Giugno 2004  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Coscienza interculturale e Teatro dell'Oppresso (TdO) di Roberto Mazzini

Introduzione
Nel presente contributo cercheremo di spiegare come il Teatro dell'Oppresso, un metodo che lavora sul conflitto sociale e personale, possa essere usato efficacemente per fare educazione interculturale ("E-I" da ora in poi) con alcuni esempi tratti da interventi nella Youth Academy (J@K da ora in poi).
La J@K è un'esperienza che da alcuni anni viene organizzata in Europa grazie al Ministero della Cultura austriaco e la costanza di Alpen-Adria-Alternative, un'organizzazione no-profit situata a Villach, ai confini con l'Italia e animata da Werner Wintersteiner, professore all'Università di Klagenfurt.
L'idea base è semplice: per avviare una percezione diversa nei rapporti tra i popoli ci si basa sulla conoscenza reciproca e sul lavoro comune di insegnanti e adolescenti delle scuole superiori di diversi paesi europei, dissimili tra loro per storia, lingua e cultura. L'ultimo anno erano coinvolti 15 paesi, soprattutto del centro ed est europeo. Il lavoro si svolge nell'arco di più di un anno con seminari preparatori per insegnanti, lavoro a coppie tra scuole di paese diversi, produzione di documenti, video, spettacoli, riflessioni su un tema comune. Altro punto forte è l'uso dei nuovi media per tenere contatti tra le classi, scambiarsi foto e scritti e progettare la ricerca comune e delle visite di scambio.
Il metodo usato è basato sulla ricerca-intervento, quindi presuppone una motivazione dei ragazzi e la predisposizione dell'insegnante come facilitatore del percorso. Un ruolo a volte scomodo.
Alla fine, una settimana intensiva si trascorre a Villach; centinaia di giovani (le classi coinvolte nel progetto) e i loro professori si incontrano per partecipare a laboratori misti, eventi rituali sulla pace, animazioni, azioni in città, dibattiti.

1.1 Definizioni

1.1.1 L'educazione interculturale

La identifichiamo come una serie di attività coordinate che influiscano sull'atteggiamento di un gruppo verso altri gruppi diversi culturalmente ed etnicamente; si tratta di un'attività non terapeutica ma di formazione che vuole modificare intenzionalmente conoscenze, capacità e atteggiamenti di persone di ogni età.
Il focus dell'E-I è la differenza e il tentativo di riconoscere e dare valore alla diversità dall'Altro.

- Quali conoscenze?
Guardando la letteratura sull'argomento, si spazia dagli elementi della cultura dell'Altro (usi e costumi, storia, valori, linguaggio, ecc.) a tutto ciò che può rendere più noto l'ignoto, fino ai meccanismi psicologici e socioeconomici del razzismo, del pregiudizio, dello stereotipo, delle dinamiche di gruppo.
Di quest'area fa parte anche la conoscenza di sé, come persona con pregi e difetti, limiti e paure.
Un assunto chiave dell'E-I che condividiamo è che "una maggior conoscenza di sé come individuo con un proprio valore e una propria identità" è la base per dare valore all'Altro.
Pare soprattutto importante la conoscenza emotiva di sé, la capacità di introspezione.

- Quali capacità?
L'intelligenza, soprattutto relazionale ed emotiva (Gardner, 1987), le capacità comunicative, la competenza a gestire i conflitti, l'empatia, la capacità di problem solving, ecc.

- Quali atteggiamenti?
La fiducia nell'altro e l'autostima, la cooperazione, la creatività e curiosità per il nuovo, ecc.

L'E-I viene da noi considerata affine al concetto di Educazione alla Pace (EaP) sviluppato da Daniele Novara e dal Centro Psicopedagogico per la Pace di Piacenza negli anni scorsi; infatti, l'incontro multi-culturale innesca conflitti più o meno grandi e a vari livelli, che vanno gestiti costruttivamente e creativamente.
In quest'ottica quindi l'EaP e l'E-I diventano sviluppo di abilità e atteggiamenti necessari a gestire i conflitti in modo costruttivo, rifuggendo da un "modello intimista" o "violento" per insistere invece su una concezione nonviolenta del conflitto relazionale e sociale.
L'E-I intesa come educazione al rispetto dell'Altro e come valorizzazione delle differenze non può passare attraverso il moralismo, il dover essere, le prediche o le colpevolizzazioni ma tramite:
- esperienze concrete di attraversamento del conflitto in modo costruttivo;
- riconoscimento delle differenze;
- esperienze concrete di incontro-scontro con l'altra cultura, rielaborate cognitivamente e vissute
emotivamente;
- l'analisi delle reali difficoltà relazionali;
- la messa in gioco dei propri stereotipi e pregiudizi senza condanne aprioristiche.

1.1.2 Il Teatro dell'Oppresso (TdO)
Il TdO è un metodo di lavoro, quindi l'unione di uno sfondo teorico e di tecniche, che usa il linguaggio teatrale ed è orientato a capire e trasformare la realtà quotidiana delle persone che lo attraversano.
Lo sfondo teorico è costituito dalla pedagogia di Paulo Freire, da alcuni assunti di Moreno, dalle
ricerche teatrali di Stanislavskji e Brecht.
Il linguaggio teatrale è considerato da Boal, l'autore del TdO, una caratteristica dell'uomo per eccellenza, perché amplifica la capacità tipicamente umana di vedersi in azione, di pensarsi, e quindi di usare memoria e immaginazione per cercare alternative al presente e progettare il futuro.
Col linguaggio teatrale Boal (cfr. riferimenti bibliografici) vuole "rappresentare" la realtà, per poterla meglio capire e trasformare, per poterla manipolare senza pericolo, come fa anche il bambino quando gioca, disegna, drammatizza.
Teatro perciò come uno spazio transizionale dove si può sperimentare liberamente, sia dentro di sé che nelle relazioni con gli altri.
Teatro ancora come "vocazione" umana anche se per alcuni diventa "professione" (tutti possono fare teatro, dice ironicamente Boal, anche gli attori).

1.1.3 Concetti chiave
Nel presente articolo si useranno alcune parole chiave del TdO che qui specifichiamo, rimandando alla bibliografia per approfondimenti.

Spazio estetico
Il primo concetto, il nucleo del teatro, è per Boal lo spazio estetico, lo spazio teatrale; esso è caratterizzato da alcune proprietà particolari che lo rendono capace di produrre conoscenza del mondo e di sé: è uno spazio dicotomico, tele-microscopico, plastico.
Col primo termine si vuol dire che in tale spazio, chi vi agisce (e nel TdO lo spett-attore entra sempre sulla scena) è come sdoppiato in due: l'IO che recita e l'IO recitato, l'attore e il personaggio, l'IO narrante e l'IO narrato; questa duplicità permette di "osservarsi meglio in azione" e operare quindi dei cambiamenti coscienti nel proprio comportamento.
Le altre due proprietà permettono agli oggetti, al tempo, alle storie una grande variabilità e immediatezza, permettono di proiettare nello spazio estetico i propri vissuti tramite la memoria e l'immaginazione, e quindi rendere notevolmente creativo tale spazio e chi vi entra.
Creatività, dicotomia e azione integrata mente-corpo-emozione rendono lo spazio estetico uno spazio potenziale di ricerca del cambiamento.

Oppressione
Il cambiamento che cerca il TdO è una liberazione collettiva dall'oppressione. Oppressione è sicuramente un concetto cardine del TdO ma non viene definita precisamente da Boal proprio perché la liberazione è considerata una ricerca senza fine; la ricerca delle condizioni che permettono all'uomo di superare il "monologo" e aprirsi al "dialogo" col mondo e con gli altri, per potersi esprimere liberamente. Dialogo che non è semplice comunicazione verbale delle proprie idee, ma che è rispetto dei bisogni dell'altro e dei propri, ricerca di un accomodamento equilibrato e a tutti i possibili livelli interumani: rapporto con se stesso, le parti di sé, con gli altri e coi gruppi, con le Istituzioni, tra gruppi sociali, tra nazioni, tra classi, tra uomo e donna, ecc.

Il corpo pensa
Questa liberazione, così come il concetto di essere umano, è integrale.
Secondo Boal, noi pensiamo con tutto il corpo, non solo col cervello; il nostro corpo ha capacità di comprendere il mondo e di risolvere problemi in un modo peculiare che riecheggia le ricerche sulle diverse intelligenze di H.Gardner; pertanto un lavoro di risveglio delle potenzialità fisiche, dei sensi, è una pre-condizione per una buona riflessione, per un buon lavoro mentale.
Nello stesso tempo dice Boal, noi agiamo i nostri pensieri, esteriorizziamo con il corpo i nostri vissuti interiori. E pertanto la relazione tra mente, corpo ed emozione è circolare, è un insieme di influenze reciproche non univoche predeterminate, di cui tenere conto.
La scissione tra i tre aspetti è un portato della nostra cultura, che privilegia (pensiamo alla scuola) la testa come momento alto e lascia al corpo spazi residuali e socialmente determinati (a scuola nelle ore di ginnastica, fuori scuola nello sport o nella cura del corpo) dove corpo e mente sono contrapposti, dove ragione e sentimento cavalcano vie diverse.
Per questo le attività proposte mirano a integrare mente, corpo ed emozione e a farle lavorare più in sinergia di quanto la nostra cultura della scissione ci abbia abituati. Questa è una meta-oppressione che attraversa tutta ala nostra cultura occidentale e rappresenta quindi un obiettivo generale del TdO.

Maschera sociale
Ma il corpo per Boal è un corpo storico, che ha subito quindi le deformazioni proprie della società e del gruppo sociale a cui appartiene l'individuo. Boal non è alla ricerca della base antropologica che accomuna tutti gli uomini, ma delle differenze sociali che si manifestano nei corpi delle persone.
Introduce quindi presto nel suo percorso il concetto di "maschera sociale" come l'insieme delle meccanizzazioni che subiamo per il fatto di ricoprire certi ruoli sociali e quindi di usare il nostro corpo-mente-emozione prevalentemente in certi modi fissi, stereotipati, prevedibili e ripetitivi.
Boal afferma nel Brasile anni '50 che un contadino Il concetto si ritrova in parte nel senso comune di deformazione professionale, anche se per Boal la maschera sociale è da una parte un fatto, inevitabile, dall'altro può risultare oppressiva oppure no, per certe persone e/o per chi si relaziona ad esse; ma la maschera non nasconde nulla al di sotto, nessun vero sé alla ricerca di espressione; noi siamo la nostra maschera sociale, che però possiamo allargare, arricchire, cambiare, tramite un percorso teatrale che abbia un estremo nella vita quotidiana, come il TdO, e l'altro nello spazio estetico.

Persona-personalità-personaggio
Per questo Boal introduce un'ulteriore triade.
"Persona" è l'insieme delle potenzialità esistenziali del soggetto, la ricchezza di ruoli e caratteri che possiamo assumere nella nostra vita; per vari motivi, sia etici che di costrizione sociale, noi riduciamo le potenzialità a un'unica "personalità", con proprie caratteristiche. Il teatro, con l'invenzione di "personaggi", non fa che riscaldare la "persona", far uscire altri elementi (il coraggioso, il vizioso, il pigro, l'eroico, ecc.) che ci completano e arricchiscono, che ci permettono di capire gli altri diversi da noi empaticamente e non solo cognitivamente.
Il meccanismo chiave che permette al "teatro" in senso ampio di essere utile nell'E-I è "l'assunzione di ruoli diversi dal proprio": immedesimarsi in altri personaggi reali permette di vedere, sentire e pensare i diversi punti di vista, relativizzando il proprio, ammorbidendo la propria identità rigida, ampliando le capacità e sensibilità verso nuove aree.

Flic-dans-la-tête
Questa opzione per la liberazione integrale porta il TdO a un lavoro molto complesso, ai confini tra terapia e politica, tra teatro ed educazione e lo ha arricchito man mano di nuove tecniche.
Il Flic è un insieme di tecniche del TdO, più complesse, che esplorano le emozioni e relazioni interne delle persone, utilizzando essenzialmente immagini corporee e improvvisazioni. Assomigliano per certi versi allo psicodramma anche se il taglio è non-interpretativo, di gruppo e sul presente-futuro. Questa distinzione è contestata da alcuni psicodrammatisti (per es. da Feldhendler) che sostengono una sostanziale omogeneità tra i due approcci.

2. L'educazione interculturale e il TdO
2.1. Il metodo e le tecniche
Il metodo del TdO si basa sul pensiero di Paulo Freire (cfr. riferimenti bibliografici) quindi parte dal presupposto che ogni persona ha costruito, mantiene e sviluppa una propria cultura che va valorizzata; nessuno è una tabula rasa su cui scrivere o un vaso da riempire di conoscenza, ma la conoscenza si costruisce cooperando, in un rapporto docente-discente di distinzione di ruolo ma di pari valore. Ambedue apprendono e insegnano, anche se cose diverse. Freire era fermamente contrario all'educazione "bancaria" o trasmissiva e su questa strada si è inserito il TdO coi suoi specifici strumenti.
Pertanto l'inizio di un intervento di pedagogia freiriano o di TdO o di E-I, deve essere a nostro parere una "ricerca del mondo culturale" del soggetto discente.
In altre parole, non si insegna l'E-I ma la si costruisce assieme, mettendosi anche in gioco
personalmente.
Educare è in realtà un "educarsi a vicenda". Educare è coscientizzazione, non indottrinamento.
E' importante capire questo, per capire i passaggi del metodo nella sua pratica concreta.

Un atteggiamento collegato è quello detto della sospensione del giudizio.
Finché non ci sono elementi chiari raccolti e comunque con molta cautela, l'animatore TdO non esprime giudizi sul materiale che esce dai partecipanti, sui problemi che vengono indicati, sulle soluzioni proposte.
La parola chiave qui è "problematizzare".
Ovvero, si tratta di porre questioni, domande, sollevare problemi dove pare non ci siano, per mettere meglio a fuoco la realtà indagata, il tutto con mezzi teatrali più che discorsivi.
Se si tratta di lavorare sui pregiudizi tra studenti nella stessa classe, non si partirà col giudicare i "razzisti", né col fare discorsi edificanti, ma con una fase di ascolto, perché emergano i problemi, nella veste che le persone gli danno, nelle forme fisiche che gli danno, nelle visioni interne che ne hanno.
Per fare questo può essere importante iniziare con attività che favoriscano un certo clima di fiducia e apertura nei singoli, un riscaldamento dell'immaginazione, una facilitazione della creatività; a meno che il conflitto non sia già chiaramente espresso e blocchi qualsiasi azione, come capita in certe classi tra alunni di diversa provenienza.

Seguendo l'impostazione di Novara e trasportandola nell'E-I, riteniamo che in un progetto di E-I vada ricercato un equilibrio tra aspetti di contenuto, di metodo e di relazione animatore-partecipante.
É inoltre essenziale che ci sia coerenza tra questi tre aspetti, per non dare messaggi contraddittori e quindi inefficaci o dannosi.
Pertanto riteniamo che contenuti anti-razzisti debbano essere scientificamente validi e non frutto di moralismo o buone intenzioni.
A livello metodologico sarebbe poi contraddittorio insegnare l'E-I con un metodo trasmissivo, passivizzante, che non apre alla ricerca ma dà risposte preconfezionate, che insegni un "dover essere". Un teatro quindi moralista o ideologico o dei buoni sentimenti pare alquanto fuori fase per gli obiettivi di prevenzione del razzismo.
In terzo luogo, un atteggiamento discriminante verso gli alunni o alcuni di loro, anche se slegato da appartenenze di razza, non sarebbe certo coerente con gli altri due livelli citati.
Per questo si cerca di mettere questa coerenza nell'impostazione stessa dei laboratori teatrali, in modo che i partecipanti vivano in un contesto che valorizzi le diversità (di opinione, di vissuto, di concezioni...).

2.1.1 Gli obiettivi

La finalità dell'E-I è: far crescere il rispetto dell'altro e della sua cultura, la capacità di dialogo e costruzione comune di senso e di relazione, di scambio e non di semplice tolleranza.
1. Un primo obiettivo generale, data la somiglianza tra l'E-I e l'EaP, è quello di sviluppare la "competenza al conflitto", concetto cardine dell'educazione alla pace, introdotto da Daniele Novara. Lo sviluppo di questa competenza avviene lungo varie linee convergenti che possono anche essere esplorate singolarmente: assertività, creatività, comunicazione positiva, empatia, negoziazione, problem solving, fiducia e autostima, conoscenza di sé e dell'altro.
2. Un secondo obiettivo è lo sviluppo della personalità in senso integrale (mente, corpo ed emozione) attraverso lo sviluppo delle molteplici intelligenze (emotiva, relazionale, corporea, logico verbale...).
In tal senso il Teatro dell'Oppresso è consono a un'esplorazione globale delle intelligenze umane e ciò contribuisce a nostro parere a formare persone più equilibrate e capaci di relazionarsi agli altri.
1. Un terzo obiettivo consiste nel facilitare la relativizzazione del proprio punto di vista, del proprio linguaggio, dei propri usi e costumi, dei propri modi di organizzare l'esperienza, che però sia intrecciato con la ricerca di valori minimi comuni su cui fondare la convivenza tra popoli e le persone.

Ecco quindi che un progetto con il TdO può puntare a questi risultati, in accordo con altre attività coerenti e con un impianto generale del processo educativo e del contesto che aumenti le sinergie:
- saper ascoltare e farsi ascoltare
- saper essere empatici, intuire le emozioni altrui e immedesimarsi
- saper valorizzare l'altro
- avere una buona autostima
- aver fiducia nell'altro
- saper comunicare in modo chiaro i propri bisogni, emozioni, richieste
- saper esprimere le proprie emozioni
- conoscere se stessi nei propri pregi e difetti, sia a livello psicologico che corporeo e culturale
(identità)
- conoscere l'altro nella propria singolarità e cultura, nella somiglianza e diversità da sé
- essere attenti agli stereotipi e conoscere come si producono pregiudizi
- saper cooperare
- saper gestire le proprie emozioni, specialmente quelle aggressive e la paura
- saper essere flessibili e creativi, aperti al nuovo e al diverso
- saper essere assertivi sui propri bisogni fondamentali
- sapersi decentrare emotivamente e cognitivamente dal conflitto
- saper relativizzare le proprie norme etiche e sociali

L'elenco non è esauriente ma tocca quelli che sono le aree principali di lavoro indicate dalla letteratura e dalla pratica (Bonino, 1987).

2.1.2 Le tecniche
Le tecniche qui elencate sono pensate in genere per persone oltre i 14 anni, tuttavia alcuni strumenti potrebbero essere usati o riadattati per ragazzi più giovani.

Giochi
Si tratta di giochi sensoriali cosiddetti di de-meccanizzazione, ovvero di attivazione di risorse nascoste, latenti, non sviluppate, ma anche esercizi di scioglimento psicofisico, di attenzione. Coprono tutti i 5 sensi e a questi si aggiungono giochi per l'integrazione del gruppo.

Giochi di maschere
Sono giochi in cui si assumono delle maschere, ovvero dei personaggi caratterizzati da un certo movimento e postura fisica, nonché da certi atteggiamenti di base. Queste "maschere" si fanno in genere interagire con altre in vari modi, per allargare il proprio fascio di ruoli, se non la personalità, e per dare la possibilità di entrare nella pelle di altri personaggi.

Teatro-Forum
una tecnica basata su una breve scena teatrale che mostra un conflitto non risolto. Il pubblico vede una prima volta la scena e la seconda volta può intervenire. Come? Dicendo stop, sostituendosi a un personaggio con cui si identifica e provando a condurre altrove la rappresentazione, cioè facendo e dicendo ciò che farebbe nelle circostanze rappresentate in scena.
Un jolly conduce il gioco e fa sostituire i personaggi uno per volta, cercando di approfondire il dibattito con opportune domande, senza giudicare, interpretare o sostituirsi al pubblico.
Se a prima vista appare un gioco facile, in realtà la bravura del jolly deve essere elevata per condurre a discussioni approfondite e non solo intellettualistiche.

Teatro-Immagine
una tecnica del TdO che usa le immagini corporee, cioè posizioni fisse dei corpi, sia del proprio che di altri, per esprimere delle emozioni, dei concetti, delle visioni della realtà e permettere un confronto nel gruppo. Le immagini possono venire comparate, dinamizzate (cioè messe in
movimento) arricchite di suoni e gesti e oggetti, fatte evolvere, ecc., per continuare la riflessione che avviene però essenzialmente su un piano visivo e corporeo più che verbale.
In realtà esistono più tecniche di Teatro-Immagine, tra cui le più usate sono: l'Immagine della Parola, Scolpire un tema col corpo degli altri, o col proprio, l'Immagine di Transizione, l'Immagine del Gruppo, Immagine e Contro-Immagine.

Tecniche di immedesimazione e costruzione di scene
Servono per portare gli "attori" a entrare meglio nei personaggi, a non illustrarli da fuori ma a viverli dall'interno, sondandone emozioni, conflitti, distanza da sé.

Tecniche di chiusura e di recupero emotivo
Non sono strettamente tecnichedi TdO ma le consigliamo perché servono molto per chiudere una sessione soprattutto se è particolarmente calda.

Tecniche di discussione, condivisione, riflessione
Non fanno parte del TdO ma crediamo sia utile per tutti avere delle indicazioni su questo perché ogni percorso teatrale ha bisogno alla fine di un momento più verbale, sia per sistemare le questioni emotive mosse dal teatro che per focalizzare i contenuti emersi.
Per non appesantire lo scritto ci siamo limitati a indicare la bibliografia essenziale nella quale trovare tutti i riferimenti necessari.

2.2 Le applicazioni nell'insegnamento e in progetti internazionali
2.2.1 La progettazione dei percorsi
Nella progettazione di un percorso teatrale entrano le stesse attenzioni da avere per la progettazione educativa in generale. Non ci stancheremo di ripetere che l'individuazione del percorso deve tenere conto dei reali bisogni e interessi delle persone coinvolte e non può essere calata dall'alto.
Soprattutto in questioni interculturali tale prassi sarebbe deleteria.
Le mediazioni tra le esigenze adulte di "educare" e importare valori, soprattutto nei giovani, deve essere attentamente mediata con quelle dei ragazzi.
Questa discrepanza tra serietà adulta e "vivacità" giovanile ha permeato la J@k e andrebbe esplorata ulteriormente, ma esula da questo contributo.
A volte è meglio affrontare indirettamente la questione interculturale, coi giovani, per evitare rifiuti dovuti alla percezione di un dover essere, di un moralismo sottile.
La preoccupazione "razzista" è spesso degli adulti coscienti, non dei giovani; loro si trovano con difficoltà di rapporto o conflitti con altri soggetti, da risolvere; non con questioni morali astratte.
Una modalità utile per avvicinare alla problematica razzista può essere quella di partire dalla percezione che i giovani hanno di subire stereotipi, per esempio dagli adulti, dai professori, dai compagni.

Molte attività qui presentate possono servire a più scopi, la differenza consiste anche nel focus diverso e nel come vengono introdotte e chiuse, oltre che condotte, le attività.
Qui presentiamo tre tracce, non esaustive, di tipologie di percorso.
Nel primo tipo di percorso il focus è sulla conoscenza, nel secondo sul conflitto e le sue cause, nel terzo sulla condivisione.

a) Percorsi di prevenzione del razzismo
Oltre che nella J@K ci rifacciamo a vari corsi, progetti e incontri oltre confine con l'associazione Alpen Adria Alternativ di Villach (Austria) svolti negli anni scorsi, con educatori di vari paesi, sulle relazioni tra italiani, sloveni e austriaci e più in generale sulla comprensione tra i popoli.
Operativamente lo strumento cardine del teatro, nel lavoro interculturale, è "l'assunzione di ruoli diversi dal proprio": immedesimarsi in altri personaggi reali permette di vedere e sentire i diversi punti di vista, relativizzando il proprio e di capire non solo cognitivame Anche il lavoro sugli "stereotipi" è un filone stimolante di ricerca. Partendo dall'assunto che lo stereotipo è un modo di organizzare la conoscenza della realtà semplificandola in mancanza di dati più ricchi o per necessità e bisogni di difesa, accettando l'inevitabilità di questo meccanismo umano, si punta a favorire un'autoanalisi che porti verso un atteggiamento più autocritico piuttosto che moralista.
Un terza possibilità si offre quando gruppi di cultura diversa sono compresenti nel progetto e si può quindi lavorare direttamente incrociando e confrontando le percezioni reciproche in una situazione di laboratorio, protetta. Allora si lavora attorno all'immaginario legato a un tema comune come può essere la famiglia tipo, la scuola, il lavoro, il futuro, i valori, i modi di vita, il potere, ecc.
Un quarto elemento di lavoro è lo sviluppo della personalità in senso integrale (mente, corpo ed emozione) attraverso lo sviluppo delle molteplici intelligenze (emotiva, relazionale, corporea, logico verbale...).
In tal senso il Teatro dell'Oppresso è consono a un'esplorazione globale delle intelligenze umane e ciò contribuisce a nostro parere a formare persone più equilibrate e capaci di relazionarsi agli altri.
Infine, da non sottovalutare, la creazione di un clima caldo di comunicazione, di fiducia, di gioco tra persone di diverse culture, è un antidoto alla nascita di tensioni e pregiudizi, come del resto ha detto qualche ragazzo partecipando alla j@k (
b) Percorsi sul caso
L'esempio più chiaro è stato un campo estivo con 100 giovani italiani, palestinesi e israeliani, a Bologna, tenutosi poco prima degli accordi di pace di Oslo.
Sono stati usati Teatro-Immagine e giochi per creare un minimo di comunicazione e conoscenza comune e poi ogni gruppo ha messo in scena un conflitto che viveva.
Si è giunti a un culmine di tensione quando la scena israeliana mostrava una camionetta presa a sassate, mentre quella palestinese l'umiliazione delle perquisizioni al checkpoint.
Subito dopo si sono accese discussioni violentissime che sono state convogliate in relazioni a coppie miste, con tecniche di comunicazione costruttiva forzata.
Il risultato portato a casa è stato uno scarico di tensione e una capacità di ascolto reciproco maggiore.

Un'esperienza meno forte è stata il laboratorio sul conflitto tra italiani e altoatesini, svolto a Bolzano con partecipanti delle due etnie. Le persone erano molto disponibili a mettersi in gioco e capaci di decentramento sufficiente per ragionare anche sui propri stereotipi, Le attività hanno esplorato con tecniche teatrali varie dimensioni di differenza tra le due culture.
Siamo qui nell'area di lavoro legata al concetto di "competenza al conflitto", concetto cardine dell'educazione alla pace, introdotto da Daniele Novara.
La sovrapposizione tra questo tipo di educazione alla Pace (che privilegia comportamento e atteggiamenti, sulle conoscenze) e l'educazione interculturale è a nostro parere molto grande.
Ci appare così grande da poter usare gli stessi strumenti per sviluppare le abilità di base comuni.
In questi percorsi si lavora su un conflitto, coi partecipanti allo stesso, se possibile, o con altre persone interessate.

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