti. A differenza di ciò che accade ai loro genitori, che rimangono dominanti nella lingua madre originale, con il passare degli anni l’inglese diventa sempre più la loro lingua dominante20.
CONCLUSIONI
La presenza degli italiani in Nuova Zelanda, anche se poco importante per quanto riguarda il numero di emigranti, vanta una storia antica che risale al viaggio dell’esploratore Cook e sussiste ancora oggigiorno pur avendo caratteristiche molto diverse. La comunità italiana per eccellenza, la Little Italy di Island Bay a Wellington, è ancora culturalmente molto vivace anche se da anni ormai il flusso migratorio si è spento. I contatti con l’Italia sono ancora attivi e i figli degli ultimi arrivati, gli italiani della seconda generazione, hanno cercato di mantenere i contatti con la regione italiana di provenienza e si sono integrati al meglio nella società neozelandese. Lo dimostra l’interesse della popolazione neozelandese per la cultura italiana in generale: festival del cinema italiano, corsi di lingua italiana presso le varie università del paese e nei circoli di cultura italiana. Tra le varie manifestazioni da ricordare è la ricchissima mostra “Qui tutto bene- Gli Italiani in Nuova Zelanda” (inaugurata nel 2004 e aperta al pubblico fino a marzo del 2007) dal Museo Nazionale di Wellington “Te Papa”. La mostra ricostruisce la storia dell’emigrazione italiana in Nuova Zelanda fino ai giorni nostri, offrendo un percorso storico e antropologico attraverso testimonianze, oggetti e video.
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1 Ballara (1975: 7). Elenio (1995: 8) ci informa che questo marinaio si chiamava Antonio Ponto e cita inoltre tra i primi italiani ad essersi insediati in Nuova Zelanda la figura di Salvatore Cimino arrivato nel 1839-1840 che ebbe stretti contatti con i Maori, e l’arrivo di un gruppo di monaci francescani nel 1860.
2 Ballara (1975: 25)
3 Ballara (1975: 48)
4 Massalubrense è un paesino situato a sud di Napoli adiacente a Sorrento nella penisola sorrentina.
5 Ballara (1975: 50)
6 Burnley (1969:20)
7 Burnley (1971:144) indica che sono180 gli italiani che rientrano in questa categoria.
8 Secondo Burnley (1969: 25), nel 1968 erano 120 gli operai specializzati italiani presenti in Nuova Zelanda
9 John Kinder ha condotto interessanti studi linguistici sugli operai specializzati di Turangi. (Kinder: 1987).
10 Dati disponibili a partire del sito internet dell’Ufficio di Statistiche nazionale neozelandese, Statistics New Zealand al seguente indirizzo: http://www.stats.govt.nz/products-and-services/table-builder/2006-census...
11 Tutte le informazioni sull’immigrazione in Nuova Zelanda oggi sono state prese da un file scaricabile su Internet, intitolato People Born Overseas elaborato nel 1999 dalla serie New Zealand Now.
12 Per una conoscenza più approfondita dell’insediamento italiano nella regione di Wellington consigliamo vivamente la lettura del libro di Paul Elenio (1995), Alla fine del mondo che, nato come catalogo ad una mostra allestita al Settlers Museum di Petone, è ricco di informazioni ricavate da fonti esistenti ed è corredato da numerose e preziosissime fotografie.
13 Così affermano Burnley (1969, 1971) e Elenio (1995).
14 Patete (1993: 228-234)
15 Per una descrizione più approfondita dell’insediamento a Island Bay vedi Elenio (1995: 19-24)
16 Burnley (1971: 146)
17 Burnley (1971:146).
18 Vedere nota 10.
19 De Mauro (1976)
20 Per maggiori informazioni riguardo la competenza e l’uso delle tre lingue della seconda generazione di italiani in Nuova Zelanda si rimanda a Coccaro Miranda (2003).