Novembre 2012  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Teoria e prassi dell’italiano L2 come lingua per lo studio di Sonia Ambrosi

ABSTRACT

Questo lavoro costituisce un approfondimento di una parte della tesi conclusiva del master di II livello discussa nel mese di dicembre 2010 presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, il cui oggetto di ricerca era la progettazione di laboratori linguistici di italiano come lingua seconda all’interno di un Istituto Comprensivo della Provincia Autonoma di Trento. In particolare in questa sede vengono analizzati gli assunti teorici e proposti alcuni strumenti operativi utili a progettare l’azione didattica finalizzata all’apprendimento della lingua italiana per lo studio. Tale lavoro di ricerca e progettazione didattica nasce infatti e si concretizza all’interno dell’istituzione scolastica della quale la relatrice fa parte ed intende stimolare la riflessione sulla specificità della lingua per lo studio, molto più astratta e decontestualizzata rispetto alla lingua della comunicazione, e sulle diverse modalità e strategie didattiche necessarie per favorirne l’apprendimento.

Negli ultimi anni infatti le istituzioni scolastiche della Provincia Autonoma di Trento, anche grazie alle sollecitazioni del Dipartimento di Istruzione e Formazione della provincia Autonoma di Trento (PAT) e alle iniziative di formazione e aggiornamento proposte dai centri di ricerca presenti sul territorio (in particolare il Centro Interculturale “Millevoci” e l’IPRASE del Trentino) si sono dotate di strumenti e hanno approntato percorsi efficaci per affrontare i bisogni degli alunni neoarrivati, che quasi sempre presentano scarse o nulle competenze nella lingua italiana; percorsi che in molti casi ormai costituiscono prassi consolidate.

A fronte di ciò, permangono invece difficoltà e dubbi sulle modalità di intervento rivolte a chi è in grado di interagire linguisticamente in contesti quotidiani e ordinari, ma non è invece in grado di comprendere testi scritti e orali come quelli presenti nelle lezioni e nei manuali scolastici, che presentano, per la loro stessa natura, caratteristiche linguistiche e sintattiche molto più complesse ed in generale una lingua più formalizzata.

Il presente lavoro raccoglie e dà organicità alle iniziative proposte nell’istituto nel corso dell’anno e a quelle progettate per l’anno scolastico venturo, fornendo ad esse una adeguata base teorica e gli opportuni riferimenti legislativi, allo scopo di costruire e diffondere nel corso dei prossimi anni buone prassi anche in questo specifico settore e di contenere i numerosi insuccessi scolastici, sia in termini di ritardo scolastico che di risultati conseguiti, registrati da parte degli alunni stranieri all’interno della scuola secondaria di primo grado nella quale la relatrice insegna, e che confermano peraltro il trend provinciale e nazionale. Anche da noi, infatti, molti alunni stranieri concludono il primo ciclo di studi con una votazione bassa e vengono indirizzati quasi esclusivamente verso scuole di tipo professionale. Il rischio è che la mancanza di una competenza linguistico-comunicativa completa, che dia accesso a tutte le fonti di informazione e metta in grado di comunicare in contesti linguistici anche “alti” e più settoriali, diventi causa di emarginazione sociale, culturale e professionale di una parte ormai rilevante della popolazione italiana.

 

 

 

 

1. ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI

In questo capitolo viene descritto a grandi linee l’argomento di studio della presente ricerca, confortato da dati di ordine quantitativo sia di livello nazionale che provinciale, che danno conto dell’ampio respiro rivestito dalla tematica qui trattata.

 

1.1 LA COMPLESSITÁ DELL’ORIZZONTE GLOTTODIDATTICO DELL’ITALIANO COME LINGUA SECONDA

L’insegnamento/apprendimento di una lingua seconda è un problema complesso.

Esso è oggetto di studio della glottodidattica, scienza pratica, interdisciplinare, che si occupa appunto dell’insegnamento delle lingue in un contesto scolastico e formale. E già il contesto scolastico, essendo specchio di una società e di un popolo con la sua lingua e il suo sistema di valori sempre in fieri, è di per sé un ‘istituzione sfaccettata, perché accoglie al suo interno persone con bisogni, stili di pensiero, culture, talenti, provenienze, esperienze e aspettative molteplici e diversificate.

E la lingua stessa, ed ancorché la lingua seconda, seguendo il pensiero di M. C. Luise (Luise: 2006: cap.3), è un sistema articolato di codici e simboli che continuamente muta e si evolve, perché è in continuo contatto sia con le altre lingue parlate o conosciute, sia con l’ambiente nel quale viene usata naturalmente e che a sua volta si evolve, e del quale la lingua recepisce le possibili implicazioni sociali, politiche, culturali.

Inoltre, i soggetti destinatari dell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda sono gli studenti “stranieri”, che nella realtà scolastica sono tutti coloro che non hanno l’italiano come lingua madre e che si riconoscono in altra o altre culture diverse da quella italiana. Studenti, dunque, la costruzione della cui identità multiculturale la scuola deve supportare e favorire.

Se anche in questo lavoro le espressioni «alunno con cittadinanza non italiana» e «studente straniero» vengono utilizzate come sinonimi, riferendole a tutti gli studenti, anche se nati in Italia, iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado con entrambi i genitori di nazionalità non italiana (così come previsto dal decreto legislativo n. 297/1994, artt. 115 e 116), in realtà risulterebbe più corretto e preciso parlare, come hanno di recente recepito le Linee guida per l’inserimento e integrazione degli studenti stranieri nelle istituzioni scolastiche e formative della Provincia di Trento (Provincia Autonoma di Trento: 2012), di “studenti di madrelingua non italiana”, dicitura che sposta l’attenzione dalla cittadinanza fondata sullo ius soli o ius sanguinis, alla lingua come il principale fattore di identità e di riconoscimento. Le stesse Linee guida elencano le diverse situazioni che possono rientrare sotto l’etichetta “studenti di madrelingua non italiani” e che sono:

  • i figli di immigrati arrivati in Italia con uno o entrambi i genitori o per ricongiungimento familiare;

  • i figli di immigrati nati in Italia (le cosiddette “seconde e terze generazioni”);

  • i ragazzi immigrati dal proprio paese da soli (i “minori non accompagnati”);

  • i bambini e i ragazzi giunti in Italia per adozione internazionale;

  • i bambini e i ragazzi sinti e rom;

  • i figli di coppia mista che non hanno l’italiano come madrelingua.

Per tutti questi studenti, infatti, l’italiano non è la lingua materna, ma una lingua seconda, cioè una lingua di socializzazione secondaria e di scolarizzazione.

Infine, l’approccio umanistico (Luise: 2009) rende conto della complessità dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua seconda, in quanto sposta l’attenzione dagli aspetti puramente cognitivi del discente alla persona nella sua totalità, e quindi anche agli aspetti emotivi, motivazionali, psicologici e alla dimensione “fisica” dell’apprendere. In questa prospettiva lo studente è visto nella sua integrità, e il docente riveste il ruolo di guida e di regista dell’apprendimento, che deve richiamare e coinvolgere tutte le modalità esperienziali del soggetto che apprende. Inoltre, in questa prospettiva viene richiesta attenzione più che alla correttezza formale, come accade in altri approcci, alla “naturalità” nell’acquisizione anche della lingua straniera e seconda; il che richiede di proporre input che rispettino e sappiano cogliere i bisogni linguistici dei singoli alunni in quel preciso momento e che non siano tarati in modo da frustrare o demotivare l’alunno, perché ritenuti troppo facili, o viceversa troppo difficili, evitando così l’innalzamento del filtro affettivo. L’esposizione ad input linguistici comprensibili, ma anche autentici e significativi è uno dei mezzi per evitare l’innalzamento del filtro affettivo e per raggiungere l’obiettivo di insegnare e apprendere la competenza comunicativa (Balboni: 2008: cap.2), competenza ben più ampia di quella linguistica perseguita in altri approcci.

 

1.2 ALCUNI DATI RELATIVI ALLA SITUAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI STRANIERI IN ITALIA E NELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

Gli alunni con cittadinanza non italiana sono ormai una realtà strutturale nel nostro Paese. Essi ammontano, per l’anno scolastico 2010/2011 a 771.064 unità e corrispondono al 7,9% del totale della popolazione studentesca in Italia(Ismu: 4/2011). In aumento sono in particolare i figli di genitori stranieri nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni, che rappresentano il 42,2% dell’intera popolazione studentesca di origine straniera presente nelle scuole italiane (Caritas/Migrantes: 2011: 4-5).

Gli alunni con cittadinanza rumena si confermano, per il quinto anno consecutivo, il gruppo più numeroso nelle scuole italiane (126.452 presenze), seguono gli albanesi (99.205) e i marocchini (92.542) (Ambrosini et al.: 2011: cap.2.2)

Anche nella Provincia Autonoma di Trento negli ultimi dieci anni gli stranieri sono diventati sempre più numerosi e gli alunni di cittadinanza non italiana sono una presenza massiccia e diffusa in tutti gli ordini di scuola (con un’incidenza del 10,8% sul totale degli alunni, al di sopra della media nazionale, pari al 7,9%, e vicino a quella del Nord-est, pari al 12,4%), in particolare nella valle dell’Adige e nella Vallagarina, sedi delle due città più grandi per dimensione e più importanti per servizi della provincia, Trento e Rovereto (ibid: p.90).

Ed anche in Trentino le presenze straniere più diffuse nelle scuole sono, sebbene con un diverso ordine rispetto al panorama italiano, quella albanese, rumena e marocchina.

Ma accanto a questo dato di ordine generale, è fondamentale guardare anche al luogo di nascita degli alunni con cittadinanza non italiana presenti sul territorio trentino. Diventa così possibile distinguere coloro che sono nati in Italia e quindi sono stati scolarizzati esclusivamente nelle scuole italiane, dagli iscritti che invece sono nati all’estero. Risulta nato in Italia, seppure da genitori stranieri, il 47,6% degli alunni con cittadinanza non italiana inseriti nel sistema scolastico provinciale. Si tratta di un dato altamente significativo, superiore alla media nazionale (pari al 42,2%), e che registra una continua crescita, specchio fedele di una realtà sempre più complessa e sfaccettata.

A livello nazionale è, inoltre, degno di nota il fatto che, malgrado l’aumento registrato negli ultimi dieci anni delle presenze straniere nelle scuole secondarie di secondo grado, la loro incidenza percentuale sul totale degli iscritti rimanga ancora piuttosto bassa (5,8%), e soprattutto si registra anche per l’anno scolastico 2010-2011 una netta disparità tra le presenze italiane e straniere nei diversi indirizzi di studio. Gli studenti stranieri sono particolarmente numerosi negli istituti professionali (frequentati dal 40,4% degli stranieri iscritti alle secondarie di secondo grado), mentre nettamente minore è la loro presenza nei licei (18,7 %), a differenza degli italiani che, invece, prediligono i licei (43,9%) rispetto ai professionali (19,2%). Si tratta del fenomeno di “canalizzazione formativa” degli stranieri, oggetto di studio e di riflessione in ambito sociologico (Ismu:4/2011:39).

Ovviamente, la distribuzione degli studenti stranieri tra i vari indirizzi di scuola varia da regione a regione. Anche il Trentino Alto-Adige, insieme ad altre regioni del centro-nord (Emilia-Romagna, Umbria, Liguria, Marche, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Veneto, Piemonte) registra un numero percentuale di iscritti agli istituti professionali più elevato rispetto alla media nazionale (12,7% di studenti stranieri ogni cento iscritti, contro gli 11,4%). E si colloca nella medesima posizione anche la Provincia Autonoma di Trento: anche in questa realtà gli istituti professionali si confermano al primo posto per concentrazione di stranieri sul totale degli iscritti con il 17,4 stranieri ogni cento iscritti (Ambrosini: 2011: 82-83). Ed anche in Trentino il rapporto tra le scelte effettuate dagli alunni di madrelingua italiana e quelle effettuate dagli alunni con cittadinanza non italiana è diametralmente opposto: se gli studenti stranieri tendono chiaramente a privilegiare percorsi scolastici più professionalizzanti - con gli istituti tecnici che raccolgono il 41,9% degli iscritti stranieri, e gli istituti professionali che assorbono una quota pari al 21,5% - fra gli studenti italiani, invece, quasi la metà sceglie di frequentare un liceo (47,9%), rispetto ad una porzione che tra gli stranieri si ferma al 32%.

Ma oltre alla questione della “segregazione formativa”, che, sebbene meno diffusa nella realtà trentina rispetto al panorama nazionale (ibid.: 85-86), rimane un dato permanente e allarmante, un altro dato degno di nota in questa sede è quello relativo all’ampia percentuale di stranieri nelle scuole secondarie di secondo grado in ritardo rispetto al regolare percorso di studi (il 70,6%, il triplo rispetto al 25,1% degli italiani, a livello nazionale; il 61,3% versus il 20% a livello provinciale). Dato quest’ultimo già messo in evidenza dalla ricerca curata dalla Fondazione Giovanni Agnelli nel 2010 (Fondazione Agnelli: 2010: 7).

Così pure a livello nazionale si registra uno scarto tra gli stranieri promossi nell’anno scolastico 2009/2010 (70,6%) e gli italiani (85,9%). Anche negli istituti professionali le distanze tra i due gruppi sono piuttosto alte, ed anche in questo indirizzo di scuola solo il 65,8% degli studenti con cittadinanza non italiana è ammesso all’anno successivo.

È evidente che le variabili che sottostanno al ritardo e all’insuccesso degli alunni di cittadinanza non italiana sono molteplici e dipendono dalla classe di inserimento degli alunni neoarrivati per quanto concerne il ritardo scolastico, ma anche dalla mobilità territoriale delle famiglie e, non da ultimo, dalla riuscita scolastica.

Su quest’ultimo aspetto, incide certamente la difficoltà da parte degli studenti stranieri, spesso espressa dagli studenti medesimi e confermata anche da studi specifici nel settore, di comprendere e di seguire l’insegnamento di molte discipline (Tosi 1995: 128; Arici: 2006: 5,6).

 

 

2. IL PROGETTO DI RICERCA-AZIONE

In questo capitolo vengono forniti dei dati di ordine quantitativo e qualitativo in merito ai risultati scolastici degli studenti stranieri nella scuola secondaria di I grado “D. Chiesa” di Rovereto, e viene delineato il Progetto per il miglioramento dell’offerta formativa per quanto attiene lo specifico dell’italiano come lingua seconda per lo studio.

 

 

2.1 I DESTINATARI: RILEVAZIONE E ANALISI DEI BISOGNI LINGUISTICI DEGLI ALUNNI STRANIERI DELLA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO.

La difficoltà a comprendere e a seguire l’insegnamento di molte discipline viene confermata anche all’interno della scuola secondaria di I grado presso la quale la relatrice insegna in qualità di docente di lettere e di facilitatrice linguistica di italiano come L2.

La questione di come migliorare le competenze disciplinari specifiche degli alunni stranieri - favorendone così la riuscita scolastica e dando in tal modo loro la possibilità di scegliere un indirizzo scolastico anche diverso da quelli più specificatamente professionalizzanti - è sentita come cogente dai docenti, ma è emersa anche da molti dei colloqui che la relatrice ha avuto con gli studenti stranieri delle classi terze in merito all’indirizzo di scuola scelto per il futuro.

Nell’anno scolastico 2011/2012 la scuola secondaria di I grado ospita al suo interno 81 alunni stranieri, il 21% sul totale degli iscritti. Di questi, sono in ritardo rispetto all’età anagrafica il 20%.

Nelle classi terze sono presenti 30 studenti stranieri su 141 iscritti per questa classe, pari anche in questo caso a circa il 21%. Di questi, ben il 40% è iscritto per l’anno scolastico 2012/2013 ad un istituto professionale, il 46% ha scelto un indirizzo tecnico, mentre solo il 14% circa ha scelto un indirizzo liceale.

Durante i colloqui per la scelta dell’indirizzo di scuola superiore, la maggior parte degli studenti stranieri che ha scelto un istituto professionale ha motivato la sua scelta, sostenendo (in ordine di percentuale di risposte, dalla più scelta a quella scelta dal minor numero di alunni) :

  • di non sentirsi “portato” per lo studio;

  • di avere un curriculum scolastico tale da non consentirgli un’altra alternativa;

  • di volere andare a lavorare il prima possibile;

  • di non avere interesse per un altro tipo di indirizzo di studi.

Nell’anno scolastico 2009/2010 sul totale degli studenti stranieri iscritti alla classe III della secondaria di I grado, circa l’80% ha scelto un indirizzo professionalizzante, di cui il 60% ha scelto un istituto professionale e il 20% un istituto tecnico. Il restante 20% ha scelto un liceo.

Di questi, nessuno ha superato l’esame di licenzia media con una votazione di eccellenza (distinto-ottimo), solo il 17% ha concluso il primo ciclo di studi riportando una votazione media (discreto-buono), mentre ben l’80% circa ha ottenuto la votazione di sufficiente.

Al termine del I anno di scuola secondari di II grado, quindi al termine dell’anno scolastico 2010/2011, dei 17 studenti stranieri considerati sopra, il 50% di coloro che hanno frequentato un liceo non è stato ammesso all’anno successivo (2 su 4). Meno della metà del totale degli iscritti ha superato il I anno del nuovo corso di studi, mentre il restante 40% circa è stato ammesso con almeno due debiti alla classe successiva.

Questi dati confermano il trend nazionale e provinciale sia in termini di valutazione degli studenti stranieri, che in termini di scelta dell’indirizzo di scuola superiore.

All’inizio dell’anno scolastico 2011/2012 è stato somministrato a tutti i docenti della scuola ospitanti all’interno delle loro classi uno o più alunni stranieri un questionario. Lo scopo di tale indagine era quella di rilevare i bisogni specifici, soprattutto di natura linguistica, degli alunni stranieri presenti nella scuola, al fine di organizzare e progettare l’azione didattico-educativa delle attività del laboratorio di italiano L2 in modo mirato e calibrato sulle reali esigenze degli alunni e in continuità con la programmazione di classe.

Anche alla fine dell’anno scolastico 2011/2012 è stata promossa un’indagine tra i docenti finalizzata al miglioramento dell’offerta formativa rivolta agli alunni stranieri e al potenziamento in particolare della capacità di incisione da parte dell’azione del laboratorio di italiano come lingua seconda. In entrambi i casi è emersa la necessità che le ore di laboratorio - che per loro natura affiancano e completano l’azione didattica che viene svolta in classe - siano finalizzate prioritariamente per acquisire o migliorare:

  1. le strategie di apprendimento (prendere appunti, fare schemi, mappe ecc)

  2. i linguaggi legati ai singoli saperi disciplinari e i contenuti ad essi legati

  3. la capacità di concettualizzare (nessi logici, spaziali, temporali, causali …..)

  4. la capacità di verbalizzare i concetti

  5. la comprensione del testo informativo per scopi scolastici.

(In questo elenco è stata riportata una sintesi delle risposte date dalla maggioranza dei docenti agli items n. 3, 5, 7b, 8. del questionario presentato nell’allegato C, che ben riassumono i bisogni espressi dai docenti, ma, seppur in termini diversi, anche dagli stessi alunni, in merito alle difficoltà scolastiche più diffuse tra gli alunni).

Da quanto detto finora, emerge dunque anche nella nostra scuola la necessità di trovare forme adeguate di intervento nel settore specifico della “lingua per lo studio” e di costruire una prassi che consenta:

  1. la rilevazione dei bisogni specifici di ciascun alunno;

  2. una programmazione collegiale dell’azione didattica da parte del consiglio di classe.

  3. la strutturazione dei relativi percorsi didattici.

 

2.2 L’OGGETTO DI RICERCA: LA “LINGUA PER LO STUDIO”

L’etichetta verbale “lingua per lo studio” sottolinea la necessità – ormai universalmente riconosciuta dalla letteratura e dalla ricerca in campo glottodidattico – di distinguere tra l’elaborazione linguistica necessaria nella comunicazione faccia a faccia (“lingua per comunicare”) e quella richiesta nelle situazioni scolastiche.

La comunicazione faccia a faccia si avvale di elementi paralinguistici (tono, ritmo, uso delle pause, ripetizioni ecc.), extralinguistici (sguardo, espressioni del volto, gestualità, ecc.) e dell’uso del contesto.

Nelle situazioni scolastiche, invece, prevale un tipo di comunicazione decontestualizzata (scrivere un tema, ascoltare una lezione di scienze, eseguire delle consegne per svolgere un compito, leggere un testo ecc.) (Favaro: 1999 e Tosi: 1995: §§. 4.3 e 4.4). Se per acquisire la lingua per comunicare sono sufficienti due, tre anni di esposizione alla lingua seconda, per apprendere la lingua astratta propria delle discipline e della scuola, sono necessari più anni di esposizione per ottenere risultati pari a quelli degli allievi madrelingua (Favaro: 1999: 123).

Anche Le Linee guida per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri nella Provincia Autonoma di Trento considerano quella dello studio come “la fase di apprendimento più delicata e complessa, che richiede tempi lunghi, attenzioni fondamentali, strumenti e modalità di intervento mirate” (Provincia Autonoma di Trento: 2012: cap.7.4) e ne auspicano la dovuta attenzione da parte delle istituzioni scolastiche e formative, allo scopo di evitare tre ordini di conseguenze negative, a scapito non solo dell’apprendimento ma anche dell’integrazione nella vita scolastica e sociale(ibid.: 47):

  • l’esclusione sempre maggiore dalle attività scolastiche, con conseguente perdita ulteriore di motivazione, senso di frustrazione e di isolamento, fino a possibili atteggiamenti di rifiuto, chiusura, aggressività;

  • i ritardi scolastici causati dal divario di competenze sempre più vasto con il resto della classe, per l’impossibilità di acquisire le conoscenze e le abilità che i compagni stanno nel frattempo imparando;

  • la difficoltà a progredire nella L2, a causa del legame inscindibile tra comprensione e apprendimento linguistico: uno studente che non comprende non può fare progressi nella sua interlingua e farà quindi sempre più fatica a comprendere; al contrario, uno studente che comprende è in grado di ristrutturare la propria interlingua per poter capire testi sempre più difficili che, a loro volta, diventano occasione di ulteriore sviluppo linguistico.

E le stesse Linee guida richiamano la teoria di Cummins (cfr. Luise 2006, cap.5) per dare una possibile spiegazione, insieme ad altri fattori di natura sociale e culturale (Favaro: 1999: 123-124), dello scarso rendimento scolastico degli allievi alloglotti.

J. Cummins individua nella diversa portata degli ostacoli linguistici che incontrano gli allievi per imparare la lingua per lo studio e gli specifici linguaggi disciplinari, la causa maggiore di insuccesso. È la nota distinzione tra le BICS, le abilità comunicative interpersonali di base, poco esigenti dal punto di vista cognitivo; e le CALP, abilità indipendenti dal contesto e molto impegnative cognitivamente (come classificare, generalizzare, fare inferenze, formulare giudizi o previsioni..), che sono trasversali a tutte le discipline.

Le microlingue disciplinari (in questo testo si utilizza il termine “microlingua disciplinare”, così come definita da P.E Balboni:2008:cap.7, in riferimento al linguaggio presente nei libri di testo scolastici e più in generale alla comunicazione scritta e orale prevalente in ambito scolastico), inoltre, sono ormai presenti in molte tipologie testuali nella didattica comune (si pensi all’articolo di giornale, al curriculum vitae, all’abstract, ecc.) e questo rende ragion ancor di più della necessità di conoscerne le caratteristiche specifiche sul piano fonologico, lessicale, morfo-sintattico, testuale e pragmatico (Balboni: 2008: cap.7 e Mezzadri: 2003: 250-253) rispetto alla lingua d’uso quotidiano, allo scopo di approntare un’azione didattica efficace e mirata. Nella consapevolezza della forte commistione tra elementi di lingua comune ed elementi microlinguistici nella pratica didattica (Mezzadri: 2003: 250-251).

 

2.3 FINALITÀ: LA COSTRUZIONE DI UN ITER PROCEDURALE PER LA RILEVAZIONE DEI BISOGNI E LA PROGRAMMAZIONE COLLEGIALI

Posto che la “lingua per lo studio” è stata riconosciuta, anche all’interno della scuola secondaria di I grado oggetto e destinatario della presenta ricerca-azione, come il punto nevralgico dell’insegnamento-apprendimento dell’italiano come lingua seconda (vedi paragrafo precedente), ci si è adoperati, già in parte a partire dall’anno scolastico appena conclusosi, e in prospettiva per l’anno scolastico venturo, per progettare un iter di interventi che siano in grado sia di rilevare i bisogni degli alunni stranieri in questo specifico ambito, sia di programmare collegialmente gli interventi che si ritiene opportuno mettere in campo in classe e nel laboratorio di italiano L2.

La necessità di costruire una prassi per la rilevazione e la programmazione collegiali appare tanto più cogente laddove interventi scarsamente mirati negli obiettivi rischiano di infondere sfiducia e demotivazione negli alunni. Inoltre, interventi non programmati dall’intero consiglio di classe, ma pensati tutt’al più solo dal docente di lettere o dal facilitatore titolare del laboratorio di italiano L2, rischiano di far incorrere i docenti nell’equivoco della delega della “questione” degli stranieri e dell’insegnamento della lingua italiana ai colleghi di lettere.

Equivoco pericoloso, in quanto tutti i saperi disciplinari non solo contribuiscono alla costruzione dell’identità degli studenti, ma rappresentano stimoli motivanti per l’apprendimento di una lingua. È quanto sostiene anche Rosella Bozzone Costa (Costa 2003: 117):

La competenza microlinguistica non compete, a nostro parere, solo all’insegnante di lettere – al quale viene tradizionalmente delegato il compito di fare lingua – ma a tutti i docenti disciplinari che, collegialmente, potrebbero programmare l’elaborazione di percorsi didattici su due o tre tratti microlinguistici diversi, funzionali alla comprensione ed espressione dei testi della propria disciplina.”

Inoltre, se imparare una lingua significa imparare a “comunicare”, ovvero a scambiarsi messaggi efficaci (Balboni: 2008: cap.2), per raggiungere una competenza comunicativa ampia e sfaccettata, non ristretta alla lingua “comune”, è necessario il coinvolgimento anche del bagaglio di conoscenze e competenze specifiche di ciascun sapere disciplinare, che solo l’insegnante specialista possiede ed è in grado di declinare in un curricolo, in collaborazione semmai, per la parte strettamente linguistica, con il docente di lettere.

M.C. Luise ben riassume il nocciolo dell’insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua seconda, quando afferma (Luise 2006, cap.5) che studiare in italiano richiede:

  • lo sviluppo di competenze linguistico-comunicative in lingua seconda;

  • lo sviluppo di pensiero e abilità cognitive;

  • lo sviluppo di conoscenze specifiche

e quindi un incrocio tra l’insegnamento integrato di lingua e contenuto (CLIL: vedi paragrafo 3.4) e una didattica focalizzata sulle caratteristiche linguistiche, testuali e culturali dei linguaggi specialistici.

 

 

2.4 STRUMENTI PER LA RILEVAZIONE DEI BISOGNI: IL BILANCIO DI COMPETENZE

A partire dunque dall’anno scolastico 2012-2013, allo scopo di individuare i destinatari del laboratorio di italiano come lingua seconda e prima di procedere all’elaborazione di un programma didattico personalizzato per gli studenti stranieri che non sono ancora in grado di seguire in modo del tutto autonomo la programmazione curricolare del resto della classe nelle singole discipline, si intende procedere ad un “bilancio di competenze” (punto A del § 2.1), così come previsto anche dalle Linee guida.

Si tratta della rilevazione di dati e informazioni riguardo la situazione dello studente e le sue competenze pregresse.

Vale la pena sottolineare l’uso nel documento ufficiale del termine “competenze” (Pellerey: 2004), che sottintende una visione olistica della persona che apprende, guardata in tutte le dimensioni: emotiva, cognitiva e psico-motoria. Inoltre, il termine di stampo costruttivista sottintende l’uso per scopi specifici delle conoscenze e delle abilità apprese, e supera in tal modo una visione enciclopedica e nozionistica del sapere e una concezione trasmissiva dell’insegnamento.

Riguardo alla rilevazione e alla progettazione di percorsi di apprendimento relativi alle competenze disciplinari, le Linee guida specificano che (Provincia Autonoma di Trento: 2012: cap.5.2):

 

fondamentale evitare di partire dai programmi scolastici italiani, che possono essere molto diversi da quelli del paese di provenienza dello studente. Per far emergere quanto è stato precedentemente acquisito, è dunque indispensabile che i mediatori predispongano, tra i loro strumenti di lavoro, “batterie di prove” collegate ai programmi d’insegnamento del paese di provenienza.”

 

È in quest’ottica di valorizzazione delle competenze pregresse e della biografia personale di ciascuno studente dunque, che si inserisce la proposta degli strumenti di seguito elencati, che sono:

  1. il questionario rivolto ai docenti già sperimentato all’inizio dell’anno scolastico 2011/2012 volto alla rilevazione dei bisogni linguistico-comunicativi degli alunni;

  2. i risultati di tale questionario saranno incrociati con:

b.1 i dati rilevati da un secondo questionario, rivolto questa volta agli studenti stranieri individuati come destinatari dell’azione didattica personalizzata dai docenti, allo scopo di indagare nello specifico le strategie di apprendimento dello studente utilizzate per apprendere la l2 e i singoli saperi disciplinari.

b.2 la percezione dei genitori rispetto ai loro figli, rilevata tramite una discussione guidata con il docente-facilitatore linguistico, utilizzando come strumento le risposte date al questionario dagli studenti di cui al punto b.1

A questi strumenti si aggiungono, allo scopo di disegnare un identikit dei singoli studenti e mirare il più possibile l’azione didattica:

  1. La raccolta di dati, informazioni ed eventuali documenti sulla biografia personale e scolastica dei singoli alunni, di competenza del referente per le iniziative interculturali della scuola.

  1. un “diario delle scoperte”, dalla struttura semplice e snella, che gli alunni compileranno al termine per esempio di ciascun modulo didattico, inteso come momento metacognitivo di riflessione e di riorganizzazione e fissazione di quanto appreso, anche allo scopo di contribuire al sentimento di autoefficacia degli alunni (Cardona Cardona: 2001: cap.1).

L’organizzazione del modulo didattico seguirà il modello gestaltico ormai diffuso che prevede la scansione nei 3 momenti di: globalità, analisi, sintesi).

Solo dopo aver individuato i bisogni specifici, si procederà alla elaborazione da parte del consiglio di classe di un piano didattico personalizzato per ciascun alunno (vedi paragrafo successivo).

 

 

2.5 PROGETTAZIONE, PERSONALIZZAZIONE E VALUTAZIONE DEL PERCORSO DIDATTICO

La necessità di ricorrere ad una programmazione specifica per gli alunni stranieri che non sono ancora in grado di seguire la programmazione curricolare prevista per il resto della classe (punto B del § 2.1), è un obbligo sancito anche dall’articolo 75 della legge provinciale 7 agosto 2006 e dal relativo Regolamento per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri nel sistema educativo provinciale (emanato con Decreto del presidente della provincia 27 marzo 2008, n. 8-115/Leg), che “disciplina la promozione e il sostegno degli interventi e delle attività di inserimento e di integrazione degli studenti stranieri nelle istituzioni scolastiche e formative della provincia di Trento” (Provincia Autonoma di Trento: 2008: cap.2).

Il regolamento, all’articolo 2, comma 1 specifica che:

Tra i destinatari degli interventi delle attività di inserimento e integrazione oggetto del regolamento sono gli studenti stranieri , intesi come gli studenti frequentanti percorsi del primo e del secondo ciclo di istruzione e formazione, non in possesso della cittadinanza italiana, che richiedono supporto linguistico.”

E tra questi, alla lettera a), individua in particolare:

quegli studenti “presenti sul territorio italiano da più di un anno, che necessitano di interventi atti a implementare il livello di padronanza della L2 per comunicare e di interventi atti a supportare la graduale acquisizione della stessa L2 per studiare e apprendere le discipline nonché i linguaggi specifici e settoriali.”

Oltre alla letteratura scientifica e all’evidenza di chi si occupa di glottodidattica dell’italiano, interviene dunque, a scanso di equivoci, anche la legge, individuando chiaramente la necessità di interventi specifici a favore di chi ha già acquisito la cosiddetta “ lingua per comunicare “, ma non è ancora in grado di affacciarsi in modo autonomo verso l’acquisizione della “lingua per studiare”.

Il regolamento, oltre a delineare il profilo professionale delle figure previste per l’attuazione degli interventi e delle attività di integrazione e formazione, individua anche gli strumenti preposti a tale scopo. E tra questi, all’articolo 10, dispone l’utilizzo di percorsi didattici personalizzati (PDP), definendone la natura, i destinatari, l’articolazione e le persone cui spetta la competenza della formulazione dello stesso (per una sintesi di quanto contenuto nel Regolamento).

L’accento posto sulla personalizzazione del percorso di apprendimento richiama di fatto il principio della prospettiva comunicativo-funzionale in glottodidattica, in quanto pone al centro della scena didattica il discente, per il quale si prevede la scelta di obiettivi slegati dal concetto di standard minimo, ma incentrati su obiettivi personali. Una didattica per competenze (Nella Provincia Autonoma di Tento è in atto una riforma dei curricoli fondata sul concetto di competenza. Cfr., Piani di studio provinciali all’indirizzo: www.vivoscuola.it), inoltre, essendo slegata dall’idea di didattica di tipo trasmissivo, che era fondata sull’acquisizione e l’accertamento di conoscenze dichiarative e saperi codificati, può garantire anche agli studenti stranieri l’esercizio delle loro competenze, pur con una padronanza limitata della lingua italiana, con ricadute positive sul proprio senso di autoefficacia e motivazione (anche a livello nazionale vi sono richiami espliciti alla flessibilità dell’insegnamento per garantire il raggiungimento di obiettivi di competenza nel D.P. 394/1999 e nei documenti del Ministero della Pubblica Istruzione, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (2006) e La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (2007).

La stesura del Piano didattico personalizzato (PDP) sancisce inoltre la necessità di adeguare gli obiettivi alla situazione di partenza dello studente e implica una coerente valutazione. “Esso può essere definito sia per gli studenti stranieri neo-arrivati sia per quelli di più remota immigrazione o nati in Italia, che presentino particolari bisogni linguistici e di apprendimento” (Provincia Autonoma di Trento: 2012: p.29).

Anche la scuola oggetto della presente ricerca si è dotata di un modello per la stesura del PDP, nel quale, in linea con gli obblighi di legge, si esplicitano le seguenti informazioni:

  1. PARTE:

dati anagrafici e percorso scolastico degli studenti, con particolare attenzione alla distinzione “lingua d’origine”, intesa come la lingua ufficiale parlata nel paese di origine,”lingua o lingue parlate in famiglia” e “altre lingue conosciute”.

  1. PARTE:

in questa sezione si delinea un profilo globale dello studente, distinguendo tra capacità di relazione, interesse e partecipazione al dialogo educativo, competenze linguistico-comunicative in italiano, secondo il Qcer, di cui si propone in allegato ai docenti una sua riformulazione più funzionale alle informazioni che si intende ricavare.

  1. PARTE:

in questa sezione si specificano le metodologie di personalizzazione che si intendono adottare anche in classe, in linea con quanto prescritto dalla legge, e la macro-finalità per la quale si decide eventualmente di inviare lo studente a frequentare il laboratorio di italiano L2.

  1. PARTE:

infine, l’ultima, parte, a cura del singolo docente o del team teaching nel caso di applicazione della metodologia CLIL (vedi §3.4), richiede di specificare, oltre agli obiettivi di apprendimento, anche gli strumenti di verifica e i criteri di valutazione che si intendono adottare.

Il PDP deve essere rivisitato dal Consiglio di classe nel momento in cui si ritengono raggiunti gli obiettivi minimi previsti. La personalizzazione del percorso infatti deve essere attuata per tutto il tempo necessario affinché l’alunno, procedendo per una strada a tratti diversa da quella degli altri suoi compagni, raggiunga gli obiettivi di competenza previsti al termine del I ciclo di studi.

La valutazione periodica e annuale degli apprendimenti deve necessariamente essere coerente con il percorso effettuato, pena l’inutilità della personalizzazione.

Il comma 1 dell’articolo 11 del Regolamento sulla valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti e della capacità relazionale degli studenti nonché sui passaggi tra percorsi del secondo ciclo (Art. 59 e 60, comma 1, della legge provinciale 7 agosto 2006, n.5, emanato con decreto del presidente della Provincia n.22-54/Leg del 7 ottobre 2010) recita (il grassetto è nostro):

La valutazione degli studenti stranieri, come definiti dall’articolo 2 del decreto del Presidente della Provincia 27 marzio 2008, n. 8-115/Leg (Regolamento per l’inserimento e l’integrazione degli studenti stranieri nel sistema scolastico ed educativo provinciale (articolo 75 della legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5) deve tener conto della necessaria coerenza con l’eventuale percorso didattico personalizzato, previsto dall’articolo 10 del decreto medesimo, e con gli elementi valutativi acquisiti.

In tal senso la valutazione altro non è che lo specchio dell’azione didattica effettuata tramite la personalizzazione del percorso (come prevede anche il PDP contenuto nell’allegato F, p.3 e costituisce la tappa finale del percorso iniziato con il bilancio di competenze.

Tutti gli strumenti presentati in questo e nel precedente paragrafo sono, ovviamente, passibili di modifiche da parte degli organi scolastici preposti (Commissione Intercultura, Referente per le iniziative culturali) nel corso del tempo, anche in base all’insorgere di nuovi bisogni e necessità da parte dei docenti e degli studenti.

Da quanto finora detto, è evidente che i protagonisti coinvolti nel progetto sono tutti i docenti del consiglio di classe che ospita al suo interno uno o più alunni stranieri; e quindi, di fatto, l’intero collegio docenti della scuola di I grado.

 

 

3 L’AZIONE DIDATTICA

In questo capitolo vengono descritti gli obiettivi. i contenuti e le metodologie didattiche per l’insegnamento dell’italiano L2 come lingua per lo studio, oggetto del Progetto di ricerca(punto C del § 2.1).

 

3.1 OBIETTIVO: L’AUTONOMIA NELL’APPRENDIMENTO

In base a quanto emerso dalle rilevazioni effettuate nella scuola media di I grado “D.Chiesa” (§2.1 del presente articolo) particolare rilevanza assume, nell’ottica della progettazione dell’azione didattica rivolta agli studenti stranieri, quella che G. Favaro ha definito “fase ponte” (cfr. Grassi, 2003: cap.1).

Le competenze legate allo studio in italiano richiedono percorsi strutturati e mirati e azioni di rinforzo e di facilitazione; e l’acquisizione dei mezzi e delle strategie di studio costituisce una tappa fondamentale di tale percorso, che ha come meta la padronanza della lingua e dei contenuti microdisciplinari.

Ed è a tale tappa che in particolare va riconosciuta, a nostro parere, all’interno del percorso di studi del terzo e quarto biennio della scuola di base, la maggiore attenzione da parte dei docenti, non solo per gli studenti stranieri, ma per questi ultimi a maggior ragione. Senza la maturazione di strategie di studio adeguate alla comprensione e all’analisi della lingua e dei contenuti microlinguistici da essa veicolati, non vi può essere progresso verso l’autonomia nell’apprendimento, ultimo obiettivo dell’azione didattica.

Infatti, è proprio attraverso percorsi didattici che hanno come obiettivo l’acquisizione di strategie metacognitive di autoregolazione, che è possibile soddisfare il bisogno di autonomia e quello di competenza, due dei tre bisogni che, se soddisfatti, concorrono al benessere dell’individuo, secondo la teoria dell’autodeterminazione di Deci e Ryan (Deci e Ryan: 1985).

Il filone di studi facente capo alla “social cognition” concepisce infatti la motivazione come “rappresentazione”, la quale si riferisce ai “modi in cui l’allievo si rappresenta gli obiettivi e i risultati del proprio comportamento, percepisce e valuta la propria capacità di affrontare i vari compiti di apprendimento e si crea infine delle aspettative sui risultati futuri” (Boscolo: 2002: 81).

Il comportamento rivolto all’obiettivo richiede dunque, tra l’altro, che l’allievo impari ad adottare strategie di autoregolazione via via sempre più raffinate e perfezionate, che gli consentano di valutare e utilizzare al meglio le risorse di cui dispone per raggiungere obiettivi di padronanza. Il processo di interiorizzazione di regole, procedure e comportamenti - che sta alla base del processo attraverso cui un comportamento regolato dall’esterno può, via via nel corso del tempo, divenire sempre più autonomo e autodeterminato - fa sì che vengano esauditi proprio quei bisogni di cui parlano Deci e Ryan; attraverso le diverse forme di interiorizzazione di regole, procedure e comportamenti l’uomo si libera infatti dal controllo esterno, divenendo indipendente nello svolgimento delle sue attività, nonché abile e competente nel gestire compiti sempre più complessi.

In riferimento al tema di analisi e dissertazione proprio di questa relazione, l’italiano l2 come lingua per lo studio, questo significa, come sostiene anche M.C. Luise, che parte del percorso di apprendimento rivolto a questa tipologia di studenti consiste nell’”apprendere a fare lo scolaro” (Luise: 2006: cap.5), cioè ad imparare in primis le modalità di esecuzione, le regole e i comportamenti, che sono culturalmente determinati, i tempi della scuola, e dunque quella che la studiosa definisce una “microlingua scolastica” prima ancora delle microlingue disciplinari.

 

 

3.2 L’OGGETTO DELL’AZIONE DIDATTICA: LE COMPETENZE DI BASE

Oltre che agli aspetti di tipo socio-culturale a cui si è appena accennato, M. C. Luise (ibid.) sostiene che l’altro prerequisito fondamentale per accedere alla lingua e ai contenuti disciplinari è costituito da quelle abilità e competenze trasversali a tutte le discipline, come memorizzare, comprendere, classificare, utilizzare nessi logici, ecc.

Prima di entrare dunque nel merito della lingua e dei contenuti microdisciplinari, il docente mediatore ha il compito di verificare il livello di padronanza di tali abilità, e di approntare dei percorsi ad hoc per facilitarne l’apprendimento.

Come indicato da G. Favaro (cfr. Grassi, 2003: cap.1), gli obiettivi della fase “ponte”, hanno a che fare con lo l’acquisizione di tre componenti:

  • I contenuti del curricolo proprie della classe di inserimento, selezionando per ciascuna disciplina i concetti chiave, quelli epistemologicamente fondanti, e valorizzando concetti e saperi già acquisiti in L1, che devono costituire dei punti di ancoraggio per lo sviluppo e l’ampliamento dei concetti da apprendere.

  • Le competenze linguistiche in L2 (lessico, strutture, sintassi…), il cui apprendimento, cognitivamente impegnativo, va supportato tramite strategie e tecniche didattiche che ne facilitino la comprensione (uso di supporti non linguistici presenti nel paratesto, ridondanza delle informazioni, operatività…).

  • Le strategie di apprendimento, cioè imparare ad imparare.

Il percorso da intraprendere per raggiungere questi obiettivi è dunque quello segnalato da Cummins (Luise: 2003: §.5.4.1), secondo il quale il distacco da attività ed esperienze linguistiche poco esigenti dal punto di vista cognitivo e fortemente legate al contesto, come quelle che si propongono per insegnare la lingua della comunicazione, ad attività molto impegnative cognitivamente e indipendenti dal contesto, come quelle tipiche dell’interazione scolastica, deve essere graduale.

Tale percorso non è affatto slegato dagli obiettivi didattici che comunemente ci si propone di raggiungere anche con allievi autoctoni - per i quali va tutt’altro che data per scontata, ad esempio, l’acquisizione di strategie di apprendimento efficaci nella fascia d’età qui considerata -, e dunque costituisce un argomento di studio da poter proporre sebbene con attenzioni, tempi e strategie diversificate - all’intero gruppo classe.

 

3.3 METODOLOGIE E TECNICHE DIDATTICHE

Da quanto detto, emerge dunque che le tecniche di facilitazione da utilizzare nell’ambito della didattica della L2 per lo studio richiedono che si intervenga:

  1. sulla lingua dei testi disciplinari, tramite tecniche quali la semplificazione, l’integrazione e la riscrittura (Piemontese: 1996: cap.2; Grassi: 2003:cap.2,3,4, sezione1; Arici: 2006: capp.3-4);

  1. sui contenuti, tramite una loro distillazione;

  1. sulla metodologia, prediligendo una didattica cooperativa, esperienziale, ludica che consenta la creazione di un clima collaborativo, l’esposizione ad input non troppo slegati dal contesto, l’uso della multimedialità (Mezzadri: 2003: capp.3,4,13,14), anche allo scopo di abbassare il filtro affettivo e sostenere la motivazione dell’alunno.

Questo perché, secondo il modello circolare per l’acquisizione di Cardona (Cardona Cardona: 2001: 23-27;), oltre ai processi cognitivi che presiedono all’organizzazione dell’informazione, anche la motivazione e le emozioni sono fattori imprescindibili nei processi di acquisizione. E dunque un contesto motivante così come la proposta di input comprensibili e adeguati al livello di sviluppo del discente, sono fattori che favoriscono l’attivazione dei processi mnestici implicati nell’acquisizione linguistica.

Una metodologia efficace per lo sviluppo di conoscenze e abilità microlinguistiche, proprio in quanto integra contenuti e lingua, è il CLIL (Coonan 2008: 129-142).

In contesti CLIL si determina un aumento dell’esposizione alla lingua straniera non solo a livello di comunicazione ma, e soprattutto, rispetto a dei contenuti, di conseguenza, grazie alle modalità privilegiate durante le lezioni CLIL, ne potrebbe derivare una maggiore produzione orale da parte degli studenti. Si è constatato che in situazioni simili in cui l’apprendente è impegnato in attività comunicative e compiti cognitivi d’ordine superiore, il focus d’attenzione viene spostato dalla lingua al contenuto di apprendimento; attraverso delle attività efficaci si riesce non solo a migliorare le abilità di comunicazione, definite BICS (Basic Interpersonal Communication Skills), ma anche quelle accademiche CALP (Cognitive and Academic Learning Proficiency).”

È chiaro che esistono delle differenze tra le classi plurilingue che affrontano l’insegnamento disciplinare e gli ambienti educativi nei quali si applica la metodologia CLIL. Anche se, come sostiene M.C. Luise “possono rientrare entrambe sotto la dizione di ‘educazione bilingue’: in entrambe infatti si veicolano contenuti disciplinari attraverso una lingua che non è la lingua materna di tutti o di una parte degli studenti della classe.”(Coonan: 2008: 153).

Infatti, anche gli studenti appartenenti a minoranze linguistiche, che non condividono la madrelingua della maggioranza dei loro compagni e quindi la lingua della scuola, si trovano ad affrontare percorsi scolastici, come gli studenti CLIL, che richiedono di imparare contenuti disciplinari, specialistici, attraverso una lingua nuova, non dominata come lingua materna, in un percorso che deve, contemporaneamente, sviluppare la competenza comunicativa e linguistica in lingua seconda, il pensiero e le abilità cognitive, le conoscenze specifiche delle materie scolastiche (ibid: 154).

Le motivazioni che sostengono l’applicazione di questa metodologia all’insegnamento dei contenuti non linguistici, di tipo disciplinare, per gli studenti non italofoni, destinatari del presente lavoro, sono quelle analizzate da Serragiotto (Serragiotto: 2009) e che qui brevemente riassumiamo. Esse, oltre ovviamente alla necessità di acquisire almeno gli obiettivi minimi previsti dai Piani di studio provinciali e prescritti per legge, sono: 

  • l’attenzione richiesta dalla metodologia CLIL sia al contenuto che alla lingua che lo veicola anche da parte di docenti non di lingua;
  • l’utilizzo di materiale autentico.

È evidente che la metodologia CLIL può essere applicata e sperimentata solo ad una parte del curricolo disciplinare, o ad alcuni moduli che particolarmente si prestano, io per ambiti disciplinari specifici.

La valutazione di un percorso CLIL deve prevedere sia la valutazione degli aspetti linguistici sia quella dei contenuti appresi e deve essere coerente con gli obiettivi.

Per questo è opportuno che alla fine di ciascun modulo didattico si utilizzino dei criteri che permettano di distinguere le due aree. In questa sede vengono proposti i criteri elaborati da Short (cfr. ibid: p.16), solo parzialmente rivisitati, organizzati in una griglia:

 

 

0

carente

1

sufficiente

2

discreta

3

buona

4

ottima

  1. Problem solving

 

 

 

 

 

 

  1. Conoscenza dei contenuti

 

 

 

 

 

  1. Elaborazione dei concetti

 

 

 

 

 

  1. Lingua

 

 

 

 

 

 

  1. Capacità di comunicare

 

 

 

 

 

  1. Comportamento in gruppo

 

 

 

 

 

 

Tabella1: esempio di griglia per la valutazione separata della lingua e dei contenuti nei percorsi CLIL secondo i criteri di Short, contenuta in: Serragiotto: 2009: 16.

 

4 CONCLUSIONI

Gli strumenti proposti nel corso dell’anno scolastico 2011/2012 ai docenti per migliorare l’offerta formativa nell’ambito dell’educazione Interculturale, inseriti anche nel presente lavoro di ricerca e progettazione sono stati positivamente accolti e hanno avuto il merito di avviare all’interno dell’istituzione una discussione sulla specificità dell’argomento, l’italiano come lingua seconda per lo studio, e la sua irriducibile complessità e irriducibilità alla didattica comune rivolta agli alunni di origine italofona.

Nel corso del prossimo e de successivo anno scolastico si intende supportare il presente progetto con un corso di formazione , o di autoformazione dei docenti, per favorire l’acquisizione di tecniche e metodologie - come quella CLIL, non ancora praticata all’interno della scuola.

Il progetto va inoltre esteso, già a partire dal prossimo anno scolastico, agli insegnanti delle classi IV e V della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo, affinché, già per gli alunni di questa fascia d’età, si gettino le basi per l’acquisizione e l’apprendimento di strategie di studio efficaci.

Si tratta dunque di un progetto aperto e in fieri.

 

 

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