Novembre 2012  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Gli esiti scolastici delle “seconde generazioni” nella scuola superiore: riflessioni e proposte di Sara Biscioni

ABSTRACT

Nelle scuole secondarie di II grado1 italiane sono ormai numerosi gli studenti con cittadinanza non italiana ma giunti in Italia da piccoli, i quali hanno svolto buona parte del percorso scolastico accanto ai coetanei italiani. Si tratta di studenti che hanno acquisito senza problemi la lingua della comunicazione, che vivono la città al pari dei coetanei italiani, guardano gli stessi film e utilizzano i medesimi social network. Questa uguaglianza, tuttavia, spesso si ferma davanti alla porta delle aule: infatti, i dati relativi al successo scolastico degli alunni migranti, anche di seconda generazione, non sono confortanti.

Questo può diventare occasione per rielaborare riflessioni e progettualità in riferimento a tutti gli alunni migranti.

Scopo di queste pagine è quindi riflettere sugli esiti scolastici degli alunni migranti, analizzare i fattori causa di insuccesso e individuare alcune possibili azioni da intraprendere. La domanda di partenza è: la componente linguistica, a cui è stato dato grande peso, è l'unico fattore rilevante? O ve ne sono altri che sarebbe necessario prendere in considerazione e su cui insegnanti e istituzioni scolastiche possono agire per rispondere efficacemente ai bisogni degli alunni migranti?

 

1. LE “SECONDE GENERAZIONI”

In ambito nazionale, nell'a.s. 2010/11 gli alunni migranti rappresentavano il 7,9% del totale della popolazione scolastica, con 711.064 presenze (Miur, Ismu 2011a). Di questi, 153.513 erano iscritti alla scuola superiore, con un'incidenza del 5,8% sul totale degli alunni iscritti, minore rispetto agli altri ordini di scuola ma in aumento rispetto agli anni precedenti.

Rimandando alle riflessioni di Favaro, Moro e Ricucci (cfr. bibliografia) sull'eterogeneità delle caratteristiche degli “alunni migranti”, in base alla suddivisione operata da Rumbaut2 useremo qui l'espressione “seconda generazione” (G2) ad indicare gli alunni nati in Italia da genitori migranti, distinguendoli dai nati all'estero ma giunti in Italia nell'infanzia, e considereremo “neoarrivati” (NAI) gli alunni migranti giunti in Italia nell'adolescenza.

La distinzione fra nati all'estero e nati in Italia è registrata dal Miur a partire dall'a.s. 2007/08; attualmente, gli alunni di seconda generazione rappresentano il 42,1% del totale degli alunni migranti. La percentuale maggiore si registra nelle scuole dell'infanzia e primarie, mentre per ciò che riguarda le scuole superiori la media nazionale dei nati in Italia è del 9% sul totale degli alunni migranti, in incremento rispetto agli anni precedenti, seppure in misura minore rispetto agli altri ordini di scuola (Miur, Ismu 2011a).

La presenza di questi alunni a nostro avviso “uguali e diversi” rispetto agli italiani3 evidenzia nuove esperienze, bisogni, difficoltà, quindi anche la necessità di strumenti nuovi, complementari agli strumenti di accoglienza4 che hanno rappresentato la risposta istituzionale alla presenza di alunni neoarrivati, e nuove prospettive di riflessione sugli esiti scolastici degli alunni migranti tout court.

 

2. LE CARATTERISTICHE DELL'IMMIGRAZIONE SUL TERRITORIO ITALIANO

Le caratteristiche della presenza degli alunni migranti nel sistema scolastico italiano dipendono da peculiarità del processo di insediamento dei migranti nel territorio, cioè:

  1. provenienze eterogenee: sono 192 i paesi di provenienza, quindi non esistono forti concentrazioni etniche o linguistiche (Dalla Zuanna et alii 2009). Tale “polverizzazione” delle provenienze (Ibid.) si ripercuote sulla composizione delle classi, dove si contano 187 origini diverse (Miur, Ismu 2011b). Nella scuola superiore sono molto numerosi gli alunni rumeni, albanesi, marocchini, seguiti da moldavi, ucraini, peruviani, ecuadoriani, cinesi (Miur, Ismu 2011b: 31).

  1. distribuzione estesa e capillare sul territorio (anche se in percentuale maggiore al nord), che può ridurre il rischio di segregazione scolastica: in generale, in Italia non vi sono fenomeni significativi di segregazione abitativa, i quartieri-ghetto sono rari, perciò la scuola italiana sembra immune dal fenomeno delle black schools, cioè scuole con componente migrante superiore al 50% (Mantovani 2008). Infatti, il numero di scuole che supera la soglia del 30% è minimo (Miur, Ismu 2011b) nonostante, come vedremo, casi di concentrazioni di alunni migranti in determinati tipi di scuola superiore.

 

3. I PERCORSI DEGLI ALUNNI MIGRANTI NELLA SCUOLA SUPERIORE

Nel complesso, nonostante esperienze di successo e nella consapevolezza di come si tratti di traiettorie personali e difficilmente generalizzabili, i dati mostrano che gli alunni migranti sono poco rappresentati nelle scuole superiori, abbandonano la scuola prima dei compagni italiani, hanno tassi di ritardo scolastico più elevati e seguono più frequentemente percorsi formativi brevi e finalizzati all'acquisizione di titoli immediatamente professionalizzanti. Come in altri paesi, questo accade non solo per la prima generazione di migranti, per i quali sarebbe lecito aspettarsi maggiori difficoltà scolastiche, ma anche per coloro che hanno compiuto buona parte del loro percorso di studi nel paese d'accoglienza5.

Riguardo allo scarso numero di alunni migranti iscritti alle scuole superiori, comparando i dati Istat 2007 sui migranti residenti di età compresa fra 14 e 18 anni con quelli forniti dal Miur sulle iscrizioni alle scuole superiori, emerge come “manchino all'appello” circa 50mila adolescenti, i quali dovrebbero essere iscritti alla scuola superiore e invece non lo sono (Dalla Zuanna et alii 2009). Può trattarsi di adolescenti fuoriusciti anticipatamente dal mondo della scuola per entrare nel mercato del lavoro, oppure adolescenti che dovrebbero anagraficamente essere iscritti alla scuola superiore, invece frequentano la scuola media a causa di ritardi e bocciature. Nel 2007, infatti, erano 28mila gli adolescenti migranti di almeno 14 anni frequentanti la media inferiore, quindi in ritardo sul percorso standard (Ibid.). Inoltre, il numero degli studenti migranti sul totale degli iscritti decresce sensibilmente passando dalla prima alla quinta superiore: nell'a.s. 2010/11 gli alunni migranti iscritti alla classe prima superiore erano 49.588, ma solo 16.809 sono arrivati in classe quinta (Miur, Ismu 2001b: 35).

Emerge un primo elemento di riflessione: molti alunni migranti terminano gli studi senza aver conseguito un diploma di scuola superiore. Poichè l'istruzione rappresenta uno dei più importanti fattori di mobilità sociale ascendente, questi giovani potrebbero risultare particolarmente dequalificati alla ricerca di un'occupazione e trovarsi quindi a ricalcare le orme lavorative dei genitori, ovvero essere impiegati in uno dei lavori “delle 5 P” (pericolosi, precari, pesanti, poco pagati e penalizzanti socialmente). È logico supporre che tali tipologie lavorative, accettate come “prezzo della migrazione” dai loro padri e madri, saranno percepite come intollerabili dai giovani migranti nati o socializzati qui, che chiederanno a ragione parità di opportunità rispetto agli italiani (Farinelli). Il rischio della fuoriuscita dal sistema scolastico senza un diploma con cui presentarsi all'ingresso nel mondo del lavoro potrebbe inoltre far avverare quella profezia di downward assimilation6 che in ambito statunitense tocca un gruppo nutrito di giovani figli di migranti.

In secondo luogo, emerge il problema del ritardo scolastico. Il divario fra i ritardi degli alunni migranti e quelli degli autoctoni inizia già alla scuola primaria, si amplia durante la scuola media e diventa un vero e proprio abisso durante la scuola superiore. In media, nell'a.s. 2010/11, gli alunni migranti in ritardo rispetto al regolare percorso erano il 18,2% nella scuola primaria, il 47,9% nella scuola media e il 70,6% nella scuola superiore. In quest'ultima, gli alunni migranti in ritardo erano il 68,9% in prima (contro il 20,7% degli italiani), fino ad arrivare al 72% in quinta (contro il 28,8% degli italiani), con un picco del 73,1% in terza (contro il 27,8% degli italiani) (Miur, Ismu 2011b: 42-43). Questo ritardo ha due spiegazioni:

  1. l'inserimento in classi inferiori rispetto all'età anagrafica, che sembra interessare maggiormente gli alunni nati all'estero rispetto alle seconde generazioni (Mantovani 2008). Questa penalizzazione, oltre ad avere effetti negativi dal punto di vista psico-sociale (Favaro, Napoli 2004), aumenta il rischio di abbandono scolastico precoce: più avanza l'età, più è difficile avere la motivazione e la possibilità economica per proseguire gli studi.

  1. gli esiti negativi, ovvero le bocciature nel passaggio da una classe all'altra. Nell'a.s. 2010/11, le percentuali di alunni migranti ripetenti erano particolarmente elevate nel primo anno sia della scuola media che della scuola superiore; sempre presente era comunque lo scarto fra percentuale di ripetenti italiani e migranti7. Nella scuola superiore, le ripetenze sembrano coinvolgere soprattutto gli alunni nati o socializzati in Italia (Mantovani 2008).

Questo rende manifesta una realtà inquietante: la scuola sembra acuire e non ridurre il gap di partenza tra italiani e migranti, sembra ampliare piuttosto che azzerare le differenze.

L'iscrizione anagraficamente in ritardo e le ripetenze hanno effetti precisi sul futuro degli alunni migranti, poiché possono spingere a decidere di abbandonare precocemente gli studi, o a scegliere i percorsi scolastici più brevi, meno impegnativi e più rapidamente professionalizzanti (Dalla Zuanna et alii 2009), a causa in parte di una mancanza di motivazione e fiducia nelle proprie capacità, ma anche di una necessità di “recuperare il tempo perduto” (Ibid.).

In effetti, gli alunni migranti appaiono sovrarappresentati nella filiera scolastica più corta e professionalizzante: istituti professionali e tecnici. corsi di formazione professionale. Nell'a.s. 2010/11, il 40,4% degli studenti migranti risultava iscritto agli istituti professionali e il 38% agli istituti tecnici; solo il 18,7% risultava iscritto ai licei, e il 2,9% agli istituti artistici. Al contrario, gli alunni italiani iscritti ai licei erano il 43,9%, gli iscritti ai tecnici il 33,2%, gli iscritti ai professionali il 19,2% e agli istituti artistici il 3,6%. (Miur, Ismu 2011b: 35). Quindi, mentre per gli studenti italiani si parla di una progressiva “licealizzazione” della scelta (Mantovani 2008), gli studenti migranti sembrano preferire percorsi professionalizzanti, “anticamera per un rapido accesso a lavori che difficilmente potranno condurre a posizioni sociali elevate e prestigiose” (Dalla Zuanna et alii 2009: 134) E la “professionalizzazione” della scelta degli alunni migranti risulta più evidente se si calcolano gli iscritti ai corsi di formazione professionale finanziati da regioni o province, non compresi nelle statistiche del Miur8.

Se quindi in Italia non si può parlare di vera e propria “segregazione formativa”, esiste comunque una forma di canalizzazione formativa, ovvero la tendenza alla concentrazione degli studenti migranti nella filiera maggiormente professionalizzante del sistema educativo (Mantovani 2008). Non da escludere, sebbene al momento marginale, è inoltre il pericolo della segregazione intra-classe, cioè la composizione di classi con una maggioranza di alunni migranti atta a mantenere classi di studenti autoctoni e combattere il white flight, cioè la fuga degli studenti autoctoni verso istituti più prestigiosi (Mantovani 2008).

 

4. LE CAUSE

Professionalizzazione” della scelta post-media, alti tassi di ritardi, ripetenze, abbandono: quali possono essere le cause? La letteratura suggerisce diverse spiegazioni, probabilmente fra loro collegate.

 

4.1 LE COMPETENZE IN L2

È usuale mettere in relazione le difficoltà scolastiche con scarse competenze in L2, soprattutto nell'ambito della lingua dello studio. Considerati i tempi indicativi individuati da Cummins per padroneggiare le CALP (Cognitive Academic Language Proficiency), ovvero da 5 a 7 anni, anche gli alunni migranti entrati nel sistema scolastico italiano fin dalla scuola elementare, potrebbero, all'ingresso alla scuola superiore, avere lacune linguistiche e non avere ancora piena padronanza della lingua necessaria per studiare. Si può infatti pensare che “se uno studente sa scrivere, leggere, parlare e scherza, ride e piange in italiano può anche studiare in questa lingua.” (D'Annunzio, Luise 2008: 30), ma la realtà mostra studenti migranti “molto spigliati nella comunicazione quotidiana ma assolutamente non in grado di sviluppare in autonomia abilità di studio in una L2 o anche nella stessa lingua materna” (Ibid.). Spesso questa difficoltà linguistica, più difficile da individuare rispetto a quella manifesta degli alunni NAI, porta ad interpretare gli scarsi risultati come mancanza d'impegno.

Diverse sono le azioni che possono permettere allo studente migrante, nato all'estero o in Italia, di approfondire le proprie competenze nell'uso “disciplinare” della lingua italiana. Gli ambiti di intervento sono tre: azione sui testi e i contenuti, sugli studenti, sulla metodologia didattica e le relazioni in classe9. Prerequisito essenziale è l'acquisizione da parte degli insegnanti della consapevolezza delle nuove caratteristiche delle loro classi, definite “CAD (Classe ad Abilità Differenziate) multietniche e plurilingue” (Caon 2006), e la volontà di intraprendere e approfondire percorsi di formazione specifica nella didattica dell'italiano L2 e nella “pedagogia della migrazione”. Servono dunque personale specializzato e fondi da destinare alla formazione degli insegnanti.

Inoltre, innegabile è l'utilità di momenti per sviluppare le competenze nella lingua dello studio, in orario scolastico o extrascolastico, dedicati agli alunni migranti. Molte scuole attivano già laboratori mirati sulla lingua delle discipline a loro riservati, attività di grande valore dal punto di vista linguistico, pedagogico e formativo, eppure spesso poco sistematiche, basate su finanziamenti quasi sempre insufficienti.

Vi sono ricerche, tuttavia, che inducono a ridimensionare la portata della componente linguistica sulla mancata riuscita scolastica o almeno a pensare che “la questione della conoscenza della lingua italiana come assolutamente vincolante per un esito scolastico positivo può essere in qualche misura problematizzata e forse ridimensionata rispetto all'enfasi che ha ricevuto in questi anni all'interno delle scuole e da parte degli insegnanti (Besozzi in Miur 2005: 121). Da studi compiuti in altri paesi, infatti, emerge come il fattore lingua non sia l'unico fattore discriminante, forse nemmeno il più rilevante. Una ricerca francese già del 1995, ad esempio, condotta su gruppi di studenti maghrebini e portoghesi, riporta per il primo gruppo difficoltà scolastiche maggiori rispetto agli studenti portoghesi nonostante, paradossalmente, le migliori competenze linguistiche (Tribalat in Barbagli, Ghigi 2006: 7)! Questo sembra confermato dall'indagine portata avanti da Mantovani in alcune scuole secondarie di Bologna, in cui la percezione delle proprie competenze nella lingua dello studio è valutata spesso come “buona” dagli alunni di seconda generazione e scarsa dai neoarrivati: eppure, gli esami di terza media mostrano esiti migliori per gli studenti neoarrivati rispetto ai migranti nati in Italia! (Mantovani 2008).

Quindi, nel ribadire la necessità di organizzare e finanziare percorsi di approfondimento delle competenze nella lingua dello studio, emerge la possibilità che il solo fattore linguistico non spieghi completamente gli insuccessi di molti alunni migranti, e che vi siano altri elementi coinvolti.

 

4.2 LE COMPETENZE IN L1

Nel dibattere sugli esiti degli alunni migranti, in generale si tengono in scarsa considerazione le competenze acquisite nella L1, che invece potrebbero in parte spiegare i casi di migliori esiti degli alunni NAI rispetto agli alunni migranti nati in Italia. Infatti, gli alunni migrati nell'adolescenza, se scolarizzati nel paese d'origine, possono avere acquisito abilità e strategie nella L1 che, in base all'ipotesi dell'interdipendenza di Cummins, possono trasferire nella L2. Dopo un periodo di “adattamento” alla nuova lingua, dunque, possono essere in grado di recuperare le conoscenze e abilità pregresse e metterle favorevolmente a frutto in classe nel paese d'accoglienza. Dalle ricerche condotte in Canada da Worswick nel 2004 emerge infatti come “i figli di migranti la cui prima lingua non era né il francese né l'inglese erano notevolmente penalizzati durante i primi anni di scuola […], ma a 14 anni il loro rendimento in matematica e lettura era equiparabile a quello dei figli di genitori nati in Canada” (Kučera 2008: 18, trad. mia). Studi canadesi mostrano infatti come il parlare nell'infanzia una lingua diversa da quella del paese ospitante abbia generalmente un effetto positivo sugli esiti scolastici (Kučera 2008), oltre ad avere grande importanza dal punto di vista identitario e delle relazioni familiari (Cfr. Favaro, Moro)10. Quindi, poichè maggiori competenze in L1 possono avere effetti positivi su quelle in L2, sarebbe forse opportuno lavorare di più su programmi di mantenimento e approfondimento dell'uso della lingua madre e percorrere la strada di programmi bilingue, anche per scongiurare il rischio di fenomeni di bilinguismo sottrattivo o di semilinguismo (Favaro, Napoli 2002).

 

4.3 IL CAPITALE UMANO E SOCIALE

Tuttavia, presupporre che le disparità tra gli esiti degli alunni migranti, seppure nati in Italia, e gli autoctoni dipendano solo dalle competenze linguistiche (in L2 o in L1), rende legittimo chiedersi come mai anni di scolarizzazione non riescano a colmare il divario. Negli USA, nel 2002 gli studenti con limitate competenze in inglese (LEP, limited english proficiency) nella primaria erano composti per il 59% da alunni migranti di seconda generazione e solo per il 24% da nati all'estero; nella secondaria, si alzava la percentuale di studenti con LEP nati all'estero (44%), ma comunque la metà degli studenti con LEP apparteneva alla seconda o addirittura alla terza generazione di migranti! Come è possibile che molti alunni, anche dopo 7 anni di scuola, non riescano ad acquisire buone competenze in inglese lingua seconda (Capps et alii s. d.)? In Europa, in base ai test PISA, i risultati peggiorano sia in lettura che in matematica e scienze nel passaggio dalla prima alla seconda generazione di migranti: dunque non solo l'istruzione formale non è in grado di migliorare le opportunità, ma anzi cementifica le differenze (Commission of the European Communities 2008). Ciò deriva solo dall'incapacità della scuola di adattarsi al cambiamento nella composizione delle classi, o dalla mancanza di aiuto da parte delle istituzioni (Lorcerie 2006?) ? O vi sono anche fattori esterni all'istruzione, e che la scuola può solo in parte controllare?

In base ai dati raccolti dall'indagine Itagen211, pare che, controllando determinati fattori, siano i giovani serbo-montenegrini e macedoni a correre il rischio maggiore di abbandono, seguiti da indiani, pakistani, marocchini, albanesi, bosniaci, tunisini, cingalesi, rumeni e cinesi (Strozza in Dalla Zuanna et alii 2009: 124). Tuttavia, le differenze tra i risultati degli alunni migranti provenienti da paesi diversi sono minori rispetto a quelle tra figli di migranti e figli di autoctoni. Perciò, il paese di provenienza non è determinante a livello di successo scolastico: l'origine nazionale non è in grado di spiegare le differenze nei percorsi degli studenti (Mantovani 2008, Colombo, Santagati 2010). Del resto, ricerche condotte in Belgio e in Francia hanno dimostrato che, a parità di condizione socio-economica e situazione familiare, i risultati degli alunni migranti sono simili o solo di poco inferiori a quelli dei nativi (Simon 2005). Pare quindi che la condizione socio-economica abbia maggiore influenza rispetto all'origine nazionale.

In effetti, la letteratura sociologica sottolinea da tempo il legame tra le condizioni economiche, sociali e culturali della famiglia e i risultati scolastici dei figli, sia migranti che nativi (Mantovani 2008). Mettendo in relazione i risultati scolastici degli alunni con il capitale culturale e umano della famiglia (grado di istruzione dei genitori, origine sociale, occupazione, reddito familiare, possibilità di accesso alla cultura) e il capitale sociale, cioè il ruolo delle reti sociali, risulta che, in generale, minore è il capitale umano della famiglia, quindi quanto più povere sono le condizioni materiali e culturali, maggiore è il rischio di insuccesso scolastico, sia per i migranti che per i nativi. Questa interpretazione è verificata da numerosi studi e ormai accettata. Tornando agli USA, studi mostrano che i due terzi degli studenti con basse competenze in lingua inglese provengono da famiglie a basso reddito (Capps et alii s. d.), il che collega performance linguistiche meno brillanti alle condizioni socio-economiche più svantaggiate della famiglia.

La relazione capitale umano della famiglia-risultati scolastici è vera indipendentemente dall'essere migranti o nativi, ma per le famiglie migranti vi sono altri fattori, quali l'anzianità migratoria, lo status giuridico, il legame con la comunità d'origine, che influiscono talvolta in modo non univoco. Ad esempio, il capitale sociale delle famiglie migranti, cioè l'ampiezza delle reti etniche nel paese d'accoglienza ma anche la profondità dei rapporti con il paese d'origine, può avere effetti contrastanti: rafforzare l'identità del singolo, e favorire il benessere economico se si trasforma in ethnic business12, ma anche causare un segregazione all'interno della comunità stessa, con effetti negativi sull'apertura alla società esterna (Ricucci 2010).

Altri fattori sono la vicinanza/lontananza della cultura familiare rispetto a quella del paese d'accoglienza (Favaro, Napoli 2004), ma anche le competenze dei genitori in L2 e il riconoscimento o meno del loro eventuale titolo di studio.

In generale, infatti, si tende ad identificare il capitale culturale della famiglia con il titolo di studio dei genitori. La letteratura mostra come i risultati scolastici dei figli siano in generale più scarsi quanto minori siano gli anni di istruzione dei genitori (Capps et alii s. d., Mantovani 2008, Hirtt 2006, Barbagli, Ghigi 2006, Ricucci 2010, Commission of the European Communities 2008). Eppure, in Italia, anche laddove i genitori migranti hanno la stessa scolarità dei genitori autoctoni, per esempio in Emilia Romagna, non viene meno la sovrarappresentazione dei giovani migranti nei percorsi più brevi e professionalizzanti (Mantovani 2008)13.

È allora disattesa l'equazione elevata scolarità dei genitori-successo scolastico dei figli?

Emergono altri due fattori. Da un lato, il mancato riconoscimento nel paese d'accoglienza del titolo di studio dei genitori, poiché in generale, soprattutto per chi proviene da paesi extraeuropei, le qualifiche ottenute in patria non sono riconosciute o sono comunque sottostimate (Commission of the European Communities 2008)14; dall'altro, spesso i genitori degli alunni migranti svolgono mansioni dequalificate rispetto al titolo che possiedono, con un forte scarto fra capitale umano e collocazione occupazionale e una forte svalorizzazione delle competenze acquisite in patria. Ciò può spiegare in parte i risultati peggiori, in alcuni paesi, degli alunni migranti rispetto ai nativi anche in condizioni socioeconomiche simili (Mantovani 2008).

Pare dunque che l'innegabile associazione positiva fra elevato titolo di studio dei genitori e successo scolastico dei figli sia mitigata dalla posizione lavorativa nel paese d'accoglienza. Le condizioni socio-economiche della famiglia, quindi, possono spiegare in parte la sovrarappresentazione dei giovani migranti nei percorsi professionali anche qualora vi sia un background familiare culturalmente favorevole e una buona riuscita scolastica; e ciò potrebbe dipendere dallo scollamento vissuto da molte famiglie migranti tra status socioeconomico e status culturale (Mantovani 2008).

Per molte famiglie migranti, infatti, il precoce inserimento dei figli nel mercato del lavoro è un'esigenza. In generale, indipendentemente dal titolo di studio, la maggior parte degli adulti migranti in Italia ha mansioni operaie in agricoltura, edilizia e industria. Tale situazione lavorativa può avere effetti negativi sul reddito familiare, soprattutto in momenti di insicurezza economica generalizzata, e spingere i figli adolescenti a non voler pesare sulla famiglia, quindi a scegliere percorsi formativi brevi o ad abbandonare gli studi appena raggiunta l'età lavorativa (Mantovani 2008).

D'altra parte, è anche vero che molti genitori migranti, anche se poco scolarizzati, considerano l'istruzione dei figli un forte strumento di riscatto sociale (Barbagli, Ghigi 2006), quindi desiderano per loro percorsi lunghi e prestigiosi, spesso investendo molte risorse umane ed economiche (Pattaro 2010), talvolta anche prescindendo dalle aspirazioni dei figli15.

In ogni caso, sicuramente è necessario, per consigliare la scelta del percorso superiore, conoscere le dinamiche del mercato del lavoro, nazionale e locale16, e la qualità e spendibilità dei diversi diplomi. A tal fine, è importante poter fare affidamento sulle reti etniche ma soprattutto utilizzare i servizi del territorio, quindi anche usare la lingua del paese d'accoglienza.

È possibile dunque che anche il livello di competenza dei genitori in L2 sia determinante per il successo scolastico dei figli? E in relazione a quali ambiti?

 

4.4 LA COMPETENZA IN L2 DEI GENITORI

Il coinvolgimento familiare nel percorso educativo dei figli è molto importante ai fini della riuscita scolastica dei giovani, soprattutto in una scuola come quella italiana, “modellata sulle esigenze di chi - italiano o straniero - ha una famiglia alle spalle, in grado di integrare le conoscenze scolastiche con aiuti per compiti a casa e con stimoli culturali in linea con quanto richiesto dalla scuola” (Dalla Zuanna et alii 2009: 132). È vero che genitori istruiti anche solo nel paese d'origine possono essere abili nel motivare i figli, e che anche genitori poco scolarizzati possono investire molto nell'istruzione dei figli, ma le competenze in L2 dei genitori sono essenziali per unire al supporto emotivo anche il supporto pratico. Ricerche statunitensi, infatti, dimostrano come i figli di genitori con scarse competenze in L2 siano più inclini a lasciare anticipatamente la scuola, essere iscritti ad anni inferiori ed in generale avere risultati peggiori (Bleakley, Chin 2004).

Difficoltà nel supporto ai figli nei compiti a casa, inadeguate possibilità di relazionarsi con il mondo della scuola e di guidare i figli nella scelta post-media: in questi campi possono avere effetti negativi limitate competenze dei genitori in L2.

L'aiuto nei compiti a casa è essenziale in particolare nella scuola primaria e media, ma è rilevante anche nella scuola superiore. Secondo la ricerca Itagen2, il 35% dei ragazzi migranti nati in Italia o giunti in Italia prima dei 5 anni dichiara di non ricevere aiuto nello studio a casa; la percentuale sale al 50% per i figli di genitori albanesi e il 58% per i figli di genitori cinesi (Dalla Zuanna et alii 2009: 120-121). Si tratta di percentuali molto alte, che non scendono al diminuire dell'età di arrivo di questi alunni in Italia e che si avvicinano molto alle percentuali risultanti per i figli di genitori italiani poco istruiti (Dalla Zuanna et alii 2009). Motivo sembra proprio essere “l'impossibilità materiale da parte dei genitori di aiutare i figli nei compiti a casa, e questo fatto non cambia con il tempo di permanenza nel nostro paese” (Ibid. 2009: 121). Quanto questo debba essere fonte di inquietudine è evidente se si considera che il sistema scolastico italiano è in gran parte fondato sullo studio individuale in orario extrascolastico (Ibid.). Questa impossibilità è causata certo anche da fattori pratici, come gli orari lavorativi, ma le competenze in L2 dei genitori sono essenziali: un genitore presente e istruito ma con scarse abilità in L2 può aiutare meno. Dal momento che sono le madri ad essere particolarmente influenti sulle performance scolastiche dei figli, bisognerebbe puntare in particolare al miglioramento delle competenze materne in L2 (Commission of the European Communities, 2008).

Quanto alla difficoltà ad avere interazioni proficue con gli insegnanti dei figli, “la presenza dei genitori a scuola può essere disincentivata da difficoltà linguistiche che inducono vissuti di debolezza nel confronto degli interlocutori italiani, mentre da un punto di vista più funzionale impediscono od ostacolano la possibilità di accompagnare attivamente il processo di inserimento dei figli (come abbiamo visto per quanto riguarda i compiti a casa), di comprendere i messaggi della scuola, di rispondere in maniera puntuale agli avvisi e alle richieste dell'istituzione” (Pattaro 2010: 109). La L2, quindi, può essere una barriera nel rapporto tra scuola e genitori migranti, ma anche tra genitori e figli: la scarsa conoscenza della L2 dei genitori, unita a competenze spesso superficiali dei figli nella L1, può rendere impossibile trovare una lingua comune fra genitori e figli, impedendo di realizzare appieno la relazione educativa in famiglia (Ricucci 2010)17 e diminuendo le capacità dei genitori di essere consiglieri attivi nella scelta della scuola superiore.

Riguardo all'orientamento, teoricamente la scelta della scuola superiore dovrebbe essere meritocratica: gli studenti con i risultati migliori dovrebbero scegliere i percorsi più impegnativi (Barban 2010). Da un lato, ricerche condotte nel bolognese mostrano che gli alunni migranti con un basso status socio-economico hanno probabilità maggiori di ottenere la sola sufficienza all'esame di licenzia media (Mantovani 2008); quindi, se anche la scelta si basasse solo sul voto di uscita, essi partirebbero già svantaggiati. Ma è un fatto come, a parità di risultato conseguito all'esame di licenza media, i giovani migranti tendano comunque ad iscriversi alle scuole professionali in misura maggiore degli italiani (Dalla Zuanna et alii 2009). Sappiamo che il disagio economico e una conoscenza poco approfondita della lingua, uniti all'incertezza dei progetti migratori della famiglia o propri, che porta a scegliere diplomi più immediatamente spendibili (Bertozzi in Giovannini s. d., Besozzi, Giovannini 2002), canalizzano verso indirizzi scolastici meno prestigiosi. Su ciò influiscono anche le indicazioni dei docenti di scuola media, che si basano spesso su giudizi soggettivi, talvolta legati a pregiudizi o visioni stereotipate (Mantovani 2008). Può accadere, infatti, che agli studenti migranti gli insegnanti richiedano competenze supplementari per convincerli di essere adatti a seguire percorsi più prestigiosi, quasi che le performance reali vengano appannate da pregiudizi più o meno connotati culturalmente (Simon 2005); o che i singoli istituti, potendo stabilire chi accogliere e chi no grazie all'autonomia scolastica (L. 59/1997), deleghino il “problema stranieri” alle scuole percepite come “più attrezzate” (Ricucci 2010) che, spesso, sono proprio i professionali o i tecnici (Favaro, Napoli 2004); o forse può giocare il tentativo di salvaguardare gli alunni migranti da un possibile fallimento, benchè, paradossalmente, sia proprio nei professionali che si sono registrate, nell'a.s. 2010/11, le punte di promozione più basse, sia fra i nativi che fra i migranti (Miur, Ismu 2011b).

Di fronte ai consigli degli insegnanti per la filiera corta dell'istruzione, i genitori possono avere un atteggiamento rinunciatario (Ricucci 2010): spesso hanno poche e confuse informazioni sul possibile ventaglio delle scelte, su cui possono influire paragoni non appropriati con i modelli di istruzione del paese di provenienza. Se a ciò sommiamo il possibile disorientamento linguistico dato dalla scarsa competenza nella L2 ci troviamo di fronte a scelte fallimentari (Favaro, Napoli 2004) sostenute dai figli in solitudine (Favaro, Napoli 2002) o in un'assimilazione al gruppo dei pari spesso a dispetto delle proprie capacità o dei progetti familiari (Pattaro 2010).

In questo contesto, per essere attori e non spettatori delle scelte dei figli, può essere essenziale per i genitori sia potersi informare sulle diverse possibilità scolastiche attraverso materiale informativo in lingua madre (Capps et alii s. d.), sia poter dialogare direttamente con il mondo scolastico.

Sono evidenti, dunque, le ricadute positive sul piano sociale di percorsi di apprendimento della lingua del paese d'accoglienza per i genitori degli alunni migranti, percorsi che in molte realtà già esistono, benché in modo spesso poco strutturato o di corto respiro a causa di carenza di fondi e miopia politica.

 

4.5 LE CARATTERISTICHE DEL SISTEMA EDUCATIVO

Anche alcune caratteristiche intrinseche al sistema scolastico possono risultare svantaggiose per gli alunni migranti. Gli effetti di tali caratteristiche sui risultati degli alunni migranti sono stati analizzati in uno studio condotto su giovani di seconda generazione in diversi paesi europei18. Riportiamo qui brevemente alcuni fattori positivi individuati (Crul, Schneider 2009):

  1. accesso precoce al sistema educativo;

  1. tracking, ovvero orientamento e scelta della scuola superiore, ad un'età avanzata;

  1. esistenza di programmi di apprendistato ben strutturati;

  1. integrazione quotidiana nelle scuole e nelle classi;

  1. raggruppamento di primaria e secondaria in un unico istituto fino al termine dell'obbligo scolastico;

  1. sganciamento dell'identificazione fra età del termine dell'obbligo e età di ingresso nel mercato del lavoro.

Si tratta di fattori che necessiterebbero di un intervento istituzionale e politico a livello nazionale, e sui quali la singola città, scuola o gruppo di insegnanti non può influire, se non a livello di informazione e pressione.

Vi sono però caratteristiche del sistema educativo sui cui ogni scuola o insegnante può intervenire, ovvero:

  • i compiti a casa: abbiamo visto che un sistema che usi compiti a casa come strumento essenziale per la riuscita scolastica penalizza fortemente alunni con genitori materialmente impossibilitati per ragioni diverse, soprattutto linguistiche, a fornire un sostegno pratico;

  • un sistema scolastico “part-time”, penalizzante poiché riduce le interazioni con i pari figli di nativi e con gli insegnanti (Crul 2007) e la possibilità di ricevere aiuto, quindi aumenta la necessità di ricorrere a risorse esterne a pagamento, che difficilmente una famiglia a basso reddito può permettersi;

  • i metodi e i fini della valutazione: infatti, un sistema scolastico focalizzato sulla selezione esclusiva piuttosto che sulla ricerca di modalità per “tenere dentro” la scuola, e che utilizzi una valutazione certificativa, non fa che aumentare i fallimenti, quindi la fuoriuscita precoce dal sistema educativo (Crul, Schneider 2009). La legge italiana prevede che per gli studenti migranti sia utilizzata una valutazione formativa (Miur 2007), ed in questa direzione di inclusione va anche la valutazione biennale adottata da molte scuole superiori; è vero che le indicazioni legislative in merito alle modalità di valutazione degli studenti migranti sono spesso lacunose o poco chiare, ma è anche vero che sono sovente disattese nella pratica didattica quotidiana, a causa di disinteresse o impreparazione di insegnanti e dirigenti.

 

5. CONCLUSIONI: PRESENTE E FUTURO

È emerso dunque che diversi fattori concorrono a determinare ripetenze, fallimenti, dis-orientamenti di una parte degli alunni migranti, che oltre a “condividere lo svantaggio competitivo con i figli di italiani delle classi sociali più sfavorite debbono superare ulteriori ostacoli, più direttamente legati alla loro condizione di immigrati” (Dalla Zuanna et alii 2009: 136). Infatti, come ai tempi di Don Milani, il disagio socio-economico delle famiglie è un fattore discriminante, ma a ciò si sommano svantaggi tipici dei “figli d'altrove”: difficoltà ad impadronirsi delle funzioni accademiche della L2; ricerca delle appartenenze che accentua la vulnerabilità tipica dell'adolescenza e che spesso è fonte di discriminazione o rabbia o solitudine; genitori che, complice una L2 spesso poco padroneggiata e una svalutazione delle loro competenze, faticano a ricostruirsi nel ruolo di guide. Questo all'interno di un contesto, la scuola italiana, che pare immune da forme di segregazione ma che sembra ancora impreparata a colmare i gap di partenza.

È evidente che le ipotesi unicamente didattiche o pedagogiche sono insufficienti (Maier 2002). Tuttavia la scuola, in collaborazione con gli enti del territorio, può e deve intraprendere azioni positive rilevanti, agendo in un'ottica di prevenzione del disagio (Favaro, Napoli 2004), per esempio per ciò che concerne:

 

  • il potenziamento di percorsi di approfondimento delle competenze in L2 per gli alunni migranti e i loro genitori;

  • l'organizzazione di attività di supporto agli apprendimenti nel tempo extrascolastico con personale competente;

  • il potenziamento di percorsi di orientamento e di relazione con le famiglie e la lotta contro una canalizzazione formativa solo apparentemente spontanea;

  • la formazione specializzata di insegnanti, educatori, volontari;

  • la valorizzazione della L1 e l'organizzazione di percorsi di educazione bilingue;

  • la ricalibrazione dei parametri e della funzione della valutazione;

  • la riflessione su pratiche potenzialmente discriminanti, come i compiti a casa.

 

 

BIBLIOGRAFIA

BARBAGLI M., GHIGI R., (2006), Rapporto sulla ricerca: L'integrazione scolastica delle seconde generazioni di stranieri nelle scuole secondarie di primo grado della Regione Emilia Romagna, Osservatorio sulle differenze, Comune di Bologna, www.usrpiemonte.it/educit/Integrazione/Barbagli%20Marzio%20-%20integrazione%20scolastica.pdf (12.05.2012)

BARBAN N., (2010), I figli degli immigrati e la scelta della scuola superiore in Italia, www.neodemos.it (12.05.2012)

BERTOZZI R., (s. d.), “Dopo la terza media:le scelte, la riuscita e le aspettative dei giovani”, in GIOVANNINI G. (a cura di) (s. d.), La condizione dei minori stranieri in Italia, Fondazione Ismu, www.ismu.org, cap. 5, 73-82. (12.05.2012)

BESOZZI E., (2005), “Percorsi ed esiti scolastici degli alunni con cittadinanza non italiana. Un'analisi dei fattori in gioco”, in MIUR 2005, Appendice, 117-124.

BESOZZI E., GIOVANNINI G., (2002), Alunni italiani e stranieri in una scuola comune. Investimento in istruzione, integrazione e riuscita scolastica, Atti del Convegno “La scuola dell'incontro: immigrazione e percorsi scolastici in Italia e in Europa – Torino 14 marzo 2002”, Fondazione Giovanni Agnelli, www.fga.it (12.05.2012)

BLEAKLEY H., CHIN A., (2004), What Holds Back the Second Generation? The Intergenrenational Transmission of Language Human Capital among Immigrants, Working Paper 104, The Center for Comparative Immigration Studies, University of California, San Diego, www.ccis-ucsd.org (12.05.2012)

CAPPS R., FIX M., MURRAY J., OST J., PASSEL J.S., HERWANTORO S., (s. d.) The New Demografy of America'S Schools. Immigration and the No Child Left Behind Act, The Urban Institute, Washington DC, USA, www.urban.org (12.05.2012)

CAON F., (a cura di) (2006), Insegnare italiano nella classe ad abilità differenziate, Guerra, Perugia.

COLOMBO M., SANTAGATI M., (2010), “Interpreting Social Inclusion of Young Immigrants in Italy”, in Italian Journal of Sociology of Education, 1, 9-48.

Commission of the European Communities, (2008), Green Paper. Migration & Mobility: Challenges and Opportunities for EU Education Systems, European Commission, Bruxelles, www.ec.europa.eu/education/school21/com423_en.pdf (12.05.2012)

Council of the European Union, (2009), Council Conclusions on the Education of Children with a Migrant Background, 2978th Education, Youth and Culture Councile meeting – Brussels 26 november 2009, www.consilium.europa.eu/uedocs.pdf (12.05.2012)

CRUL M., (2007), Pathways to Success for the Second Generation in Europe, www.migrationinformation.org (12.05.2012)

CRUL M., SCHNEIDER J., (2009), The Second Generation in Europe: Education and the Transition to the Labor Market, TIES: The Integration of the European Second Generation, University of Amsterdam, Migration Plicy Institute, www. migrationpolicy.org (12.05.2012)

D'ANNUNZIO B., LUISE M.C., (2008), Studiare in lingua seconda. Costruire l'accessibilità ai testi disciplinari, Guerra, Perugia.

DALLA ZUANNA G., (2007) I nuovi ragazzi di Barbiana, www.neodemos.it (12.05.2012)

DALLA ZUANNA G., FARINA P., STROZZA S. (a cura di) (2009), Nuovi italiani, Il Mulino, Bologna.

FARINELLI F. (s. d.), I voti della generazione 2, www.sbilanciamoci.info (12.05.2012)

FAVARO G., NAPOLI M., (2002), Come un pesce fuor d'acqua. Il disagio nascosto dei bambini e dei ragazzi immigrati, Guerini e Associati, Milano.

FAVARO G., NAPOLI M. (a cura di), (2004), Ragazze e ragazzi nella migrazione, Guerini e Associati, Milano.

HIRTT N., (2006), PISA 2003 et le mauvais résultats des élèves issus de l'immigration en belgique. Handicap culturel, mauvaise intégration ou ségrégation sociale?, www.ecoledemocratique.org (12.05.2012)

KUČERA M., (2008), Le niveau de scolarité des immigrants de seconde génération au Canada: une analyse fondée sur l'Enquête sociale générale, Direction de la politique sur l'apprentissage – Politique stratégique et Recherche – Ressources humaines et Développement social Canada, www.hrsdc.gc.ca (12.05.2012)

LORCERIE F., (2006), Politique scolaire et intégration: bonnes intentions et piètres résultats, Seminario interdisciplinare “Periferie escluse: una riflessione sulle marginalità urbane, culturali e sociali, dopo le banlieues francesi – Torino 24 marzo 2006”, Fondazione Giovanni Agnelli, www.fga.it/fileadmin/storico/pdf/doconline/lorcerie_240306.pdf (12.05.2012)

MAIER R., (2002), Immigrants Students, School and Integration Policies: the Case of the Netherlands, Atti del Convegno “La scuola dell'incontro: immigrazione e percorsi scolastici in Italia e in Europa – Torino 14 marzo 2002”, Fondazione Giovanni Agnelli, www.fga.it (12.05.2012)

MANTOVANI D., (2008), Seconde generazioni all'appello. Studenti stranieri e iscrizione secondaria superiore a Bologna, Misure/Materiali di ricerca dell'Istituto Cattaneo, www.cattaneo.org (12.05.2012)

Ministero Pubblica Istruzione, (2007), La via italiana per la scuola interculturale e l'integrazione degli alunni stranieri, www.istruzione.it (12.05.2012)

MIUR, (2005), Indagine sugli esiti degli alunni con cittadinanza non italiana. Gennaio 2005. Anno scolastico 2003/04, Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, www.istruzione.it (12.05.2012)

MIUR, ISMU, (2011a) Rapporto nazionale sugli alunni con cittadinanza non italiana. Anno scolastico 2010/2011. Anticipazione dei dati. www.ismu.org/pdf (12.05.2012)

MIUR, ISMU, (2011b), Alunni con cittadinanza non italiana. Verso l'adolescenza. Rapporto nazionale A.s. 2010/11, Quaderni Ismu 4, Fondazione Ismu, Milano, 2011.

MORO M.R., (2001), Bambini immigrati in cerca di aiuto, Utet, Torino.

PATTARO C., (2010), Scuola & migranti. Generazioni di migranti nella scuola e processi di integrazione informale, Angeli, Milano.

PORTES A., (1995), The Economic Sociology of Immigration, Russel Sage Foundation, New York.

PORTES A., (1996), The New Second Generation, Russel Sage Foundation, New York.

RICUCCI R., (2010), Italiani a metà, Il Mulino, Bologna.

SIMON P., (2005), Une “question de la seconde génération” en France ? Le rôle de l’école dans la formation d’une identité minoritaire, Séminaire d’Espace de Recherche de Confrontation, de Développements, des Nouveaux Concepts, www.seminaire.samizdat.net/une-question-de-la-seconde.html (12.05.2012)

 

 

1Per brevità si indicherà la scuola secondaria di II grado come “scuola superiore”, e la secondaria di I grado come “scuola media”.

2Cfr. Ricucci 2010: 70.

3Accettiamo l'impostazione di, tra gli altri, Moro, Favaro e Ricucci sulla necessità di considerare gli alunni nati e/o socializzati in Italia simili ai coetanei italiani ma anche portatori di diversità derivanti dal vissuto anche indiretto della migrazione.

4Cfr. Art. 45 legge 40 D.P.R. 394/99 e Miur 2007.

5Anzi, paradossalmente, ricerche condotte negli USA evidenziano come in alcuni campi, ad eccezione di quello linguistico, l'anzianità migratoria diventi fattore di svantaggio piuttosto che di vantaggio (Zhou in Mantovani 2008).

6Si tratta dell'assimilazione dei giovani migranti agli strati marginali e discriminati della società del paese ospitante. Cfr. Portes 1995.

7Nell'a.s. 2010/11, in prima media gli alunni migranti ripetenti erano l'11,3% contro il 4,4% degli italiani; in seconda media, gli alunni migranti ripetenti erano l'8,3%, gli italiani il 3,38%; in terza media, gli alunni migranti ripetenti erano il 7,5% contro il 3,2% degli italiani. Nella scuola superiore, al termine della classe prima troviamo il 12,9% di alunni migranti ripetenti, contro l'8,6% degli italiani; in seconda, gli alunni migranti ripetenti sono il 9,6%, a fronte del 7,1% di italiani ripetenti. Progressivamente le ripetenze diminuiscono sia per gli italiani che per i migranti e la forbice si restringe, fino ad arrivare al 5,4% di alunni migranti ripetenti in quinta, a fronte del 4% degli alunni italiani. (Miur, Ismu 2011b: 44-45).

8Purtroppo, “tutta l'area della formazione professionale dei minori stranieri risulta praticamente priva di dati e di indagini specifiche” (Bertozzi in Giovannini s. d.: 73)

9Per approfondimenti, cfr. D'Annunzio, Luise 2006 e Caon 2006.

10La valorizzazione della L1 è di grande importanza se consideriamo che, al primo ingresso nella scuola, la necessità di imparare a leggere e scrivere solo in L2 determina una rottura con la L1 e con ciò che essa rappresenta, ampliando le distanze tra mondo interno (la famiglia, con le sue storie, la sua cultura) e l'esterno (la scuola, la società) (Favaro, Napoli 2002).

11È la prima ricerca nazionale statisticamente rappresentativa sui figli dei migranti in Italia, condotta sugli alunni di scuola media di 48 province nell'a.s. 2005/06. Cfr. Dalla Zuanna et alii 2009.

12Cfr. Portes 1996.

13L'eterogeneità delle provenienze nel contesto italiano rende difficile generalizzare, ma in molti casi i protagonisti dell'esperienza migratoria appartengono agli strati socio-economicamente più elevati (Mantovani 2008).

14Per migliorare la trasferibilità delle qualifiche fra i paesi dell'Unione Europea è nato l'European Qualifications Framework (Commission of the European Communities 2008).

15Lo scarto fra i desideri della famiglia e quelli dei figli può manifestarsi come scelta di percorsi prestigiosi anche qualora i figli non ne abbiano il desiderio, o come scelta di percorsi brevi e meno qualificanti a dispetto di alte aspirazioni e buone competenze (Bertozzi in Giovannini s. d.). Giocano anche peculiarità dei modelli culturali, che diventano differenze intergenerazionali; è il caso degli alunni cinesi, spesso “studenti-lavoratori” già alla scuola media (Ibid.)

16Ad esempio, le prospettive possono cambiare in “contesti sociali innervati da piccole e medie imprese” (Dalla Zuanna et alii 2009: 136-137).

17La maggiore competenza dei figli nella lingua del paese d'accoglienza rispetto ai genitori, unita ad un'immagine del padre svilita anche a causa di un lavoro spesso precario (Favaro, Napoli 2002), può dare vita ad un ribaltamento dei ruoli (“parentification”), causando carichi eccessivi di responsabilità, quindi depressione o precoce adultizzazione dei giovani migranti (Ricucci 2010).

18Il progetto TIES è una ricerca comparativa, completata nel 2008, condotta in 8 paesi europei (Italia esclusa) sui discendenti dei migranti provenienti da Turchia, Marocco e Ex-Jugoslavia. Cfr. Crul, Schneider 2009.

 

Laboratorio Itals newsletter

Iscriviti per essere notificato quando é disponibile un nuovo numero del Bollettino ITALS

Abbonamento a Laboratorio Itals newsletter feed

Contatti

Per informazioni contattaci ai seguenti recapiti


Per informazioni sui Master: