Febbraio 2009  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
La prospettiva "co-culturale" e "co-azionale" nella glottodidattica complessa. A colloquio con Christian Puren di Manuela Derosas

Christian Puren, professore di scienze del linguaggio all’Université Jean-Monnet (Saint-Étienne, Francia) e all’Université de Tallinn (Estonia), direttore del CEDICLEC (Centre d'Études en Didactique Comparée des Langues et des Cultures) dell’Université Jean-Monnet, è un riconosciuto teorico della glottodidattica francese e internazionale. Ha contribuito con estremo rigore scientifico alla riflessione epistemologica nella nostra disciplina. Sebbene risulti difficile riassumere il suo pensiero e le sue numerose proposte, permeate di una profonda riflessione filosofica, tuttavia riteniamo che uno dei suoi più importanti contributi sia l’analisi della glottodidattica come scienza complessa che affronta in uno dei suoi testi più importanti: “La didactique des langues étrangères à la croisée des méhodes. Essai sur l'éclectisme” (1994). Partendo dal pensiero complesso di Edgar Morin e dall’eclettismo del filosofo Victor Cousin, analizza la situazione attuale della glottodidattica, nella quale si osserva una “moltiplicazione, diversificazione, variazione dei modi di insegnamento/apprendimento” che situano la nostra disciplina in un “incrocio di metodi”, come recita il titolo del testo appena citato. È all’interno di questa didattica complessa che ha senso collocare un’altra delle sue importanti riflessioni concernenti la problematica culturale in glottodidattica. Come vedremo nell’intervista che proponiamo di seguito, la prospettiva orientata all’azione presente nel QCER costituirebbe –secondo lo studioso- un superamento della stessa prospettiva elaborata dall’approccio comunicativo, e in tal senso Puren introduce quella che lui denomina prospettiva “co-culturale” e “co-azionale”.

 

L’INTERVISTA

 

Come si potrebbe definire in poche parole il concetto di didattica complessa?

Difficile da riassumere… quello che posso tentare di fare è un'approssimazione: una didattica complessa è una didattica in cui emerge come tema centrale quello della complessità del processo di apprendimento-insegnamento, le caratteristiche della situazione classe ne fanno un dominio complesso: diversità, contraddizione interna, eterogeneità, variabilità, instabilità degli elementi, impossibilità di osservarli in modo totalmente oggettivo (l’osservatore modifica gli elementi per il solo fatto di osservarli).

Possiamo parlare di complessità anche nel senso di pratiche eterogenee e coesistenza nell'aula di pratiche che teoricamente sembrerebbero superate?

Certamente. Osservare una classe, a partire da una concezione complessa della metodologia, significa trovare elementi “decantati”, giustapposizione di elementi eterogenei in quanto a metodologie; qui non ha senso cercare la “coerenza” del professore, perché per gestire un elemento complesso come è la classe bisogna necessariamente agire in modo complesso, fare una cosa in un certo modo in un momento e in un altro momento utilizzare un metodo opposto (contraddizione metodologica). È proprio su questo punto che critico all'approccio comunicativo il suo concetto di centramento sull'apprendente: complessità significa che per insegnare occorre focalizzarsi costantemente su elementi diversi, a volte sull'alunno, altre sul gruppo, altre sul materiale didattico, o ancora sulle esigenze istituzionali o sullo stesso insegnante. Insomma, detto schematicamente, una classe è un insieme di “elementi” diversi, per cui un insegnante non si può focalizzare solo sull'alunno, sarebbe impossibile! Ecco un altro elemento della complessità: focalizzazioni molteplici, impossibili da prevedere in anticipo (la necessità della “gestione in tempo reale” della classe congiunta alla complessità della pratica docente).

In effetti, in alcune occasioni, il concetto di centralità dell'apprendente diventa un po’ una retorica vuota di significato preciso...

Certo è una retorica se ci si vuole focalizzare solo e unicamente sull'apprendente; è lo stesso errore che si commetteva quando si considerava il professore come centro della lezione: la focalizzazione unica, su un solo elemento, sia esso l'alunno o un altro, è un errore poiché non permette di riconoscere e di cogliere la complessità della realtà classe, che richiede focalizzazioni multiple.

Una didattica complessa è anche una "didattica cosciente", intendo dire che l'eterogeneità metodologica di cui parlava lei non deve essere confusa con un “miscuglio” casuale e non cosciente di metodologie diverse…

Certamente. Uno degli elementi della complessità è l'evoluzione permanente, in altre parole una didattica complessa non si basa su automatismi e fossilizzazioni. L'insegnante, nel momento dell'atto didattico, osserva gli effetti del suo insegnamento sull'apprendimento per modificare l'insegnamento, secondo un meccanismo ricorsivo1, che è poi l'unico modo per cogliere le contraddizioni che stanno al centro della complessità, e implica passare da un elemento a un altro e a un altro ancora, da una metodologia ad un’altra.

La gestione delle contraddizioni richiede metacognizione, vale a dire coscienza permanente. Pensiamo alla pedagogia del progetto: mentre il procedimento è predeterminato, al contrario il progetto si inventa mentre e in funzione di come si sta mettendo in atto e serve proprio per gestire la complessità; il progetto è flessibile e implica agire, osservare e valutare l'azione allo stesso tempo in cui l'azione si produce.

La metacognizione ha però un costo cognitivo molto alto: questa riflessione permanente del professore mentre sta agendo suppone che ci siano anche degli automatismi, perché non si può riflettere su tutto contemporaneamente in tempo reale. Ci troviamo di fronte ad un antagonismo: gli automatismi sono necessari per la metacognizione e per la gestione in tempo reale della classe, per l'adattamento costante. Gli automatismi sono al contempo contrari e complementari alla meta cognizione: è perché funzioniamo in certi momenti a regime automatico che “economizziamo” l’energia cognitiva per osservare i risultati dei nostri atti automatizzati o per gestire problematiche di alto livello (per esempio, prevedere ciò che stiamo per fare).

Seguendo l’idea generale della sociologia della scienza possiamo dire, in modo un po’ semplicistico, che la società influenza la scienza e che, viceversa, questa ultima ha un impatto su e propone una certa visione di società. Quali contributi può offrire la scienza della glottodidattica alle società attuali complesse?

Imparare una lingua vuol dire confrontarsi costantemente con la contraddizione, la variabilità (pensiamo ai concetti di interlingua e intercultura). Il campo dell'apprendimento di una linguacultura straniera, in quanto campo complesso, obbliga a un avvicinamento alla complessità della vita e della società reale; secondo me è un buon "allenamento" alla complessità della vita quotidiana nelle imprese e nella società. Insegnare una lingua non significa unicamente dare uno strumento di comunicazione e di azione future (mi riferisco al momento in cui l'apprendente si troverà nel suo ambito di lavoro), ma é un campo di formazione professionale come tale: un apprendente nella classe di lingua, intesa come l'abbiamo intesa ora, mette in campo o sviluppa delle competenze che sono le stesse che dovrà porre in atto nel suo ambito di lavoro e più in generale nella società.

Capire la complessità della glottodidattica attuale vuol dire osservare anche come due processi importanti, mondializzazione e individualizzazione, si riflettono nella nostra disciplina. Questo era anche l’invito presente nel bando2 del colloquio internazionale, svoltosi recentemente (8-10 maggio) all’Università di Tallin in Estonia…

Il fenomeno dell'individualizzazione inizia mezzo secolo fa, per lo meno per il francese LS, con il tema della centramento sull'apprendente che appare negli anni '70, anche se ora, probabilmente, si sta acutizzando. Neppure quello di mondializzazione è un concetto nuovo; in certe aree ora si stanno osservando persino processi di "de-mondializzazione". Il periodo delle metodologie che io chiamo costituite (come il metodo audio-orale americano o audio-visuale francese), cioè di quelle metodologie a pretesa universalistica, che erano esportate e applicate nella loro interezza, rivelava un processo di mondializzazione. Attualmente, invece, in glottodidattica l'idea di ricostituire una metodologia universale non è più un tema di moda; al contrario, si insiste su metodologie adatte ai e in funzione dei diversi ambiti e delle diverse culture di insegnamento-apprendimento. C'è sempre un doppio movimento di mondializzazione e individualizzazione, la mondializzazione va creando nuove specificità, peculiarità.

Facciamo un esempio per quanto riguarda la metodologia del professore, pensiamo all'uso del testo autentico. Con l'accesso ad internet il professore ha a disposizione una mole di documenti autentici, possiamo quindi affermare che internet è un supporto della mondializzazione (possiamo parlare di mondializzazione per quanto riguarda l’accesso all’informazione); questo, d'altra parte, è anche ciò che permette al professore di non dipendere dal libro, ma di scegliere quello che gli è utile rispetto al suo contesto, quello che gli interessa nella massa enorme di questi documenti disponibili, quindi ciò fomenta un processo di individualizzazione, in funzione delle diverse culture di insegnamento e apprendimento.

Io credo anche che il processo di individualizzazione debba avere un "correttivo": siamo arrivati al limite dell’individualizzazione, al limite delle possibilità in quanto a strategie individuali di apprendimento e ora fa ritorno, nuovamente, il tema della responsabilità dell'insegnante di fronte al tutto il gruppo degli alunni ed anche della responsabilità di ogni studente di fronte a tutti gli altri studenti con la coscienza di essere attore sociale (in quanto apprendente nel gruppo di apprendenti in cui uno si trova). Questo è un processo inverso a quello di individualizzazione: il professore riconosce e lascia certa libertà rispetto a strategie di apprendimento di ogni alunno ma è questa stessa liberta che permette al gruppo di alunni di costituirsi come gruppo responsabile, cioè la costituzione di un gruppo responsabile suppone, paradossalmente, la libertà individuale. Sono sempre due processi "legati": i filosofi e i sociologi li definiscono "antagonisti", cioè allo stesso tempo opposti e complementari. Jacques Demorgon, un sociologo con cui lavoro molto, pone molta enfasi su questo processo: secondo lui, non è vero che con internet l’individuo si chiude totalmente nel suo piccolo mondo. Se è vero, da un lato, che naviga nella rete individualmente, da un altro punto di vista questo stesso strumento gli permette di connettersi con tanta gente che altrimenti non avrebbe conosciuto.

La problematica culturale nella storia della glottodidattica è un altro tema che ci riporta alla complessità da lei appena descritta, come compresenza di elementi eterogenei. Vorrei dunque passare all’analisi della problematica culturale in generale per poi arrivare allo specifico della sua proposta. Pertanto le chiederei di farci una sintesi del percorso che ha interessato il concetto di cultura in glottodidattica.

È difficile sintetizzare questa problematica. Possiamo, però, iniziare affermando che per capire la problematica della cultura nella storia della glottodidattica bisogna anzitutto chiarire di che cultura stiamo parlando. La cultura non ha sempre avuto la stessa importanza. Nella metodologia tradizionale (l'approccio grammatico-traduttivo) la cultura era centrale, ma era una cultura in qualche modo transculturale, era cioè l'insieme dei valori umanistici che si supponeva condividere con gli autori dell'antichità greco-latina, della letteratura classica. Nel metodo audio-orale americano e in quello audio-visuale francese si faceva completamente a un lato la problematica culturale: si considerava che gli apprendenti dovessero dominare prima di tutto la lingua comune, quella della vita quotidiana, non si affrontavano come tali le specificità culturali della cultura straniera. Solo in un secondo tempo con i testi autentici si affrontava il tema della cultura specifica che corrispondeva alla lingua straniera. Io distinguo cinque momenti nell’evoluzione storica della problematica culturale all’interno della glottodidattica che corrispondono a:

- la componente transculturale: quella che sottende l'umanismo classico, riguarda i valori universali;

- la componente metaculturale: quella che concerne la conoscenza delle specificità culturali della cultura di cui si studia la lingua;

- la componente interculturale, che concerne principalmente le rappresentazioni;

- la componente multiculturale, quella che concerne i comportamenti;

- la componente che chiamo co-culturale, che riguarda le concezioni ma anche le finalità e i valori contestuali condivisi da e al fine dell'azione comune.

La particolarità è che, attualmente, accanto a una compresenza di tutte queste componenti nell'insegnamento, sta apparendo di nuovo per lo meno in Francia -ma credo che sia estendibile anche ad altri paesi- la componente transculturale: in molti manuali, incluso per principianti, si affrontano temi quali l'ecologia, l'ambiente, il commercio equo, ecc.

Nell'articolo “Perspectives actionelles et perspectives culturelles en didactique des langues-cultures: vers une perspective co-actionelle co-culturelle” sostiene l’idea che la nuova prospettiva orientata all’azione proposta nel Quadro Comune Europeo costituisce un superamento della stessa prospettiva presente nell’approccio comunicativo, perciò lei parla di prospettiva “co-culturale” e “co-azionale”. Qual è il significato di questi due termini?

Io faccio una differenza fra il prefisso "inter" e il prefisso "co-". Cominciamo, per esempio, da inter-azione e co-azione. Il concetto centrale nell'approccio comunicativo in quanto a interazione linguistica è essenzialmente quello della trasmissione di informazioni e dell’azione di uno su un altro per mezzo delle cosiddette funzioni linguistiche che si realizzano con gli atti comunicativi. L'acte de parole in francese (per esempio: ringraziare, salutare, ecc.) costituisce un modo di agire sull’interlocutore. L’interazione è l’attuare fra due persone, ciò che avviene nell'azione quando due persone stanno comunicando. La co-azione non è un concetto linguistico ma un concetto sociale, come si osserva nella nozione di "attore sociale" del Quadro Comune, è azione sociale “realizzata” insieme, cioè c'è un obiettivo comune che è un obiettivo sociale e le persone agiscono insieme; non è più azione di uno su un altro o semplice intercambio di informazioni, ma un’azione comune sull'informazione e per l'informazione. L'approccio comunicativo si interessa solamente a una parte molto ridotta del trattamento dell’informazione che è la comunicazione, ma non si preoccupa dell’uso e dell’effetto sociale dell’informazione. Nell’interazione comunicativa l’attenzione si concentra unicamente nel trasferimento di informazioni, mentre nella prospettiva orientata all'azione si deve necessariamente considerare la totalità delle attività o azioni possibili sull’informazione (per esempio, cercare l’informazione, trovare l'informazione di cui ancora non si dispone, selezionare l’informazione, seguire l’informazione, per vedere se l’altro ha capito esattamente) e agire con l’informazione condivisa: azione sull’informazione e a partire dall’informazione condivisa. In questo senso la co-azione è molto più complessa dell’interazione comunicativa: perché non si tratta solo del trasferimento dell’informazione, secondo il modello noto emissore-ricevente-messaggio, ma di produrre, a partire da un’informazione condivisa, azioni comuni con una finalità collettiva; dunque, non più agire sull’interlocutore ma agire con l’interlocutore. Questo co-agire, questo “agire insieme” richiede l’elaborazione di una cultura d’azione comune intesa come insieme coerente di concezioni condivise. Questo è l’obiettivo di ciò che io chiamo prospettiva co-culturale.

Cosa implica la visione, da lei menzionata pocanzi, di apprendente di lingua come “attore sociale”?

Questo dipende da chi sia lo studente, come si collochi nella società in cui si trova e in quella in cui voglia, eventualmente, integrarsi con la padronanza della nuova lingua. Se parliamo, per esempio, di alunni dell'insegnamento scolastico è chiaro che il concetto della formazione dell'attore sociale equivale alla riattivazione della pedagogia del progetto (inteso nel suo valore formativo di processo), la formazione dell'alunno come cittadino, come attore sociale responsabile. Bisogna differenziare le implicazioni in aula e quelle nella società in cui si proietta l'apprendente, sono due cose differenti. Per quanto riguarda il lavoro in aula, una delle implicazioni più importanti dell'approccio orientato all'azione rispetto a quello comunicativo è il recupero del valore della classe. Intendo dire che mentre nell’approccio comunicativo il modello di lavoro di riferimento era il lavoro in coppia, nella prospettiva orientata all'azione il modello è la totalità del gruppo, la classe come ambiente sociale totale. Ciò non vuol dire che non ci sia il lavoro individuale o a coppie, ma sempre finalizzato e in relazione all'obiettivo che è il lavoro comune, globale, della totalità del gruppo. Questa mi sembra una differenza essenziale, cioè il primo attore sociale è il gruppo degli apprendenti che “agiscono” nel loro ambiente di apprendimento che è la classe. La classe come tale è il primo ambiente sociale e il primo attore sociale è l'apprendente insieme agli altri compagni e al professore all'interno di un progetto comune che è l'insegnamento-apprendimento di una lingua straniera.

L'ambiente classe nell'approccio comunicativo era considerato fittizio, nel senso che la situazione di riferimento ideale era la situazione extrascolastica; da qui la forte insistenza sulla simulazione, tecnica di base in questo approccio, per creare artificialmente in classe situazioni di interazione linguistica fra gli studenti come se avvenissero nella società reale. Invece, nella prospettiva orientata all'azione la classe viene riscoperta e recupera il suo valore microsociale: la classe è una società in cui si preparano gli studenti a vivere nella società esterna alla classe, ma allo stesso tempo l'aula costituisce una società di pieno diritto, una microsocietà. C'è un’omologia tra ambiente scolastico e sociale, che era completamente assente nell’approccio comunicativo. La classe di lingua rappresenta un quadro co-azionale e co-culturale, poiché l’insegnante e gli studenti realizzano un’azione comune -l’apprendimento-insegnamento di una linguacultura- e per realizzarla devono partire da una base minima di concezioni condivise.

Un’altra conseguenza importante riguarda il ruolo del docente. Se nell'approccio comunicativo il professore nativo generava il modello, perché era come una parte della vera società straniera che stava lì in classe e che codificava, in qualche modo, questo sforzo di simulazione ed era la garanzia dell’autenticità di questa situazione, è chiaro che con la prospettiva orientata all'azione il suo statuto risulta ridimensionato e invece acquista peso il professore non nativo che appartiene alla stessa cultura scolastica degli studenti. Il professore nativo lo è in quanto nativo della lingua, ma non lo è per quanto riguarda la cultura scolastica di quella classe come microsocietà.

Ovviamente, in una prospettiva orientata all’azione, acquistano grande peso tutte le esperienze, precedentemente elaborate, di apprendimento cooperativo perché implementano abilità di tipo sociale...

Sì! Tutte le proposte dell’apprendimento cooperativo, l’apprendimento tandem per esempio, tutte le forme di collaborazione, si possono riutilizzare e reimpiegare nella prospettiva orientata all'azione, insomma tutto ciò che implica responsabilità comune in quanto ad azione sull’informazione e azione comune con l'informazione, una volta condivisa l'informazione.

Uno dei modelli d’analisi principali della glottodidattica, all’interno della sua intensa riflessione teorica, è quello “oggetto-soggetto”, in che modo questo modello può servire come base d’analisi per la problematica culturale?

Riprendo l’idea di progetto, che, come abbiamo visto, è incluso nella prospettiva orientata all'azione. Da un punto di vista epistemologico, la nozione stessa di progetto, in realtà, permette di superare l'opposizione soggetto-oggetto, nel senso che il progetto si basa sul valore formativo di un processo permanente di modificazione dell’oggetto da parte del soggetto e di adattamento del soggetto all’oggetto modificato da lui stesso. In altre parole, il progetto è un processo rivolto all’azione in cui il soggetto va elaborando il suo oggetto ma, a sua volta, secondo un principio ricorsivo, il soggetto si adatta alla realtà e agli oggetti che sta manipolando...

Comunque dal punto di vista storico, possiamo dire che negli ultimi 50 anni il passaggio da una prospettiva basata sull'oggetto a una basata sul soggetto ha riguardato tanto il dominio della lingua come quello della cultura. Per esempio si è passati dalla concezione oggettiva della lingua come “struttura” (si veda la linguistica strutturale) a quella soggettiva dell'interlingua (la lingua provvisoria, personale che si crea nella mente di ogni apprendente di lingua). Lo stesso fenomeno ha riguardato la cultura: si è passati da una concezione di cultura come “sistema”, come oggetto di conoscenza (l’insegnamento della "civiltà". Si considerava che ci fossero realtà culturali che il professore poteva trasmette agli alunni, che le poteva insegnare come faceva con l’oggetto-lingua) alla nozione di intercultura, cioè l’insieme delle rappresentazioni che l’apprendente ha in mente della cultura straniera. Nella nozione di co-cultura, che è proprio la nuova cultura generata ed elaborata insieme per realizzare un progetto, per co-agire, appare invece una cultura nuova che è la cultura dell’azione comune: una co-cultura è l'insieme delle concezioni condivise che determinati attori si creano e/o accettano in vista di un’azione congiunta in un ambito sociale determinato (si pensi ai concetti di “cultura scolastica” o “cultura d’impresa”…) al fine di un'azione condivisa. Non siamo più cioè al livello delle sole rappresentazioni, ma delle concezioni dell'azione. Non siamo più nell’opposizione oggetto-soggetto, ma nel superamento di questa opposizione.

 

CONCLUSIONE

La prospettiva “co-azionale” e “co-culturale” proposta da Puren nell’ambito di una glottodidattica intesa come scienza complessa ci sembra una proposta estremamente interessante. Ma ci sembra importante ricordare che, all’interno di una metodologia complessa come l’autore l’ha definita in questa intervista, questa prospettiva coesiste insieme alle altre componenti culturali: essere culturalmente competenti significa, secondo Puren (2009 a: 19), “crearsi una cultura d’azione condivisa (componente co-culturale della competenza culturale), ma anche condividere valori e finalità (componente transculturale), conoscere in profondità la cultura dell’altro (componente multiculturale), aver preso distanza rispetto alla propria cultura e prestare attenzione alle incomprensioni e alle interpretazioni sbagliate di una cultura rispetto a un’altra (componente interculturale), accordarsi, infine, su comportamenti considerati accettabili da tutti (componente multiculturale)”. Pertanto questa prospettiva, come lui stesso afferma (2002:12), “deve essere considerata a partire da una logica opposta a quella prevalsa finora in glottodidattica, non più lineare, ma ricorsiva, non più esclusiva, ma integrativa”.

 

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA PER APPROFONDIRE I TEMI TRATTATI NELL’INTERVISTA:

 

Puren C., 1994, La didactique des langues étrangères à la croisée des methodes. Essai sur lécletisme. Paris, Didier.

 

  • 1994, "Quelques remarques sur l'évolution des conceptions formatives en FLE de 1925 à 1975", Etudes de linguistique appliquée n° 95: 13-23.

 

  • 1995, "La problématique de la centration sur l'apprenant en contexte scolaire", Etudes de linguistique appliquée n° 100: 129-149.

 

  • 1997, "Concepts et conceptualisation en didactique des langues: pour une épistémologie disciplinaire", Etudes de linguistique appliquée n° 105: 111-125.

 

  • 1998, "Perspective objet et perspective sujet en didactique des langues-cultures", ÉLA revue de didactologie des langues-cultures n° 109: 9-37. Disponibile nel sito: www.tlu.ee/colloque2008

 

 

 

  • 2009 a, "Variations sur le thème de l'agir social en didactique des langues-cultures étrangères ". Disponibile da gennaio 2009 nel sito:

http://www.aplv-languesmodernes.org/spip.php?article1888

 

 

 

 

 

1 Puren (1994: 143) definisce come ricorsivo un principio dove “il prodotto e gli effetti sono allo stesso tempo cause e produttori di ciò che li produce”.

 

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