Settembre 2007  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
L'inserimento degli alunni stranieri nelle scuole di Prato. Dinamiche e problematicità di Marisa Pedrana

ABSTRACT

Il contesto scolastico pratese si presenta oggi come uno dei più significativi laboratori per l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri in Italia.

Si tratta di una realtà che ha visto aumentare la sua popolazione di circa trentamila abitanti nel corso degli ultimi quindici anni e che ha accolto una popolazione composta prevalentemente da migranti provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese, portatori di una lingua e di una cultura d’origine particolarmente lontana da quella italiana; ma soprattutto attori di un progetto migratorio, basato sull’autoimprenditoria, votato all’arricchimento economico in tempi brevi.

La città, nelle sue articolazioni istituzionali, e in generale nei molteplici soggetti che si sono trovati a gestire il fenomeno, ha messo in atto una serie di strategie.

L’obbiettivo di questo articolo è analizzare queste strategie per individuare gli aspetti che si sono rivelati efficaci e quelli che invece hanno prodotto distorsioni o accentuato le criticità del fenomeno.

 

 

 

 

1. ANALISI DEL CONTESTO

1.1. LA PRESENZA DI RESIDENTI STRANIERI NELLA CITTÀ DI PRATO

 

Prato è una delle città italiane con la più alta incidenza di cittadini stranieri. L'immigrazione straniera è cominciata a Prato all'inizio degli anni '90, con l'arrivo di numerosi cinesi, e si è sviluppata rapidamente assumendo una incidenza sempre più rilevante sulla popolazione.

Se nel 1990 risultavano iscritti, per la prima volta, all'anagrafe comunale circa un migliaio di residenti stranieri, già alla fine del decennio essi superavano ampiamente le 7.000 unità.

La loro crescita è continuata ad aumentare nel nuovo millennio e alla fine del 2006 se ne contano quasi 22.308, che costituiscono, peraltro, solo una parte delle effettive presenze straniere in città perché molte sono le persone ancora prive della residenza anagrafica (anche se in possesso di un regolare titolo di soggiorno).

 

Figura 1. Popolazione straniera residente nel Comune di Prato-Anni 1990-2006

Fonte: Servizi Demografici del Comune di Prato

Elaborazioni dell’autore

Questa forte immigrazione ha determinato un significativo incremento degli abitanti della città, compensando largamente il calo demografico degli italiani. Dai 166.688 residenti del 1990 siamo passati ai 185.660 del 2006, con un incremento di circa 19.000 cittadini stranieri e una diminuzione di oltre 2.000 cittadini italiani.

Alla connotazione accentuatamente multietnica degli abitanti di Prato (circa il 12% di stranieri tra i soli residenti iscritti all'anagrafe) hanno contribuito, in primo luogo, i cittadini cinesi, cui, dalla metà degli anni '90, hanno cominciato ad affiancarsi prima gli albanesi e i marocchini e, poi, i pakistani, richiamati dalla crescente richiesta di forza lavoro straniera nelle industrie locali. Dall'arrivo di una manodopera prevalentemente, o quasi esclusivamente, maschile si sono ben presto originati diffusi processi di stabilizzazione sul territorio che hanno contribuito alla crescita di questi tre gruppi.

Dal 2004, a seguito della regolarizzazione emanata con la Legge Bossi Fini, è emersa pure una consistente presenza rumena che sta rapidamente crescendo e mostra già degli avanzati processi di stabilizzazione sul territorio.

 

Tabella 1.

 

Popolazione straniera residente nel Comune di Prato per principali cittadinanze
Anni 2001-2006
Anno Cinesi Albanesi Marocchini Pakistani Rumeni Altri Totale
  V.A. V.% V.A. V.% V.A. V.% V.A. V.% V.A. V.% V.A. V.% V.A. V.%
2001 4.806 45,65 1.766 16,78 709 6,74 622 5,91 172 1,63 2.452 23,29 10.527 100,00
2002 5.335 44,40 2.115 17,60 797 6,63 814 6,77 237 1,97 2.717 22,61 12.015 100,00
2003 5.457 41,57 2.497 19,02 852 6,49 927 7,06 421 3,21 2.973 22,65 13.127 100,00
2004 6.831 41,65 3.111 18,97 981 5,98 1.236 7,54 666 4,06 3.574 21,79 16.399 100,00
2005 8.636 43,64 3.560 17,99 1.177 5,95 1.533 7,75 869 4,39 4.013 20,28 19.788 100,00
2006 0.077 45,17 3.886 17,42 1.321 5,92 1.670 7,49 1.008 4,52 4.346 19,48 22.308 100,00

Fonte: Anagrafe comunale di Prato Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l'immigrazione del Comune di Prato

 

Oggi più del 45% dei residenti stranieri è composto da cinesi, il 17% da albanesi, l'8% da pakistani e un altro 10% si distribuisce tra marocchini (5,92) e rumeni (4,52%).

Consistente, negli ultimi anni, è stato il tasso d'incremento per ognuno dei cinque gruppi.

Esso rispecchia in parte il generale aumento della popolazione straniera conseguente all'ultima sanatoria ma evidenzia anche l'avanzare dei processi di stabilizzazione sul territorio. Continua, infatti, ad aumentare la presenza dei minori: tra i cinesi se ne arrivano a contare oltre 2.800 e tra gli albanesi più di un migliaio.

 

Tabella 2.

Residenti stranieri nel Comune di Prato
Incidenza dei minori per principali cittadinanze
Anni 2001-2006
Anno Cinesi Albanesi Marocchini Pakistani Altri Totale
2001 1.306 466 207 163 378 2.539
2002 1.555 576 246 243 441 3.095
2003 1.653 658 259 295 500 3.412
2004 1.952 827 289 391 627 4.177
2005 2.333 975 338 449 730 4.970
2006 2.838 1.076 386 462 1.009 5.771

Fonte: Anagrafe comunale di Prato
Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l'immigrazione del Comune di Prato

1.2. LA PRESENZA DI ALUNNI STRANIERI NELLA CITTÀ DI PRATO

 

Lo sviluppo dell'immigrazione straniera a Prato nel corso degli anni '90 ha coinvolto sempre più le scuole presenti nel territorio.

In tutte le scuole vi è oggi una presenza, più o meno consistente, di alunni immigrati, o figli di immigrati (non pochi sono, infatti, quelli nati a Prato o in altre città italiane), e tale presenza è destinata quasi certamente ad aumentare, dato l'alto numero di famiglie straniere (soprattutto cinesi) con bambini in età scolare o prescolare.

Secondo i dati forniti dal Ministero della Pubblica Istruzione nell’anno scolastico 2005/06 nelle scuole di ogni ordine della provincia di Prato i giovani migranti erano 3.589 e costituivano il 11,4% del totale degli alunni iscritti.

La loro presenza è inoltre in rapido aumento: l’incremento dall’anno scolastico 2002/03 è infatti del 56,6%.

 

Tabella 3. Le province italiane con la più alta incidenza di alunni con cittadinanza non italiana rispetto alla popolazione scolastica - a.s. 2005/06.

 


provincia

alunni con cittadinanza non italiana per 100 frequentanti in tutti i comuni della provincia

Mantova

11,9%

Piacenza

11,8%

Reggio Emilia

11,5%

Prato

11,4%

Modena

10,9%

Brescia

10,4%

Treviso

10,2%

Alessandria

10,2%

Asti

10,0%

Pordenone

9,9%


 

Fonte: Ministero della Pubblica Istruzione

 

Prato resta, inoltre, la provincia con la più alta densità di allievi cinesi, che rappresentano il 42,6% degli alunni stranieri della provincia.

Un ulteriore indicatore del livello di concentrazione a Prato dei ragazzi le cui famiglie provengono dalla Cina è dato dal confronto con le loro presenze a livello nazionale. Secondo i dati forniti dal Ministero della Pubblica Istruzione nella provincia di Prato nell’anno scolastico 2005/06 era concentrato quasi il 7 % del totale dei ragazzi cinesi presenti in Italia.

 

Tabella 4. Distribuzione provinciale degli alunni cinesi - a.s. 2005/06.

 

Provincia Alunni cinesi
valore assoluto valore %
Milano 2.968 13,4
Firenze 1.874 8,5
Prato 1.529 6,9
Treviso 1.198 5,4
Roma 1.065 4,8
Torino 948 4,3
Brescia 673 3,0
Bologna 620 2,8
Reggio Emilia 607 2,7
Modena 606 2,7
Venezia 538 2,4
Padova 488 2,2
Napoli 475 2,1
Teramo 424 1,9
Mantova 415 1,9
Verona 389 1,8
Forli' 357 1,6
Ascoli Piceno 344 1,6
Cuneo 293 1,3
Rovigo 293 1,3
Vicenza 282 1,3
Bergamo 261 1,2
Altre province 5.514 24,9
Totale Italia 22.161 100,0

 

Fonte: Ministero della Pubblica Istruzione

 

L’alta percentuale di presenze unita alle dimensioni estremamente contenute della provincia di Prato (che conta una popolazione complessiva di solo 245.00 persone contro le 965.00 della provincia di Firenze o le 825.00 della provincia di Treviso) permettono di parlare di una situazione peculiare nel panorama italiano, dove si registra un’alta concentrazione di un gruppo che condivide il paese di origine – i cinesi - su un territorio ristretto.

Ancora più significativi sono, infatti i dati se raccolti a livello comunale:

 

Alunni stranieri nelle scuole del comune di Prato
Anno scolastico 2006/07
Dati al 01 settembre 2006

Ordine scuola N. scuole con stranieri otale scuole N. alunni stranieri Totale alunni %stranieri
Infanzia 4 51 606 4.714 12,86
Primarie 38 39 1.233 8.158 15,11
Secondarie di 1° grado 13 15 838 4.833 17,34
Secondarie di 2° grado 14 15 728 8.509 8,56
Totale 69 120 3.405 26.214 12,99

Fonte: Scuole del Comune di Prato
Elaborazione: Banca Dati del Centro Ricerche e Servizi Per l'Immigrazione del Comune di Prato

Alunni stranieri nelle scuole del Comune di Prato
Confronto anno scolastico 05/06 e a.s. 06/07
Dati al 01 settembre 2006

Scuole A.S. 05/06 A.S. 06/07
  stranieri % su iscritti stranieri % su iscritti
Infanzia 547 11,60 606 12,86
Primarie 1065 13,05 1233 15,11
Secondarie di 1° grado 710 14,69 838 17,34
Secondarie di 2° grado 510 5,99 728 8,56
Totale 2.285 10,35 2.677 10,21

Fonte: Scuole del Comune di Prato
 

 

2. GLI STUDENTI CINESI NELLE SCUOLE DI PRATO

 

Il mondo dei bambini e dei ragazzi cinesi presenti nelle scuole di Prato è un universo fluido e in continuo cambiamento. Accanto ai minori che lasciano la Cina e le figure affettive di riferimento per raggiungere uno o entrambi i genitori emigrati, è in costante aumento anche il numero dei ragazzi, figli di migranti cinesi nati in Italia e sempre vissuti in Italia. Altri sono, invece, nati in un altro Paese europeo e hanno seguito i genitori nel loro processo migratorio.

"Ciò che accomuna i bambini e ragazzi con progetti e storie così diversi è il vissuto - reale o simbolico- della migrazione, intesa non solo come spostamento da un luogo di vita ad un altro, ma anche come cambiamento profondo, ridefinizione dei legami di filiazione, delle appartenenze e della fedeltà. Cambiamento che si traduce spesso in sentimenti ambivalenti di perdita e di separazione che influenzano i riferimenti allo spazio e al tempo, al paese d'origine e al paese d'immigrazione, l'immagine di sé, la cultura del quotidiano, le pratiche linguistiche" (Demetrio. e Favaro 1997: 42).

 

Il ragazzo cinese che arriva in Italia per ricongiungimento familiare può attraversare, durante la prima fase del suo arrivo, un momento di "sradicamento" segnato da fratture e cambiamenti improvvisi. L'attesa di una nuova vita da condividere con il padre emigrato (o con la madre, o con entrambi i genitori partiti qualche anno o molti anni prima) si accompagna all'ansia, al senso di perdita dei legami affettivi stabiliti con le figure di riferimento che lo hanno cresciuto fino a quel momento. Questo ragazzo che non ha scelto la migrazione, deve abbandonare la famiglia in Cina per ricollocarsi dentro una "nuova" famiglia, in una realtà forse diversa dai sogni costruiti durante l'assenza all'interno della quale deve trovare un suo posto senza avere "mappe" o aiuti per orientarsi. La fase immediatamente successiva all'arrivo è, quindi, per il ragazzo "ricongiunto" segnata da cambiamenti improvvisi, vulnerabilità e tentativi di ridefinire la propria appartenenza fra fratture e incontri.

Con l'iscrizione a scuola comincia per il ragazzo nuovo arrivato anche la formazione di una nuova identità, definita di volta in volta come identità "sospesa, multicolore, a mosaico, soggetta a rotture, ambivalenze, vulnerabilità. Identità che ha a che fare con la condizione esistenziale e psicologica dell'essere e del sentirsi 'tra': tra due culture e due mondi, tra due lingue e riferimenti, tra le aspettative della famiglia e le richieste della scuola" (Demetrio. e Favaro 1997: 42).

 

Ai ragazzi cinesi può pesare anche la mancanza di una casa vera e propria. Spesso i ragazzi, infatti, vivono insieme alla famiglia nei laboratori dove lavorano i genitori e condividono gli spazi con gli altri operai e i loro figli. A volte si crea la possibilità di ricavare uno spazio individuale, ma nella maggior parte dei casi la vita personale si interseca con la vita del laboratorio e segue i tempi di lavoro degli adulti. Anche nel caso in cui i ragazzi vivano in una casa separata dal laboratorio, i ritmi dell’economia etnica lasciano comunque poco spazio ai momenti di condivisione familiare, e i ragazzi passano gran parte della giornata da soli. Queste situazioni portano spesso a responsabilizzare molto i figli maggiori che devono prendersi cura dei fratelli più piccoli.

Una volta giunti in Italia si trovano, anche, a dover fare quotidianamente da interpreti per le famiglie, che dipendono da loro anche per le pratiche burocratiche di ordinaria amministrazione. In molte occasioni succede anche che un ragazzo che parla l'italiano meglio dei genitori si trovi costretto a gestire in prima persona situazioni traumatiche, e in questi casi il carico di responsabilità che i genitori sono costretti a delegare al figlio può portare con sé conseguenze pesanti perché provoca un rovesciamento dei ruoli particolarmente dannoso per gli equilibri familiari.

Da un lato gli adulti si ritrovano confusi e pervasi da un senso di fallimento per la perdita di prestigio e autorevolezza. A loro volta, i figli, disillusi sulle capacità di dei genitori di costituire un valido punto di riferimento, e talvolta risentiti per aver dovuto affrontare situazioni di grande stress emotivo, finiscono per tradurre la loro insicurezza in distacco dalla famiglia, che può esprimersi anche attraverso un rifiuto della lingua materna sostituita da quella italiana.

Nei ragazzi di seconda generazione presenti a Prato la lingua del paese d’origine rimane comunque la lingua dominante nella comunicazione. I ragazzi vivono, quindi, in una realtà di plurilinguismo in cui mescolano il putonghua nel rapporto con gli amici, il dialetto, anche se in misura sempre minore, nel rapporto con i genitori e con altri adulti e l’italiano a scuola. Raramente i ragazzi continuano a studiare il cinese scritto una volta in Italia, disincentivati spesso dalle famiglie stesse a favore dell’italiano, altri, invece, non hanno nessun tipo di competenza scritta.

Il legame con la Cina e la lingua è rafforzato anche dalla facilità di fruizione e reperimento di film, riviste e di musica cinese così come l’uso delle chat per mantenere o stabilire nuovi rapporti con i coetanei in Cina.

 

 

3. INTERVENTI FATTI SUL TERRITORIO DAL 1994 AD OGGI

 

Nel 1989 comparve nella nostra scuola media il primo alunno cinese. Eravamo un po’ tutti incuriositi da quella presenza e lo vedevamo spesso nella sala professori dove passava un bel po’ di ore settimanali con un’insegnante di lettere in soprannumero. La professoressa tentava di insegnargli l’italiano, senza farsi prendere dall’ansia per quello che stava facendo per la prima volta nella sua carriera”

(Ceccagno ,a cura di, 2003: 263)

 

Tra la comparsa del primo alunno cinese e i successivi dieci anni, la presenza di alunni immigrati nelle scuole di Prato è stata molto esigua e le risorse delle scuole erano inesistenti.

A partire dal 1997-98 sono iniziati, invece, i primi arrivi consistenti di alunni immigrati per effetto dei ricongiungimenti familiari, ma le scuole non disponevano ancora di strumenti adatti per accogliere ed integrare i nuovi studenti la cui presenza non era più percepita con “curiosità”, ma è diventata col tempo un fenomeno che ha assunto una rilevanza tale da porre problemi nella didattica, nella modalità di relazione e nell’organizzazione scolastica.

Dal punto di vista della normativa scolastica il riferimento alla presenza degli alunni immigrati nella scuola italiana è già presente nei Nuovi programmi didattici della scuola primaria approvati nel 1985 ed entrati in vigore nell’anno scolastico 1987/88, e le Circolari Ministeriali che dal 1986, con cadenza quasi annuale, giungono agli istituti scolastici, danno un quadro di riferimento normativo all’interno del quale sono fornite una serie di indicazioni concrete che si incentrano sulla professionalità docente e il ruolo che ad essa spetta nella interazione tra le diverse culture, sulla definizione dei percorsi di accoglienza, sul rispetto delle singole individualità e sull’individuazione dei bisogni formativi di ogni singolo alunno.

Nella realtà di Prato, da un punto di vista pratico, si è ricorsi, inizialmente, a degli insegnanti sopranumerari, quasi sempre insegnanti di Educazione tecnica senza cattedra utilizzati nelle scuole per progetti di alfabetizzazione. Questi insegnanti hanno vissuto, tuttavia, la stessa esperienza ansiogena della docente di lettere che si è trovata per la prima volta di fronte un alunno cinese a cui doveva insegnare l’italiano, in quanto non possedevano nessuna specifica competenza nella didattica dell’italiano L2 e la scuola non prevedeva percorsi di formazione in questo campo. Le ore dedicate a questi progetti erano, inoltre, del tutto insufficienti per poter impostare degli obiettivi a lungo termine.

L’offerta formativa della scuola non poteva assolvere da sola agli obiettivi di integrazione, quindi, in coerenza con la normativa nazionale e regionale nell’ambito della programmazione territoriale1 della zona socio-sanitaria, a Prato l’Assessorato alla Pubblica Istruzione e alla Sicurezza Sociale tramite il Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione2 , interviene nelle scuole dal 1994 per favorire l’integrazione degli alunni nel rispetto del diritto all’istruzione.

 

 

3.1. ORGANIZZAZIONE E IMPLEMENTAZIONE DI LABORATORI DI ITALIANO L2

 

Rispetto agli attori coinvolti nell’organizzazione e nell’implementazione dei primi laboratori di italiano L2, in contemporanea con gli insegnanti sopranumerari, sono stati inseriti nelle scuole insegnanti cinesi che parlassero l’italiano e laureati in cinese anche senza esperienza didattica e nessuna formazione specifica nell’insegnamento delle lingue seconde. Contemporaneamente sono stati organizzati dal COSPE dei laboratori di intercultura.

Nel 2000 il Comune di Prato ha stilato una graduatoria di insegnanti da poter mandare nei laboratori, basandosi principalmente sulla conoscenza del cinese, e questo ha portato alla creazione di una figura ponte tra quella del mediatore culturale e del facilitatore, il cui compito è stato quello di organizzare i laboratori di italiano L2 e di essere il mediatore di riferimento per ogni scuola nelle diverse situazioni richieste, ossia traduzione degli avvisi scolastici, interpretariato durante i colloqui con i genitori e durante la consegna delle pagelle e mediazione nel rapporto scuola-famiglia.

A partire dal 2004 il Centro ha iniziato a inserire nell’organico nuovi insegnanti privilegiando la loro conoscenza delle teorie e delle tecniche di insegnamento dell’italiano L2, senza necessariamente conoscere la lingua cinese. Questo cambiamento ha portato da un lato ad un innalzamento della qualità dell’intervento nelle scuole e ad una definizione più chiara del ruolo del facilitatore dell’apprendimento3 distinto dal ruolo del mediatore culturale, ma dall’altro è stato vissuto nelle scuole, soprattutto nel primo periodo, come perdita di una risorsa importante. Il Comune, infatti, offriva e offre tuttora, la possibilità di ricorrere a dei mediatori, ma nelle scuole con un alto tasso di presenza di alunni cinesi gli interventi di mediazione e di traduzione sono quasi quotidiani e non è prevista una presenza così massiccia di un mediatore nella scuola. Bisogna anche sottolineare che i mediatori previsti dal Comune sono tuttora gli insegnanti inseriti nelle scuole in seguito alla graduatoria del 2000 che continuano nelle scuole dove lavorano a svolgere un duplice compito di facilitatore linguistico e di mediatore culturale, dato necessariamente dall’elevata presenza di alunni di origine cinese.

Nel novembre 2006, infine, è stata stilata dal Comune di Prato una nuova graduatoria di facilitatori scelti sulla base dell’esperienza di insegnamento e delle competenze didattiche, senza dare alcun punteggio alla conoscenza del cinese. Questa scelta è sicuramente in linea con la definizione della figura del facilitatore dell’apprendimento, ma in una realtà specifica come Prato la presenza di un facilitatore linguistico e culturale, che non solo ha competenze glottodidattiche e nell’insegnamento dell’italiano L2, ma che conosce anche la cultura e la lingua di origine degli alunni che sono in queste scuole per la maggior parte cinesi, permette di organizzare un intervento più strutturato e rispondente ai bisogni sia degli alunni che della scuola. La conoscenza del cinese, infatti, è utile sia nell’insegnamento perché permette di comprendere meglio i passaggi interlinguistici degli alunni e di conoscere quali potrebbero essere le loro criticità nell’apprendimento dell’italiano, vista anche la distanza tra le due lingue, sia nel rapporto con gli alunni che vedono nell’insegnante anche una figura di riferimento importante non solo per quanto riguarda le situazioni strettamente scolastiche, sia per la scuola stessa vista la necessità quotidiana di interventi di mediazione, non solo con gli alunni, ma soprattutto con le famiglie che, come è stato detto, sono spesso assenti o disinteressate alla vita scolastica dei propri figli.

Questo problema non si riscontra, invece, con alunni di altre etnie, vista la presenza numerica minore da un alto e il loro migliore inserimento nel tessuto scolastico dall’altro.

 

Rispetto alla tipologia dei laboratori attivati nelle scuole la maggior parte delle ore sono state utilizzate per i laboratori linguistici permanenti rivolti a studenti inseriti nella scuola primaria del secondo ciclo e nella scuola secondaria di primo grado di livello A1-A2.

Sulla base dei progetti formulati nelle scuole, sono stati previsti anche laboratori interculturali aperti anche a studenti italofoni all’interno dei quali sono stati trattati argomenti in ottica interculturale volta al recupero dell’identità (lingua e cultura d’origine) e di alcuni aspetti personali legati al passato degli studenti stranieri da condividere con gli alunni italofoni. In questo tipo di laboratorio l’insegnante ha, quindi, focalizzato l’attenzione più sugli obiettivi relazionali e cooperativi rispetto a quello linguistici.

Col tempo è emersa anche l’esigenza di un intervento più mirato sulla lingua dello studio e sono stati organizzati nelle scuole laboratori disciplinari in modalità intensiva o decrescente all’interno dei quali il facilitatore approfondiva un settore ridotto di una disciplina di studio, sviluppando il lessico specifico della disciplina e i concetti e le procedure da poter utilizzare anche in classe. Rispetto a questo tipo di laboratorio la criticità maggiore è sempre stata legata alla difficile collaborazione con il docente della disciplina. Solitamente, infatti, avveniva un primo incontro con l’insegnante di classe nel quale si definivano gli argomenti da presentare nel laboratorio e venivano forniti alcuni materiali al facilitatore, solitamente estrapolati dagli stessi testi utilizzati in classe, senza alcun tipo di semplificazione. Gli obiettivi e il percorso da seguire erano, invece, totalmente affidati al facilitatore, non sempre in grado di svolgere efficacemenete questo compito dal momento che la sua figura prevede conoscenze glottodidattiche e di insegnamento della L2, ma non è depositario dei contenuti insegnati nelle singole materie presentate nel laboratorio.

Nelle scuole secondarie di primo grado sono stati, infine, organizzati dei laboratori in modalità crescente per la preparazione di un percorso interdisciplinare in previsione dell’esame. Questo tipo di laboratorio prevede un aumento progressivo di ore fino ad arrivare ad una modalità di laboratorio intensivo in cui memorizzare contenuti e forme e simulare le prove d’esame orali e scritte.

Rispetto alle criticità e alle problematiche connesse all’organizzazione dei laboratori di italiano alcune sono cambiate con il tempo, altre, invece, permangono tuttora.

Nelle relazioni di fine anno richieste a tutti i facilitatori del Comune, i primi tempi, i punti critici erano legati soprattutto agli spazi non idonei utilizzati per i laboratori e la mancanza di materiali messi a disposizione della scuola e di quelli utilizzati nel laboratorio stesso. Gran parte dei facilitatori nei primi anni di attività si è spesso ritrovato ad insegnare agli alunni stranieri in spazi del tutto inadeguati e spesso diversi di volta in volta a seconda della disponibilità degli spazi stessi, ed è capitato più di una volta che le lezioni venissero interrotte e spostate perché altri insegnanti avevano necessità di utilizzare l’aula. Questo ha impedito per molto tempo che il laboratorio si costituisse come un luogo riconosciuto dagli insegnanti e dagli studenti stessi, ma fosse percepito come un “non luogo” separato dalla scuola senza alcun tipo di interazione con le altre strutture. Alla scelta dello spazio del laboratorio, invece, sono legati aspetti psicologici ed affettivi degli alunni che possono facilitare il loro inserimento a scuola e la loro motivazione allo studio.

Col tempo, invece, si è creata una maggiore sensibilità nella scuola ed è prevista una collocazione specifica per il laboratorio di italiano che viene progressivamente “costruito” con gli alunni stessi anche grazie alla permanenza nel laboratorio di materiali che testimoniano alcune tappe del loro percorso di apprendimento della L2 e il recupero della loro lingua e cultura d’origine nei cartelloni scritti in più lingue. Per quanto riguarda i materiali, inoltre, è stato previsto nelle scuole un fondo che permette ai facilitatori di poter costruire uno spazio adatto agli alunni. In alcune scuole, inoltre, è stata organizzata una “sezione intercultura” nella biblioteca della scuola stessa in cui sono presenti testi per l’insegnamento dell’italiano L2 e testi bilingui a cui possono accedere gli studenti, gli insegnanti e i facilitatori della scuola.

 

Un elemento problematico che permane tuttora riguarda, invece, la relazione tra i facilitatori e gli insegnanti della scuola. Per molto tempo, infatti, la realtà del laboratorio e quella della classe non si sono quasi mai incontrate o hanno parlato con difficoltà; i facilitatori, infatti, erano visti come figure che in qualche modo potessero risolvere il “problema” della presenza sempre più massiccia di alunni stranieri che per almeno qualche ora a settimana venivano tolti dalla classe, senza però una coordinazione tra le due realtà in termini di obiettivi e di contenuti. Questa situazione è stata sempre meno problematica nella scuola primaria, vista la maggiore possibilità di poter parlare con gli insegnanti di classe e il minor numero di insegnanti sulla classe rispetto alla scuola secondaria. I facilitatori, inoltre, erano presenti alle riunioni di interclasse e questo è stato un ulteriore mezzo per poter monitorare insieme agli insegnanti l’attività nel laboratorio e gli eventuali problemi o successi degli studenti all’interno delle classi. La situazione è, tuttavia, migliorata grazie al costituirsi nella maggior parte delle scuole della commissione intercultura e della figura di uno o più referenti interculturali all’interno di ogni scuola, la cui funzione è quella di coordinare, monitorare e valutare insieme al facilitatore gli interventi all’interno del laboratorio. Rimane tuttora difficile, a volte, la comunicazione con i singoli insegnanti perché, nonostante gli alunni stranieri siano presenti sul territorio da molto tempo e in quantità elevate, sono stati fatti pochi corsi di formazione per gli insegnanti che hanno, quindi, limitata conoscenza delle teorie sulla acquisizione delle lingue seconde e delle metodologie di insegnamento e continuano a stabilire obiettivi minimi per i singoli studenti sulla base della programmazione di classe e a valutarli su questi, senza considerare, gli obiettivi e i contenuti presentati nei laboratori.

 

Un ultima criticità riguarda, infine, la figura dei facilitatori stessi. In questi anni il Comune è stato in grado di garantire alle scuole moltissime ore di insegnamento frontale, ma solo a partire dal prossimo anno scolastico sono, finalmente, previste anche per i facilitatori delle ore di programmazione. Negli anni passati, infatti, venivano svolte delle riunioni con tutti i facilitatori per discutere degli eventuali problemi incontrati sul lavoro, ma non è mai stato possibile creare un gruppo omogeneo dal punto di vista della formazione e dei contenuti presentati nei laboratori. Tuttora, infatti, esiste una grande disomogeneità negli interventi proposti nelle scuole in termini di programmazione, di sillabo e soprattutto di metodologie e tecniche di insegnamento dell’italiano L2.

 

 

3.2. IL PROGETTO “MIGRANTI OLTRE L’OBBLIGO SCOLASTICO: ORIENTAMENTO, ISTRUZIONE, FORMAZIONE”

 

Il progetto, approvato e finanziato dalla Provincia di Prato con i fondi del FSE, è stato presentato nel 20014, quindi prima della riforma Moratti., è iniziato nel settembre 2002 e si è concluso nel dicembre 2003. È stato realizzato dal Centro di Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato in collaborazione con alcuni istituti scolastici e associazioni presenti sul territorio5.

Il progetto ha affrontato il problema degli alunni immigrati che terminavano la scuola media e dovevano concludere l’obbligo scolastico o che, compiuti i quindici anni, rientravano nell’obbligo formativo e ha avuto come obiettivo l’orientamento degli alunni verso la prosecuzione degli studi o verso l’obbligo formativo, mirando a ridurre l’abbandono scolastico tra i giovani immigrati di Prato.

Il progetto è stato suddiviso in tre fasi. Nella prima fase di orientamento e informazione sono stati organizzati degli incontri incentrati sulla legislazione scolastica e sull’orientamento alla scelta della scuola superiore. Inizialmente ci si è rivolti agli alunni del CTP e a quelli delle scuole medie partners del progetto insieme ai loro genitori, ma è stato successivamente allargato a tutte le scuole di Prato coinvolgendo circa 180 alunni e le rispettive famiglie. Nella seconda fase i ragazzi sono stati inseriti nei laboratori di facilitazione linguistica e nella terza fase gli alunni che avevano scelto un percorso professionale hanno seguito un corso sul linguaggio del lavoro, favorendo, quindi, il loro inserimento nella formazione professionale o nell’apprendistato. Gli altri studenti hanno, invece, seguito un corso sui linguaggi specifici delle aree disciplinari della scuola superiore a partire dagli ultimi due mesi di frequenza della terza media e proseguito nei primi quattro mesi della prima classe della scuola superiore.

Gli insegnanti coinvolti, quasi tutti reclutati nelle scuole, hanno seguito un corso di formazione che ha portato attraverso la modalità della ricerca-azione alla produzione e sperimentazione di moduli didattici per le diverse aree disciplinari della scuola media e superiore.

 

 

3.3. ORGANIZZAZIONE E IMPLEMENTAZIONE DI CORSI DI MANTENIMENTO DELLA L1

 

Recependo le teorie sul bilinguismo6. l’equipe scientifica del Centro ha promosso a partire dal 1998 l’implementazione di due corsi di mantenimento della L1 aperti agli studenti di origine cinese. L’insegnante coinvolta nei corsi è un membro della comunità locale scelta in virtù della maggior conoscenza del putonghua e non sulla base di conoscenze didattiche pregresse.

I corsi sono rivolti ad alunni della scuola primaria e della secondaria di primo grado, ma questi ultimi non sono mai risultati particolarmente interessati al corso. Sono previsti due livelli e mentre inizialmente erano previste solamente due ore a settimana per ogni corso, si è passati successivamente a quattro ore: due il sabato e due la domenica.

 

 

4. CRITICITÀ

 

4.1. ARRIVI IN CORSO D’ANNO. ISTITUTI IN RETE

 

Al di là della presenza di numeri sempre crescenti di alunni di origine straniera, un’ulteriore difficoltà che si è presentata è quella del significativo numero di alunni che arrivano a Prato nel corso dell’anno scolastico o comunque dopo la conclusione delle operazioni di iscrizione e la definizione degli organici delle scuole.

Negli anni precedenti gli istituti scolastici, con la collaborazione del Comune di Prato e del CSA, erano riusciti quanto meno a garantire formalmente il diritto-dovere allo studio di questi ragazzi inserendoli nelle classi che per un motivo o per un altro non raggiungevano il tetto massimo di iscritti, ovunque esse fossero localizzate e indipendentemente dal numero già spesso significativo di alunni di origine straniera e dalla possibilità che potessero essere messi in atto degli interventi di accoglienza e di alfabetizzazione per questi nuovi iscritti.

Negli ultimi due anni la situazione però è giunta ad un tale livello di criticità da essersi rivelato impossibile – in particolare per gli alunni in età da scuola secondaria di I° grado – anche il semplice inserimento formale in una qualsiasi classe. Norme ben precise infatti regolano il numero massimo di alunni che possono far parte di ogni classe.

Per permettere una prima accoglienza dei bambini e dei ragazzi che arrivano nel corso dell’anno scolastico, anche qualora gli istituti scolastici non siano nelle condizioni di rispondere a questa domanda, ma anche per far sì che gli alunni provenienti direttamente dai paesi d’origine facciano il loro ingresso negli istituti scolastici della città già dotati di un patrimonio di competenze che li metta in grado di inserirsi positivamente nel tessuto scolastico e avere delle reali possibilità di successo formativo, alcuni istituti scolastici si sono messi in rete ed hanno creato un Polo di alfabetizzazione per tutti gli alunni in età da scuola secondaria di primo grado domiciliati nel bacino d’utenza degli istituti scolastici coinvolti e arrivati in Italia dopo la conclusione delle operazioni di iscrizione e la definizione degli organici delle scuole.

Nel corso del 2007 è stata avviata la sperimentazione del primo percorso di alfabetizzazione, con l’obbiettivo di attivare completamente la struttura per l’anno scolastico 2007/08.

I percorsi di alfabetizzazione saranno tenuti da un facilitatore linguistico esperto nelle dinamiche di acquisizione dell’italiano come L2, o in alternativa da personale interno alle scuole dotato di equivalenti competenze. I laboratori linguistici avranno una struttura modulare così da poter essere riproposti più volte nel corso dell’anno scolastico qualora se ne ravvisasse l’esigenza.

Al termine del percorso di alfabetizzazione e creazione di competenze comunicative sarà proposto un ulteriore modulo di introduzione alla conoscenza dei linguaggi settoriali con l’obbiettivo di fornire anche i primi strumenti necessari per lo studio delle varie discipline scolastiche.

Per permettere l’inserimento dei bambini e dei ragazzi presentatisi prima che fosse attivato il polo di alfabetizzazione e comunque facilitare il loro inserimento e sostenere gli insegnanti e gli alunni chiamati ad accogliere questi nuovi compagni, diversi istituti scolastici si sono dotati anche di un protocollo d’accoglienza che definisse le prassi da seguire per definire gli aspetti amministrativi e individuare la classe più adatta allo sviluppo linguistico e cognitivo dell’alunno.

 

 

4.2. INSUCCESSO E DISPERSIONE SCOLASTICA

 

Dalle indagini condotte dal Ministero della Pubblica Istruzione sul successo scolastico degli studenti con cittadinanza non italiana nelle scuole emerge che già a partire dall’anno scolastico 2001/02 la realtà pratese si differenzia dalla realtà nazionale mostrando come il tasso di successo tra gli alunni con cittadinanza non italiana frequentanti la scuola media inferiore sia inferiore a quello nazionale. Secondo una ricerca fatta sul campo(Ceccagno 2004) “la peculiarità della situazione pratese potrebbe essere dovuta a cause molteplici, legate al contesto di vita ma anche al contesto scolastico stesso”(Ceccagno 2004: 29).

Anche se la percentuale di insuccesso non sembra dipendere in maniera automatica dall’alta concentrazione di alunni cinesi nelle scuole di Prato, questo potrebbe comunque contribuire alla dispersione scolastica, innescando delle dinamiche di rifiuto legate al sistema scolastico italiano, che potrebbe non essere in grado di valorizzare gli alunni stranieri e di favorire il loro pieno inserimento nelle attività della classe a causa della mancata conoscenza della lingua italiana.

Una certa influenza nel contenimento dell’insuccesso e della dispersione scolastica può, quindi, essere data da un intervento mirato attraverso l’organizzazione e l’implementazione di laboratori di italiano L2. Le difficoltà linguistiche che incontrano gli studenti cinesi nel percorso di apprendimento dell’italiano sono, infatti, un ulteriore motivo di abbandono scolastico, il cui tasso aumenta tra gli studenti iscritti alle superiori dove il linguaggio diventa sempre più specialistico, astratto e decontestualizzato, e quindi di difficile comprensione per chi non ha una buona competenza in italiano. Questa situazione è aggravata, inoltre, da una normativa poco chiara rispetto alle modalità e ai contenuti di valutazione degli alunni stranieri che, come detto nel paragrafo 4.1. continuano ad esser valutati, nella maggior parte dei casi, sugli obiettivi minimi estrapolati dalla programmazione della classe non solo per l’italiano, ma anche per le altre materie senza considerare l’effettivo grado di competenza raggiunto nella lingua italiana, a volte troppo basso per affrontare lo studio delle discipline. L’impossibilità di partecipare alla vita scolastica, nonostante lo studio della lingua all’interno dei laboratori dove essi sono presenti, e il feedback negativo dato dall’insegnante può innescare un senso di frustrazione e di demotivazione negli alunni che li porta, quindi, a isolarsi e a rifiutare qualsiasi tipo di interazione sia con i compagni che con l’insegnante.

Nel difficile processo di costruzione della nuova identità all’interno di una realtà a volte poco comprensibile, giocano un ruolo fondamentale anche le continue fratture create dalla mobilità della famiglia all’interno del Paese per motivi di lavoro. Tradizionalmente i cinesi hanno sempre assegnato grande valore all’educazione dei figli, anche in contesti di diaspora, mentre in Italia, rispetto al passato “l’ambiente di vita e di lavoro dei cinesi è del tutto proteso verso l’affermazione economica della famiglia, verso la quale devono convergere tutte le risorse umane e materiali disponibili. Fintanto che la famiglia non ha raggiunto l’autonomia economica ogni energia è concentrata verso questo scopo, e il raggiungimento di questo obiettivo ha la meglio su ogni considerazione sull’educazione dei figli. In questi casi è la famiglia che attivamente interviene per distogliere le attenzioni dei giovani dallo studio e dirigerle verso le attività familiari”(Ceccagno 2004: 184).

Nelle famiglie stesse è, quindi, diffusa la percezione che lo studio non serva a migliorare o cambiare lo status sociale e lavorativo e se lo studente non ottiene buoni risultati a scuola, a maggior ragione non sarà spinto a continuare nello studio. Altre volte, succede invece che il genitore cinese veda la necessità e l'urgenza che il figlio apprenda l'italiano, ma quando succede che suo figlio non sa trasmettere in lingua madre quello che ha imparato a scuola, egli non sa più distinguere se le scarse competenze linguistiche sono in italiano o in cinese. Spesso, inoltre, i genitori hanno un livello culturale basso che non permette loro di poter aiutare i figli nemmeno nel mantenimento della lingua madre scritta. Frequentemente capita anche che i genitori i cui figli sono cresciuti o nati in Italia parlino con i figli nella propria lingua madre e ricevano delle risposte in italiano. Non disponendo degli strumenti linguistici per parlare con gli insegnanti, il Comune di Prato mette a disposizione delle scuole dei mediatori linguistici, ma un problema frequentemente rilevato dagli insegnanti è la quasi totale assenza di rapporto con le famiglie

Nella scuola superiore il fenomeno della dispersione scolastica assume dimensioni ulteriormente preoccupanti soprattutto per quanto riguarda i cinesi, ed è evidente il calo di iscrizioni da un anno all’altro. Alla limitata frequenza delle scuole superiori da parte di alunni immigrati contribuiscono anche ragioni di tipo burocratico, in quanto alcuni diplomi di licenza media, tra cui quello cinese, non sono titoli riconosciuti Italia e impedisce l’iscrizione al primo anno delle superiori. In questo caso, se lo studente è ancora nell’età dell’obbligo scolastico viene inserito in una scuola media, altrimenti deve rivolgersi a strutture che organizzano corsi per adulti, ma in entrambi i casi si trova in un ambiente non adatto al suo livello di età che non risponde ai suoi bisogni linguistici e cognitivi.

 

 

4.3. MANCANZA DI RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI

 

Rispetto all’insegnamento della lingua italiana come L2 nelle scuole di Prato, abbiamo visto che dal 1994 ad oggi il Comune di Prato ha garantito un elevatissimo numero di ore per l’organizzazione dei laboratori secondo diverse tipologie e modalità, ma, nonostante non sia stato fatto uno studio di alcun genere, la permanenza di un elevato numero di studenti cinesi all’interno di uno stesso livello per più di un anno e da un corso estivo ad un altro, senza che vi sia stato un miglioramento nella competenza dell’italiano, rende quantomeno necessaria un’attenta riflessione del fenomeno. Gli studenti residenti in Italia da molto tempo mostrano, inoltre, evidenti forme di fossilizzazione nello scritto sulle quali è difficile intervenire. Dal punto di vista della produzione orale e scritta la stessa interlingua degli studenti anche di livelli B1 è piuttosto povera in termini lessicali e di contenuti e poco accurata dal punto di vista grammaticale.

Un primo livello di analisi potrebbe essere legato alla problematica relativa alla frammentazione e diversificazione degli interventi da parte dei facilitatori. Non disporre di una piattaforma didattica comune in termini di costituzione di obiettivi, sillabo, metodologie e tecniche di insegnamento impedisce di dare una valutazione omogenea ai diversi gruppi e livelli in entrata e in uscita dal corso.

Un secondo livello di analisi potrebbe, essere legato alla percezione che quello che viene fatto nel laboratorio sia poi poco spendibile e riproponibile nelle altre realtà scolastiche o esterne se non relativamente alla lingua per la comunicazione. La valutazione positiva all’interno del laboratorio e la percezione di un progresso nella conoscenza della lingua italiana, vengono, infatti, spesso smentite dall’insegnante di classe creando quindi un senso di inutilità rispetto agli sforzi fatti dallo studente.

Un ultimo aspetto, non meno importante, di questa criticità credo, infine, sia strettamente legato alla mancanza di motivazione allo studio e al vissuto migratorio degli studenti cinesi che non sempre accettano la nuova condizione e la nuova vita. Tutto questo si traduce, chiaramente, in un rifiuto o parziale disinteresse nei confronti della lingua e della realtà scolastica di cui non sembra preoccuparsi nemmeno la famiglia per prima.

 

 

4. CONCLUSIONI

 

I progetti attuati nelle scuole di Prato a partire dal 1994 si sono rivelati, in generale, efficaci in quanto hanno risposto da subito ai bisogni degli studenti stranieri.

Le stesse strategie attuate presentano, tuttavia, nel loro interno alcuni elementi di criticità legati alle difficoltà di coordinamento e alla disomogeneità di formazione fra i vari soggetti che si occupano dell’organizzazione e dell’implementazione dei laboratori di italiano L2..

Si è rivelato, inoltre, difficile lavorare in modo globale su questi ragazzi valorizzando le loro lingue e culture d’origine e tenendo conto delle loro necessità di crescita emotiva ed identitaria.

Si avverte, quindi, con urgenza la necessità di operare un salto di qualità nella gestione del fenomeno che tenga conto delle sue caratteristiche di complessità e irreversibilità e realizzi quella sistematizzazione degli interventi e quella razionalizzazione nell’uso delle risorse di cui da tempo ormai si sente l’esigenza.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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Ceccagno, A., (a cura di), 2003, Migranti a Prato. Il distretto tessile multietnico, FrancoAngeli, Milano.

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M.I.U.R. Direzione Generale per i sistemi informativi- Direzione Generale per lo studente, 2006, Alunni con cittadinanza non italiana. Scuole statali e non statali. Anno 2005/06, Roma, (www.pubblica.istruzione.it, in “Pubblicazioni”).

Toukomaa, P., and Skutnabb-Kangas, T., 1977, The intensive teaching of the mother tongue to migrant children at pre-school age (Research Report No. 26), Department of Sociology and Social Pshycology, University of Tampere.

http://www.comune.prato.it/immigra/ : il sito, curato dal "Centro Ricerche e Servizi per l'Immigrazione", si rivolge a tutti coloro che sono interessati alle problematiche dell'immigrazione del Comune di Prato. Si tratta di una raccolta di dati sugli immigrati, integrati da note esplicative e di commento, ottenuta da una selezione delle informazioni reperibili presso gli archivi della banca dati del Centro Ricerche. Dal 1998 viene pubblicato anche un Annuario che raccoglie periodicamente l'intero materiale contenuto nel sito.

1 “Nella normativa gli enti locali sono chiamati a svolgere un ruolo importante nella programmazione territoriale degli interventi rivolti all’immigrazione , sulla base della rilevazione dei bisogni, e nella destinazione di fondi e strumenti a supporto delle scuole, per favorire l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri”. (Ceccagno ,a cura di, 2003: 271).

2 Il Comune di Prato si è dotato nel 1994 di un “Centro Ricerche, documentazione e servizi per la comunità cinese”. Il Centro, attivato grazie ad una convenzione con l’Università di Firenze (Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento Studi sullo Stato), è stato trasformato nel 1996 in “Centro Ricerca e Servizi per l’Immigrazione”. Nel 2002 viene creato l’“Assessorato alla Città Multietnica e Multiculturale, per il coordinamento e governo dei processi di integrazione”, che va ad affiancarsi e a collaborare con l’“Assessorato ai Servizi Sociali e alla Pubblica Istruzione” che ancora conserva la responsabilità del Centro. La collaborazione diventa sempre più stringente finché nel 2003 gli interventi finalizzati alla gestione del fenomeno migratorio trovano un’unica regia in quello che viene ribattezzato come “Assessorato alla Multiculturalità, all’Integrazione e alla Partecipazione”. Il Centro Ricerca e Servizi per l’immigrazione va progressivamente a sparire assorbito da una struttura amministrativa sempre più complessa che culmina nella creazione nel 2006 del “Servizio Immigrazione e Cittadinanza”.

3 Il facilitatore dell’apprendimento è uno degli attori coinvolti nell’organizzazione e nell’implementazione dei laboratori di italiano L2. Ha competenze glottodidattiche e nell’insegnamento dell’italiano L2. Ha esperienza nella gestione della classe plurietnica e plurilivello, ma non conosce necessariamente la L1 e la cultura d’origine degli alunni presenti nel laboratorio e non ha competenze interculturali.

4 La seguente sezione si basa in parte sulla sintesi di Ceccagno (a cura di) 2003.

5 Il progetto è stato finanziato all’interno dell’obiettivo 3, misura C2 (Prevenzione della dispersione scolastica). Partner del progetto sono stati l’Istituto comprensivo “Convenevole da Prato”, l’Istituto comprensivo “Marco Polo”, la Scuola Media Statale “Mazzoni-Cironi”, il Centro Territoriale Permanente (CTP), il Liceo scientifico “C. Livi”, l’Istituto professionale “F:Datini”. Il progetto ha inoltre avuto il sostegno di Unione Industriale di Prato, CGIL e CISL di Prato.

6 Vari studi (Cummins & Mulchay 1978; Duncan & de Avila 1979; Kessler & Quinn 1982; Dawe 1982, 1983; Clarkson 1992) hanno suggerito i vantaggi cognitivi di un bilinguismo bilanciato. La Thresholds Theory, postulata da Toukomaa & Skutnabb-Kangas (1977) e da Cummins (1976), spiega a quale livello di competenza linguistica in L1 e L2 il bambino può avere effetti negativi, neutri o positivi sulla sua cognitività. Secondo tale teoria, ogni soglia costituisce un livello di competenza linguistica che ha conseguenze sul bambino. Quando si verifica un basso livello di competenza in entrambe le lingue, ci possono essere effetti cognitivi negativi. Ad una soglia intermedia, caratterizzata da una age-appropriated competence in una lingua solamente, gli effetti cognitivi sono praticamente nulli. Quando, infine, il bambino ha raggiunto un bilinguismo bilanciato, può avere dei vantaggi cognitivi rispetto ai monolingui. Baker 1996: 148-151.

 

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