Giugno 2012  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
L’Unità di Apprendimento come unità di lettura mediale. Intorno all’utilità di alcuni concetti della semiotica nell’ambito dell’educazione linguistica di Nicola Balata

ABSTRACT

È possibile intendere il processo di apprendimento come esperienza di lettura mediale? Che cosa accomuna l’esperienza del “lettore analfabeta” a quella del “lettore mediale” di oggi? Che cosa li distingue entrambi dal lettore alfabetizzato tradizionale? Che cosa significa che i media non sono tanto strumenti tecnologici, quanto forme della comunicazione? Che cos’è la competenza mediale e quali sono le sue componenti? In che misura i media sono realmente auto-alfabetizzanti? Perché la competenza testuale può essere intesa come una forma di competenza mediale? In quali termini è possibile definire la natura, la struttura interna e la forma di un testo mediale? Perché un testo ha sempre una struttura narrativa? Che cosa sono i testi sincretici? Qual è il ruolo dell’allievo-lettore e in che termini è possibile definire la lettura mediale in prospettiva glottodidattica? In base a quali criteri occorre svolgere l’analisi del testo mediale, prima di presentarlo in classe? Qual è il ruolo del testo nell’unità di apprendimento? In che termini le diverse fasi dell’unità (globalità, analisi, sintesi e riflessione) vanno intese come altrettante fasi della lettura mediale? Quali sono gli errori più comuni di una didattica strumentale e in che modo è possibile evitarli? Perché si può dire che la lettura di un testo mediale è sempre di natura estetica? Intorno all’utilità glottodidattica di alcuni elementi teorici della riflessione semiotica.

 

1. DAL LETTORE ANALFABETA AL LETTORE MEDIALE

Nella “Prefazione” al suo volume Strade maestre, in cui raccoglie una serie di ritratti di scrittori italiani, Goffredo Fofi ricorda i primi approcci al testo letterario, e scrive (1996 : VII-IX):

Ricordo benissimo il primo libro che ho non letto ma ascoltato leggere, così come ricordo benissimo il primo film che ho visto. A un'età imprecisata tra i tre e i cinque anni, ma forse anche prima, se è vero che la mente del bambino è assai più ricettiva di quanto l'adulto riesca ad accettare. Cresciuto nel mondo contadino umbro, prima e durante la guerra, ho avuto nonni analfabeti e genitori che non sono andati oltre la terza elementare, e io stesso - membro della prima generazione che ha avuto accesso con molto sforzo e in pochi privilegiati all'università - mi sono fermato al diploma di maestro.

Un mio zio veniva da altrove, dalle Marche al di là dell'Appennino, e sapeva leggere. Lavorava in una fornace di laterizi, un ambiente in cui la vivacità e la curiosità erano molto più grandi che nell'ambiente di poverissimi mezzadri che c'era intorno, e del quale io partecipavo nella grande famiglia in cui sono cresciuto, a non più di cinque-sei chilometri di lì. Ebbene, due volte la settimana girava per le campagne un venditore di aghi e spagnolette, che, occasionalmente munito di fisarmonica, vendeva anche i canzonieri (fogli volanti) della Campi di Foligno e ne cantava i testi, rifacimenti ironici e di cronaca sulla musica di canzoni famose, e vendeva regolarmente le dispense di un romanzo a puntate - un «sedicesimo» ripiegato e intonso, con una rozza immagine sulla pagina iniziale. Mio zio era forse il solo in zona che sapesse leggere, e in casa sua, la sera, assiepati attorno al focolare d'inverno, o sotto un albero o sulle scale d'estate, si radunavano altri operai con le loro famiglie a sentirlo leggere la nuova puntata e a commentare le disgraziate vicende dei suoi protagonisti.

Il romanzo - che dovette durare quanto un Dallas o un Dynasty e che fu seguito da Abbandonata la sera delle nozze, di cui in casa mia si sono conservati per anni alcuni fascicoli - si chiamava Bruno e Graziella”)

 

Il libro “non letto ma ascoltato leggere” era comune nella cultura popolare dell’Italia contadina e non scolarizzata ancora intorno alla metà dello scorso secolo. Quei “poverissimi mezzadri” che la sera “attorno al focolare d'inverno, o sotto un albero o sulle scale d'estate” si riunivano ad ascoltare emozionati l’ultimo episodio di chissà quale terribile storia di amori infelici, sono un bellissimo esempio di quei “lettori analfabeti” che la storiografia ha ben descritto (Cardona 1983 : 70):

 

In Italia come in Europa in genere per molti secoli – anche se non sapremmo porre dei confini di tempo – è stato corrente l’uso – borghese come contadino – di riunirsi in uno stesso locale ad accudire delle faccende minute (filatura, lavori di cucito, ecc.) o semplicemente a riposare, mentre qualcuno che sapeva leggere – il prete, il maestro, il capofamiglia, uno scolaro – leggeva ad alta voce da qualche libro o foglio volante, Queste letture collettive, che avvenivano in casa, o nei locali delle filatrici, o nelle stalle (i filò), assicuravano la circolazione, la memorizzazione, quasi, di testi che noi troviamo estremamente diffusi…”

 

L’immagine del “lettore analfabeta” ci ricorda come l’accesso al testo letterario e narrativo avvenisse in forme ben distinte dalla lettura silenziosa cui siamo abituati e propria di soggetti che hanno competenza rispetto al testo scritto: la lettura con le orecchie cui Fofi si riferisce era una di quelle forme di fruizione del testo “più connaturate alla comunicazione interattiva propria dell’oralità” (Cardona 1983 : 56), che hanno forti analogie con quanto accade oggi, con la diffusione di media diversi dalla scrittura tradizionale.

Con l’espressione lettore mediale si indica oggi un “modello di lettore” diverso da quello tradizionale, che “si muove tra la scrittura, la cultura visuale e il multimediale e apparentemente senza una gerarchia di valori e di testi che piloti le sue scelte tra i flussi testuali della scrittura lineare, visuale e multimediale”. A questo modello si fa riferimento, per esempio, nel tracciare il “profilo di lettore che si è configurato in Italia nell’ultimo decennio (Rak 2010 : 7):

 

Questo lettore si muove: (i) nel flusso testuale dei media, (ii) utilizza i testi di tutti i modelli di media, (iii) tende a non fare differenze qualitative o conoscitive tra i media e le loro conoscenze, (iv) tende ad orientarsi verso media e testi di facile uso ergo usa più cellulari che libri, più testi d’icona che di scrittura lineare, (v) si orienta in misura crescente verso testi di flusso (cinema, televisione, internet, spot) che verso testi fissi con importanti ma ancora non misurate modifiche delle procedure di apprendimento, di memorizzazione, di uso ed effetti sui saperi, le enciclopedie, le procedure cognitive”.

 

Come già il lettore analfabeta, anche il lettore mediale tende a frequentare poco (o non frequenta affatto) i testi fissi o scritti, e privilegia esperienze di lettura, di apprendimento e formazione cognitiva legate ai testi di flusso, che ci portano a rivedere radicalmente alcune delle nozioni fondamentali alle quali siamo abituati.

Pensiamo in primo luogo alla nozione di lingua (Cardona 1983 : 27):

 

La scrittura ci ha abituati ad una concezione della lingua come tessitura di elementi discreti: le lettere si raccolgono in gruppi a formare le parole, queste si susseguono a formare le frasi; elementi visivi di un minor ordine di grandezza rispetto alle lettere — i segni di interpunzione - segnalano la regia di queste concatenazioni maggiori. Altri espedienti segnalano una pausa più forte, una particolare enfasi, e qualche altra variazione rispetto all'ordinario svolgimento del discorso. Sulla pagina non c'è altro che questo, e questo deve bastare. Quel che c'è però è chiaramente individuabile: non ci sono dubbi sul confine tra una parola e l'altra; e ciascuna parola può essere riletta se necessario, vi si può tornare un numero illimitato di volte; su una sola parola scritta si può appuntare tanto lavoro critico quanto basta a riempire una lezione o un processo, o le loro corrispondenti trascrizioni in forma di volume.

Nella produzione verbale invece il flusso assume caratteristiche di continuo: chi parla produce più o meno lunghe emissioni di suoni, ad una velocità più o meno alta, senza altre interruzioni che non siano quelle dettate dall'esigenza di riprendere fiato. Il nostro orecchio non può rifiutarsi all'ascolto: ogni vibrazione che si produca intorno a noi non potrà - inesorabilmente - non colpirci, non essere da noi percepita. Ma non tutto quello che viene sentito deve necessariamente essere anche capito, ascoltato (differenza concettuale che le lingue stesse mettono in rilievo: così (o hear e to listen in inglese, ouïr e entendre in francese, ecc.). E anche quel che dobbiamo capire, noi non lo sentiamo tutto, ma ne percepiamo i tratti salienti, quegli elementi cioè che bastano al cervello per ricostruire quel che ci è stato detto […]”.

 

Pensiamo, in secondo luogo, alla nozione di testo, che – come è noto – nella sua accezione semiotica è nozione assai più ampia di quella tradizionale (propria della scrittura delle lingue naturali, nel cui ambito essa è nata), e si riferisce ad ogni forma di espressione mediale, a cominciare appunto da quelle dell’oralità, con caratteristiche distinte da quelle dello scritto (Cardona 1983 : 34-5):

 

Un testo scritto presuppone un preciso andamento della filza dei segni, un andamento obbligato. Per gli occhi che lo seguono non è possibile una strategia dell'attenzione; perfino scorrere un testo — cioè leggerlo rapidamente, desultoriamente - è certo possibilità recente, legata alla stampa.

Non così il «testo» orale. Esso si svolge certo nel tempo - come potrebbe non farlo? - ma anche nello spazio; esso coinvolge più sensi, perché viene percepito gestalticamente nelle sue componenti. La voce può non essere unica, ma possono concorrere e sovrapporsi più voci; la voce sottende il testo con il tono, l'intonazione, il tempo, il ritmo, il cambio dei registri di voce; i gesti, lo sguardo, il viso accompagnano le parole e a volte le contraddicono per far capire ironia e scherzo; gli strumenti, le mani, il tamburello sottolineano le chiusure di lassa o di strofa. E quanto più è formalizzato l'evento orale, tanto più saranno importanti, e pertinenti, e aspettati gli interventi degli altri codici”.

 

Ma pensiamo anche, infine, alla nozione di media, che – soprattutto in riferimento alla rivoluzione tecnologica dello scorso secolo e a quella in corso, più che non al passaggio dall’oralità alla scrittura – siamo abituati a considerare in quella forma “tecnologico-strumentale”, che è propria persino del senso comune. È questo un punto che merita ora la nostra attenzione.

 

 

2. MEDIA COME TECNOLOGIE E MEDIA COME FORME DI COMUNICAZIONE O TESTI

Quanto si parla di media o mezzi di comunicazione, in realtà, c’è sempre il rischio di fare riferimento a cose ben diverse fra loro (Cosenza 2008 : 9):

le parole che li designano, infatti, sono tutte molto ambigue: si dice «televisione» o «radio», ad esempio, per intendere l’apparecchio di ricezione che abbiamo a casa, ora l’ente che produce e trasmette uno o più canali televisivi o radiofonici, ora le persone che compongono una redazione, ora un insieme più o meno definito di tecnologie di trasmissione e ricezione. Si dice «stampa» e si intendono a volte le tecniche e gli apparati fisici dei processi di stampa, a volte il loro risultato su un certo supporto, a volte un insieme di pubblicazioni a carattere informativo (quotidiani, riviste, ecc.), a volte i giornalisti della carta stampata. Con Internet la situazione è ancora più complessa: in certi contesti si parla delle reti di calcolatori, in altri dei protocolli di interconnessione fra le reti, in altri ancora di ciò che accade nei diversi ambienti di comunicazione su Internet, dal Web alle chat ai gruppi di discussione”

Il senso comune tende a ridurre questi diversi significati a quello di “apparecchi”, di “strumenti tecnologici”: a scuola in particolare, un approccio tutto sommato ingenuo tende a considerare i media come “supporti” per l’insegnamento, in una logica che possiamo definire di “didattica strumentale” (o “didattica con i media”, Martini 2004). A questa visione, come emerge negli studi di sociologia dei media, si oppone quella che considera i media non già come “tecnologie”, ma come “forme di comunicazione”, vale a dire “come insieme di regole, convenzioni e forme organizzative – culturalmente, socialmente e storicamente determinate – che le persone seguono quando comunicano usando le tecnologie.” Secondo questa visione, “a nessuno dei media contemporanei”, intesi come strumenti tecnologici, “corrisponde una sola forma di comunicazione, ma tutti, vecchi e nuovi, ne permettono una molteplicità, con regole anche molto diverse.” (Cosenza 2008 : 10) Detto altrimenti, la visione strumentale opera per astrazione rispetto ad una pluralità e ricchezza di forme concrete delle quali ognuno di noi fa esperienza ogni volta che abbia a che fare con i media. È merito dell’analisi semiotica esplicitare questa distinzione di piani con chiarezza (Cosenza 2008 : 10-11):

 

Non sono quindi mezzi di comunicazione dal punto di vista semiotico la televisione o la radio come tecnologie di ricezione e trasmissione (cavi, apparati fisici), né come agglomerati indistinti di persone, ambienti e mezzi, ma i diversi generi e formati dei programmi televisivi e radiofonici (telegiornale, talk show, fiction, giornale radio), e l'organizzazione dell'ambiente comunicativo che rende possibile ciascun genere e formato. Nel caso della stampa, i media semioticamente rilevanti non sono certo le tecniche che permettono i processi di stampa, né presunte entità astratte di nome «libro», «giornale», «rivista», ma i diversi generi del libro (dal fumetto al romanzo, all'enciclopedia in decine di volumi), dei periodici, del quotidiano, e così via.

Per quanto riguarda Internet non sono media, dal punto di vista semiotico, le reti di calcolatori (tecnologie hardware) né i protocolli Tcp/Ip che regolano la trasmissione di dati sulle reti (tecnologie software), il che può sembrare ovvio, ma non lo sono neanche i vari applicativi software che permettono la comunicazione interpersonale su Internet (e-mail, chat, forum, ecc.), né tanto meno il Web come tale.

Quest'ultimo punto è meno ovvio, evidentemente, come mostrano le numerose discussioni che trattano queste tecnologie come se ognuna fosse una forma comunicativa: sì parla, ad esempio, della comunicazione via mail o chat e del Web, come se la mail, la chat e il Web fossero ciascuno una cosa sola dal punto di vista comunicativo, mentre queste tecnologie permettono ognuna una varietà di usi e pratiche sociali che andrebbero indagate separatamente. Ad esempio, l’e-mail non va vista come un medium unico e generale, perché gli usi che se ne fanno in diversi contesti sociali, culturali, economici, più o meno strutturati e codificati (al lavoro, fra innamorati, fra persone lontane o vicine, ecc.), sono ognuno una forma di comunicazione specifica, in cui si producono testi che hanno caratteristiche e seguono regole anche molto diverse. Analogamente, non ha senso parlare di Web in generale, ma di diversi generi di siti web e diversi tipi di cose che sì possono fare sul Web”.

 

Il contributo che la semiotica fornisce per una migliore comprensione della natura dei media è – come si vede – notevole: non si tratta tanto di guardare all’aspetto tecnologico in sé, quanto piuttosto alla sostanza mediale cui di volta in volta facciamo riferimento, e – ancor di più – alla pluralità di specifiche e concrete forme mediali di cui di volta in volta facciamo esperienza. Intesi come concrete “forme della comunicazione”, o appunto come vere e proprie forme dell’esperienza (Eugeni 2010), i media non sono altro che le forme specifiche di testo che di volta in volta si realizzano nel loro ambito (Cosenza 2008: 6).

 

In prospettiva semiotica […] sono testi i miti e racconti di folclore, i testi scritti (racconti, romanzi, poesie, articoli, sceneggiature), i testi visivi (dipinti, stampe, pubblicità a stampa, foto, manifesti), i testi audio (brani musicali, canzoni, trasmissioni radiofoniche), gli audiovisivi (lungometraggi, cortometraggi, spot, trasmissioni televisive, videoclip), i testi multimediali (Cd e Dvd multimediali, siti web) (…)”.

 

Non c’è nessun testo indipendente dalla forma e dalla sostanza mediale che lo esprime: la Divina commedia che si sedimenta nell’immaginario e nella memoria collettivi dell’Italia contadina, per il tramite di pratiche come la lettura ad alta voce di cui parla Fofi, è altra cosa dal testo a cui il lettore alfabetizzato accede in lettura silenziosa, nel chiuso di una sala bibliotecaria. Quando dunque diciamo che un testo viene trasposto da un medium all’altro, in realtà operiamo una notevole semplificazione rispetto a quel che accade in realtà: né “il testo orale […] si lascia ricondurre immediatamente alle due dimensioni dello scritto” (Cardona 34), né quello scritto, una volta oralizzato (che non vuol dire semplicemente letto), può considerarsi lo stesso. Parafrasando la ben nota affermazione di McLuhan (1967), potremmo insomma dire che il medium è il testo.

 

 

3. LA COMPETENZA TESTUALE COME FORMA DI COMPETENZA MEDIALE

Si può allora osservare che la competenza testuale – definita come “la capacità di operare a livello di testo” e inclusa fra le “grammatiche” proprie della competenza linguistica, momento di una più ampia competenza comunicativa (Balboni 1999 : 103) – implica sempre una forma di competenza mediale: questo sia nel caso in cui prendiamo la nozione di testo con riferimento alla scrittura e al libro, che sono media al pari degli altri, sia soprattutto nel caso in cui prendiamo questa nozione nel suo senso più ampio. Le competenze del lettore alfabetizzato (o letterato), come quelle del lettore analfabeta e del lettore mediale, sono dunque forme di una più complessa e articolata competenza mediale, distinte fra loro, e – sarà il caso di notare – difficilmente compresenti nel lettore comune: anche l’immagine di un lettore multialfabeta (Margiotta 1997) sembra rinviare ad una forma di competenza specifica, quella del lettore di testi multimediali, che tende a distinguersi dalle precedenti, più che non a includerle in sé.

Ma quel che qui va di nuovo ribadito, è il fatto che la competenza mediale comprende “non solo le abilità operative di impiego degli strumenti tecnologici, ma anche e soprattutto le competenze di comprensione, senso critico, scrittura dei messaggi nei vari linguaggi mediali e loro consapevole fruizione” (Felini 2009 : 147): essa non si limita alla dimensione strumentale, ma presenta quella duplicità di aspetti, che vale per tutti i media, a cominciare dalla scrittura e dal libro.

E come nel caso della scrittura e del libro, il possesso delle “abilità operative degli strumenti tecnologici” va inteso come fase iniziale – quella della alfabetizzazione strumentale – di un più ampio processo di alfabetizzazione funzionale e culturale, anche nel caso della formazione di un soggetto fruitore e competente dal punto di vista mediale (Felini 2008), sarà bene distinguere con nettezza entrambi questi livelli di competenza.

Il primo livello della competenza mediale, infatti (Felini 2008 : 77),

è dato dal possesso delle procedure operative legate all’uso delle tecnologie informatiche e multimediali, possesso che effettivamente i bambini sviluppano in maniera molto rapida e senza necessità di particolare tirocinio: generalmente, solo per imitazione o per prove ed errori bambini anche molto piccoli imparano a usare il lettore DVD per vedere il cartone animato preferito o ad accendere il computer per giocare o disegnare. Allo stesso modo, possiamo considerare le competenze di fruizione, ovverossia le competenze di scelta dei prodotti mediali di cui giovarsi e di pianificazione dei tempi e delle modalità di consumo. Come indicato da Morcellini [1999] e Bertolini [2002], questa tipologia di competenza è piuttosto diffusa tra bambini e ragazzi e, anche qui, sembra che non sia necessario un intervento formativo specifico per svilupparla, anche se altri autori segnalano che, in questo campo, l’apprendimento per imitazione e per prove ed errori può dare esiti diversificati per qualità a seconda dei contesti di vita, più o meno ricchi, delle persone e della possibilità di beneficiare di elementi di mediazione e supporto da parte di adulti o pari più competenti”.

Il secondo livello è più articolato e comprende quattro tipi di competenze, che sono (Felini 2008 : 77-8)

competenze di lettura: si tratta della capacità di analizzare e comprendere un messaggio mediale nei suoi aspetti linguistici e strutturali, considerandone le logiche con cui è stato realizzato e i destinatari per cui è stato pensato;

competenze di scrittura: sono le capacità legate alla produzione di messaggi nei diversi formati mediali disponibili (alfabetici, audiovisivi, interattivi…), seguendo ii diversi passaggi di questo processo dalla progettazione alla diffusione;

competenze legate al senso critico: sono le capacità di valutare un certo messaggio mediale dopo averlo compreso, individuandone i valori retrostanti e mettendolo a confronto con una propria personale concezione del mondo;

competenze di partecipazione e cittadinanza: sono le attitudini e le capacità di partecipare alla vita comunitaria anche attraverso le possibilità consentite dalle tecnologie mediali”.

Come si vede, secondo questo modello, appare piuttosto difficile ridurre la competenza mediale di base (Ceretti 2006), al semplice possesso delle competenze strumentali: a differenza di queste ultime – sulle quali pure, come si è visto, si discute –, certamente le competenze del secondo livello “non possono essere acquisite per imitazione se non in maniera assai superficiale” (Felini 2008 : 78), Eppure, l’idea che i media siano “auto-alfabetizzanti”, cioè che non richiedano alcun percorso specifico di apprendimento e di formazione (idea che nessuno sarebbe disposto a sostenere nel caso della scrittura e del libro), è particolarmente resistente e diffusa: essa – va sottolineato – nasce proprio da quel “pregiudizio tecnologico” che – si è visto – è alla base del modo in cui comunemente i media vengono intesi, sia dentro sia fuori la scuola.

 

 

4. IL TESTO MEDIALE COME “MECCANISMO PIGRO” E LA SUA STRUTTURA NARRATIVA

Se guardiamo quindi alla struttura della competenza mediale, la prima forma di una didattica dei media non meramente strumentale, ma capace di intenderli come ambienti concreti di apprendimento significativo (Martini 2004 : 186), è dunque quella che mette in gioco la lettura del testo mediale. Nel definire le caratteristiche strutturali del testo, la ricerca semiotica fornisce strumenti di analisi e di consapevolezza didattica estremamente interessanti; in estrema sintesi, tali caratteristiche riguardano

  • la natura del testo, che la semiotica suggerisce di intendere come sorta di “meccanismo pigro”;

  • la struttura del testo (sul piano del contenuto, o del significato), che da un punto di vista semiotico è sempre una struttura di tipo narrativo;

  • la forma mediale del testo (sul piano dell’espressione, o del significante), ovvero il linguaggio specifico nel quale esso è stato “scritto”.

 

4.1. IL TESTO MEDIALE COME “MECCANISMO PIGRO”

La concezione del testo come sorta di “macchina” incapace di funzionare da sola, o “meccanismo pigro” (Eco 1979), pur se elaborata in riferimento al testo scritto tradizionale, può naturalmente essere intesa in senso semioticamente più ampio (Eco 1979: 52):

Il testo è […] intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha emesso prevedeva che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi per due ragioni. Anzitutto perché il testo è un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di senso introdottovi dal destinatario […]. In secondo luogo perché, via via che passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa […]. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare”.

In questa citazione – ha osservato Maria Pia Pozzato – ritroviamo “una delle idee chiave del Lector in fabula”, secondo la quale il testo va inteso come (Pozzato 2001: 114):

 

il risultato di una strategia dell’autore volta a far compiere al proprio lettore tutta una serie di operazioni cognitive tali da fargli comprendere nel modo più opportuno il significato del testo stesso. Questa strategia, non più considerata come l’intenzione di un autore empirico ma come arrangiamento testuale, è chiamata Autore Modello. Le mosse del lettore, anch’esse estrapolate dalla dimensione empirica della lettura e inscritte, previste nel testo, coincidono con quanto Eco chiama Lettore Modello”.

 

Ora, in questo dialogo fra autore e lettore modello – che nella realtà sono sempre anzitutto un autore empirico ed un lettore empirico – riconosciamo una prima definizione del processo di lettura o di comprensione del testo, concepito come insieme di operazioni cognitive affidate al lettore, quale momento interno e costitutivo del testo stesso (Pozzato 2001: 116):

 

Nel concreto processo di interpretazione, si fa avanti e indietro e prima di arrivare alla fine il lettore spesso si trova in situazioni di suspense, ovvero di attesa. Il testo dunque non modalizza solo cognitivamente il suo lettore, ma provoca in lui tutta una serie di stati emotivi e passionali […]. Il lettore azzarda quindi alcuni sviluppi possibili che poi vengono confermati o lasciati in sospeso dal testo.”

 

Come si vede – e ciò va evidenziato anche in prospettiva didattica –la semiotica tende a formulare una concezione del testo di tipo “costruttivistico e antisostanzialistico” (Pozzato 2001 : 99):

 

il testo non è quell’oggetto lì, quell’immagine, quella sequenza di suoni, quella stringa di lettere o di parole. L’oggetto nella sua materialità non è ancora un testo ma deve essere istituito come tale, a monte, nel corso della sua progettazione, o a valle, nella fase della sua interpretazione da parte di un interprete che lo ri-enuncia (ri-istituisce) nell’atto della lettura”.

 

Come scrive Gianfranco Marrone, “il testo va rilevato e costruito, ritrovato e prodotto, inventato nel doppio senso che questo termine ha per l’antica retorica (inventio come ritrovamento) e per la scienza moderna (invenzione come creazione ex nihilo). E questo sia per il semiologo, alla ricerca delle basi formali d’ogni significazione sociale e culturale, sia per qualsiasi soggetto (individuale e collettivo) alla ricerca dei propri percorsi d’esistenza, ossia d’una qualche identità.” (Marrone 2010 : 89).

 

 

4.2. IL CONTENUTO DEL TESTO: LA STRUTTURA NARRATIVA

Un secondo aspetto molto importante è quello che riguarda la struttura interna del testo, il suo contenuto, che in prospettiva semiotica è sempre una struttura narrativa: ogni testo, porta con sé una storia, e questo indipendentemente dal fatto che esso – non importa se si tratta di una fotografia o di un dipinto, di una canzone o di un videoclip, ecc. – si presenti o meno in una forma esplicitamente narrativa: Eco scrive che “si può attualizzare una fabula, ovvero una sequenza di azioni, anche in testi non narrativi”, addirittura se prendiamo come testo gli “atti linguistici più elementari, come domande, comandi, giuramenti”, o dei semplici “frammenti conversazionali.” (Eco 1979: 106). L’esempio di Eco è utile e vale la pena riportarlo (Eco 1979: 106):

 

Di fronte all’ordine Vieni qui si può espandere la struttura discorsiva in una macroproposizione narrativa del tipo «c’è qualcuno che esprime in modo imperativo il desiderio che il destinatario, rispetto a cui manifesta atteggiamento di familiarità, si sposti dalla posizione in cui è e si avvicini alla posizione in cui sta il soggetto dell’enunciazione». Il che, se vogliamo, è una piccola storia, anche se di poco conto”.

 

Al di là dell’esempio, va tenuto fermo il punto per noi più interessante: il testo non veicola tanto un messaggio, un’informazione che il ricevente avrebbe il compito di decodificare, ma rappresenta (inscena) un evento narrativo, porta con sé una storia, che il lettore è chiamato ad attualizzare, a interpretare e ricostruire (come fabula o come intreccio). Il lettore impara a giocare con una razionalità discorsiva non tanto di tipo inferenziale (propria del ragionamento argomentativo e dimostrativo) quanto di tipo mitico (fabulistico), attraverso una serie di figure fittizie, i personaggi della storia o attori. L’identità di questi ultimi, il significato dei ruoli che ricoprono, delle azioni che compiono, delle relazioni che intrattengono gli uni con gli altri e con il loro mondo, e così via…, sono tutti elementi – che in semiotica vengono identificati con il piano discorsivo del testo (Pozzato 2001 : 69) – attraverso i quali l’autore del testo si dichiara – per così dire – al lettore, mostra il suo punto di vista (focalizzazione) o quello del narratore della storia. Sono tutti elementi che vengono affidati al gioco interpretativo e ricostruttivo in cui l’atto di lettura prende corpo, e senza il quale il testo non ci sarebbe.

 

 

4.3. LA FORMA MEDIALE E I TESTI SINCRETICI

Un terzo aspetto è quello che riguarda la forma mediale specifica del testo, il particolare sistema di segni che lo sostanzia, e che può anche essere l’oggetto di studio di una semiotica specifica (Cosenza 2008 : 4-5):

 

Sono semiotiche specifiche innanzitutto la linguistica, che studia le lingue naturali, quindi le semiotiche del testo che si sono progressivamente sviluppate e assestate nel corso della seconda metà del Novecento, applicando a diversi mezzi di comunicazione, considerati come testi, concetti e metodi della semiotica generale. […] Sono semiotiche specifiche, ad esempio, la semiotica della pittura, della musica, del cinema, del teatro, della televisione, della pubblicità, della moda, e così via. […] La semiotica dei nuovi media è … una semiotica specifica, che studia i nuovi media come test”.

 

Il lettore è così chiamato a riconoscere la “grammatica specifica” del testo, secondo le medesime strategie interpretative messe in atto sul piano della struttura discorsiva o narrativa. Un aspetto particolarmente interessante sta nel fatto che le specifiche forme mediali dei testi – diversamente da quanto si sarebbe portati a credere – non tendono ad escludersi le une con le altre, ma tendono al contrario a coesistere. Ogni testo mediale tende a reimpiegare forme mediali specifiche di altri testi: questo aspetto rispecchia la caratteristica tipica dei media, secondo la quale ciascuno di essi tende ad affermarsi attraverso un reimpiego, una “ri-mediazione” (Bolter & Grusin 2000), dei media che li hanno preceduti. Infatti (Cosenza 2008 : 9):

 

qualunque medium, proprio in quanto nuovo, ha bisogno, per essere compreso e usato, di appoggiarsi alle regole che governano i media che l’hanno preceduto, trasformandole e ricombinandole […]: come il cinema all’inizio ha ri-mediato la fotografia, e la televisione degli esordi ha ri-mediato la radio, il teatro e il cinema, oggi le reti di computer ri-mediano televisione, telefono, servizio postale, e altri media ancora.”

 

Questo elemento ci permette di dire che ogni testo è, in misure differenti, un testo sincretico (Greimas & Courtés 1986), vale a dire un testo che “organizza linguaggi eterogenei in una strategia di comunicazione unitaria, cioè presenta marche sintattiche, semantiche e pragmatiche di coesione e coerenza che rimandano alla stessa istanza di enunciazione”, ovvero “allo stesso autore empirico o a un insieme di autori empirici che abbiano seguito le stesse regole di produzione testuale” (Cosenza 2008 : 19) – dove, vale forse la pena ricordarlo, “la sintassi tratta delle relazioni formali tra i segni, indipendentemente dal loro significato, la semantica considera il significato dei segni, a qualunque livello e in qualunque modo lo si analizzi, la pragmatica s’interessa del modo in cui le persone usano i segni nei contesti concreti per comunicare” (Cosenza 2008 : 19, in nota).

Per essere più chiari, la semplice giustapposizione di linguaggi differenti, non fa di un testo un testo sincretico: così (Cosenza 2008 : 19),

 

la somma di un testo verbale scritto e della registrazione audio della sua lettura ad alta voce non è un testo sincretico, mentre lo è la loro combinazione specificamente progettata per comunicare significati ulteriori rispetto a quelli espressi dal solo testo scritto o dalla sola registrazione audio. È sincretico, ad esempio, un testo digitale che combina la presentazione di un discorso politico scritto con un pulsante che permette di ascoltare la sua declamazione da parte dell'oratore, se è stato progettato per far cogliere i significati aggiuntivi che emergono dalla versione orale del discorso (toni, pause, energia dell'oratore) e dal contesto in cui è stata prodotta (acclamazione e applausi del pubblico oppure fischi, grida, ecc)”.

 

E ancora (Cosenza 2008 : 21):

 

Sono testi sincretici, ad esempio, i fumetti, le riviste, gli annunci pubblicitari a stampa, che applicano alla stessa sostanza dell'espressione (la pagina in bianco e nero o a colori del giornale o della rivista), da un lato, le forme dell'espressione e del contenuto di diversi linguaggi visivi (l'illustrazione, la fotografia di reportage o di moda, l'immagine pubblicitaria), dall'altro, le regole sintattiche, semantiche e pragmatiche delle lingue verbali scritte affiancate alle immagini.

Sono testi sincretici di complessità ulteriore gli audiovisivi (film, programmi televisivi, spot pubblicitari), che combinano linguaggi basati su sostanze dell'espressione visive con linguaggi basati su sostanze dell'espressione sonore: musica (sigle, basi musicali, colonne sonore), effetti audio, e tutto ciò che le lingue verbali possono comunicare sul canale fonico-acustico, sia dal punto di vista linguistico (perché il parlato ha stili e modalità espressive diverse dallo scritto), sia dal punto di vista prosodico (pause, durata e quantità di vocali, consonanti, parole) e paralinguistico (variazioni di tono, energia e sonorità nella pronuncia).

Sono testi sincretici ancora più complessi i testi multimediali contemporanei, nei diversi significati che oggi si attribuiscono a questo termine”.

 

Ora, ognuno di questi elementi, che riguardano la natura, la struttura e la forma mediale del testo, ha delle precise implicazioni di carattere didattico, e definisce un ambito specifico di risorse testuali, sulla base delle quali è possibile articolare il singolo percorso di apprendimento, come ora si vedrà.

 

 

5. L’UNITA’ DI APPRENDIMENTO COME UNITA’ DI LETTURA MEDIALE

Da un punto di vista didattico, deve sicuramente essere sottolineato il fatto che proprio il modello operativo della unità di apprendimento elaborato da Balboni per l’insegnamento di una lingua straniera, riconosce “l’evento comunicativo o il testo” come la base e la cornice entro la quale si svolge l’intero processo didattico (Balboni 2002 : 101). Il percorso didattico può essere così inteso come un percorso di lettura mediale dentro il testo: come a dire che al di fuori del testo non c’è situazione di apprendimento.

Fin da subito, l’allievo viene introdotto all’interno di uno spazio mediale ben preciso, dove esercita il proprio ruolo di lettore nelle forme sensoriali (ascolto, lettura, visione…) che la forma mediale del testo richiede (Balboni 2002: 101):

 

si tratta di ascoltare (o leggere, o vedere, a seconda del genere) il testo più volte, ciascuna delle quali con specifiche attività, da compiere prima, durante e dopo l’ascolto, in modo che l’allievo penetri il testo muovendo dalla globalità (…) per avviarsi a una comprensione via via più dettagliata (…)”.

 

È sempre un unico testo mediale, chiaramente definito, che individua l’ambito stesso dell’unità di apprendimento: tutto il processo di comprensione e di interpretazione, definito in relazione a quel singolo testo, viene ogni volta scandito secondo fasi percettive di lettura ben precise, correttamente e compiutamente articolate (Balboni 2002 : 102):

 

ogni testo – ogni dialogo, canzone, video, favola, vignetta, poesia, lettera commerciale, barzelletta, scena di film, ecc. – che viene presentato allo studente va esplorato attraverso le tre fasi della percezione gestaltica: prima in maniera globale, poi in maniera analitica, infine realizzando il più autonomamente possibile una sintesi e una riflessione che permettano all’apprendimento di evolvere in acquisizione”.

 

Come si vede, il testo è un luogo, uno spazio entro il quale muoversi: esso è l’ambiente entro il quale si realizza una precisa porzione – la “molecola matetica” nella definizione di Balboni (2002 : 102) – del processo di apprendimento o di lettura. Il testo mediale non è uno strumento attraverso il quale un emittente “trasmetta” il proprio messaggio, il cui significato dovrà giungere chiaro ad un destinatario passivo: non è uno strumento per il raggiungimento di obiettivi che siano stati definiti prima e al di fuori di esso così come è tipico di una didattica strumentale. L’allievo-lettore non è mai un destinatario passivo, e la pluralità di significati che il testo reca con sé si realizza attraverso il processo di interrogazione che il lettore instaura con esso.

Vale qui per la lettura mediale ciò che Giovanna Pelizza osserva a proposito della lettura dei testi letterari, quando – con riferimento alla riflessione di Rosenblatt (1995) – distingue molto chiaramente una “lettura estetica” del testo, da una di tipo “efferente”, o strumentale (Pelizza 2000 : 220):

 

Ai primi stadi di apprendimento della lingua solitamente viene incoraggiata una lettura in cui l'attenzione dello studente si focalizza principalmente su quello che rimarrà dopo la lettura. Questo tipo di lettura, in cui il lettore è concentrato su quello che porterà via, è stato anche definito «lettura efferente», dal latino efferre «portare via». Si tratta di un'abilità essenziale per la comprensione delle notizie riportate da un giornale, per comprendere tutti i tipi di istruzioni, per consultare guide turistiche, ecc.

Al contrario, in quella che si definisce «lettura estetica» l'attenzione del lettore è focalizzata su quello che succede durante l'evento della lettura. In una lettura estetica l'attenzione del lettore si concentra su quello che sta vivendo e sperimentando durante la sua interazione con un testo nel tentativo di comprendere e condividere l'esperienza di un'altra persona che deve essere ricostruita e ricreata attraverso la mediazione della parola scritta.

In ogni caso queste due modalità devono essere entrambe viste come dimensioni del dialogo che si instaura tra testo e lettore, tenendo conto che uno stesso testo può essere letto sia in modo efferente che estetico”.

 

Se questo è vero, il testo ha bisogno di tempo: è anzi in base ad esso che si definisce non solo la cornice spaziale, ma anche quella temporale dell’intervento didattico; all’interno della stessa unità di apprendimento, il testo – contrariamente a quel che spesso accade, quando si usano i testi in modo efferente per il raggiungimento di determinati obiettivi, sia di carattere linguistico, sia di carattere tematico-culturale – non va messo da parte.

L’idea cara alla semiotica, secondo la quale l’atto di lettura è sempre una attualizzazione delle diverse componenti testuali, deve essere tenuta in grande considerazione: tali componenti costituiscono infatti le risorse didattiche che alimentano l’intero processo di apprendimento. Da un punto di vista didattico, questo significa che la finalità principale dell’unità di apprendimento sarà proprio quella di far sì che l’attualizzazione delle componenti testuali – il processo di lettura – si realizzi in forme verbali. Detto altrimenti, la lettura è un processo dialogico attraverso cui il testo attualizza le proprie componenti e si trasforma – dalla parte del lettore – in una molteplicità di atti di parola.

 

La prima risorsa didattica o componente testuale a cui fare riferimento, lo si è già visto, è dunque quella che riguarda la struttura narrativa: l’interrogazione verte – già nella prima fase di ricognizione globale del testo – sugli elementi più evidenti della storia narrata, e dunque anzitutto su una prima identificazione dei momenti della fabula e dell’intreccio, su una prima caratterizzazione degli attori, eventualmente su un primo riconoscimento del punto di vista, della posizione dell’autore, e così via… In un modo il più possibile naturale, l’allievo-lettore compie in questa fase i suoi primi passi dentro il testo, acquisendo una prima familiarità proprio con quegli elementi espressivi che verranno focalizzati ed esplicitati in seguito.

Il secondo ambito di risorse riguarda appunto il piano delle forme dell’espressione, ed è quello che interessa maggiormente la fase di lettura analitica del testo, quando è opportuno focalizzare l’attenzione sui codici specifici che sono stati impiegati nella scrittura del testo. Il piano dell’espressione – stando allo schema semiotico classico (Hjelmslev 1968) –, è il piano del significante (in termini saussuriani), ovvero “la componente sensibile e materiale” di esso (Cosenza 2008 : 19). Questa presenta – come già accennato – due aspetti, uno sostanziale ed uno formale: la sostanza dell’espressione può essere orale, scritta, visiva, sonora, audiovisiva, tattile, ecc.; per esempio, nel caso delle lingue naturali (Cosenza 2008: 20),

 

è l'insieme di suoni che l'apparato fonatorio umano è in grado di produrre e l'orecchio umano di percepire. Queste possibilità sonore, dette anche fonico-acustiche o vocali-uditive, sono studiate dalla fonetica. Per quanto riguarda le lingue scritte, nel caso dei testi a stampa sono sostanze dell'espressione le configurazioni tipografiche con i loro contrasti di bianco e nero, mentre, nel caso dei testi digitali, lo sono le configurazioni di pixell sullo schermo del computer.

Per quanto riguarda sistemi semiotici non verbali, sono sostanze dell'espressione, ad esempio, i pigmenti di colore organizzati sulla tela di un quadro, la configurazione dei punti luminosi di uno schermo televisivo, quella dei pixel dello schermo di un computer nel caso di filmati, animazioni, disegni e fotografie digitali”.

 

In taluni casi, si può trattare di elementi che possono essere mobilitati in attività linguistiche significative, e ai quali dunque è opportuno prestare attenzione; ma certo più interessante appare il piano della forma dell’espressione, il modo cioè in cui la sostanza mediale viene concretamente articolata. Nel caso delle lingue naturali – il piano della forma dell’espressione è quello che riguarda (Cosenza 2008 : 20):

 

innanzi tutto i sistemi di suoni (fonemi) che le varie lingue parlate individuano e sistematizzano (ogni lingua ha il suo), selezionandoli dalla sostanza dell'espressione, cioè da tutti i suoni che l'apparato vocale umano può produrre. Ai sistemi di fonemi delle lingue parlate, studiati dalla fonologia, corrispondono nelle scritture alfabetiche sistemi di grafemi (le lettere dell'alfabeto scritte). Nelle lingue naturali sono forme dell'espressione anche quelle individuate dalla morfologia e dalla sintassi, che si applicano a unità di analisi del piano dell'espressione più ampie dei singoli suoni: morfemi, parole, frasi”..

 

Naturalmente, le componenti verbali non sono le uniche componenti interessanti: lavorando con testi sincretici, tutte le componenti – verbali e non verbali – valgono come risorse didattiche, anche se spesso si ha la tendenza a considerare la componente verbale come quella predominante.

Va da sé che nel processo di apprendimento linguistico, gli obiettivi fondamentali siano quelli relativi alla maturazione della competenza linguistica e comunicativa, ma è fin troppo evidente che essi non debbono essere raggiunti mobilitando unicamente, o in modo particolare, le stesse componenti linguistico-verbali del testo: si tratta di una confusione fra risorsa didattica e obiettivo didattico, che mi sembra molto frequente in una didattica di tipo strumentale.

Se pensiamo alla ricchezza didattica dei testi in cui la componente verbale sia del tutto assente, e dunque a sistemi semiotici non verbali – una fotografia priva di didascalie, la sequenza di un film privo di sonoro, o muto, ecc.… – comprendiamo bene quanto sia importante in questa fase focalizzare l’attenzione su tutte le forme mediali specifiche del testo, nel caso anche prescindendo dalla componente verbale. In altre parole, la dimensione semiotica del testo è spesso assai più ricca dal punto di vista didattico, di quella strettamente linguistica, e richiede – sulla base di un adeguato bagaglio di competenze mediali – un’analisi preliminare all’intervento didattico, altrettanto accurata di quella che si è soliti riservare a quest’ultima.

Il terzo ambito di risorse, infine, è quello che riguarda un’altra delle condizioni essenziali del testo, e cioè l’ambito della coerenza e coesione testuale: ad esso mira il processo di lettura nella sua interezza, ne costituisce per così dire la finalità interna. Si tratta di un insieme di aspetti che nell’unità di apprendimento appare naturale focalizzare nelle fasi di sintesi e di riflessione, quando l’allievo-lettore viene incoraggiato – in attività linguistiche significative – a reimpiegare gli elementi fin lì acquisiti, ricollocandoli all’interno di una visione più matura e compiuta del testo.

È in queste fasi conclusive che si mostra come ogni processo di lettura sia sempre di natura estetica. Il termine estetico non deve far pensare, come si è visto, ad un atteggiamento meramente passivo del lettore nei confronti del testo, e neppure ad una relazione vagamente emozionale che il lettore intratterrebbe con esso; esso si riferisce al piacere che l’atto di lettura in sé provoca nel lettore, quando il processo di lettura giunge a compimento: e cioè alla scoperta – che è sempre individuale –

di quella trama di relazioni che fa del testo appunto una totalità coerente e coesa, espressione di una intenzionalità precisa, e non un insieme disordinato e casuale di elementi fra loro eterogenei.

 

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