Il cinema nella prospettiva interculturale: filmografia ragionata
Filmografia ragionata
Nella filmografia che segue, riporto una serie di titoli pensati per l’analisi interculturale. I destinatari di questa filmografia non sono gli allievi, ma gli insegnanti: questa filmografia vuole essere un invito ad attivare particolari sensori che consentono all’insegnante di elaborare individualmente, a seconda degli obiettivi didattici, una propria filmografia di riferimento. I titoli sono raggruppati seguendo un criterio trasversale, il meno rigido possibile: pensando ad una filmografia interculturale ho finito con l’individuare alcuni elementi formali ricorrenti che sono diventati spunti tematici, possibili traiettorie che si intersecano in quello spazio sconfinato e aperto che è il cinema.
1. Amori…ed altre catastrofi
Quando il cinema racconta una storia d’amore, mette in scena l’incontro tra due mondi. Il genere è modellato sul bisogno comune a tutte le culture di conservare l’ordine e di garantire la sua propagazione. Se ad innamorarsi sono due individui appartenenti a mondi separati (socialmente e culturalmente), l’ordine è minacciato dal rischio di un cambiamento radicale.
Un’anima divisa in due (Italia 1993), di Silvo Soldini
Un amore impossibile tra un milanese e una rom. Un film che racconta l’incontro con la diversità attraverso una storia d’amore ricca di spunti significativi. Con L’assedio di Bertolucci e L’albero dei destini sospesi di Benhadij è uno dei film che usa la love story per raccontare la crisi e la volontà di conservazione di un mondo e di un ordine.
Viaggio in Italia (Italia-Francia, 1953), di Roberto Rossellini
Tra i capolavori di Rossellini, all’indomani della stagione neorealista, Viaggio in Italia racconta la crisi di una coppia inglese in viaggio a Napoli. I due sono estranei l’uno all’altra e il rapporto con il senso panico della vita che trasuda dall’arte e dalle tradizioni del sud Italia li farà incontrare nuovamente. Secondo Brunetta Rossellini ha introdotto al cinema uno sguardo stereoscopico, capace di essere insieme nazionale ed europeo.
Ossessione (Italia 1943), di Luchino Visconti
Il film capostipite del neorealismo italiano è tratto da un romanzo statunitense: Il postino suona sempre due volte di James Cain. Visconti racconta l’incursione nella vita di una comunità di uno “straniero” che sarà respinto come una minaccia per l’ordine. La storia d’amore tra Gino e Giovanna non potrà avere futuro.
Mississippi Masala (USA 1990), di Mira Nair
La storia d’amore interrazziale tra Mina, indiana immigrata in Mississippi, si innamora di un ragazzo di colore. La loro storia sarà ostacolata dalle famiglie, accecate dal pregiudizio. Dalla regista del film vincitore all’ultima mostra del cinema di Venezia (Monsoon Wedding) e di Salaam Bombay!.
My beautiful laundrette-Lavanderia a gettone (My beautiful laundrette, Gb 1985) di Stephen Frears
Londra. Omar, pakistano, si trova a gestire una lavanderia. Chiede aiuto al vecchio amico Johnny, diventato un punk intollerante. I rispettivi gruppi di appartenenza si oppongono alla loro amicizia che presto si trasformerà in amore. Uno spaccato della vita londinese in era tatcheriana, scritta dall’autore anglo-pakistano Hanif Kureishi.
Vesna va veloce (1996) di Carlo Mazzacurati
Vesna, una ragazza ceca, decide di restare a Trieste e di mantenersi da sola. Finisce con il prostituirsi, mentre fa credere ai suoi familiari di avere una vita regolare. Emarginata, vittima delle violenze degli sfruttatori, trova consolazione solo in Antonio, un operaio con il quale intreccia una relazione. Una tragica vicenda di immigrazione fotografata con sguardo intimista e finale aperto.
L’albero dei destini sospesi (Algeria-Italia 1997), di Rachid Benhadij
Samir è un ragazzo marocchino immigrato in Italia. Come tanti, lavora come sguattero e cerca di imparare l’italiano. In un centro commerciale si imbatte in Maria, delusa dalla vita. I due partono insieme per il Marocco. Il viaggio li farà innamorare, ma il destino di chi smarrisce l’identità è sospeso…
L’assedio (Italia, 1998), di Bernardo Bertolucci
L’assedio racconta la storia d’amore tra un musicista e la sua domestica, una studentessa africana il cui padre si scopre essere prigioniero politico. Bertolucci ha voluto raccontare l’amore come assedio, come un’occupazione di spazi mentali, come un’immigrazione…
Occidente (Italia 2000), di Corso Salani
Un’immigrata rumena studia e lavora ad Aviano, sorta di terra di nessuno, luogo a forte presenza americana dovuta alle basi Nato. È sola e tormentata per non essere restata a fianco dei compagni oppositori di Ceausescu. Un insegnante italiano si innamora di lei, ma la ragazza è sempre più sfuggente. Corso Salani filma lo sradicamento, l’evanescenza e lo smarrimento di un’immigrata rumena, del suo paese e dell’Occidente di fronte alle proprie responsabilità storiche…
2. Infanzia
Da The kid di Charlie Chaplin, passando per il neorealismo italiano, il cinema ha focalizzato spesso sull’infanzia per descrivere un mondo difficile ed ostile. I film con giovani protagonisti creano una tale vicinanza con lo spettatore da veicolare forti istanze di denuncia sociale. Raccontare l’infanzia significa anche raccontare il futuro in prospettiva storica, descrivere l’amicizia come valore primario, seguire il processo di formazione (o negazione) di un’identità e la ricerca di un gruppo sociale di appartenenza, percorrere le fasi di un’iniziazione al mondo degli adulti…
Yaaba (Burkina Faso 1989), di Idrissa Ouedraogo
Un film africano realizzato con il contributo artistico di maestranze europee (musica, fotografia, montaggio), al di fuori però di ogni logica colonialista. Yaaba è il racconto, ambientato in un villaggio africano, dell’amicizia di due ragazzini per una vecchia emarginata dalla comunità e considerata una sorta di strega.
Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants, Francia-Germania, 1987), di Louis Malle
Nel 1944 in un collegio francese Julien fa amicizia con Jean e altri due compagni. Non sa che sono ebrei fino a quando, per gelosia, un ragazzino handicappato li denuncia. Tra i film più citati per creare percorsi didattici sulla diversità e l’emarginazione, insieme a L’amico ritrovato (Reunion, 1989, di Jerry Schatzberg).
Central do Brasil (Brasile 1998), di Walter Salles
Dora scrive lettere per conto degli analfabeti alla stazione centrale di Rio e spesso non le invia per cinismo. Incontra Josuè, rimasto orfano di madre e intenzionato a trovare il padre e decide di accompagnarlo nel suo viaggio, recuperando l’umanità perduta. Un’allegoria sulle condizioni del Brasile raccontata attraverso lo sguardo in movimento del road movie.
Le cri du coeur (Francia-Burkina Faso 1994), di Idrissa Ouedraogo
La storia di un’emigrazione vista con gli occhi di un bambino che non riesce ad adattarsi al nuovo mondo. Tra i più significativi esempi di visualizzazione del disagio infantile e interessante sguardo sulla Francia di un regista africano (Burkina Faso). Un film “ibrido” in cui convivono due anime e due sguardi.
Kundun (USA 1997) di Martin Scorsese
Scorsese, dopo L’ultima tentazione di Cristo, ritorna sul tema religioso e racconta la giovane vita del XIV Dalai Lama. Questa volta però è l’innocenza dell’infanzia il filtro della storia. Il Tibet è ricostruito in Marocco (la Cina non accetterebbe mai un film sul Dalai Lama girato in Tibet).
L’infanzia di Ivan (Ivanovo Detstvo, URSS 1962) di Andrei Tarkovskij
Ivan è rimasto orfano. I tedeschi hanno ucciso la sua famiglia e il ragazzino si trova a fare l’informatore per i russi. Dovrà attraversare continuamente il fiume che separa i due schieramenti. Primo lungometraggio del più poetico tra i registi russi, L’infanzia di Ivan racconta la ferita della guerra come perdita dell’infanzia, negazione della promessa futura, tragicità della Storia.
Salaam Bombay! (India 1988), di Mira Nair
L’India contemporanea vista con gli occhi di un bambino di otto anni costretto a vagare per i quartieri più infimi di Bombay. Una finestra aperta sull’India meno stereotipata e più drammatica, ancora una volta l’infanzia come filtro per osservare da vicino tragiche realtà.
Il piccolo Buddha (Francia-Gran Bretagna 1993), di Bernardo Bertolucci
A Seattle vive una possibile reincarnazione di un Lama. Questa la convinzione di due monaci che partono alla volta degli Stati Uniti per convincere i genitori del piccolo ad acconsentire al confronto con gli altri candidati. Padre e figlio partono per il Tibet. Nello stesso tempo assistiamo alla storia del principe Siddharta. La narrazione e la resa fiabesca di un mito e di una filosofia che affascinano l’occidente.
3. Guerra
I film di guerra esasperano i conflitti latenti, descrivono situazioni limite, appiattiscono la prospettiva rappresentando il mondo come schiacciato tra due fronti contrapposti. Lo sguardo sulla guerra, sulla più pervasiva delle macchine inventate dall’uomo, è sovreccitato. Film che descrivono la guerra nel mondo e tra mondi come immagine della lotta estrema dell’uomo per domare il caos.
La battaglia di Algeri (Italia-Algeria 1966), di Gillo Pontecorvo
Un film secco e impietoso sulla guerra tra i francesi e gli algerini del fronte di liberazione nazionale. La guerra è la situazione limite che separa due mondi, esasperando le contrapposizioni. Il film si presta a molteplici letture (storica, metaforica, profetica) ed è da subito oggetto di polemiche: lo commissiona il governo di Algeri, viene proibito in Francia e delude un po’ tutti.
Benvenuti a Sarajevo (Welcome to Sarajevo, UK 1996), di Michael Winterbottom
Uno sguardo sulla guerra in Bosnia dal punto di vista inglese. Un giornalista d’assalto e un pietoso reporter inglese impersonano due atteggiamenti contraddittori dell’Europa nei confronti di un conflitto interno. Da vedere in relazione al recente No man’s land di Danis Tanovic che usa la commedia per trattare in chiave ironica le contraddizioni di una guerra tra fratelli.
Campo Thiaroye (Camp de Thiaroye, Senegal 1987), di Sembene Ousmane e Sow Thierno Faty
Il film racconta i soprusi e il razzismo della gerarchia militare francese nei confronti del Senegal sul finire della Seconda Guerra mondiale. Un tentativo di ribellione represso con il sangue per raccontare la ferocia del colonialismo. Uno tra i più famosi film africani da guardare con autocritica.
Paisà (Italia 1946), di Roberto Rossellini
A partire dal primo episodio di Paisà balza agli occhi l’assoluta modernità dell’immagine rossellianiana, in grado di narrare la risalita degli alleati in un percorso lineare intrecciato di storie diverse, dove lo sguardo documentario si mescola a momenti di delicato intimismo, specie nella trattazione delle figure femminili. Un’istantanea del più eclatante incontro tra culture della contemporaneità italiana.
Train de vie-Un treno per vivere (Train de vie, Romania-Francia 1998), di Radu Mihaileanu
Una sceneggiatura ricca di umorismo yiddish in un film che racconta la fuga impossibile di un intero villaggio ebreo dalle persecuzioni naziste. I fuggiaschi si travestono da soldati del reich e allestiscono un finto treno di deportati, per arrivare inosservati alla “terra promessa”. L’ironia sugli stereotipi ebraici e la farsesca imitazione dei nazisti raccontano l’orrore dell’olocausto.
Il pianeta delle scimmie (Planet of the Apes, USA 2001), di Tim Burton
Profetica parabola sullo scontro tra civiltà. Un astronauta americano che usa le scimmie come cavie, a seguito di una deriva spazio-temporale piomba su un pianeta (paurosamente simile all’immagine che abbiamo dell’Afghanistan) abitato da primati che tengono in cattività gli uomini e vivono in una sorta di medioevo pre-tecnologico. Remake di un classico del 1968, il film di Tim Burton, tra kolossal e b-movie, postula lo scontro tra civiltà come eventualità soggetta alla relatività, sia temporale che di punti di vista.
4. La musica
Il musical cinematografico è evasione, tracimazione della realtà nella fantasia più sfrenata. Il genere può servire a raccontare l’impossibile, a rovesciare le regole della verosimiglianza per rivelare l’irrazionalità dei sentimenti che determinano l’agire umano. La musica opera l’innesto di un tempo soggettivo sulla linearità degli eventi, non limitandosi a commentare l’azione, ma agendo a muoverla. Musiche e ritmi del mondo, muovono immagini complesse, disegnano nuovi orizzonti, spesso indicano vie di fuga dalla realtà.
Dancer in the dark (Danimarca-Francia, 1999), di Lars Von Trier
Selma è un’immigrata polacca negli Stati Uniti. È quasi cieca e fa l’operaia per consentire al figlio, ammalato della stessa malattia agli occhi, di operarsi. L’unico modo che ha di evadere è immaginarsi come l’eroina di un musical americano. Il capolavoro di Von Trier è legato tanto al melodramma quanto al musical: la musica è l’immagine “interiore” che accompagna Selma fino alla fine.
Il destino (Al Massir, Egitto 1997), di Youssef Chahine
Chahine è il più importante regista egiziano e l’Egitto è uno dei maggiori produttori di film al mondo, dopo l’India e Hollywood. Il destino è un musical di grande interesse: Averroè è osteggiato dai fondamentalisti, ma i suoi testi vengono tratti in salvo dal rogo da un suo allievo e diffusi. Un film contro il fondamentalismo islamico girato da un musulmano che usa il musical come genere popolare, aperto alle ibridazioni più varie: dal western al film di cappa e spada.
Gatto nero, gatto bianco (Crna mack, beli macor, Jugoslavia-Francia 1998), di Emir Kusturica
Una fantasmagoria gitana dove ogni regola sociale e naturale è sovvertita. Irriverente ed anarchico, Gatto nero, gatto bianco, tra le più riuscite opere di Kusturica, prende a pretesto il mondo gitano per costruire un irrefrenabile inno alla libertà, suonato da una musica trascinante e caotica.
Sud side stori (Italia 2000), di Roberta Torre
La storia di un amore impossibile tra un palermitano (Giulietto) e una prostituta nigeriana (Romea). La comunità palermitana si oppone. Musiche popolari africane, reinterpretate in chiave irriverente e unite alla musica popolare siciliana e al pop contemporaneo per un uso spregiudicato del cinema e del musical come genere “aperto”.
Vengo (Spagna 2000), di Tony Gatlif
Nella cultura dei gitani dell’Andalusia la vendetta è un riscatto necessario. La storia della guerra tra clan nemici, la disperazione del protagonista per la perdita della figlia, il suo dolore mai riscattato: note e battiti che risuonano nel flamenco più tragico e vitale. Qui la musica è la protagonista assoluta del film, aperta ad influenze mediterranee, sanguigna, vitale. Le parole dello stupendo brano iniziale, scritto dallo stesso regista, recitano: «non ho paesaggi e non ho patria».
5. Traiettorie incrociate
Il cinema è un gioco di prospettive e di sguardi. A seconda di chi guarda, il significato e la scala di riferimenti sociali possono variare. Che rapporto c’è tra nozione e immagine? Il cinema è un codice eterogeneo, una contaminazione fruttuosa di codici diversi, difficilmente riducibile a vero e proprio linguaggio. Il neorealismo ha proposto uno sguardo oggettivo, al modo verista, quindi anche corale ed epico. Il cinema hollywoodiano ha invece codificato dei generi. Alcuni film, che sono altrettante variazioni di sguardi, ci mostrano possibili traiettorie per incrociare mondi diversi.
Il vento ci porterà via (Iran 1999), di Abbas Kiarostami
Poesia per immagini dal più celebre regista iraniano, Il vento ci porterà via è un perfetto esempio di cinema “aperto”: il regista ha dichiarato che la storia del film, apparentemente assente, si sviluppa nell’interiorità degli spettatori. Ognuno è libero di assegnare alle immagini un significato e alla loro concatenazione un senso.
La terra trema (Italia 1948), di Luchino Visconti
Come raccontare la condizione dei pescatori siciliani? Qual è lo sguardo più adatto a fotografare la condizione di una collettività, senza perdere di vista le vicende individuali che sono la sostanza del cinema? Luchino Visconti riesce miracolosamente a combinare dramma e documentario, seguendo la lezione di Giovanni Verga.
Un incendio visto da lontano (Et la lumière fut, Italia-Francia 1989), di Otar Ioseliani, Domovideo
Contestato da certa critica africana, il film del georgiano Ioseliani è una “visione d’Africa” provocatoriamente ambigua e surreale. Con sguardo documentaristico e di per sé impietoso ed impossibile, l’occhio europeo di Ioseliani sembra spiare una vita incontaminata, ricca di misteri visualizzati secondo stereotipi occidentali. Lo scopo è descrivere l’invadenza della società occidentale…
Le onde del destino (Braking the Waves, Danimarca-Svezia-Olanda-Francia-Norvegia, 1996), di Lars Von Trier, Lucky Red
Il dogma religioso messo in crisi dal regista autore del manifesto Dogma ’95, per un cinema scarno ed antispettacolare. Bess, a seguito dell’incidente che ha immobilizzato per sempre il marito si svilisce fino a prostituirsi e morire, convinta che il sacrificio estremo possa restituire al marito le gambe. Provocatorio e ambiguo, Le onde del destino spinge alle estreme conseguenze alcuni valori della chiesa cattolica, prendendoli alla lettera.
Prima della pioggia (Bifore the Rain, Macedonia-Gran Bretagna-Francia 1994), di Milcho Manchevski, San Paolo
Tre capitoli intrecciati tra loro da sottili corrispondenze. In Parole, ambientato in Macedonia, un giovane monaco aiuta Zamira, una ragazza albanese perseguitata; in Volti, ambientato a Londra, seguiamo la storia del fotoreporter macedone Alexander deciso a rientrare nel suo paese; nell’ultimo capitolo, Immagini, Alexander e Zamira si incontrano.
Balla coi lupi (Dances with Wolves, USA 1990) di Kevin Costner
Un ufficiale nordista alla scoperta degli indiani. Un viaggio oltre “la frontiera”, raccontato come un western alla rovescia, dove i bianchi sono i cattivi. Lo spettatore segue da vicino l’incursione di un bianco tra i pellerossa: la presa di coscienza della loro umanità e della loro cultura, la comprensione dei loro insegnamenti, l’impenetrabilità dei loro segreti.
Storie (Code inconnu, Austria-Francia 2000) di Micheal Haneke
Code inconnu (codice sconosciuto) è un film che fotografa la solitudine come situazione paradigmatica della società occidentale contemporanea, che appare qui parcellizzata, priva di tessuto connettivo. Una serie di storie si intrecciano senza cambiare il loro corso. Un’attrice e un fotografo, la famiglia di lui, un’immigrata rumena, una famiglia di africani…
6. La legge
Consuetudini, tradizioni, leggi. Il cinema da sempre racconta le spinte all’innovazione, al cambiamento. La prospettiva interculturale incrocia leggi di varia natura e conflitti di varia entità. Scontri tra leggi arcaiche e modernità, tra leggi di clan contrapposti. Conflitti familiari che ripensano il ruolo della famiglia attraverso il confronto tra culture. Come rappresenta il cinema il gruppo sociale, le spinte centrifughe, la diversità che preme per il cambiamento?
Tilai-la legge (Tilai, Burkina Faso 1990), di Idrissa Ouedraogo
Saga ritorna al villaggio e scopre che suo padre ha sposatio Nogma, la sua fidanzata. Violando la legge del villaggio, Saga fa l’amore con Nogma e viene condannato a morte: dovrà essere suo fratello ad ucciderlo. Il più noto regista del Burkina Faso, uno tra i più celebri cineasti africani, filma lo scontro eterno con le tradizioni.
Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti
Capolavoro del cinema italiano, questo dramma di Visconti racconta, attraverso una vicenda di immigrazione interna, lo scontro doloroso tra due mentalità che sono insieme due volti dell’Italia. Una famiglia emigra dalla Lucania e si stabilisce a Milano: il conflitto è tra la coscienza arcaica e rurale degli emigrati e l’ambiente industrializzato della città lombarda all’alba del boom economico.
Il tempo dei gitani (Dom za vešanje, Jugoslavia 1989), di Emir Kusturica
Perhan, figlio di una gitana e di un soldato, si ritrova controvoglia in Italia, costretto a rubare e a trafficare in bambini. Cercherà il riscatto. Dal regista bosniaco di Underground, un’incursione nel mondo degli zingari e nelle sue contraddizioni.
East is East (Gb, 1999) di Damien O’Donnel
Una famiglia pakistana nell’Inghilterra degli anni Sessanta. Le resistenze di un capofamiglia integralista alle prese con le naturali spinte centrifughe dei figli nati in Inghilterra e decisi ad integrarsi definitivamente nella società occidentale. Una commedia ironica e intelligente che stempera la tensione dei conflitti culturali, trattandoli in chiave comica.
Samia (Francia 2000), di Philippe Faucon
Ambientato a Marsiglia nella comunità di immigrati algerini, Samia è la storia dell’emancipazione di una ragazza figlia di immigrati. Un film-denuncia che nasconde l’artificio, la fiction, per assumere i toni di un film-verità, tra violenze psicologiche interne alla famiglia e spinte centrifughe.
7. Ibridi e mutanti: costruzione/decostruzione dell’identità
Il cinema è un mutante. La sua forma può cambiare a seconda dell’immagine filmata. Ibridi e mutanti sono le nuove forme dell’identità, frutto della contaminazione tra culture, etnie, linguaggi. Forme aperte, interconnesse, che possono spaventare. Film che descrivono percorsi di contaminazione, di costruzione e decostruzione dell’identità, di rifiuto della diversità.
La ballata di Stroszeck (Stroszeck, 1977) di Werner Herzog
Herzog ha girato con La ballata di Stroszeck una parabola amara sull’emarginazione, raccontando l’emigrazione di un disadattato e di una prostituta dalla Germania agli Stati Uniti, verso un’alienazione ancora più profonda.
M Butterfly (Canada-USA 1993), di David Cronenberg
Un diplomatico inglese nella Pechino del 1964, si innamora dell’interprete di Madame Butterfly di Giacomo Puccini. La passione lo porta a lasciare la moglie e a compromettersi tanto da essere denunciato come spia dei comunisti. Al processo scoprirà che la sua amata è in realtà un uomo e una spia. Variazione sul tema della mutazione, caro al regista: questa volta l’orrore è la proiezione dello stereotipo della donna orientale sul corpo di un uomo. Il finale, una versione suicida del melodramma pucciniano, ne è l’estrema conseguenza.
Professione: reporter (Italia-Francia-Spagna 1974), di Michelangelo Antonioni
Daviud Locke è un reporter in trasferta in Africa. Quando muore il suo vicino di stanza, il mercenario David Robertson, Locke decide di assumere la sua identità. Tenterà di far perdere le tracce di sé e di entrare nel nuovo ruolo. Capolavoro di Antonioni, Professione: reporter è una riflessione profonda sul processo di costruzione/decostruzione dell’identità.
I racconti del cuscino (The Pillow Book, Gb, Francia, Olanda 1995) di Peter Greenaway
Il racconto della cultura orientale attraverso la rielaborazione del romanzo del X secolo di Sei Shonagon. Greenaway, da sempre impegnato a forzare i codici linguistici per emancipare il cinema dalla logica che lo domina, prevalentemnte illustrativa e narrativa, arriva qui all’apice della sperimentazione linguistica. Immagini sovrapposte, giochi di luce, scomposizione dello schermo, tracce scritte: ogni elemento costitutivo dell’audiovisivo è riconsiderato e rivoluzionato. Il film stesso è una sorta di trattato sull’ibridazione della forma e sull’incontro-scontro tra oriente e occidente.
Lo sguardo di Ulisse (To vlemma tou Odissea, Grecia, Italia, Francia, Germania 1995) di Theo Angelopulos
Le peregrinazioni di un regista greco esiliato negli Stati Uniti di ritorno in patria per cercare alcune bobine girate alla nascita del cinema greco dai fratelli Manakis. Dalla Grecia il regista si sposta lungo la penisola Balcanica (Albania, Macedonia), fino a Bulgaria e Romania, per poi arrivare a Sarajevo. Il film è una grande allegoria sulla crisi che ha coinvolto l’est europeo all’indomani del crollo dei regimi totalitari.
The man who cried (Gb 2000), di Sally Potter
Il film racconta la storia di una ragazzina originaria della campagna russa, costretta ad emigrare a Parigi tra le due guerre: restia ad imparare la lingua, si esprimerà da principio cantando una vecchia melodia popolare, la stessa che Bizet adopera per I pescatori di perle. Attraverso il teatro e il melodramma, la Potter mette in scena la costruzione dell’identità europea. Emigrazione e nomadismo sono il rovescio della medaglia.
Mirka (Italia, Francia, Gb 1999), di Rachid Benhadij
Il regista de L’albero dei destini sospesi ha scelto di ambientare in Trentino questa “fiaba” che racconta l’arrivo improvviso in un paesino di montagna di un bambino concepito da uno stupro etnico. Nell’utilizzo estremo di metafore e simbolismi, lo sguardo di questo regista immigrato sembra risentire significativamente della difficoltà di tradurre in immagini un tema tanto difficile…
Edward mani di forbice (Edward Scissorhands, USA 1990), di Tim Burton
Creato da un bizzarro scienziato, morto prima di terminare la sua opera, Edward, sorta di romantico freak le cui dita sono affilatissime lame, viene adottato da una famiglia tipo americana, in un tranquillo quartiere di provincia. A causa della sua particolarità, Edward sarà impossibilitato nelle relazioni, nel contatto con le cose, le persone, gli ambienti.
Boys don’t cry (USA, 1999), di Kimberly Pierce
La giovane Teena vive una crisi di identità sessuale: si finge un ragazzo e si stabilisce in un paese sperduto nella provincia rurale americana. La comunità chiusa del villaggio, un concentrato di squallore e miseria morale, reagirà violentemente al solo sospetto della diversità di Teena. Solo una ragazza insoddisfatta, della quale Teena si innamora sotto mentite spoglie, cercherà inutilmente di evitare il peggio…
8. Terre e cofini
Dalla costruzione del mito della frontiera, alla sua liquefazione. Terre di mezzo, dai confini invisibili. Soglie di accesso a mondi sommersi, che il cinema riporta alla luce: immagini che uniscono mondi lontani, che avvicinano realtà clandestine, tolte ai nostri sguardi, emarginate.
Tutta colpa di Voltaire (La faute à Voltaire, Francia 2000), di Abdel Kechiche
È un film prevalentemente descrittivo quello del tunisino Bechiche da anni residente in Francia. Si tratta del racconto della vita tra gli immigrati clandestini di Parigi attraverso la vicenda di Jallel, ventisettenne tunisino arrivato a Parigi con documenti falsi e costretto a vivere nei dormitori pubblici e a vendere fiori nella metropolitana. Ma gli emarginati non sono soltanto i clandestini…
Terra di mezzo (Italia, 1996), di Matteo Garrone
Tre piccoli film a tema: l’immigrazione in Italia. Nel primo, Silhouette, il regista documenta la vita di alcune prostitute nigeriane a Roma; nel secondo, Euglen & Gertian, segue le vicende di due ragazzi albanesi a contatto con il lavoro nero; nell’ultimo, Self-service, esplora i ricordi di un immigrato egiziano che lavora di notte in un distributore di benzina.
La vie sur terre (Francia, 1999), di Abderrahmane Sissako
Da un opulento supermercato europeo ad un villaggio della Mauritania. Il film del regista mauritano formatosi in Russia, racconta il legame sottile e insieme l’enorme distanza che ci sono tra il ricco Occidente e il sud del mondo. La vita del villaggio è restituita con grande ironia in tutta la disarmante semplicità che sta alla base della vita di ogni essere umano.
Tornando a casa (Italia 2001), di Vincenzo Marra
La storia di un gruppo di pescatori napoletani, tra i quali un nordafricano, costretti a pescare in Sicilia e a spingersi dentro le più pescose acque territoriali africane. Rientrati a Napoli, una serie di vicende li porterà nuovamente in Sicilia e ancora in Africa. Nella figura del protagonista napoletano l’immagine dello sradicamento: deciderà di unirsi ad un’imbarcazione di clandestini, fingendosi africano…
Lamerica (Italia-Francia 1994), di Gianni Amelio
Gino, spregiudicato imprenditore italiano in Albania, viene piantato dal suo socio in affari e resta solo nel “paese delle aquile”. Conosce Michele, un italiano affetto da amnesia, convinto di essere in Sicilia. I due si imbarcheranno per l’Italia, vista come «lamerica», la terra promessa che tanti albanesi sognano, fomentati dalle scintillanti trasmissioni TV via captate con la parabolica.
Così ridevano (Italia 1998), di Gianni Amelio
Dalla Sicilia a Torino: sei anni (1958-1964) della vita di due fratelli immigrati “interni”. Il maggiore, analfabeta, fa di tutto per mantenere agli studi il fratello. Diviso in sei capitoli in bilico tra vicenda interiore e Storia, il film racconta la progressiva disillusione dei protagonisti che vedono fallire il loro progetto.
Slam (USA 1998), di Marc Levin
Raymond, piccolo spacciatore nei sobborghi neri di Washington, entra ed esce dal carcere. È uno slummer, un poeta di versi liberi che predica la nonviolenza e denuncia l’oppressione degli afroamericani. La parola come forma di resistenza di una minoranza, come gesto di emancipazione. Gli attori sono veri slummers