Giugno 2011  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Ricerca-Azione: tecniche per incidere sulle dinamiche di relazione in una classe Erasmus di italiano L2 di Assunta Giuseppina Zedda

ABSTRACT

Il paper tratta delle tecniche utilizzate all’interno di un percorso di ricerca finalizzato allo studio delle dinamiche associative e alla possibilità di incidere su di esse. Dopo una breve presentazione del focus di ricerca e della tipologia di apprendenti, sarà inquadrato l’obiettivo del percorso e la strategia d’azione messa in atto per superare una dinamica di relazione fondata sulla lingua madre degli studenti. Prima di trattare ampiamente le tecniche, cioè quelle attività che hanno creato il contesto privilegiato per poter osservare la classe e agire su di essa, verrà dedicato un certo spazio alla metodologia della raccolta dati. Lo scopo del percorso è stato quello di sviluppare socializzazione, creando nuove strutture di relazione, e di dedicare più spazio all’interazione, fornendo contesti in cui l’attenzione degli apprendenti si focalizzasse più sul contenuto che sulla forma. Per realizzarlo sono stati valorizzati il lavoro cooperativo, il gruppo dei pari, il coinvolgimento personale e responsabile che hanno costituto la metodologia con cui sono stati affrontati i compiti.

 

 

1. FOCUS DELLA RICERCA

Il quadro all’interno del quale sono state utilizzate le tecniche che si descriveranno è quello di un percorso di ricerca-azione1 avente come focus le dinamiche di relazione, e la possibilità di incidere su di esse, in una classe plurilingue formata da soli apprendenti stranieri del tipo di quelle che si creano nelle università europee per l’accoglienza di studenti con progetti di mobilità, scambio e ricerca.

Secondo quanto osservato in passato, in queste classi le relazione sociali si basano sulla L1 di provenienza, con la formazione di sottoinsiemi scarsamente dinamici tra loro. La conseguenza, e il problema, è che viene a mancare un gruppo classe, le ‘isole’ linguistiche (coppie, terne, gruppetti, gruppo di maggioranza) interagiscono poco tra loro e la presenza di un sottogruppo monolingue numeroso condiziona in modo qualitativo e quantitativo il rapporto L1/L2 a discapito dell’apprendimento della lingua e cultura italiane e dell’interculturalità.

 

 

2. TIPOLOGIA DI STUDENTI

Tra gli apprendenti di queste classi si trovano molti studenti stranieri in mobilità europea (Erasmus) e una piccola quantità di dottorandi, assegnisti, specializzandi, masterizzandi e studenti stranieri normalmente iscritti (extraeuropei con progetto migratorio più lungo).

Gli Erasmus provengono soprattutto da Spagna e Germania poi, nell’ordine, ci sono turchi, polacchi, austriaci, rumeni, ungheresi, portoghesi, irlandesi, scandinavi, belgi e francesi. In molti casi, spagnoli (non catalani) e tedeschi vivono in gruppo negli stessi appartamenti condividendo oltre al corso di italiano tutte le altre attività giornaliere; nel caso degli spagnoli, poi, un sicuro prestigio linguistico materno e la vicinanza all’italiano comportano motivazione scarsa e interferenza, esasperata anche dalla continua pratica della L1. Al contrario, gli Erasmus di altre nazionalità si distribuiscono in appartamenti con italiani o altri studenti stranieri, praticano di più la L2, sperimentano forme miste tra L1, L2 e altre lingue seconde, subiscono meno interferenza dalla L1 e in molti casi presentano una motivazione più alta (lingua di minoranza, maggiore maturità come apprendenti di lingua, autodisciplina culturale). Su questi due tipi di studenti si formano più circoli di Erasmus: più grandi con ispanofoni e tedescofoni, più piccoli con le lingue di minoranza. Da questi circoli, non ben integrati fra loro e poco integrati nel tessuto studentesco, sono esclusi quasi del tutto gli altri tipi di studenti sia per differenze progettuali e generazionali sia, purtroppo, per la loro provenienza da culture extraeuropee.

Sulla base di osservazioni pregresse, si può affermare che gli stessi meccanismi di aggregazione esterna sono presenti anche in ambiente didattico determinando, come detto sopra, dinamiche sociali sulla base della L1 di provenienza.

 

 

3. OBIETTIVO

Data la situazione, l’obiettivo del percorso di ricerca-azione è stato quello di cercare di favorire un’esperienza di vita all’estero più profonda, di far vivere come una grande opportunità l’incontro con una nuova cultura (l’Italia) e con tante nuove culture (quelle dei colleghi stranieri) e di stimolare l’interesse per ciò che è diverso senza pregiudizi e senza paure. Questo perché è uno spreco osservare gruppi di 20-30 monolingue esauriti in se stessi, nella loro autosufficienza, inavvicinabili a tutti, compresi gli italiani. Per fortuna non tutti hanno questo atteggiamento verso l’esterno e come sopra accennato sono proprio gli studenti che vivono la condizione di minoranza ad essere più aperti, a imparare prima e meglio la lingua e a realizzare, spesso pienamente, il progetto Erasmus.

Provare a incidere sulle dinamiche di relazione ha avuto dunque un significato più ampio, un tentativo non limitato a sviluppare la socializzazione e l’apprendimento della L2 in classe ma teso a modificare il comportamento al suo esterno dove crescono enormemente le opportunità di praticare la lingua per fare in modo che essa diventi un vero strumento sociale, culturale e di autodeterminazione.

 

 

4. STRATEGIE DI INTERVENTO

Una volta individuato il focus di ricerca, ho utilizzato come strategia d’azione le metodologie a mediazione sociale basate su valori quali il coinvolgimento personale e responsabile, il lavoro cooperativo e il gruppo dei pari2, e applicate attraverso l’uso di tecniche, cioè una serie di compiti complessi, da portare a termine con aiuto reciproco e mezzi linguistici a disposizione.

Il fine, si è detto, era quello di superare il fenomeno colonia di spagnoli e tedeschi e creare nuove strutture di relazione tra i vari sottogruppi, ottenute anche formando gruppi eterogenei basati su criteri quali la mescolanza delle L1 e dei diversi livelli della L2, le abilità e le conoscenze personali, le differenze di sesso, ecc. L’utilizzo di tali strategie non ha escluso di ottenere altri risultati: tempo maggiore per la pratica della L2, valorizzazione delle culture di appartenenza, prevenzione a isolamento, fossilizzazione e abbandono da parte dei soggetti deboli, equilibratura dei livelli interni, aumento della motivazione.

 

 

5. METODOLOGIA DELLA RACCONTA DATI

L’insegnante, abituato a rilevare dati e a documentarli, ha una grande familiarità con strumenti di raccolta tipici anche della ricerca-azione (diari, questionati, verbali, ecc.). La sua difficoltà semmai consiste nello scegliere gli strumenti adatti a fornire risposte coerenti alla domanda di ricerca e adeguati a inserirsi nei diversi momenti del percorso. Così, tenendo a mente il focus di ricerca, le sue finalità e il tempo a disposizione ho utilizzato una serie di strumenti che hanno costituito la metodologia della raccolta dati.

 

  • Diario giornaliero: per osservare il comportamento naturale degli studenti. Esso ha contenuto annotazioni generali relative a fatti, osservazioni, clima di classe, commenti, proposte, richieste, ritardi, stanchezza, polemiche, riflessioni, ecc. e annotazioni specifiche relative a coppie e gruppetti (L1 uguale/diversa), simpatie, antipatie, leader, gregari, maggioranze, minoranze, tipo di studenti (positivi, deboli, forti, ecc.), postazioni in aula, avvicinamenti, allontanamenti, livello di socializzazione, isolamenti, reazioni a variazioni gruppali, ecc.

  • Test psicosociometrico3: per verificare l’idea iniziale su preferenze relazionali e possibile rapporto con la L1 e per formare gruppi eterogenei sulla base dei dati affettivi emersi e dei criteri visti sopra. Esso è stato utilizzato anche a fine percorso per valutare, anche con altri dati, le variazioni nelle dinamiche associative (somministrato anche nella classe di livello superiore).

  • Discussione collettiva: per proporre alla classe il percorso di ricerca e le sue finalità, per chiederne il parere, l’approvazione e quindi la disponibilità. Essa è stata accompagnata da alcune schede informative sulle strategie per la risoluzione di problemi e sull’apprendimento cooperativo e il lavoro di gruppo4 ().

  • Schede di auto-osservazione: per raccogliere informazioni su qualità, quantità e gradimento del lavoro di gruppo come, ad esempio, lingua o lingue utilizzate, collaborazione (sì/no), comunicazione (parziale/totale), difficoltà e facilitazioni, contributo al lavoro (es. chi, quanto), contrasti e risoluzioni (sì/no), strategie di lavoro adottate (es. sì/no, quali), livello di apprezzamento su task e lavoro di gruppo. Esse sono state sottoposte agli studenti alla fine di ogni compito.

  • Questionari: per raccogliere dati su risultati, opinioni, preferenze, e cioè uso dell’italiano (quantità, qualità), motivazione (aumento), aiuto, responsabilità, socializzazione (d’accordo/non d’accordo), cambio di dinamiche di relazione, parere sulla ricerca, ecc. Esso è stato somministrato a fine percorso. Un questionario simile è stato somministrato anche nella classe di italiano L2 del Centro Territoriale Permanente cittadino.

  • Interviste: per raccogliere nuovi dati e incrociarli con quelli della classe osservata. Esse sono state condotte con esperti esterni (strutturate) e studenti dei livelli più avanzati, anche del semestre precedente (non strutturate e a gruppi).

  • Eventi: per rilevazioni più spontanee della classe e delle sue dinamiche in evoluzione. Tali contesti sono stati informali, come la gita di fine corso, le cene multiculturali, le visioni di film, le feste, ecc.

  • Prodotti: per valutare i risultati (es. resa sociale) che specifici gruppi hanno realizzato attraverso alcuni compiti.

  • Prove di lingua: per valutare le relazioni tra rendimento di studio e posizione sociale in classe (test d’ingresso, intermedi e finali).

 

 

6. LE TECNICHE

Con tecniche si intendono quei particolari compiti proposti alla classe per provare a incidere sulle sue dinamiche associative nell’applicazione di metodologie a mediazione sociale. Essi hanno rappresentato il contesto principale per poter condurre osservazioni formali della classe durante il lavoro di gruppo e dunque per ricavarne i dati più sostanziosi, date anche le schede di auto-osservazione somministrate al termine di ogni attività.

Specificamente, un compito viene definito come una tranche di lavoro scolastico che spinge gli apprendenti a comprendere, manipolare, produrre e interagire in L2 quando la loro attenzione è principalmente focalizzata sul significato anziché sulla forma5. Il concetto di compito può essere colto facilmente se si pensa ai principi che muovono l’insegnamento linguistico orientato all’azione6: usare una mappa, costruire un orario delle lezioni, raccogliere interviste in un aeroporto, risolvere un problema logico, ecc. sono tutti compiti di tipo diverso nei quali l’uso della lingua straniera è finalizzato alla soluzione di problemi complessi. Esso sviluppa capacità linguistiche e non linguistiche che possono essere riprodotte in situazioni di comunicazione reale. Dato l’uso di diverse abilità in contemporanea (ascoltare, parlare, leggere, ecc.), il compito è un’attività didattica completa. Inoltre, esso promuove la comunicazione, infatti, se si vogliono conseguire gli obiettivi è necessario passare, interagendo, attraverso la negoziazione degli argomenti e della lingua che non è stabilita a priori e che rimane sotto il completo controllo dello studente. Per questo motivo la valutazione è fondata sui risultati ottenuti rispetto alle richieste del compito e non sulla correttezza della lingua utilizzata per raggiungerli7.

Tra i diversi tipi, comuni sono i pedagogic task8, tripartiti in preparazione, svolgimento e feedback. Tale scansione serve a esplicitare i percorsi compiuti per arrivare alla soluzione del problema. Riguardo allo svolgimento si possono distinguere tre livelli: 1) informazione da trasmettere; 2) ascoltatore bisognoso di questa informazione; 3) consapevolezza del gap informativo tra chi possiede l’informazione e chi deve cercare di ottenerla9. Questa tipologia si riferisce solo indirettamente ai bisogni degli apprendenti e ai compiti di realtà e serve soprattutto a sviluppare competenza comunicativa facendo leva sui processi generali di apprendimento e su quelli particolari dell’acquisizione linguistica. Essi possono coinvolgere anche sottocompiti metacomunicativi, cioè scambi comunicativi sull’esecuzione del compito e sulla lingua utilizzata. In tal senso includono i contributi dell’apprendente sulla scelta, organizzazione e valutazione del compito10 e favoriscono la messa in atto di strategie cognitive e metacognitive allo scopo di fare, come nella vita reale, esperienze significative che non presentino soluzioni precostituite, ma da trovare insieme ai compagni, e al fine di invitare a una riflessione sul modo in cui si è apprende11. Un altro tipo di compito è il real world task che comporta la simulazione di situazioni di vita reale in classe e segue il principio dell’apprendimento basato sul “fare”. Un classico esempio è il role-play che comprende sia funzioni interazionali che interpersonali. Non a caso, infatti, il suo potenziale è ampiamente sfruttato dalla ricerca pragmatica sugli atti comunicativi12.

Nel presente studio sono state utilizzate entrambe le tipologie. Tuttavia la proposta di un compito non può essere limitata alle sole caratteristiche tipologiche. Essa deve considerare anche caratteristiche che servono a rendere l’attività più motivante per stimolare interesse, curiosità, preconoscenze, partecipazione e coinvolgimento nel rispetto, anche, dell’equilibrio tra il livello degli studenti e le richieste. Ciò significa che un compito non deve essere né troppo facile né troppo difficile13 in modo da avvicinarsi il più possibile a quello che lo studente è pronto a imparare14. Altre caratteristiche per rendere i compiti più motivanti sono la novità, l’originalità, la presenza di domande a cui dare risposte o di problemi da risolvere, i possibili legami con l’esperienza degli apprendenti, la varietà di strumenti e modi di interazione15.

Nella scelta dei compiti, si è valutato anche l’equilibrio tra gli stili di insegnamento e stili di apprendimento16 affinché le mie preferenze non determinassero scelte unidirezionali. Pertanto nel menù offerto agli studenti figurano sia compiti più ‘analitici’ (su riflessione linguistica, scrittura organizzata, lettura selettiva) sia compiti più ‘globali’ (attività di simulazione, giochi didattici e di ruolo)17. Il problema degli stili tuttavia non si esaurisce nell’assecondarli, ma comprende anche la necessità di adottare un approccio bilanciato che preveda non solo di adattare i compiti agli studenti (varietà e flessibilità) ma anche di adattare gli studenti ai compiti con la promozione e lo sviluppo di strategie di apprendimento che aiutino lo studente ad affrontare i compiti anche nel caso in cui le richieste non siano in linea con le sue preferenze18.

 

 

7. DESCRIZIONE DELLE TECNICHE

Si passa ora a descrivere le varie attività19 per svolgere le quali si sono adottate due diverse disposizioni in aula degli studenti che tenessero entrambe conto della dimensione emotiva dell’apprendimento: quella democratica, con le sedie a cerchio, che permette un contatto visivo e introduce l’idea di uguaglianza (gruppi unici) e quella a isole che riduce al massimo la ‘presenza’ dell’insegnante, permette libertà di movimento ed è sicuramente la più adatta all’apprendimento cooperativo e al lavoro di gruppo (gruppi naturali e gruppi tecnici)20.

Le fonti da cui provengono le attività sono poste in nota. In molti casi, esse sono state adattate, semplificate o rielaborate su ispirazione.

 

7.1 “TELEGIORNALE”

Il compito prevede che ogni gruppo si organizzi autonomamente per preparare la presentazione di un telegiornale adottando eventualmente soluzioni creative. Esso è libero di decidere l’ordine delle notizie e quanti e quali speaker incaricare per la lettura in pubblico (role-play).

Nell’esecuzione dell’attività gli apprendenti devono porre attenzione alla sintesi e al focus della notizia e alle sue informazioni accessorie. Inoltre, devono scegliere un’immagine da abbinare ad essa. I gruppetti, disposti a isole, ricevono una quantità di articoli di giornale molto brevi (pari al numero dei componenti) e un po’ di immagini (superiore al numero degli articoli) da mostrare durante il telegiornale insieme alle notizie. Una volta pianificato collettivamente il lavoro, inizia la lettura dei pezzi: due articoli da affrontare in coppia. Essa deve essere prima veloce e poi selettiva alla ricerca dei nuclei informativi da gerarchizzare in una apposita tabella contenuta nel foglio dello studente. Le coppie si aiutano anche per la comprensione delle parole sconosciute e, se questo non è sufficiente, chiedono aiuto al proprio gruppo. Il titolo di ogni articolo aiuta a creare l’incipit della notizia e la gerarchizzazione degli argomenti aiuta a scriverne una nuova versione. Infatti, gli articoli, scaricati dai siti delle principali testate giornalistiche e semplificati dall’insegnante, devono essere rielaborati per iscritto dagli apprendenti sulla base dei mezzi in loro possesso. Finita questa fase, il gruppo sceglie le immagini e fa le prove per la drammatizzazione: prima nel proprio gruppo, poi davanti all’intera classe.

Gli articoli di giornale proposti erano tutti relativi alle nuove tecnologie.

 

7.2 “IL GRUPPO RACCONTA UNA STORIA”

Questo gioco si può svolgere con gruppi di varia ampiezza (da 4 a 20 persone) e ha lo scopo di creare una storia aggiungendo una parola alla volta21. Si devono preparare gli apprendenti dicendo che la parola nella forma basica non è sufficiente per formare frasi corrette e che essa deve essere fornita coniugata (in persona, numero e tempo adeguato) o declinata (in genere e numero) con eventuali articoli, preposizioni e congiunzioni e, se necessario, accordata. Se lo desiderano, la parola potrà essere fornita anche con espansioni aggettivali e avverbiali.

Il gruppo unico, disposto a cerchio, sceglie un apprendente per iniziare la storia. Questo fornisce la prima parola, lo studente che gli siede accanto sulla sinistra fornisce la seconda e così via via in cerchio a turno ognuno aggiunge una parola alla storia. Di solito, i momenti per finire una frase e iniziarne un’altra sono naturali, ma ogni componente se vuole può farlo esplicitamente dichiarandolo. Normalmente le frasi non mancano di senso logico, come tutta la storia quando finisce. Ogni apprendente deve annotare la storia nel suo svolgersi, dunque parola per parola, nel suo foglio di lavoro. Questo serve a tenerla sotto controllo ma anche a darle un nuovo indirizzo o a creare riferimenti con parti già emerse. L’insegnante invece può tenere una tabella di raccolta strutturata in modo non solo da annotare tutta la storia, ma anche da reperire a posteriori tutto quello che i diversi studenti hanno detto per contribuire ad essa.

Una volta terminata la storia, si propongono domande per avviare una discussione riflessiva che incoraggia a pensare a come la storia rifletta sottolineandole alcune dinamiche del gruppo che l’ha creata. Questa attività è un modo interessante per esplorare le varie sfaccettature della personalità di un gruppo e dei suoi componenti. Infatti, la storia può riflettere temi, affetti, attitudini del gruppo ed esaminare come gli individui vi contribuiscono può rivelare il loro ruolo al suo interno.

 

7.3 “DISASTRO AEREO”

Questo gioco è un vero problem solving a scenario aperto in cui gli studenti data una situazione problematica devono calarsi e trovare la soluzione in poco tempo prendendo decisioni opportune per ‘sopravvivere’, facendo quindi delle scelte. Il sottotitolo, infatti, è “Scegliere equipaggiamenti di sopravvivenza22. I sottogruppi, disposti a isole, devono immaginare di essere sopravvissuti alla caduta di un piccolo aereo che ha comportato la morte del pilota e del co-pilota. Possiedono varie informazioni: si trovano nell’estremo nord d’Europa, è pieno inverno (da – 25° a – 40°), sono immersi nella neve, intorno hanno foreste attraversate da molti corsi d’acqua, la città più vicina dista 32 km. e non hanno abiti adeguati. I sopravvissuti hanno anche delle risorse e sanno che se sapranno gestirle bene avranno la possibilità di salvarsi. Il compito degli apprendenti è quello di mettere in ordine di importanza ai fini della sopravvivenza dodici risorse (accetta, accendino, abiti, giornali, ecc.) indicandone l’uso che ne farebbero. Devono prima operare un riordino da soli, poi uno nel sottogruppo raggiungendo con esso un accordo, superando i conflitti e creando un’unica lista in un limitato spazio di tempo. La lista va poi confrontata con quelle degli altri gruppi in una discussione collettiva. Ogni elemento della lista ha un suo valore trasferibile in punti: più l’elemento è utile ai fini della sopravvivenza e meno punti vale. Infatti, vince il gruppo che totalizza il punteggio inferiore (stabilito sui primi cinque elementi delle liste).

Il gioco, oltre al foglio di lavoro dello studente, è composto dal foglio delle spiegazioni del docente che serve alla fine dell’attività per fornire gli elementi giusti da considerare in emergenze di questo tipo e dare le indicazioni per assegnare i punti. Un altro materiale, da consegnare a fine del gioco per ricavare il punteggio, è il foglio delle risposte che presenta l’ordine ideale delle dodici risorse, il relativo punteggio e la spiegazione dettagliata dei diversi utilizzi che se ne possono fare.

 

7.4 “VICINI E VICINE”

L’attività consiste in due giochi di ruolo sui problemi di vicinato23. Esso illustra due modi diversi di affrontare i conflitti: il primo è quello di chi reagisce con rabbia aggredendo l’interlocutore (discussione animata); il secondo è quello che prevede di trovare un compromesso per rendere la vita più gradevole a tutti (negoziazione).

Essa inizia con il gruppo unico, l’intera classe. L’insegnante attraverso il foglio delle fasi di lavoro introduce l’argomento con alcune domande (es. Chi conosce i suoi vicini? Quali relazioni ha con loro? Ci sono problemi tra voi?) in modo da elicitare dagli stessi apprendenti un certo numero di situazioni vissute e alcune parole chiave. In seguito agli studenti, divisi in sottogruppi e distribuiti a isole, viene dato un foglio di lavoro che contiene la descrizione di una situazione da drammatizzare, “Riunione di pianerottolo”, che comporta la ripartizione in ruoli diversi (“I vicini di Mario, il signore e la signora Rossi, che abitano l’appartamento al di sotto del suo, mettono regolarmente la loro immondizia sul pianerottolo. Un odore sgradevole si diffonde per tutte le scale. Un mattino Mario va a suonare alla porta dei suoi vicini e comincia una discussione animata…”).

Finito il gioco, richiamata l’attenzione della classe, si fa riflettere sulla modalità di esecuzione (reazione aggressiva) e si fanno analizzare alla lavagna le formule che sono state utilizzate. Quindi, si propone di realizzarla di nuovo con una modalità diversa, tesa a trovare un accordo, un compromesso, che si esprime anche attraverso l’uso di forme e formule diverse (ad es. registro formale; condizionale di cortesia; per favore; mi scusi, ecc.) I sottogruppi si rimettono al lavoro e recitano la scenetta provando a trovare la calma. Finita la seconda drammatizzazione, gli studenti vengono richiamati ancora a interagire a gruppo unico. Devono dire cosa è successo nei gruppi, come si sono sentiti nel nuovo ruolo e come si è conclusa la discussione mettendo in comune le soluzioni trovate.

A questo punto, si propone una nuova scenetta, “Riunione di condominio”, più complessa, in cui i gruppetti devono ancora organizzarsi autonomamente. Gli apprendenti ricevono un nuovo foglio di lavoro in cui sono descritte svariate situazioni di conflitto: ogni partecipante alla riunione ha una o più ragioni da far valere nei confronti di un vicino, ma allo stesso tempo anche i vicini hanno delle ragioni da far valere. Insomma, tutti hanno fatto qualcosa di sbagliato e raggiungere un accordo sarà necessario, oltreché naturale. L’attività si conclude richiamando ancora la classe a gruppo unico (possibilmente in cerchio), mettendo ancora in comune le soluzioni di compromesso trovate e trasferendo il tema del conflitto sul piano interculturale e personale: Come sono le relazioni di vicinato nei vostri differenti paesi? Ci sono relazioni di solidarietà tra vicini? Vivere in un paese diverso può comportare difficoltà di comprensione anche a livello di conflitti di vicinato? Volete raccontare qualche aneddoto, equivoco, ecc.?

 

7.5 “INDOVINO-DICTOGLOSS”

Il dictogloss è una strategia di insegnamento della grammatica che consiste nel chiedere agli studenti di ricostruire un testo, in quanto ad accuratezza e significato, cercando di cogliere il maggior numero di informazioni in esso contenute24. Questa tecnica, task-based e learner-centred, è interessante perché riesce a conciliare l’interesse per la grammatica con quello per l’apprendimento interattivo e cooperativo25, per questo può essere definita un approccio comunicativo alla grammatica che coinvolge memoria, creatività e information gap. Inoltre, comporta coinvolgimento attivo e risulta particolarmente motivante in quanto la grammatica è utilizzata in risposta a bisogni reali.

Prima di iniziare a giocare, si devono preparare gli studenti sul tema e sul vocabolario del testo nel caso le parole non siano familiari o difficili da inferire. Inoltre bisogna istruirli sulla procedura del dictogloss e dividerli in gruppi. L’attività inizia con la lettura di un breve e, possibilmente, accattivante testo (ad es. quattro o cinque frasi/righe per il livello elementare), nel nostro caso in forma di indovinello amoroso: “1) I due personaggi vivevano a Verona e si amavano molto, anche se le loro famiglie erano molto nemiche. 2) Volevano sposarsi in segreto, ma qualcosa non ha funzionato. 3) Così si sono dati la morte, perché non potevano vivere l’uno senza l’altra. 4) Loro sono i protagonisti di una famosa tragedia di un grande scrittore inglese. 5) Chi sono? Chi è lo scrittore inglese?26. La lettura deve essere fatta a velocità normale per due volte, possibilmente identiche, con piccole pause tra una frase e l’altra. La prima volta gli apprendenti ascoltano solamente, la seconda prendono appunti sul foglio di lavoro (parole, concetti), e dopo li condividono con il proprio gruppo cercando di ricostruire una versione del testo (quindi non identica a quella originale!) e mirando ad accuratezza grammaticale, coesione testuale e senso logico. Ogni gruppo deve nominare uno scrivano che raccoglie i suggerimenti dei compagni mettendoli per iscritto.

L’analisi e la correzione può essere fatta in vari modi27, nel nostro caso abbiamo utilizzato la lavagna e il contributo degli scrivani di ogni gruppo che vi hanno riportato, una frase alla volta e a turno, la versione del testo fatta dal loro gruppo. In questo modo tutti hanno potuto vedere, discutere e comparare le loro versioni con quella originale. È stata data la possibilità agli studenti di attribuire un punteggio tramite votazione alle singole frase e al brano nel suo complesso, oltreché alla soluzione dell’indovinello, al fine di rendere l’attività più stimolante e coinvolgerli nella valutazione accordando fiducia e delegando responsabilità.

 

7.6 “OLOCAUSTO NUCLEARE”

Anche questo gioco, “Nuclear Holocaust: who should survive?”, è un problem solving a scenario aperto in cui gli studenti vengono calati in una situazione problematica, e anche qui le scelte da fare sono per la sopravvivenza, ma in questo caso comportano il ‘sacrificio’ dei compagni28. Infatti, qualsiasi soluzione venga trovata, essa comporta comunque delle perdite. Le scelte hanno quindi più un carattere di coscienza, un valore morale, e sono volte a far emergere i motivi che stanno alla base delle decisioni prese.

L’insegnante tenendo sotto mano il foglio delle fasi di lavoro fa riflettere gli studenti, divisi in sottogruppi, sulle differenze delle scelte in base all’età (bambini, adolescenti, adulti) e sui motivi che spesso condizionano le nostre decisioni che devono necessariamente essere prese. A gruppetti gli studenti preparano liste di motivi (la famiglia, il gruppo dei pari, la scuola, la gente, ecc.) e dopo li condividono con la classe creando una lista unica alla lavagna. Quindi si propone il gioco, a gruppo unico, “Olocausto nucleare. Scegliere persone da salvare”: “La III guerra mondiale è scoppiata. Tu fai parte delle uniche 10 (…) persone sopravvissute sulla terra. Pensi di sopravvivere in un rifugio, tuttavia, realizzi che se 3 (…) di voi vogliono vivere per molti anni, gli altri 7 (…) devono lasciare subito il rifugio perché non ci sono abbastanza risorse per tutti. Se restate tutti, potete vivere al massimo per 2 anni”. Gli studenti caratterizzati in ruoli diversi (scienziato, prete, donna incinta, ecc.) annotano sul loro foglio di lavoro le ragioni per salvare o sacrificare i loro compagni. Finito il gioco, si intavola una discussione sui due temi che emergono naturali durante la sua esecuzione:

 

  1. quello di “valutare” sommariamente le altre persone in senso utilitaristico (per abitudine, cinismo, mancanza d’amore verso il prossimo);

  2. quello di fare la “scelta giusta” operando dunque secondo coscienza civile, o cristiana, se la si vuole considerare sotto questa ottica.

 

8. CONCLUSIONE

Non è facile parlare di dinamiche di relazione. Innanzitutto perché il focus di ricerca è per sua stessa natura mobile e instabile. Inoltre, osservare le dinamiche sociali di adulti universitari significa rinunciare quasi del tutto alla spontaneità dato l’alto grado di formalità contestuale (certo meno presente in altri ordini di scuola). Tra l’altro, queste classi non si formano in un solo giorno e la loro durata è assai limitata nel tempo. Se poi si aggiungono le differenze linguistiche e culturali e i diversi interessi di studio, il contesto di ricerca si complica ulteriormente.

Riguardo agli esiti del percorso, la proposta di metodologie a mediazione sociale ha dato risultati discreti (una media di 7.4 su 10) e si è rilevato che gli elementi non motivati al lavoro di gruppo compensano con il senso di responsabilità. I compiti sono piaciuti anche più del lavoro di gruppo (una media di 7.8 su 10), gli studenti si sono spesso divertiti (tema) e qualche volta un po’ stressati (difficoltà), ma in generale hanno gradito l’evasione dal libro di testo. C’è stata una tendenza a valutare di più i compiti in quegli studenti che preferivano lavorare da soli o in coppia e a valutare di più il lavoro di gruppo in quelli che gradivano maggiormente questa modalità. Non è facile incidere sugli stili personali in così poco tempo (7 settimane), ma qui l’obiettivo era solo mostrare un’alternativa a quello preferito e andare incontro alle differenze individuali con tipologia e varietà dei compiti. Inoltre, tali attività coinvolgendo anche sottocompiti metacomunicativi e metalinguistici e strategie di autogestione non avevano solo una finalità di studio, ma anche un fine didattico, quello di sviluppare autonomia e consapevolezza su lingua e comunicazione.

Riguardo alle dinamiche di relazione su base di L1 è emerso che, nella classe osservata, solo la metà delle “coppie affettive reciproche” risultano stabili nel tempo, tra queste tutte quelle tedescofone (gruppo di maggioranza); nell’altra classe, le “coppie affettive reciproche” risultano invece tutte stabili, tra queste incidono per 3/4 quelle ispanofone (gruppo di maggioranza). Dal punto di vista numerico, viene confermato che la tendenza è quella di rimanere vincolati al gruppo dei connazionali che cresce o diminuisce in base alla sua consistenza numerica, tendenza riscontrata anche nella classe del CTP. Nelle “coppie non reciproche” si registrano moltissimi mutamenti affettivi, come pure nei “conflitti reciproci” e “conflitti non reciproci”. I “sottogruppi”, al contrario, si mantengono stabili: quello della classe osservata ha base di L1, oltreché affettiva, e si costruisce intorno ai germanofoni comprendendo solo pochissimi elementi, con lingua di minoranza, che fungono da trait d’union con una parte della classe restante (tale sottogruppo ha però dimostrato una discreta apertura, nei rapporti esterni alla classe, con gli italofoni); nella classe di livello superiore, invece, il sottogruppo non ha basi di L1 e si forma anzi sulla sua diversità escludendo quasi in toto gli spagnoli (che vengono isolati perché “non buoni apprendenti di lingua che parlano solo spagnolo”). Le ragioni di queste due tipologie di sottogruppo sono solo ipotizzabili. Una maggiore/minore autonomia linguistica? Una maggiore/minore maturità come apprendenti di lingua? Una incidenza maggiore/minore della cultura di provenienza? È difficile dare risposte sicure, così come è difficile affermare con certezza che i mutamenti sociali registrati siano da attribuirsi alla strategia di intervento messa in atto. Sarebbe stata necessaria un’azione meno limitata nel tempo, comportante una quantità di compiti e lavoro di gruppo maggiore, e un confronto diacronico tra gruppi dello stesso livello. Si deve anche mettere in conto che ogni classe risulta essere a sé stante con meccanismi suoi propri, non ripetibili e non generalizzabili. Tuttavia, pur con la dovuta cautela, si può forse affermare che azioni finalizzate a valorizzare il gruppo dei pari, come risorsa e come forma di aiuto reciproco (d’accordo 94%), la condivisione responsabile del lavoro e il compito complesso sembrano offrire risultati di socializzazione. In tal senso viene a conforto un altro dato del questionario finale riguardo allo scopo di socializzazione dei compiti che sembra essere stato raggiunto avendo dato la possibilità, durante il loro svolgimento, di conoscere nuovi compagni (100% degli studenti), parte dei quali considerati anche fuori dal lavoro di gruppo (37%) e parte anche fuori dalla classe (19%). Inoltre, dalle schede di osservazione emerge che gruppi e compiti hanno fatto registrare nel corso del tempo un utilizzo in crescendo dell’italiano sino a diventare prevalente e ad affermarsi come lingua franca: dato confermato anche dal questionario finale sia a livello quantitativo che a quello qualitativo (“usare di più la L2”: molto d’accordo + d’accordo, 100%; “usare meglio la L2”: molto d’accordo + d’accordo, 63%). Sviluppare l’interazione curando maggiormente l’aspetto della produzione orale in L2 è un traguardo sempre importante, anche perché senza interazione non è possibile la socializzazione.

 

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1 La ricerca–azione è un’indagine riflessiva condotta dall’insegnante ricercatore nel proprio contesto a partire da una situazione problematica. Lo scopo è migliorare la situazione attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori con un controllo sistematico dei processi. I dati, esaminati da una pluralità di punti di vista, ne costituiscono la principale forma di validazione.” (Losito, Pozzo 2005; De Luchi, 2000).

2 Una risorsa spesso non valorizzata a sufficienza, il gruppo può avere un impatto molto significativo sull’efficacia dell’apprendimento: positivo, quando si tratta di un ‘buon’ gruppo, negativo quando si tratta di un gruppo “non buono” (Dörnyei, Murphey 2003: 3-4).

3 È stato utilizzato lo Psicosociogramma a cura di S. Catalano, settimo.catalano@fastwebnet.it.

4 La scheda è tratta da M. Polito 2003: cap. 11, 279–305.

5 Cfr. Nunan 1989; Richards, Rogers 2001: 224; Richards, Schmidt 2002, v. task: 539.

6 Sviluppatosi nei paesi nord europei, esso rende più concreto il concetto di competenza comunicativa riformulato in quello di “competenza d’azione” (Bach, Timm 1989). Questa è vista come capacità di interagire con la lingua in modo partecipativo e orientato al messaggio: studenti e docente modificano il loro ruolo tradizionale, costruendo se stessi come membri dello stesso gruppo-classe e come attori sociali che interagiscono in un contesto personale e sociale finalizzando le proprie azioni a dei risultati (Scalzo 1998: 143).

7 Cfr. Skehan 1996; in Scalzo 1998: 144.

8 Prabhu (1987) nel Bangalore project ha utilizzato pedagogic task (es. il problem solving task) finalizzati allo stimolo dei processi interni di acquisizione e quindi allo sviluppo di abilità cognitive. Gli studenti dovevano risolvere problemi di varia natura attraverso l’uso della L2 che era dunque il mezzo per raggiungere l’obiettivo previsto dal compito e non il fine.

9 Cfr. Ciliberti 1994: 151-152.

10 Cfr. Common European Framework 2002: 192.

11 Per una classificazione delle strategie, cfr. Mariani, Pozzo (2002: 70-75) e O’Malley, Chamot (1990: 44–46; 144–145).

12 Per un approfondimento, cfr. Kasper, Rose 2002: 86-87.

13 Cfr. Mariani, Pozzo 2002: 8.

14 Dal punto di vista biologico e neurologico uno dei peggiori nemici dell’apprendimento è lo stress e le sue condizioni ottimali si hanno quando la sfida ad apprendere è correttamente calibrata [zona di sviluppo prossimale per Vygotsky; i + 1 per Krashen], con coinvolgimento pieno dell’apprendente impegnato in compiti gestibili (Vettorel 2006: 9).

15 Cfr. Scheda n° 4 in Mariani, Pozzo 2002: 9.

16 Cfr. Mariani, Pozzo 2002: 36.

17 Per le applicazioni pratiche di stili cognitivi, modalità sensoriali e intelligenze secondo i diversi modelli elaborati dalla ricerca, cfr. paragrafo 5 di Vettorel (2006: 24–30).

18 Cfr. Vettorel 2006: 23–24.

19 Un’attività con sottogruppi naturali (formatisi spontaneamente), due attività con gruppi unici e tre attività con sottogruppi eterogenei (gruppi tecnici).

20 Della Puppa, Vettorel 2005: 25–27. Cfr. anche Daloiso 2007: 14-15; Vettorel 2006: 9-10; Dörnyei, Murphey 2003: 80-83; Serra Borneto 1998: 153-155.

21 L’attività è tratta da: http://www.rider.edu/~suler/grpstry.html, Science and Technology Center, Rm 320, Rider University (Lawrenceville, NJ – USA), Group Dynamics course, Dr. John Suler (609-895-5430).

22 L’attività è tratta da: http://scoutingweb.com/scoutingweb/SubPages/SurvivalGame.htm. La classifica degli equipaggiamenti di sopravvivenza è di Mark Wanvig, istruttore in training di sopravvivenza per la Reconnaissance School della 101st Division of the U. S. Army.

23 L’attività è tratta da: AA.VV. 2003: 95–98, fiche n° 34.

24 L’attività è tratta da: Wajnryb 1988; 1990; 1992.

25 A tal proposito, cfr. Jacobs, Small 2003; sulle possibilità offerte dal dictogloss di facilitare l’apprendimento linguistico attraverso l’interazione, cfr. Nabei 1996.

26 Adattato da Mezzadri, Balboni 2001: 53 (libro di classe).

27 Esistono molte varianti rispetto a quella originale; cfr. ad es. Jacobs, Small 2003: 9-12.

 

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