Giugno 2012  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Didattica di una lingua straniera a studenti non vedenti e ipovedenti: appunti e riflessioni di Ilaria Pezzola

ABSTRACT

L’articolo è frutto di appunti raccolti in seguito a un’esperienza di insegnamento della lingua italiana a uno studente non vedente e a una studentessa ipovedente.
Le idee e i suggerimenti proposti nascono dal desiderio di venire incontro agli insegnanti che dovessero trovarsi di fronte a tale esperienza, e vanno a comporre una sorta di vademecum che serva loro da orientamento.
La prima parte dell’articolo contiene alcune riflessioni sulla gestione della relazione e delle “distanze” con studenti non vedenti e ipovedenti. In seguito, si passerà ad esaminare l’importanza degli spazi, quindi dell’aula, e il ruolo dell’insegnante in tale contesto. L’ultima parte contiene idee e suggerimenti per lo svolgimento di attività di comprensione orale e scritta, di produzione orale e scritta, di fonetica, nonché per il lavoro individuale a casa.

 

1. INTRODUZIONE

Le riflessioni raccolte in questo scritto si riferiscono a un’esperienza d’insegnamento della lingua italiana a uno studente non vedente e a una studentessa ipovedente maturata durante un corso per adulti ispanofoni di livello A1.

Bisogna tener presente l’unicità di questa circostanza (insegnamento dell’italiano LS ad adulti ispanofoni; uno studente non vedente, una studentessa ipovedente), quindi la possibilità che ai metodi impiegati non seguano gli stessi risultati in un altro contesto di apprendimento e con altri studenti che presentano le stesse caratteristiche.

Prima di prendere in analisi i vari aspetti che investono il processo di insegnamento di una lingua straniera a uno studente non vedente, è bene ricordare o spiegare - per chi non avesse mai avuto contatti con persone cieche - cosa significhi interagire con i non vedenti. In genere la reazione di chi interagisce per la prima volta con una persona non vedente è di disagio. È comprensibile. Lo sguardo fa da scudo nel momento in cui si affronta la realtà circostante: è in grado di regolare i rapporti tra le persone, di decodificare la disposizione d’animo dell’individuo che si ha di fronte, di darne un primo giudizio se sconosciuto, insomma, si fa messaggero di una serie infinita di informazioni che quotidianamente trasmettiamo a noi stessi (ricomponendo con il pensiero un’immagine o una sensazione) e agli altri. Cosa succede quando si è in presenza di una persona che non ha a disposizione tale “strumento”? Come capire se è contenta di vederci o conoscerci, se apprezza quello che succede intorno o se non è a proprio agio? Probabilmente è più difficile per chi vede carpire queste informazioni rispetto a chi, pur non avendo il sostegno della vista, dispone di una speciale sensibilità, affinata per sopperire a questa “mancanza”. Per questo può capitare che, mentre una persona vedente studia il proprio comportamento, indecisa sul modo in cui presentarsi a un non vedente, l’altro allunghi per primo la mano, alla ricerca di un contatto con lo sconosciuto.

Dunque, alla sensazione di disagio alla quale si è fatto riferimento sopra, si aggiunga per un insegnante il senso di inadeguatezza. Non è difficile immaginare la preoccupazione che possa accompagnare una situazione nuova, diversa e forse imprevista, per la quale non bastano (e non esistono) manuali che vengano in soccorso o attività di sicuro successo da proporre in classe. Il confronto con uno studente non vedente presuppone innanzitutto un confronto con se stessi, con i propri metodi, con le proprie capacità e, in testa a tutto, con la propria sensibilità.

Oggetto del presente studio è stata una classe ispanofona di livello A1, composta da 15 studenti, di cui uno studente non vedente (che ha abbandonato il corso per motivi di lavoro dopo due mesi circa) e una studentessa ipovedente di 37 anni, insieme alla quale sono state messe a punto le strategie didattiche raccolte in queste pagine. Va detto che alcune delle indicazioni presentate risultano valide in entrambi i contesti (studenti non vedenti/studenti ipovedenti) e altre si riferiscono in modo specifico alla pratica didattica con studenti ipovedenti.

 

 

2. CECITÀ E IPOVISIONE

In base alla legge n. 138 (3 aprile 2011), le tipologie di cecità e ipovisione sono state classificate come segue1:

 

Art. 2: Definizione di ciechi totali
a) coloro che sono colpiti da totale mancanza della vista in entrambi gli occhi;
b) coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o dal moto della mano in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore;
c) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 3 per cento.

Art.3: Definizione di ciechi parziali
a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 10 per cento.

Art. 4: Definizione di ipovedenti gravi
a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 30 per cento.

Art. 5: Definizione di ipovedenti medio-gravi
a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 50 per cento.

Art.6: Definizione di ipovedenti lievi
1. Si definiscono ipovedenti lievi:
a) coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione;
b) coloro il cui residuo perimetrico binoculare è inferiore al 60 per cento.

 

 

3. UNO STUDENTE NON VEDENTE IN CLASSE: I PRIMI PASSI

Il primo aspetto da considerare quando si intraprende un percorso di insegnamento a uno studente non vedente è il proprio atteggiamento. I due poli dai quali l’insegnante si potrebbe sentire - seppur inconsapevolmente - attratto sono l’eccessiva preoccupazione, con pessimi effetti sulla riuscita del corso e sulla propria autostima, e la noncuranza. Nel primo caso l’insegnante, spinto da insicurezze e dal desiderio di riuscire a tutti i costi, potrebbe tendere in qualche modo a sostituirsi allo studente, prestando una scarsa attenzione ai suoi reali bisogni e soprattutto alle sue capacità personali, che andrebbero invece valorizzate al massimo. Nel secondo caso, al contrario, si potrebbe abbandonare all’approssimazione, nella convinzione che in fondo non resti altra scelta che evitare alcune attività e prediligere percorsi differenti, ad hoc per lo studente. Questa strada, però, si allontana definitivamente da uno degli obiettivi principali di un insegnante in questo contesto: riuscire a mantenere l’equilibrio e la coesione del gruppo classe.

L’altro aspetto fondamentale è la personalità dello studente. Una persona cieca (adulta) che decide di imparare una lingua straniera sa a cosa va incontro; tuttavia, guai a pensare che tutte le persone non vedenti abbiano le stesse esigenze e le stesse attitudini, per questo all’inizio è bene muoversi con delicatezza e rispettare i tratti di ogni singola personalità.

 

La regola d’oro: imparare a gestire le distanze

Tra gli aspetti più complessi nell’interazione con il non vedente vi è quello della distanza, sia essa fisica o verbale.

La persona non vedente percepisce immediatamente il disagio delle persone che ha di fronte, per questo è spesso la prima ad avvicinarsi o a gestire il contatto.

Nel contesto didattico il contatto fisico è fondamentale: il tatto può diventare uno strumento valido per integrare le descrizioni. Se lo studente straniero, soprattutto di livello principiante come nel caso trattato, dove non arriva la spiegazione dell’insegnante può ricorrere alla vista, il non vedente può ricorrere al tatto.

Citerò a tal proposito un episodio accaduto un giorno. Un pomeriggio sono entrata in classe con una vistosa benda all’indice sinistro, medicazione che mi era stata praticata in seguito a un incidente domestico. Gli studenti mi hanno immediatamente domandato che cosa mi fosse successo; dati gli scarsi mezzi linguistici a disposizione (il corso era appena iniziato), alcuni mi hanno chiesto spiegazioni nella loro lingua, lo spagnolo, mentre altri si sono limitati a indicare il mio dito fasciato, toccando il proprio con espressione interrogativa. Io ho risposto raccontando loro dell’incidente in cucina, quando mi sono accorta che la studentessa non vedente non aveva idea del contenuto della conversazione cui stava assistendo. A quel punto ho provato a spiegarle l’accaduto a parole senza successo. Non mi è rimasto che riformulare la frase in modo più semplice e avvicinarmi a lei, prenderle le mani e mettere la mia nelle sue. A quel punto era tutto chiaro anche per lei. Sono riuscita, con quel gesto, a darle la stessa possibilità degli altri, facendole esplorare le condizioni del mio dito. Come gli altri, ha capito cosa mi fosse successo e ha potuto apprezzare la forma, lo spessore, la lunghezza e il materiale della benda che portavo, rendendosi conto dell’entità della ferita, esattamente come tutti gli altri. Ridurre, in alcuni casi azzerare, le distanze fisiche è fondamentale quando il tipo di attività e soprattutto le esigenze di comprensione lo richiedono.

In quanto a quella indicata sopra come “distanza verbale”, è raccomandabile aspettare che sia lo studente a farsi conoscere e a farci capire qual è il grado di confidenza e intimità che vuole instaurare con noi. Parlare della cecità, sua o di altri, non deve mai essere un tabù, non di rado le persone non vedenti ricordano all’interlocutore la propria condizione. Inoltre, avere informazioni sul grado di cecità della persona significa anche acquisire delle indicazioni circa le possibilità di adattamento di materiali e attività, che non sono le stesse per una persona non vedente o per una ipovedente.

È importante quindi, soprattutto all’inizio, parlare senza timore con lo studente per capire cosa si aspetta dal corso e cosa l’ha spinto a imparare la lingua scelta. Di fondamentale importanza per la programmazione didattica è anche il dialogo sui supporti tecnici che preferisce utilizzare, i materiali che può reperire o di cui ha bisogno, e tutti gli accorgimenti necessari per un regolare e sereno procedere delle lezioni. Salvo per i casi di cecità congenita, non va dimenticato che molti non vedenti hanno dovuto imparare a vivere senza l’aiuto della vista, quindi è naturale per loro affrontare anche nei dettagli il tema dei metodi e degli strumenti ai quali ricorrere per migliorare la didattica.

Dopo aver iniziato a familiarizzare con lo studente e con le sue esigenze, è importante dedicarsi alla classe, studiarne la composizione e prendere in esame i metodi per “amalgamarla” il più possibile. Il rischio, infatti, è quello di concentrarsi tanto sullo studente non vedente da tralasciare le esigenze degli altri, con lo spiacevole risultato di scontentare praticamente tutti, insegnante compreso. Bisogna dunque studiare la classe e i suoi componenti, cercare di rubarne gli sguardi e i commenti, per capire in che modo vivano la presenza del loro compagno. Può succedere di individuare una o più persone che spontaneamente facciano da tutores allo studente cieco, ripetendo frasi non comprese e assistendolo durante la lezione. È preferibile, laddove possibile, scegliere più persone (almeno tre o quattro che abbiano dimostrato interesse e piacere a lavorare con lo studente) da affiancargli a turno, perché eleggendone una sola si corre il rischio di isolare entrambi dal resto della classe. È ovvio che in nessun caso a questi studenti va delegato il ruolo dell’insegnante. Inoltre, è fondamentale prestare attenzione alla scelta dei compagni che lavorano con lo studente in attività da svolgere in coppia, onde evitare situazioni imbarazzanti a persone non disposte o inclini a questo tipo di confronto, finendo per compromettere l’equilibrio del gruppo classe e la riuscita della lezione.

 

 

4. L’AULA

Anche i luoghi che accoglieranno le lezioni vanno curati e preparati all’occorrenza.

Innanzitutto bisogna eliminare o spostare dall’aula tutti gli oggetti che possono essere d’ostacolo all’accesso o ai movimenti dello studente non vedente.

 

La porta d’ingresso dell’aula.

Meglio se già aperta all’arrivo dello studente, purché l’insegnante segnali la presenza sua e dei compagni dall’interno, evitando così inutili attese nell’incertezza che la lezione sia già iniziata o meno. Ovviamente è corretto chiudere la porta se lo studente ritarda o non arriva perché assente, non avrà alcun problema a entrare, localizzerà comunque l’entrata e gli spazi.

In tutti i casi vanno spostati gli oggetti (in genere si tratta di sedie) che impediscono la completa apertura della porta o che si trovano davanti ad essa, anche se sporgono in maniera “insignificante” (insignificante solo per noi!), perché potrebbero fungere da vere e proprie barriere, facendo inciampare lo studente o ostacolando il passaggio di un cane guida. Queste attenzioni, che di certo garantiscono l’incolumità dello studente (anche se i non vedenti sanno orientarsi e individuare gli ostacoli), mi sembrano in ogni caso gesti dovuti di cortesia e accoglienza da osservare nei suoi confronti.

 

La disposizione delle sedie.

La disposizione degli studenti a semicerchio con al centro l’insegnante appare la migliore da adottare, poiché favorisce la percezione delle voci e della vicinanza degli studenti. Lo studente non vedente tenderà, per ragioni pratiche e di tempo, a sedersi sulla sedia libera più vicina alla porta d’ingresso: se quest’ultima si trova accostata alla parete, finirà per isolarlo dal resto della classe (e non sempre è facile o opportuno, soprattutto a lezione iniziata, fare alzare lo studente per farlo spostare). Per questa ragione, è importante preparare prima l’aula o lasciare istruzioni precise all’insegnante che la occupa nell’ora precedente. Ottimo, ma non sempre possibile, riuscire a far sedere lo studente in mezzo al cerchio, avvolto dai compagni, soprattutto se la disposizione prende forma spontaneamente.

 

I rumori.

Per uno studente non vedente l’input sonoro è di fondamentale importanza. Pertanto, sarebbe d’aiuto eliminare tutti i rumori e i suoni che possono interferire con quelli già numerosi in un’aula (voci di sottofondo degli studenti, penne e matite che cadono, borse e cerniere che si aprono o si chiudono, colpi di tosse, starnuti, libri o quaderni sfogliati, quando non cellulari accesi, ecc…). A questo proposito, ad esempio, bisognerebbe occupare un’aula che non sia esposta ai rumori di una strada trafficata o a quelli della scuola stessa (un’aula posizionata nell’ingresso di una scuola sarà invasa da rumori di voci, risa, passi di persone lì al lavoro o in attesa). Bisogna tenere in conto anche altre caratteristiche dello spazio in cui si fa lezione: ad esempio, nel caso in esame il pavimento dell’aula era rivestito di uno splendido ma scricchiolante parquet, sensibilissimo alla pressione più leggera. Per uno studente non vedente può rappresentare un rumore fastidiosissimo al momento di seguire la voce dell’insegnante o un brano registrato e comunque in ogni istante, visto il ruolo centrale che ha l’udito nel suo percorso di apprendimento.

 

Gli apparecchi audiovisivi.

Ovviamente meglio se disposti il più vicino possibile allo studente non vedente, laddove non creino difficoltà o fastidio agli altri. Tuttavia, se il rischio è quello di penalizzare un altro studente con problemi di udito (caso che si è realmente verificato), meglio allora che le apparecchiature siano equidistanti da tutti gli studenti, nessuno favorito.

 

L’illuminazione.

Nel caso di studenti ipovedenti, la luce rappresenta un elemento essenziale e, se utilizzata in modo appropriato, può contribuire in maniera determinante a migliorare le condizioni di studio dell’allievo. E’ bene, pertanto, riservare allo studente la zona dell’aula maggiormente esposta alla luce in primavera o in estate e quella con la migliore illuminazione in inverno o di sera. Come spiegato più avanti (par. 6), può essere di grande aiuto anche l’utilizzo di una lampada da scrivania, o di una fonte di luce molto forte, posta al di sopra e in direzione del materiale didattico dello studente ipovedente.

 

Il cane guida in classe.

Può succedere che la presenza di un cane guida in classe non sia gradita, che provochi fastidio o addirittura incuta paura a qualche studente. In questi casi, basta spiegare alle persone interessate il ruolo e i comportamenti ai quali sono addestrati questi animali. Il cane guida, infatti, smette la sua stessa natura per servire e aiutare il suo assistito. Non attacca gli esseri umani, né altri animali che incontra nel suo cammino, non prende iniziative che non siano volte all’assistenza e alla guida del non vedente. A differenza di ogni altro animale, è stato addestrato a controllare gli istinti che lo spingerebbero a muoversi a suo piacimento.

Nel caso trattato, non si è verificata alcuna resistenza da parte degli studenti, al contrario, gli amanti dei cani hanno accolto con calore lo “studente a quattro zampe” e tutti gli altri hanno mostrato curiosità per la nuova “presenza”.

 

 

5. L’INSEGNANTE

Il “raccontatore”

Qual è il ruolo effettivo di un insegnante quando in classe è presente uno studente non vedente? Di certo l’insegnante non diventa il protagonista, tuttavia dovrà improvvisarsi all’occorrenza narratore, “raccontatore”, “esplicitatore” e soprattutto dovrà essere sempre “attento”. Spiego a cosa mi riferisco quando attribuisco i suddetti ruoli a un insegnante. Molto spesso in classe, come del resto nella vita di tutti i giorni, molte cose sembrano scontate: si dà per scontato che una faccia buffa susciti ilarità, che un tipico gesto italiano stuzzichi la curiosità dello studente straniero, si crede, insomma, che si tratti di situazioni condivise da tutti. Questo va tenuto in considerazione quando si è dinanzi a una persona non vedente, che non è in grado di riconoscere nell’immediato ciò che sta accadendo, se questo non si presenta accompagnato da un messaggio verbale. Come detto in precedenza, i non vedenti sono in grado di partecipare alle situazioni che li circondano, ma in alcuni casi bisogna che siano messi in condizione di farlo.

 

Un esempio.

Gli studenti eseguono degli esercizi a coppie. Al momento della verifica in plenum l’insegnante invita il portavoce di ogni coppia a leggere il lavoro svolto. Uno studente designato portavoce commette un errore, ritenuto grave dalla compagna, dove peraltro l’esercizio realizzato presentava la forma corretta. A quel punto, in modo scherzoso, la compagna colpisce con la mano il suo partner al braccio, a modo di rimprovero, i due scoppiano a ridere e lo stesso fa il resto della classe.

 

Di seguito lo stesso fatto percepito da uno studente non vedente: uno studente sta leggendo l’esercizio, esita su una parola, poi la pronuncia con incertezza; rumore di un colpo; lo studente smette di parlare; risata generale della classe.

Innanzitutto bisogna dire che di sicuro molti studenti non vedenti sarebbero in grado di identificare il colpo sentito come quello di una mano contro un braccio, ma non è detto che questo avvenga. Come già detto, infatti, i molteplici rumori che creano disturbo all’interno di una classe potrebbero interferire e impedire che l’accaduto venga riconosciuto dallo studente.

 

Quale deve essere allora in un caso del genere il ruolo dell’insegnante?

Come definito sopra, quello del “raccontatore”. Qualcuno penserà che spiegare a parole qualcosa che è successo o sta succedendo sia impossibile, inutile, noioso per il resto della classe, perfino che rallenti il ritmo della lezione. A mio parere, invece, se fatto in modo opportuno non può che aumentare il divertimento degli studenti, facendo partecipi davvero tutti. Evidentemente, in un caso simile, entrano in gioco anche l’atteggiamento e il carattere dell’insegnante; credo siano ingredienti indispensabili buona volontà, coraggio, ironia e soprattutto desiderio di sperimentare, per selezionare poi le tecniche che risultano “vincenti”.

L’esempio riportato sopra si riferisce a una situazione realmente accaduta in classe. Non appena scoppiata la fragorosa risata degli studenti, è apparsa un’espressione interrogativa sul viso della studentessa ipovedente, che tuttavia abbozzava un sorriso per il divertimento, evidentemente contagioso, che stava coinvolgendo i suoi compagni. A quel punto dovevo spiegarle il motivo di tanta ilarità. Per evitare di rendere esplicito il mio intervento di “facilitatrice” nei confronti della studentessa ipovedente, ho sottolineato l’accaduto nel tentativo di ridicolizzare ulteriormente la situazione, lasciando che la studentessa protagonista del fatto si giustificasse, ripercorrendo inevitabilmente a parole quanto avvenuto. In questo modo la studentessa ipovedente ha avuto accesso a un momento dal quale era stata esclusa, senza peraltro che gli altri lo percepissero.

Non va condannato, ad ogni modo, l’intervento palese da parte dell’insegnante, se attraverso il racconto si permette allo studente non vedente la partecipazione a una circostanza che avrebbe ignorato. D’altronde, quotidianamente i non vedenti si servono di questa possibilità per essere informati su fatti e situazioni.

Un altro aspetto del quale si deve occupare l’insegnante, per permettere allo studente non vedente di essere al corrente dell’ambiente che lo circonda, è quello relativo alla presenza fisica dei suoi compagni, nonché alla loro posizione rispetto a lui. Ricordare quanti studenti sono presenti, facendo anche il tradizionale appello, è fondamentale per comunicare indirettamente allo studente non vedente il numero dei compagni con i quali si trova a lavorare. L’abbinamento nomi-voci (durante l’appello e non solo) lo aiuterà, inoltre, nel processo di riconoscimento e conoscenza dei suoi compagni. Nel caso in cui l’insegnante debba formare dei gruppi di lavoro, è buona regola specificare i nomi delle persone che lavoreranno con lo studente cieco e soprattutto la loro collocazione spaziale, un esempio: «A lavorerà con B (studente non vedente/ipovedente) e C; A, puoi sederti alla destra di B, per favore?, C, tu puoi andare alla sua sinistra, per cortesia?»; in questo modo sarà più agile il processo di riconoscimento.

 

La voce.

Si tratta, a mio avviso, di un aspetto essenziale per un aspirante insegnante a studenti non vedenti.

Oltre alle caratteristiche “ideali” per ogni insegnante di lingua italiana a stranieri, quali una voce gradevole e una buona dizione, si aggiungono in questo caso anche la precisione nell’articolazione fonatoria e un tono di voce alto e chiaro. Bisogna tenere presente, infatti, che lo studente può fidarsi solo del suo orecchio, non avendo a disposizione la lettura labiale delle parole pronunciate dall’insegnante. La voce, inoltre, sarà il biglietto da visita del docente, nonché, per lo studente non vedente, l’elemento determinante per riconoscere e distinguere le persone presenti in classe.

Per rendere l’idea di quanto sia importante la voce nel contatto con uno studente non vedente, riferirò un aneddoto personale. Una sera in cui mi sentivo esausta, sono entrata in classe tentando di “camuffare” al meglio la mia stanchezza. Non appena iniziata la lezione, nel momento che in genere dedico ai saluti e alle “chiacchiere” con gli studenti, la studentessa ipovedente mi ha chiesto come mi sentissi, dicendo che le sembrava che fossi molto stanca, dalla mia voce. Gli altri hanno fatto eco alla studentessa nel sostenere che il mio viso tradiva un po’ di stanchezza (e a quel punto non ho potuto fare altro che dichiararmi un po’ affaticata). La mia voce è arrivata prima delle mie occhiaie!

 

Il modello.

Spesso, pur senza rendersene conto, l’insegnante diventa un modello di riferimento e di atteggiamento per la propria classe. A chi non è capitato di notare che i propri studenti interagissero fra di loro emulando i modi dell’insegnante? O di rilevare che un’attività che non entusiasma l’insegnante risulta poco convincente per la classe? L’insegnante ha una responsabilità enorme al momento di trattare con lo studente non vedente, perché in molti casi il suo modo di agire diventerà anche quello della classe. Un senso di disagio da parte dell’insegnante verrà percepito e diventerà, suo malgrado, il disagio di tutta la classe. Se consideriamo inoltre il fatto che molti studenti non hanno mai avuto esperienze dirette con persone non vedenti, appare evidente che il modo di fare dell’insegnante rappresenterà per loro una guida, una sorta di modello di comportamento. Mostrarsi quindi disponibili e sereni, creare un clima disteso e positivo in classe, è forse l’unica ricetta di sicuro successo, anche se a volte qualche attività o qualche esercizio non avranno l’esito sperato.

 

 

6. IDEE E SUGGERIMENTI PER ATTIVITÀ DIDATTICHE

Idee per attività di comprensione orale

Nel corso di un’attività di ascolto, seguita ad esempio da alcune domande di comprensione sul brano audio/audiovisivo proposto, lo studente non vedente/ ipovedente non ha la possibilità di scorrere le alternative da scegliere (v/f , scelta multipla…). Per questa ragione, è fondamentale curare attentamente la fase di motivazione e leggere a voce alta le opzioni prima dell’ascolto, assicurandosi che lo studente abbia compreso appieno le frasi; questo sarà comunque d’aiuto a tutta la classe. A fine ascolto, si potranno ripercorrere le risposte, chiedendo allo studente di suggerire la propria opzione oralmente.

 

Idee per la produzione orale

Spazio e nessun limite alla fantasia! Giochi, racconti, storie e testi da inventare (o drammatizzare) in gruppo oralmente sono un ottimo modo per coinvolgere gli studenti ipovedenti e non vedenti.

 

Idee per la produzione scritta

Lo studente può comporre un testo sotto dettatura (l’insegnante può occuparsi di trascrivere il testo, verificando anche l’esatta grafia delle parole chiedendo allo studente di fare uno spelling, mentre gli altri lavorano individualmente) oppure l’insegnante può registrare la produzione dello studente e poi farla riascoltare. Quest’ultima attività, oltre ad essere notevolmente utile per osservare le proprie capacità e competenze nella produzione orale, risulterà anche molto divertente e coinvolgente se estesa a tutta la classe, a qualsiasi livello linguistico.

In base al grado di ipovisione, lo studente ipovedente può scrivere, anche se i caratteri potrebbero risultare sproporzionati, sovrapposti o difficili da interpretare. Se desidera farlo, lasciate che scriva e chiedete informazioni in caso non riusciate a comprendere cosa abbia scritto.

 

Idee per attività di comprensione scritta

Lo studente può ricevere il testo da leggere in formato audio o, in caso di testi brevi e semplici, lo può ascoltare letto dall’insegnante mentre gli altri lavorano individualmente (per maggiore correttezza, l’insegnante può leggere il testo più di una volta scandendo bene le parole, ma senza dare spiegazioni o informazioni accessorie, in modo tale da rendere l’esercizio uguale a quello che affrontano i compagni). Alla fine, l’insegnante può leggere le domande di comprensione allo studente trascrivendone le risposte, oppure lo studente può lavorare in coppia con un compagno (il compagno leggerà i quesiti e insieme stabiliranno la risposta adeguata).

In base al grado di ipovisione, uno studente ipovedente riesce a leggere un testo, purché il carattere sia ingrandito (per esempio, fino al carattere 36 o superiori del comune “Times New Roman”) e il supporto sul quale lavora (foglio, libro, quaderno) sia illuminato da una luce artificiale (va bene anche una comune lampada da scrivania, sempre che la fonte di luce sia molto forte). Seguendo queste indicazioni, fornite dalla stessa studentessa ipovedente, è stato possibile svolgere l’esame finale del corso, stampato per lei su fogli in formato A3, con caratteri ingranditi e luce artificiale.

 

Idee per lessico e fonetica

Al momento di affrontare parole nuove, non bisogna dimenticare che lo studente non vedente/ipovedente non può leggere cosa l’insegnante abbia scritto alla lavagna, è quindi essenziale leggere ogni parola che viene scritta accompagnandola da un accurato spelling e assicurandosi che sia chiaro il significato (se necessario, tradurre nella lingua dello studente).

Allo stesso modo, è importante anche dare qualche spiegazione circa la corretta articolazione dei suoni (es. “il labbro superiore e il labbro inferiore si devono toccare”), dal momento che lo studente non può osservare in che modo l’insegnante muove le labbra per pronunciare le parole. In caso lo studente non riesca a comprendere l’esatta pronuncia della parola, l’insegnante può avvicinarsi a lui e ripetere la parola sussurrandola nell’orecchio. In questo modo, lo studente potrà cimentarsi nella pronuncia e provare a riprodurre il suono. Vale anche in questo caso l’idea di registrare la voce dello studente per fargliela riascoltare (possibilmente in cuffia), percependo così l’effettiva realizzazione dei suoni2.

 

Idee per materiali - esercizi per casa

Qualsiasi libro (compreso il manuale usato in classe) può essere tradotto in Braille (sistema di scrittura e lettura per ciechi e ipovedenti), purché lo studente conosca questo codice. In genere gli studenti si possono rivolgere all’Unione Ciechi del loro Paese per richiedere la traduzione di un libro in Braille, anche se questa operazione potrebbe richiedere del tempo per essere completata.

Un ottimo esercizio è quello di “leggere” libri, per questo sono in commercio gli audiolibri, versioni lette di libri, romanzi, ecc. Esistono enti (come l’Associazione Libro Parlato o il Centro Internazionale del Libro Parlato) che si dedicano alla realizzazione e alla diffusione di audiolibri; in ogni caso, è possibile trovarne facilmente anche nelle grandi librerie.

Gli studenti ipovedenti possono svolgere anche i compiti assegnati per casa, purché l’insegnante li fornisca loro in formati ad hoc. Alcuni studenti utilizzano con facilità dispositivi e programmi predisposti alla decodifica dei segni e alla loro conversione in parlato; in tutti i casi, si può ricorrere all’uso di programmi o software in grado di trasformare i testi in parlato attraverso la tecnica della sintesi vocale. Nel caso in esame, la studentessa riceveva i compiti via e-mail e in formato word, questo le permetteva di svolgerli con l’aiuto di un programma di sintesi vocale e di rimandarli all’insegnante completati. Gli esercizi venivano commentati insieme alla studentessa durante la lezione successiva, immediatamente prima o dopo l’inizio della stessa.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Canepari L., 2002, La fonetica dell’italiano (Modulo 1 del Corso di Formazione in Fonodidattica dell’Italiano 2011-2012), Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati, Università Ca’ Foscari di Venezia.

López Justicia M. D., 2004, Aspectos evolutivos y educativos de la deficiencia visual, Netbiblo, S. L., A Coruña.

 

 

SITOGRAFIA/RISORSE

www.libroparlatolions.it

Associazione Libro Parlato Lions.

 

www.igiochidielio.it

In particolare consultare la sezione “Giochi per bambini speciali /bambini ciechi” (adatti anche agli adulti e da adeguare alla classe di italiano L2/LS).

 

www.once.es

ONCE - Organización Nacional de Ciegos Españoles.

 

www.uiciechi.it/

Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti – ONLUS.

 

 

2 Esiste, inoltre, una tecnica per l’ “autoascolto” dei suoni prodotti, molto semplice da realizzare ma efficacissima: appoggiare la mano destra all’orecchio destro a conchiglia, coprendolo completamente, ma delicatamente e senza costrizioni; posizionare la mano sinistra davanti alla bocca orizzontalmente, fino a coprirla del tutto ma delicatamente, e infilare la punta delle dita della mano che copre la bocca nella mano che copre l’orecchio; in questo modo, quanto pronunciato verrà convogliato in un canale che amplificherà il suono come fosse una cuffia auricolare. Tale tecnica può essere suggerita allo studente non vedente o ipovedente, aiutandolo a posizionare le mani e a realizzare l’ascolto dei suoni pronunciati. L’insegnante potrà alternare la propria pronuncia di un fono o di una parola al momento di “autoascolto” dello studente, che avrà così modo di perfezionare la realizzazione dei suoni più difficili della lingua straniera studiata.

La tecnica descritta è tratta da La fonetica dell’italiano di Luciano Canepari, p. 13 – 14, in “La Fonetica dell’italiano”, Modulo 1 del Corso di Formazione in Fonodidattica dell’Italiano 2011-2012, Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati, Università Ca’ Foscari di Venezia.

 

 

Laboratorio Itals newsletter

Iscriviti per essere notificato quando é disponibile un nuovo numero del Bollettino ITALS

Abbonamento a Laboratorio Itals newsletter feed

Contatti

Per informazioni contattaci ai seguenti recapiti


Per informazioni sui Master: