Febbraio 2008  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Italiani o neozelandesi? Sentimenti di appartenenza dei figli di italiani della comunità di Wellington di Giovanna Coccaro Miranda

ABSTRACT

Nell’ambito di una ricerca che ho svolto tra il 1999 e il 2003 su un campione di 50 persone appartenenti alla seconda generazione di italiani della comunità italiana di Wellington, Nuova Zelanda ho voluto scoprire, tramite lo strumento delle interviste, il senso di appartenenza di questi soggetti. Ho voluto capire come si sentono visto che vivono tra due culture quella italiana dei loro genitori e quella neozelandese che ha accolto loro e i loro genitori. Come si considerano, italiani o neozelandesi? In che cosa si sentono italiani? Dopo aver precisato alcune caratteristiche socio-demografiche e linguistiche del campione e dopo aver specificato la metodologia applicata risponderemo a questi quesiti riprendendo le parole stesse dei soggetti che, gentilmente, hanno voluto descriverci i loro sentimenti di appartenenza.

1. DESCRIZIONE DEL CAMPIONE E DELLA METODOLOGIA APPLICATA
50 persone, 26 donne e 24 uomini hanno partecipato a quest’indagine. Al momento dell’indagine avevano un’età compresa tra i 20 e i 60 anni. Tutti erano residenti nella regione di Wellington e hanno almeno un genitore di origine italiana. Per ciò che riguarda la regione di provenienza dei loro genitori si può dire che la metà del campione ha un genitore che proviene dalla regione Campania e più particolarmente da Massalubrense, Sorrento, Marina di Puolo e Capri, gli altri provengono dalla Sicilia e da altre regioni d’Italia (Veneto, Basilicata, Friuli e Molise…). 34 soggetti sono sposati, 12 sono scapoli/nubili e 4 sono separati. Ci sembra utile precisare che tra i soggetti dell’indagine 42 sono già stati almeno una volta in Italia e 8 non ci sono mai stati.
1 Infine per quanto riguarda le competenze linguistiche dei soggetti possiamo affermare che parlano e capiscono meglio il dialetto dell’italiano. Infatti, dall’autovalutazione delle competenze linguistiche in italiano e in dialetto dei soggetti è stato rilevato che la competenza massima più frequente è quella del dialetto.2

Sono state realizzate 50 interviste e la durata media di ognuna è stata di 35 minuti; ciò significa che abbiamo ottenuto una raccolta di materiali per una durata complessiva di 25 ore circa. Durante le interviste io avevo deciso di usare dall’inizio la lingua italiana lasciando poi ai soggetti la decisione di rispondere in italiano, dialetto o inglese. Se consideriamo le varie lingue usate dall’intervistatrice notiamo che nella maggioranza dei casi è stata usata la lingua italiana. Infatti, ho parlato italiano con la maggioranza dei soggetti (con 38 soggetti ossia col 76% del totale) mentre 12 soggetti su 50 (il 24%) ha preferito che io parlassi inglese. Nessun soggetto mi ha chiesto di condurre l’intervista in dialetto. Per ciò che riguarda la lingua usata dai partecipanti possiamo dire che l’italiano, il dialetto e l’inglese sono stati usati dai soggetti con la stessa frequenza durante le interviste. Infatti, 12 soggetti mi hanno risposto in italiano, 13 hanno parlato in dialetto, 13 soggetti mi hanno capito in italiano ma mi hanno risposto in inglese e 12 soggetti hanno preferito che io parlassi inglese e mi hanno parlato solo in inglese.

Per quanto riguarda il metodo usato per l’analisi delle interviste abbiamo proceduto anzitutto riascoltando per intero tutte le interviste e poi trascrivendo per intero soltanto le parti più importanti allo scopo di questo articolo. Per scoprire i loro sentimenti di appartenenza abbiamo posto le stesse domande a tutti i partecipanti, cercando il più possibile di porle nell’ultima parte dell’intervista. Porre esattamente le stesse domande ha facilitato senz’altro l’analisi delle risposte ma dobbiamo però dire che i soggetti hanno risposto con una prolissità variabile: alcuni sono stati molto disposti a discutere e a spiegare i loro sentimenti, altri invece non hanno avuto lo stesso interesse e magari hanno risposto più velocemente alle domande.

Per ciò che riguarda le convenzioni usate per la trascrizione delle parole dei soggetti e visto che non sono pertinenti qui aspetti fonetici, ho fatto la trascrizione secondo l’ortografia dell’italiano, con alcune eccezioni dove si poteva facilmente rendere qualcosa della pronuncia fortemente marcata dei soggetti. Ho introdotto, per facilitare la comprensione, le convenzioni della punteggiatura applicate alla lingua scritta. Sono rimasta fedele alle parole dette ed i testi riproducono testualmente le parole dei soggetti. Normalmente ho tentato di non omettere frasi da un intervento trascritto ma di presentare brevi brani completi; quando una o più frasi sono omesse l’ho indicato mettendo parentesi quadre. Ogni pausa viene indicata con 3 punti. Ho voluto dare una traduzione italiana dei commenti dei soggetti detti in inglese in un italiano che rispetti abbastanza fedelmente le parole dei soggetti senza voler cambiare il registro.

 

2. I SENTIMENTI DI APPARTENENZA

In maniera diretta e concisa abbiamo chiesto ad ogni soggetto di spiegare prima qual è il loro senso di appartenenza, come si sentono: neozelandesi, italiani, italo-neozelandesi o altro e in un secondo tempo di spiegare in che cosa si sentono italiano/a. Per analizzare il senso di appartenenza dei soggetti abbiamo riascoltato le loro risposte e le abbiamo raggruppate secondo il sesso in quattro categorie: neozelandese, italiano/a, italo-neozelandese e incerto/a. La categoria incerto/a comprende quei soggetti che non hanno potuto rispondere alla domanda in maniera precisa e che non hanno espresso di appartenere a nessuna delle altre categorie.
 

Dalla tabella 2.1 notiamo che quasi la metà dei soggetti ha risposto di sentirsi italo-neozelandese (24 soggetti su 50) e tra questi sono leggermente più numerose le donne. Osservando le categorie neozelandese e italiano/a notiamo che i due gruppi sono equilibrati per quanto riguarda il numero (entrambi comprendono 9 soggetti) ma si differenziano per il fatto che i soggetti che si sentono neozelandesi sono quasi esclusivamente uomini (8 maschi su 9 soggetti) e i soggetti che si sentono italiani sono soprattutto donne (7 donne su 9 soggetti). Nella categoria indeciso/a (che contiene 8 soggetti) ritroviamo esattamente la stessa proporzione di uomini di donne.

 


Come ti senti?

Sesso

Totale

%

 

F

M

 

 

Neozelandese

1

8

9

18%

Italiano/a

7

2

9

18%

Italo-neozelandese

14

10

24

48%

Incerto/a

4

4

8

16%

Totale

26

24

50

100%

Tab. 2.1: Come ti senti? Secondo il sesso dei soggetti


 

Per quanto riguarda la seconda domanda posta ai soggetti — In che cosa ti senti italiano/a — abbiamo proceduto all’analisi rileggendo le trascrizioni delle loro risposte ed evidenziando quei termini o concetti che si ripetevano più volte. Abbiamo così individuato le parole e i concetti chiave ricorrenti, li abbiamo contati ed inseriti in ordine di maggiore frequenza nella tabella 2. 2
Osservando questa tabella notiamo che:

i soggetti si sentono italiani soprattutto per il grande valore che danno alla famiglia. Hanno dichiarato di nutrire legami affettivi molto forti verso la loro famiglia. Questo concetto è stato citato 21 volte dai soggetti. I soggetti sono molto legati ai genitori, alcuni hanno specificato di abitare vicino a loro e di prendersi cura di loro. Durante le interviste, 17 soggetti (11 donne e 6 uomini) hanno di loro iniziativa precisato il fatto di avere lasciato la casa dei genitori soltanto al momento del loro matrimonio perché non sentivano la necessità di andare a vivere da soli. Tra questi, 8 soggetti hanno specificato di essere rimasti fino a tarda età a casa dei genitori perché si trovavano bene con loro;

dopo il forte legame con la famiglia, i soggetti si sentono italiani perché hanno mantenuto le abitudini alimentari italiane, continuano a mangiare cibo italiano. Diversi soggetti hanno detto di mangiare italiano tutti i giorni. Spesso durante le interviste i soggetti hanno sottolineato il fatto che la loro dieta alimentare si differenzia nettamente da quella neozelandese che è simile a quella inglese. Affermano di usare ingredienti molto italiani come il pomodoro, l’olio di oliva, la pasta e il basilico. Alcuni soggetti hanno sottolineato il fatto che i loro genitori preparano in casa alcuni prodotti italiani tipici come la mozzarella, la ricotta, le bottiglie di salsa di pomodoro da usare d’inverno, le conserve di carciofi, melanzane e peperoni sott’olio, dolci vari come le zeppole, gli struffoli, la pizza alla crema (pan di Spagna ripieno di crema) e i cannoli alla Siciliana;

11 soggetti hanno dichiarato di sentirsi italiani perché hanno certi modi di fare che li distinguono dai neozelandesi. Il modo in cui fanno le cose di tutti i giorni, il loro atteggiamento in generale, il modo in cui si occupano dei figli e li educano, il loro modo di pensare in generale, il modo che hanno di comportarsi con gli altri. Una giovane donna mi ha raccontato di sentirsi italiana perché agisce in certe occasioni diversamente dalle sue coetanee neozelandesi; mi ha spiegato per esempio che a differenza delle sue cognate neozelandesi, lei non va mai a fare visita ad una persona senza portarle qualcosa e dopo aver mangiato a casa di qualcuno aiuta sempre a sparecchiare e a lavare i piatti. Un uomo mi ha detto di sentirsi italiano nell’impegno che mette ogni giorno nel suo lavoro. Una donna mi ha detto di sentirsi italiana nel gusto che ha nel decorare la propria casa;

• 5 soggetti hanno menzionato il fatto che avere un nome e un cognome italiano li fa sentire italiani e li differenzia in un certo senso dagli altri. Il modo di vestire raffinato e curato, l’educazione che hanno ricevuto dai genitori e il mantenimento delle tradizioni sono concetti citati più volte dai soggetti e contribuiscono anche questi a farli sentire italiani;

• infine notiamo che la lingua e la religione sono state citate soltanto due volte ciascuna dai soggetti. Soltanto 2 soggetti su 50 hanno detto di sentirsi italiani perché parlano la lingua italiana. Sembrerebbe dunque che per il nostro campione la capacità di esprimersi in italiano (e qui si intende italiano e/o dialetto) non sia un elemento importante, determinante per la loro ‘italianità’. La lingua non rappresenterebbe per i soggetti di seconda generazione italiana di Wellington a core value3, un valore essenziale per sentirsi italiani.

I soggetti si sentono italiani soprattutto per la grande importanza che danno alla famiglia, ai legami affettivi familiari e per il mantenimento delle abitudini alimentari e i modi di fare italiani che gli sono stati tramandati dai genitori e che loro coscientemente sentono di dovere e volere trasmettere ai propri figli.

 


In che cosa ti senti italiano/a?

F

M

Totale

I legami con la famiglia

12

9

21

La cucina italiana

8

9

17

I modi di fare

5

6

11

Il nome, il cognome

2

3

5

Il modo di vestire

4

1

5

L’educazione

4

1

5

Le tradizioni

3

2

5

Il fisico italiano

2

2

4

La lingua

2

-

2

La religione

2

-

2

Tab. 2.2 In che cosa ti senti italiano/a? Secondo il sesso dei soggetti


Proponiamo adesso varie trascrizioni delle parole dei soggetti che illustrano le categorie da noi individuate nella tabella 2.1. Presenteremo prima alcuni brani dei soggetti che si sentono neozelandesi, a questi seguiranno i commenti di chi si sente italiano/a, italo-neozelandese e infine di chi è incerto/a per quanto riguarda il proprio sentimento di appartenenza.

2.1 SI SENTE NEOZELANDESE

Si sente neozelandese anzitutto, ma riconosce anche il retaggio italiano:
 

I am a Kiwi. Always a Kiwi but very proud of my Italian background. I love Italian shoes, Italian fashion, Italian food, I love everything Italian but I am always a Kiwi. That’s the way I was born.4 (Uomo di 39 anni).

Neozelandese. Sono nata qui e mi piace la Nuova Zelanda. Mi piace la vacanza in Italia per due o tre mesi ma niente più. (Donna di 35 anni).

I am more of a New Zealander, I think I’d like to develop the Italian part if I could, but it’s really not important at the moment, at this stage.5(Uomo di 39 anni).

I’m New Zealander, but I mean I like the English way cause I’m born here but I’ve got all that Italian culture behind me you know you have. I like the Italian food and that... 6 (Uomo di 45 anni).

I’m a New Zealander but I have an Italian heritage. I think really to be an Italian I would have to live in Italy or live as an Italian here like in an Italian community where Italian is the main language. I don't really have much contact with Italian people so... basically I’m a New Zealander. 7 (Uomo di 37 anni).

2.2 SI SENTE SOPRATTUTTO ITALIANO/A

Mi sento che sono italiana... come mi vesto, lo stile è italiano e anche come ho la cucina a casa è italiana. L’olio è l’olio di oliva. Sono cose che erano così a casa e lo porti fuori. Basilico. Pomodori. Quando mi vesto, l’uso dei colori è italiano. A settembre quando siamo stati in Italia, io mi sentiva italiana come mi sono vestita. Sembravo come tutte le altre. Quando siamo arrivati a Parigi era differente e mi guardavano perché non ero vestita come loro. E l’ho visto perché mi guardavano. Sì, mi guardavano. (Donna di 40 anni).
 

O’ sangue mio è ciente pe’ ciente italiano. Non mezzo nuovazelandese. Io sono italiano. Sempre. Faccio tutto cume nu neozelandese ma penzo sempre che songo italiano. (Uomo di 50 anni).

I was not born here and I don‘t think of myself as a Kiwi and I say to my kids: - You are half Italian and half English - and they say to me: - No, we are Kiwi cause we are born in New Zealand - . But, I’m not a Kiwi, I am Italian cause I was born over there even though I was only 18 months when I came here. I always, always think of myself as Italian. 8 (Donna di 48 anni).

Mi sento italiano ma quanne steve a Italia dicevano chiste è da Nuova Zelanda e quando stongo qua dicono che songo italiano... Sentene u’ nome e dicono: - Si greco o italiano? E in Italia me chiamano l’inglese o l’americano... (Uomo di 25 anni).

It’s just the general way we approach things, the general attitude even to the disciplines, to the morals, to the church beliefs, everything really. I think it’s just the up-bringing, Giovanna. We had very strict up bringing. [...] I regard myself more Italian than New Zealander. Just the way I do things and the way I think things through and because I look so Italian with the features and colours. It’s always a feature the name Carmela, you say the name and people automatically say: - Oh! - You know and you start talking so the Italian has always been a big part really. I pride myself on being different. 9(Donna di 40 anni).

 

2.3 SI SENTE ITALO-NEOZELANDESE

Mi sento... an italian-New Zealander, perché siamo qui, siamo nati qui, lavoro qui, tutto è qui, ma c’è un po’ di cuore che sta lì all’Italia. [...] io non dico con la gente che mi sente mezzo in Italia e mezzo in Nuova Zelanda, io sono neozelandese, ma c’è un pezzo di Italia nel cuore... (Uomo di 45 anni).

I think of myself as an Italian-New Zealander. It’s just the way that we have been brought up. Like I am living at home now but of course no one would think of living at home at my age. And having the family tie, being close to the family like that...10 (Donna di 36 anni).

Italian-New Zealander. Very proud, especially with the work I do. When we are selling something like they really believe in what we are doing. And to have an Italian name, an Italian history and if I could speak Italian even more credible, more pride. I feel like a Kiwi Italian.11 (Uomo di 35 anni).

Forse italo-neozelandese. io dico che siamo veramente fortunati perché prendiamo le cose buone delle due nazione e anche delle due culture. Perché io quando devo scrivere e mettono “Other” 12scrivo sempre ‘Italian’. E anche per manifestare questo hai un po’ di responsabilità di sapere un po’ la lingua e la cultura. E’ anche per questo mi sono messa anche nel Club (il Club Garibaldi)13 perché qualche volta i neozelandesi sanno di più di te e ti vergogni un po’ perché tu sei proprio quella di origine italiana. (Donna di 41 anni).

 

I think of myself as an Italian-New Zealander, because I suppose the way we were brought up is the Italian way more than the Kiwi way. So I think of myself more as a mixture. I am an Italian Kiwi.14 (Donna di 42 anni).

Italian-New Zealander. Proud of both. I’m proud of the country and of what it can offer to the people 15 (Uomo di 38 anni).

Italian-New Zealander, I am still New Zealander, I am Italian though. My heritage is Italian but we were born in New Zealand. We are also New Zealander, we have to be loyal to New Zealand because you were born here.16 (Donna di 46 anni).

 

Tra i soggetti che hanno un genitore non italiano e non neozelandese ma proveniente da un altro paese (sono 7 in tutto) abbiamo notato che 4 tra questi dichiarano di avere predominante il lato italiano:

Certainly half of me, well a portion of me is Scottish and a portion of me is Italian and I always take the Italian side.17 (Uomo di 36 anni, padre scozzese).

Italian-Rarotongan-New Zealander but stronger on Italian than Rarotongan. Because dad had a stronger influence on the family than mum had.18 (Uomo di 44 anni, madre di Rarotonga).

 

I think that I’m a New Zealander but if someone says to me: - What really are you?- I would say a New Zealander who is with Italian extraction and I would say that before the Greek.19 (Uomo di 37 anni, madre greca).

E’ molto difficile. Sono neozelandese, però ho un'affinità with Italians and with Italy. For me it’s part of me so I’m not just a New Zealander. If someone asks me: Are you a New Zealander?- I’ll say yes but I’m also, I consider myself be part Italian and part Greek20. (Uomo di 40 anni, madre greca).

 

2.4 HA UN SENSO DI APPARTENENZA INCERTO

Presentiamo i commenti di 5 soggetti, tra questi 2 sono molto giovani e tre sono di età più anziana tra i 42 e i 52 anni. Le trascrizioni dei soggetti più anziani sono particolarmente interessanti perché questi spiegano in maniera precisa le loro incertezze, i vari cambiamenti che ha subito col passare degli anni il loro sentimento di appartenenza. Diversi soggetti durante le interviste hanno fatto notare l’influenza del fattore tempo sul loro sentimento di appartenenza. Sembrerebbe dalle parole dei soggetti più anziani che col passare degli anni, superata la crisi di identità dell’adolescenza che si protrae per alcuni fino all’età adulta, ci si sente più italiani, si accetta in maniera più serena la propria italianità.

When I’m here I feel Italian, but when I went to Italy I felt really Kiwi, really New Zealand cause they see you as...you know they call you a straniera. I don‘t really feel Italian there and I don't really feel New Zealander here.21 (Donna di 21 anni).

 

Io sono anche neozelandese, io voglio avere la vita che c ‘è qui. Immigrants came here in fifties, sixties and they kept the vision of Italy that was then and they have moved along a lot of ways in Italy. My father says to me all the time you know: - In Italia non si fa - ma invece in Italia si fa, io lo so queste cose però è sempre... non so... Per me è importante accettere che questo non è Italia, per me è importante mantenere la cultura, la lingua e... anche le usanze.., certe usanze italiane, però... dobbiamo anche accettere che non siamo in Italia e siamo tutte e due. [...] You know it’s hard to be the child of an immigrant because you are an immigrant yourself in a way, you know. It‘s like you are a stranger everywhere because you are not quite a New Zealander but you are not really Italian either.22 (Donna di 22 anni).

As a young man I didn't want any differences... In the fifties, sixties things were different. I felt as if you were always one step behind when you were dealing with the Kiwi counterpart. I looked different, people expectations were different. As I have matured and I have built my own confidence and success, and this sort of things, I now prefer to use it more as a plus rather than a minus as it was during these growing up years ... I Sure, I am predominantly Kiwi because of my whole existence here but I’d like to think, and I don’t know how true this is, that all my creative feelings are Italian... there is still something... I definitively don't feel pure Italian, I definitively don't feel pure Kiwi. 23 (Uomo di 52 anni).

I feel I am not a true New Zealander but I feel I am not a true Italian. It hurts inside, I am proud but I don‘t belong anywhere. I feel I don‘t belong either place. I talked to with a mamma mia, many times but she said: - Oh! You have the same rights as everybody else you can do what you like, you can vote, you can work, you can... - But she doesn't understand. It‘s not what I feel inside. She‘s old and I love her but she doesn't really understand. She said: - You‘ve got the best of two worlds - but I don‘t see it like that... As a young girl you weren't there you weren't here. [...] I wanted to be the same as everybody else, I didn't want to be different, I wanted to be accepted. Because a lot of my friends were inglese when they invited me I used to say - Don‘t cook anything Italian, make sure it’s English food...- but now I wish I could do everything in Italian. And I am learning more and more, all the time and I am very proud when I put something Italian on and someone says: - Oh! I love this! - But before no...24. (Donna di 52 anni).

 

Col tempo il sentimento di appartenenza cambia come lo esprimono chiaramente questi due soggetti:

As I got older I’ve got quite proud of my Italian origin. When you are younger and going to school you don’t want people to know. 25 (Uomo di 47 anni).

Quando erono piccoli si sapeva che noi erono differenti e questo forse una cosa tanti tempi fa, ti sentivi differente e ti sentevi più non come gli altri. Però in questi ultimi anni perché ti senti differente non è più una cosa che ti senti più inferiore di altri, ma adesso sono più, come si dice proud? Più orgogliosa della mia cultura ma questa penso è una cosa di maturità e anche averlo amici di altri culture perché vedo, perché va bene ero con altri italiani, però avevo questa amica greca e lei era più anziana di me e lei era molto orgogliosa delle sue origini. E anch’io voglio fare così. (Donna di 41 anni).

 

È interessante il commento di questa signora che da piccola e da adolescente si sentiva italiana perché non aveva la libertà che avevano le sue amiche, da giovane adulta poi, lavorando e frequentando amici neozelandesi si è sentita neozelandese e adesso da quando è diventata madre afferma di aver ritrovato la sua cultura italiana e di voler trasmetterla ai figli.

Era un tempo quando che io avessi detto che sono davvero più novazelandese. Quando ch’ero giovane mi sentivo più italiana avevo ... mie amiche poteva fare, ma io non potevo fare, aveva boyfriends (i filarini), aveva.., andava in tutti i posti sole, tutta la vita era più... relaxed (rilassata) in un modo. Così a quel punto mi sentivo più italiana dopo ... section of life, you know, (sezione della vita, sai) mi sembra che ti senti più inglese... sono adulta, ti vivi, ti lavori, amici tutti... E adesso che son mamma... me sento... I’m more aware that... I need to give my children family and I need to give them a culture and so... I have become, my point of view has become different. I’m regaining my culture if you know what I mean... It’s trying to generate in your children the Italian sense of family that I think is different... Now I feel more Italian because I want to impart that on the children.26 (Donna di 42 anni).

 

Dalle parole dei 2 soggetti (l’uomo e la donna che hanno 52 anni) più anziani traspare in maniera chiara che negli anni Cinquanta e Sessanta era diffusa una certa diffidenza da parte dei neozelandesi verso la comunità italiana di Wellington. I soggetti più anziani hanno affermato di aver vissuto in quegli anni momenti di tensione che hanno pesato fortemente sui loro sentimenti di appartenenza.

 

Tre soggetti, tutti di età compresa tra i 50 e i 60 anni hanno raccontato alcuni episodi della loro vita che illustrano la tensione e l’incomprensione che esistevano in quegli anni tra i neozelandesi e la comunità italiana. Due donne hanno raccontato di essere state vittime nell’infanzia e nell’adolescenza di episodi di intolleranza da parte di alcuni neozelandesi, un uomo invece ha racconto un episodio di intolleranza che lui stesso ha scatenato verso membri della comunità italiana. Sono 3 racconti che riportiamo qui sotto per intero.

Una signora di 61 anni di origine strombolana racconta questo episodio che le è successo a scuola:

One day I was naughty in school, I was talking with my friend because when I went to school I had one friend she was Italian but from the North. From the age of 5 when we started school until now we have always been good friends. So we were talking and laughing you see and a maestra told me off and she said: - Stand up you two, stand up! What are you doing? - and we said: - Nothing.- And she said to us - You are lazy like the rest of your race! - So we got wild and we went out, I went home. I said: - You are not going to talk about my father like that because my father was very hard worker you see. . . - The other nun rang me and she said: - Why did you go home? - and I said to her because she said that. She said: - Oh no! There‘s nobody better than my two Italians - you see, she was nice. 27

 

Chi parla adesso è una signora di 52 anni di origine strombolana, anche lei che racconta un episodio doloroso della sua vita successo a scuola:

[...] You weren’t there, you weren’t here and sometimes in Nova Zelanda people, then, didn't accept us because we were italiane. I remember something... we were children a scola there was a maestrina that she hated Italians. I think I was about undici, dodici and she used lo push them all the time. They didn't understand English and she said: - Stupid Italians. And I used to say to a monaca there: -She touches those Italian children again I’m gonna push her- . She says: -Fa’ i fatti tue!- One day, she would say: - Come along little people, come you stupid Italians - because they didn't understand this... She was un poco... ansiena, she would have been about fifty. I gave her a push... wha... and she fell over. And cause everyone was crying cause I ran behind a monaca and she wanted to hit me and a monaca was like this... like this trying to stop me and I said: - I hate you! And I hate you the way you push italiani, the children. - And even i polacchi you know, i polandese she was doing the same but not as bad. And anyway, un’altra monaca came along and she said : - Apologise! - I said no. Io c’ho la testa tosta when I want one... and she had to apologise to me and I had to apologise to her but she said: - You‘ve got to go first because you are younger. - And I did, but I never, ever forgot it, ever forgot it... I hated her because she was pushing those Italians. So inside of me I must have felt really Italian...A monaca understood... 28

 

Un uomo di 52 anni per spiegare quanto era forte da piccolo il suo desiderio di essere come tutti gli altri, come un neozelandese, racconta di aver agito non per difendere i membri della comunità italiana ma per riprenderli, per esortarli a parlare inglese come gli altri e non più italiano:
 

I must have been 8 or 9 and then I didn't want to be different ... I was on the tram in Island Bay and there were Italians talking to each other loudly in Italian and I remember shouting to them: - We are in New Zealand here, we have to speak English — ... Still today I feel ashamed for what I said ... those Italians on the tram must have judged really badly this little boy who was Italian himself 29 .
 

Infine, vorremo concludere questo paragrafo sottolineando il fatto che oggi e da diversi anni ormai, i rapporti tra i neozelandesi e la comunità italiana sono ottimi. Adesso, i neozelandesi hanno molta considerazione per la comunità italiana che viene considerata laboriosa e vincente perché ha saputo integrarsi bene nella società neozelandese. In passato tuttavia era diverso e gli italiani hanno dovuto lottare prima di essere capiti veramente.

 

 

CONCLUSIONI

Gli italiani della seconda generazione di Wellington hanno dichiarato di sentirsi italo-neozelandesi e di sentirsi italiani soprattutto per la grande importanza che danno alla famiglia, ai legami affettivi e per il mantenimento delle abitudini alimentari. Dai loro commenti appare chiaro che per loro la capacità di esprimersi in italiano (e qui si intende italiano e/o dialetto) non rappresenta un elemento determinante par la loro “italianità”. La lingua non è un valore essenziale da coltivare e da tramandare. Comunque l’impressione che abbiamo avuto nell’ascoltare questi figli di italiani è che sono ormai ben integrati nella società neozelandese e che sono orgogliosi del loro retaggio italiano. Si sentono italo-neozelandesi, orgogliosi delle radici italiani e contenti di vivere in Nuova Zelanda dove si sentono parte integrante della società. L’Italia, diventata ormai paese di immigrazione, dovrebbe studiare e ispirarsi alle comunità di italiani all’estero per garantire una felice integrazione degli immigrati presenti oggi nel nostro paese.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

COCCARO MIRANDA, G. 2003 Gli atteggiamenti verso l’Italia e la lingua italiana dei figli di italiani (di età compresa tra I 20 e I 60 anni) nati e residenti in Nuova Zelanda, Ph. D thesis, Victoria University of Wellington, Wellington. Una copia della tesi è disponibile anche in Italia presso il Centro di documentazione sulle popolazioni e le culture italiane nel mondo, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino.

 

FASE, W., JASPAERT, K., KROON S. 1992, Maintenance and loss of minority languages. Studies in bilingualism 1. John Benjamin Publishing Co. Amsterdam

 

SMOLICZ, J. 1992, Minority languages as core values of ethnic cultures- a study of maintenance and erosion of Polish, Welsh and Chinese languages in Australia. In Fase, Jaspaert and Kroon (pp 276-305).

 

1 Per una descrizione socio-demografica più dettagliata del campione si rimanda al capitolo 4.1 di Coccaro Miranda (2003).

2 Riferirsi al capitolo 4.3.5 di Coccaro Miranda (2003) per la descrizione dettagliata delle competenze linguistiche dei soggetti.

3 Smolicz (1992) usa questo termine e spiega che la lingua rappresenterebbe un valore culturale più importante per alcuni gruppi che per altri influenzando così il livello di language maintenance.

4 Sono un kiwi (un altro modo per dire neozelandese che si rifa all’uccello simbolo della Nuova Zelanda). Sempre un kiwi ma molto orgoglioso delle mie origini italiane. Mi piacciono le scarpe italiane, la moda italiana, il mangiare italiano, mi piace tutto ciò che è italiano ma sono sempre un kiwi. È così che sono nato.

 

5 Sono più neozelandese, penso di volere sviluppare la parte italiana potendo, ma non è veramente importante al momento, in questo periodo.

 

6 Sono neozelandese. Ma voglio dire che mi piace il modo inglese perché sono nato qui, ma ho tutta questa cultura italiana dietro di me che sai di avere. Mi piace il cibo italiano e questo...

 

7 Sono un neozelandese, ma ho un retaggio italiano. Penso che veramente per essere un italiano dovrei vivere in Italia o vivere come un italiano qui in una comunità italiana dove l’italiano è la lingua principale. Non ho veramente molti contatti con la gente italiana dunque... sostanzialmente sono un neozelandese.

 

8 Non sono nata qui e non penso a me stessa in quanto kiwi e dico ai miei figli : - Siete metà italiani e metà inglesi- e loro mi dicono: - No, siamo kiwi perché siamo nati in Nuova zelanda, ma io non sono una kiwi perché sono nata lì, anche se avevo solo 18 mesi quando sono venuta qua. Sempre, io penso sempre a me stessa in quanto italiana.

 

9 È solo il modo generale col quale affrontiamo le cose. L’atteggiamento generale anche verso la disciplina, i valori morali e le credenze religiose, tutto veramente. Penso che sia solo l’educazione, Giovanna. Abbiamo avuto un’educazione molto severa. [...] Mi considero più italiana che neozelandese. È solo il modo che ho quando faccio le cose e il modo in cui penso alle cose e perché sembro così italiana con i lineamenti e i colori. È sempre una caratteristica il nome Carmela, dici il nome e la gente automaticamente dice: - Oh!- Sai, e cominci a parlare dunque il lato italiano ha sempre avuto una grande parte veramente. Sono orgogliosa di essere diversa.

 

10 Penso a me stessa in quanto italo-neozelandese. È solo il modo in cui siamo stati educati. Come io adesso che sto vivendo a casa ma di sicuro nessuno penserebbe di vivere a casa alla mia età. Ed avere i legami colla famiglia, essere vicino alla famiglia così...

 

11 Italo-neozelandese. Molto orgoglioso, specialmente con il lavoro che faccio. Quando vendiamo qualcosa credono veramente in quello che facciamo. E avere un nome italiano, una storia italiana e se potessi parlare italiano sarei anche più credibile, più orgoglio. Mi sento come un kiwi italiano.

 

12 Qui il soggetto si riferisce alla domanda che spesso viene inserita in questionari o in moduli da compilare nella quale viene chiesto alla persona di precisare a quale etnia appartiene.
 

13 Il Club Garibaldi è un’organizzazione sociale e culturale fondata nel 1882, ha sede a Wellington ed ha lo scopo di promuovere la cultura e la lingua italiana.

 

14 Penso a me stessa in quanto italo-neozelandese. Perché suppongo che il modo col quale siamo stati educati è il modo italiano più che il modo kiwi. Dunque penso a me stessa più come un misto. Sono un italiano kiwi.

 

15 Italo-neozelandese. Orgoglioso di entrambi. Sono orgoglioso del paese e di quello che può offrire alla gente.

 

16 Italo-neozelandese, sono anche neozelandese, sono italiana però. Il mio retaggio è italiano, ma siamo nati in Nuova Zelanda. Siamo anche neozelandesi, dobbiamo essere leali verso la Nuova Zelanda perché siamo nati qui.

 

17 Certamente la metà di me, insomma una parte di me è scozzese e una parte di me è italiana e prendo sempre il lato italiano.

 

18 Italiano-rarotongano-neozelandese ma più forte sull’italiano che sul rarotongano. Perché papà aveva un’influenza più forte sulla famiglia rispetto alla mamma.

 

19 Penso che sono neozelandese ma se qualcuno mi dice: - Che cosa sei veramente? - Risponderei un neozelandese che ha origini italiane e direi questo prima delle origini greche.

 

20 Un’affinità con gli italiani e con l’Italia. Per me è parte di me dunque non sono solo un neozelandese. Se qualcuno mi chiedesse: - Sei neozelandese? — Direi di sì, ma sono anche, mi considero anche in parte italiano e in parte greco.

 

21 Quando sono qui mi sento italiana, ma quando sono andata in Italia mi sono sentita veramente kiwi, veramente Nuova Zelanda perché loro ti vedono come... sai ti chiamano la straniera. Non mi sento veramente italiana lì e non mi sento veramente neozelandese qui...
 

22 Gli immigranti sono venuti qua negli anni Cinquanta, Sessanta ed hanno conservato la visione dell’Italia di allora e sono cambiate tante cose in Italia. Mio padre mi dice sempre sai: - In Italia non si fa- […] Sai è difficile essere il figlio di un immigrante perché sei un immigrante te stesso in un certo senso, sai. Come se tu fossi straniero dappertutto perché non sei proprio un neozelandese, ma non sei veramente neanche italiano.

 

23 Da ragazzino non volevo nessuna differenza... Negli anni Cinquanta, Sessanta le cose erano diverse. Sentivo di essere sempre un passo indietro quando dovevo avere a che fare con la controparte kiwi. Avevo un aspetto diverso, le aspettative della gente erano diverse. Maturando e avendo costruito fiducia in me stesso e avendo raggiunto il successo, e questo genere di cose, preferisco adesso usarla (l’origine italiana) più come un vantaggio che come uno svantaggio come era invece durante quegli anni di crescita […] Sicuramente, sono in maniera predominante un kiwi perché ho trascorso tutta la mia esistenza qui, ma mi piacerebbe pensare, e non so quanto questo sia vero, che tutti i miei sentimenti creativi sono italiani... c’è ancora qualcosa... di sicuro non mi sento un italiano puro, di sicuro non mi sento un kiwi puro.

 

24 Sento di non essere una vera neozelandese, ma sento di non essere una vera italiana. Fa male dentro, sono orgogliosa, ma non appartengo a nessun posto. Sento di non appartenere a nessuno dei due posti. Ne ho parlato con la mamma mia, molte volte, ma dice: - Oh! Hai gli stessi diritti degli altri, puoi fare quello che vuoi, puoi votare, puoi lavorare, puoi, ma lei non capisce. Non è quello che provo dentro di me... È anziana e le voglio bene, ma non capisce veramente. Dice: - Hai il meglio dei due mondi — ma io non la vedo così... Da ragazza non ero né di qua né di là. […] Volevo essere uguale agli altri, non volevo essere diversa, volevo essere accettata. Perché molte mie amiche erano inglesi, quando mi invitavano gli dicevo: - Non cucinate niente di italiano assicuratevi che sia tutto cibo inglese...- Ma adesso vorrei poter fare tutto italiano. Sto imparando sempre di più, sempre e sono molto orgogliosa, quando preparo qualcosa di italiano e qualcuno dice: - Oh! Mi piace questo! — Ma prima no...

25 Invecchiando sono diventato abbastanza orgoglioso delle mie origini italiane. Quando sei più giovane e vai a scuola non vuoi farlo sapere alla gente.

 

26 Sono più conscia del fatto che... ho bisogno di dare ai miei figli una famiglia e ho bisogno di dargli una cultura e dunque... sono diventata, il mio punto di vista è diventato diverso. Sto recuperando la mia cultura se capisci quello che voglio dire... È cercare di generare nei tuoi figli il senso italiano della famiglia che penso sia diverso... Adesso mi sento più italiana perché voglio trasmettere questo ai bambini.

27 Un giorno ero cattiva a scuola, stavo parlando con la mia amica perché quando andavo a scuola avevo un’amica che era italiana ma del nord. Dall’età di cinque anni da quando abbiamo cominciato la scuola fino adesso siamo sempre state buone amiche. Dunque stavamo parlando e ridendo vedi e la maestra mi richiamò e disse: - Alzatevi voi due, alzatevi! Cosa state facendo? e noi dicemmo: -Niente.- E ci disse:
- Siete pigre come il resto della vostra razza! — Allora ci siamo infuriate e siamo uscite fuori, siamo uscite fuori, io sono andata a casa. Io dissi : - Non parlerai di mio padre in questo modo perché mio padre lavora duro sai...- L’altra suora mi telefonò e disse: - Perché sei andata a casa? — ed io le dissi perché mi ha detto questo. Lei disse: - Oh no! Nessuno è migliore delle mie due italiane- vedi, era gentile.

 

28 Non eri di lì, non eri di qui e a volte in Nuova Zelanda la gente, allora, non ci accettava perché eravamo italiani. Ricordo qualcosa... eravamo bambini a scuola c’era una maestrina che odiava gli italiani. Penso che avevo sugli undici tredici anni e li spingeva sempre. Non capivano l’inglese e lei diceva: - Stupidi italiani. — E io dicevo sempre alla monaca: - Tocca un’altra volta quei bambini italiani e le do una spinta. - Lei disse: - Fatti i fatti tuoi! - Un giorno ha detto: - Venite qua piccola gente, venite voi stupidi italiani. — perché loro non capivano questo...era un po’ anziana, avrà avuto sui cinquanta anni. Le ho dato una spinta... wha... ed è caduta. E perché tutti stavano piangendo perché correvo dietro la monaca e lei voleva picchiarmi e la monaca era così... così che cercava di fermarmi e io dissi: - Ti odio! E odio il modo in cui spingi gli italiani, i bambini. — E anche i polacchi, sai, i polacchi, faceva la stessa cosa, ma non così cattiva. E ad ogni modo venne un’altra monaca che disse: - Chiedi scusa!- Io dissi di no. Ho la testa dura quando voglio una... e lei ha dovuto chiedermi scusa ed io ho dovuto chiederle scusa, ma disse: - Devi cominciare prima tu perché sei più giovane.- E l’ho fatto, ma mai, mai lo dimenticherò, mai lo dimenticherò. L’odiavo perché spingeva questi italiani. Perciò dentro di me dovevo sentirmi veramente italiana... La monaca capì...

 

29 Dovevo avere sugli otto o nove anni e allora non volevo essere diverso... Ero sul tram a Island Bay e c’erano degli italiani che parlavano tra di loro ad alta voce in italiano e ricordo di avergli urlato: - Siamo in Nuova Zelanda qui, dobbiamo parlare inglese- ... Ancora oggi provo vergogna per quello che ho detto... quegli italiani sul tram avranno giudicato veramente molto male quel ragazzino che era italiano anche lui.

 

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